Cassazione Penale, Sez. 4, 02 febbraio 2015, n. 4891 - Pericolosa manovra di retromarcia di un autocompattatore e responsabilità per infortunio mortale






 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROMIS Vincenzo - Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
D.D. n. il (Omissis);
avverso la sentenza n. 273/2010 pronunciata dalla Corte d'appello di Reggio Calabria il 19/11/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell'udienza pubblica del 22/1/2015 la relazione fatta dal Cons. dott. Marco Dell'Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. C. Destro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Fatto

1. Con sentenza resa in data 19/11/2013, la Corte d'appello di Reggio Calabria ha integralmente confermato la sentenza in data 22/1/2008 con la quale il tribunale di Palmi ha condannato D.D. (previa concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza) alla pena di un anno e otto mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, in relazione al reato di omicidio colposo commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di M. V., in (Omissis).

Con la sentenza d'appello, la corte territoriale ha confermato la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice, ribadendo i profili di colpevolezza rimproverabili nei confronti dell'imputato in relazione all'infortunio sul lavoro occorso ai danni del M., il quale, mentre era intento allo svolgimento della propria attività di operatore ecologico, era stato investito e travolto dal veicolo autocompattatore condotto in retromarcia dall'imputato, al quale, oltre alla violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, era stato contestato d'aver colpevolmente omesso di avvalersi, per l'esecuzione della pericolosa manovra, della collaborazione dei colleghi trasportati sul proprio veicolo, così provocando il decesso della vittima per trauma contusivo della parete anteriore del torace e del bacino con fratture costali, lacerazioni polmonari e frattura del bacino.

2. Avverso la sentenza d'appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, dolendosi del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nell'interpretazione del compendio istruttorio complessivamente acquisito, e segnatamente delle equivoche deposizioni testimoniali assunte e dell'incerta consulenza tecnica disposta su iniziativa del pubblico ministero, erroneamente intese e richiamate ai fini della ricostruzione dei fatti oggetto di causa, con la conseguente illogicità della motivazione posta a fondamento dell'accertamento della responsabilità dell'imputato, a sua volta insuscettibile d'essere adeguatamente attestata al di là di ogni ragionevole dubbio.

Sotto altro profilo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, avendo la corte territoriale omesso di individuare in modo inequivoco, tanto le norme cautelari asseritamente violate dall'imputato, tanto l'attribuibilità psicologica allo stesso della condotta lesiva contestatagli.


Diritto


3. Osserva preliminarmente la Corte che il reato per il quale l'imputato è stato tratto a giudizio è prescritto, trattandosi di un fatto di omicidio colposo commesso alla data del (Omissis), in relazione al quale trova applicazione (quanto al regime della prescrizione) la disciplina previgente alla L. n. 251 del 2005, siccome più favorevole all'imputato, ai sensi dell'art. 2 c.p. e L. n. 251, art. 10 cit.; con la conseguenza che, riconosciute e concesse in favore dell'imputato le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza (cfr., sul punto, la sentenza di primo grado), il termine di prescrizione per il reato di omicidio colposo a lui ascritto deve ritenersi stabilito in sette anni e sei mesi (cinque anni oltre l'aumento della metà per le interruzioni), così determinato ai sensi del previgente art. 157 c.p..

Al riguardo, rilevato che il ricorso proposto non appare manifestamente infondato, nè risulta affetto da profili d'inammissibilità di altra natura, occorre sottolineare, in conformità all'insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, come, in presenza di una causa estintiva del reato, l'obbligo del giudice di pronunciare l'assoluzione dell'imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell'insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale all'imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una constatazione, che a un atto di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv. 244274).

E invero, il concetto di evidenza, richiesto dal secondo comma dell'art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275).

Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell'imputato occorre applicare il principio di diritto secondo cui positivamente deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l'assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l'eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263).

Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte - anche tenendo conto degli elementi evidenziati nelle motivazioni delle sentenze di merito e di quanto si sottolineerà più avanti - non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui all'art. 129 c.p.p., comma 2.

Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato contestato all'imputato estinto per prescrizione.

4. Ciò premesso - pervenendo all'esame dell'Impugnazione ai fini delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, ai sensi dell'art. 578 c.p.p. -, rileva la corte come, con riguardo alle censure sollevate dall'imputato in relazione alla pretesa inattendibilità delle testimonianze valorizzate dai giudici del merito a sostegno della decisione di condanna adottata, l'odierno ricorrente si sia unicamente limitato alla mera prospettazione di semplici criteri d'interpretazione e valutazione delle deposizioni contestate in modo difforme rispetto alle scelte interpretative e valutative adottate dal giudice di merito.

Sul punto, varrà richiamare il costante insegnamento di questa corte di cassazione, ai sensi del quale deve ritenersi non sindacabile, in sede di legittimità, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o circa la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti, salvo il controllo su eventuali vizi di congruità e logicità della motivazione, in questa sede in nessun modo riscontrabili, avendo, tanto il tribunale quanto la corte d'appello, congruamente elaborato il complesso degli elementi di prova dichiarativa assunti, sulla base di un ragionamento probatorio coerentemente ricostruito e del tutto lineare in termini logici, oltre che pienamente fedele al contenuto delle risultanze acquisite (Cass., Sez. 2, n. 20806/2011, Rv. 250362; Cass., Sez. 4, n. 8090/1981, Rv. 150282).

Allo stesso modo, con riguardo al denunciato asserito travisamento della consulenza tecnica del pubblico ministero (anche alla luce delle considerazioni difensive dell'imputato), osserva il collegio come sia appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità in forza del quale, in tema di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del consulente del pubblico ministero (in eventuale difformità da quelle del consulente della parte), non può essere gravato dell'obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni dell'ausiliario dell'ufficio, senza ignorare le argomentazioni contrarie (come nella specie accaduto in termini espressi: cfr. pp. 7-8 della sentenza d'appello). Ne consegue che può ravvisarsi vizio di motivazione solo se le prospettazioni difensive siano tali da dimostrare in modo inconfutabile (occorrenza non verificatasi nel caso di specie) la fallacia delle conclusioni del primo (Cass., Sez. 1, n. 25183/2009, Rv. 243791; Cass., Sez. 4, n. 34379/2004, Rv. 229279; Cass., Sez. 1, n. 6528/1998, Rv. 210712).

5. Da ultimo dev'essere disattesa la doglianza avanzata dal ricorrente in relazione alla pretesa omessa individuazione inequivoca, tanto delle norme cautelari asseritamente violate dall'imputato, quanto dell'attribuibilità psicologica allo stesso della condotta lesiva contestatagli.

E invero, la corte territoriale - riprendendo le considerazioni diffusamente articolate dal primo giudice con motivazione dotata di piena coerenza logica e congruità argomentativa - ha ribadito come il D. ben avrebbe dovuto, nel caso di specie (nel rispetto dei tradizionali parametri della colpa generica e delle normative di settore di cui all'imputazione) - in considerazione delle limitate condizioni di visibilità al momento del fatto, della scarsità dello spazio tra il proprio veicolo e quello adiacente e della consistenza viscida e molle del terreno a causa dei notevoli rifiuti sparsi sul suolo -, servirsi dell'ausilio e direzione degli operai T. e C. presenti sul proprio veicolo al fine di eseguire correttamente la manovra di posizionamento in retromarcia all'interno della discarica, tenuto conto dell'insufficienza dell'ausilio assicurato dagli specchietti retrovisori e dal sistema di allarme sonoro di cui pure il veicolo risultava dotato, al fine di impedire un evento lesivo che sarebbe stato certamente evitato qualora l'imputato avesse agito rispetto delle più elementari norme di sicurezza.

Entrambi i giudici del merito, del resto, hanno sottolineato come lo stesso imputato avesse ammesso che dagli specchietti retrovisori, nel corso della manovra di retromarcia, non aveva visto nessuno (laddove i testi escussi hanno riferito della presenza della vittima in loco pochi secondi prima) e che gli operatori con lui presenti sul veicolo dallo stesso condotto non scesero dal camion prima della manovra di retromarcia (nè durante l'effettuazione di questa), laddove, di solito, quando vi erano altri camion intenti a scaricare vicino al proprio (come nella specie), faceva scendere l'operatore affinchè lo guidasse nelle manovre.

Ciò posto, proprio la prevedibilità dell'effettiva situazione di grave rischio cui si esponeva con la pericolosa manovra in retromarcia - in considerazione delle circostanze di tempo e di luogo esistenti in concreto - imponeva all'imputato di rappresentarsi le conseguenze della propria condotta omissiva e dunque di ispirare la propria condotta alle regole di massima prudenza, in particolare ricorrendo al sicuro ausilio dei due operai che con lui erano a bordo del veicolo condotto: l'aver imprudentemente trascurato il rispetto di tali doverose cautele comporta la sicura rimproverabilità all'imputato della condotta omissiva in concreto addebitategli, siccome allo stesso pienamente ascrivibile sul piano dell'attribuibilità psicologica.

6. Sulla base di tali premesse, dichiarata l'estinzione del reato ascritto all'imputato per l'intervenuta prescrizione dello stesso, devono trovare viceversa integrale conferma le statuizioni civili contenute nelle sentenze di merito, stante l'infondatezza dei motivi di ricorso avanzati dall'imputato.



P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, annulla la sentenza impugnata senza rinvio perchè estinto il reato per prescrizione. Ferme restando le statuizioni civili.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2015