Cassazione Penale, Sez. 4, 20 febbraio 2015, n. 7818 - Grave infortunio con un macchinario durante le operazioni di pulizia


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. ZOSO Liana M. T. - Consigliere -
Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -
Dott. IANNELLO Emilio - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
G.R.M. n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 390/2013 pronunciata dalla Corte d'appello di Milano il 26/3/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell'udienza pubblica del 5/2/2015 la relazione fatta dal Cons. dott. Marco Dell'Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. C. Destro, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata;
udito per l'imputato l'avv.to Petringa Nicolosi R. del foro di Milano, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.




Fatto

1. Con sentenza resa in data 26/3/2014, la Corte d'appello di Milano ha integralmente confermato la sentenza in data 12/1/2012 con la quale il Tribunale di Monza ha condannato G.R.M. alla pena di due mesi di reclusione (sostituita con la sanzione pecuniaria d'importo corrispondente) in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di I.B., in (OMISSIS).

All'imputato era stata originariamente contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica e delle norme di colpa specifica partitamente indicate nel capo d'imputazione, perchè, in qualità di legale rappresentante della L. s.r.l., società datrice di lavoro del prestatore infortunato, aveva costruito e posto a disposizione dei lavoratori una macchina priva dei requisiti essenziali di sicurezza, in quanto priva di protezione o di dispositivi di protezione idonei a evitare infortuni derivanti dal contatto del lavoratore con elementi mobili della macchina; sicchè, in occasione del fatto oggetto di giudizio, durante le operazioni di pulizia di un cilindro di detta macchina, il lavoratore sopra identificato rimaneva intrappolato tra il cilindro e la lamiera da plastificare e veniva trascinato all'interno della macchina indicata con il conseguente schiacciamento di parti del corpo ed ustioni, procurandosi gravissime lesioni personali consistite in trauma da schiacciamento dell'arto superiore sinistro, trauma toracico e ustioni, cui seguiva l'amputazione del braccio sinistro, oltre all'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo pari a 476 giorni.

2. Avverso la sentenza d'appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato per violazione di legge e vizio di motivazione.

In particolare, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale per aver ritenuto pretestuosi e comunque irrilevanti i motivi proposti dall'imputato in sede d'appello in ordine alla conformità dell'impianto utilizzato dal lavoratore infortunato alla normativa vigente e alle norme tecniche di sicurezza, e per aver giudicato complessivamente inadeguati i presidi antinfortunistici predisposti dal datore di lavoro.

Sul punto, il ricorrente evidenzia la lacuna che affliggerebbe la sentenza impugnata, non avendo la corte territoriale proceduto a una più approfondita disamina nel merito delle norme tecniche oggetto di valutazione, trascurando la decisiva circostanza che l'evento lesivo ebbe a verificarsi unicamente per avere il lavoratore infortunato violato le prescrizioni dettate al fine di impedire il contatto dello stesso con gli organi in movimento della macchina.

3. Sotto altro profilo, il ricorrente rileva la manifesta illogicità in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel ritenere adeguatamente comprovata la circostanza della pericolosità dell'uso, da parte del lavoratore infortunato, di uno straccio per la pulizia del cilindro rotante della macchina alla quale lo stesso era addetto, attesa l'assenza di alcun attendibile riscontro probatorio o di qualsivoglia conferma scientificamente sostenibile circa l'idoneità causale di tale operazione a provocare l'evento lesivo in esame, viceversa integralmente ascrivibile alla già richiamata condotta imprudente del lavoratore infortunato.

4. Parimenti manifestamente illogica, ad avviso del ricorrente, deve ritenersi il passaggio argomentativo dedicato dalla corte territoriale alla pretesa inidoneità dell'arresto di emergenza ai fini della verificazione dell'infortunio, avendo il giudice d'appello sul punto equivocato la funzione di tale arresto di emergenza di per sè destinato, non già ad impedire la verificazione dell'infortunio, bensì a minimizzarne le conseguenze, attraverso la riduzione dei tempi del fermo macchina.

Il carattere illogico del ragionamento della corte territoriale era peraltro emerso dalla trascurata considerazione, da parte del giudice d'appello, della circostanza secondo cui il ridetto dispositivo per l'arresto di emergenza era necessariamente collocato al di fuori dell'area dell'impianto in cui era venuto a trovarsi il lavoratore infortunato, trattandosi di un'area rigorosamente interdetta dalle norme generali di sicurezza diffuse in ambito aziendale.

Quanto alle prescrizioni imposte dall'autorità sanitaria locale a seguito dell'infortunio, il ricorrente ne rimarca il carattere (non già di adeguamento a norma, bensì) di semplice miglioramento delle generali condizioni di sicurezza dell'impianto, di per sè non imposte in sede normativa, una volta accertata l'assoluta conformità di detto impianto ai requisiti essenziali di sicurezza già previsti e concretamente rispettati dall'odierno imputato.

5. Da ultimo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere illogicamente escluso il carattere abnorme del comportamento del lavoratore infortunato, essendo quest'ultimo incorso in una grave violazione delle prescrizioni cautelari allo stesso imposte, a nulla rilevando la circostanza (erroneamente evidenziata dalla corte territoriale) costituita dall'inerenza della condotta abnorme del lavoratore all'ambito delle mansioni cui lo stesso era addetto.

Sotto altro profilo, parimenti illogica, secondo la prospettazione critica del ricorrente, deve ritenersi la decisione della corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto oggettivamente comprovata l'esistenza di una diffusa prassi aziendale contrastante con le prescrizioni a tutela dell'incolumità dei lavoratori; e ciò, tanto più dopo aver riconosciuto l'insussistenza di prove certe in ordine alla stessa conoscenza di tale presunta illegittima prassi aziendale da parte del datore di lavoro.

Diritto

6. Tutti i motivi d'impugnazione proposti dal ricorrente - congiuntamente esaminabili in ragione dell'intima connessione delle questioni dedotte - sono infondati.

Preliminarmente, rileva il collegio la sostanziale irrilevanza delle censure illustrate dall'imputato con riguardo alla conformità dell'impianto utilizzato dal lavoratore infortunato alla normativa vigente e alle norme tecniche di sicurezza applicabili nella specie, valendo al riguardo il vigore del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità ai sensi del quale l'astratta conformità dell'impianto o del macchinario posto a disposizione del lavoratore alle norme di sicurezza non esonera il datore di lavoro dalla responsabilità per le lesioni eventualmente patite dal lavoratore, allorquando il primo abbia consentito, o comunque non impedito, un'utilizzazione anomala di detta macchina, o comunque un uso tale da ampliare l'area del rischio infortunistico, in ogni caso da esporre il lavoratore a rischi del tipo di quelli in concreto realizzatosi (Sez. 4, Sentenza n. 36257 del 01/07/2014, Rv. 260294; Sez. 4, Sentenza n. 49670 del 23/10/2014 Rv. 261175).

Del tutto correttamente, pertanto, la corte territoriale ha sottolineato la pretestuosità, o comunque l'irrilevanza, dei motivi d'appello sollevati dall'imputato circa la conformità dell'impianto alla normativa vigente alle normative tecniche di sicurezza, tenuto conto che nella concreta fattispecie si trattava del mancato rilievo dell'inadeguatezza, oggettivamente percepibile, dei presidi antinfortunistici; circostanza, quest'ultima, tale da rendere irrilevante la mera presenza formale di una certificazione attestante la rispondenza del macchinario alle prescritte misure di sicurezza.

Del pari priva di fondamento deve ritenersi la censura sollevata dall'odierno ricorrente con riguardo alla pericolosità dell'uso di uno straccio per la pulizia del cilindro rotante della macchina in esame, avendo la corte territoriale rimarcato le caratteristiche di pericolosità di tale tecnica di pulizia sulla base delle dichiarazioni rese da testimoni particolarmente qualificati, tanto in ragione della relativa veste istituzionale (come teste M., ufficiale di polizia giudiziaria della Asl di Ornago), quanto in ragione dell'esperienza tecnica posseduta (come i testi Ma. e P., responsabile dell'impianto, il primo, e tecnico elettronico della società e responsabile per la sicurezza, il secondo): qualità soggettive tali da giustificare il giudizio di elevata attendibilità delle relative dichiarazioni sul punto formulato dai giudici del merito sulla base di una motivazione immune da vizi d'indole logica o giuridica, come tale idonea a sottrarsi ad ogni censura di legittimità avanzabile in questa sede.

Sulla base di tali premesse, del tutto prive di consistenza devono ritenersi le doglianze illustrate dal ricorrente con riguardo alla funzione dell'arresto di emergenza asseritamente travisata dai giudici del merito, avendo questi ultimi viceversa sottolineato come proprio la collocazione di tale arresto emergenza al di fuori dell'area dell'impianto in cui era venuto a trovarsi il lavoratore infortunato evidenziasse l'assoluta inidoneità dello stesso a costituire un'adeguata misura di sicurezza sufficiente a fronteggiare i rischi del tipo di quelli cui fu concretamente esposta l'odierna persona offesa.

Del tutto correttamente, pertanto, la corte territoriale ha sottolineato come le misure successivamente adottate a seguito dell'intervento dei tecnici dell'amministrazione sanitaria competente avessero plasticamente rappresentato le modalità attraverso le quali l'impianto avrebbe dovuto essere originariamente conformato al fine di impedire la verificazione di eventi infortunistici assimilabili a quello oggetto dell'odierno giudizio.

7. Del tutto correttamente, infine, la corte territoriale ha escluso il ricorso, nella specie, di un comportamento abnorme del prestatore di lavoro infortunato, atteso che l'evento infortunistico in esame ebbe a verificarsi nel corso delle ordinarie mansioni cui il lavoratore era addetto, e che il contatto del corpo del lavoratore con gli organi in movimento della macchina, lungi dal costituire un'ipotesi del tutto imprevedibile, doveva ritenersi ex ante un'evenienza icto oculi pienamente compatibile con il regolare sviluppo delle lavorazioni connessi al suo uso.

Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicchè la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (cfr., tra le molte, Cass., Sez. 4, n. 37986/2012, Rv. 254365).

Al riguardo, la circostanza che il lavoratore avesse imprudentemente, o in modo negligente, oltrepassato il cancelletto di protezione della zona di operatività dei rulli (al fine di procedere alla pulizia della macchina), non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro, dovendo ritenersi ricompreso, entro l'ambito delle responsabilità di quest'ultimo, l'obbligo di prevenire anche l'ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili all'ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d'esame.

Il datore di lavoro, infatti, in quanto destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, diverso dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267/2009, Rv. 246695).

In tema, questa stessa corte ha avuto recentemente modo di sottolineare come l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell'infortunio, sia a titolo di colpa diretta, per non aver negligentemente impedito l'evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio, che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate (Cass., Sez. 4, n. 16890/2012, Rv. 252544).

Al riguardo, del tutto correttamente i giudici del merito hanno evidenziato (sulla base di una corretta interpretazione degli elementi testimoniali utilizzati e richiamati in motivazione) la grave negligenza del datore di lavoro nel non impedire la persistente consuetudine dei lavoratori di oltrepassare il predetto cancelletto di protezione al fine di procedere alla pulizia della macchina, a nulla rilevando le eventuali incertezze istruttorie circa l'effettiva carente conoscenza di tale consuetudine da parte del datore di lavoro; carenza eventualmente espressiva di un'omessa o insufficiente opera di vigilanza sulle modalità di svolgimento delle attività all'interno dell'impresa e di una negligente sorveglianza sulla relativa sicurezza.

8. Il complesso delle considerazioni che precede, nell'attestare la radicale infondatezza di tutti motivi d'impugnazione proposti in questa sede dall'imputato, impone il rigetto del ricorso e la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2015