Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 06 marzo 2015, n. 9862 - Caduta di un pesante cancello sulla schiena del lavoratore. Responsabilità


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere -
Dott. CIAMPI Francesco Mari - Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
B.L. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1834/2012 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 23/05/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/02/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fodaroni Maria Giuseppina, che ha concluso per l'annullamento con rinvio sulla sostituzione della pena e rigetto nel resto;
Udito il difensore, Avv. Maresca Francesco, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Fatto


1. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 23/05/2013, in parziale riforma della pronuncia emessa il 31/05/2011 dal Tribunale di Firenze, ha dichiarato non doversi procedere per i reati contravvenzionali contestati in quanto estinti per prescrizione e ha rideterminato la pena per il reato di cui all'art. 590, commi 2 e 3, in relazione all'art. 583 c.p., comma 1, n. 1 in mesi quattro di reclusione nei confronti di B.L., imputato del reato di lesioni personali colpose gravi per avere cagionato, nella sua qualità di datore di lavoro, al dipendente C.L. una frattura amielica di D-12 dalla quale era derivata una malattia per un tempo superiore a 40 giorni, per colpa generica e per violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

2. L'infortunio è stato ricostruito dai giudici di merito come segue: il (OMISSIS) il lavoratore, insieme al datore di lavoro B.L., stava effettuando il montaggio di cancellate autocatturanti da installare nella stalla dei bovini; il lavoro era iniziato il giorno precedente e la mattina del (OMISSIS) avevano iniziato il montaggio di una delle cancellate, incernierandola in basso con le staffe a cannocchiale alle travi d'acciaio verticali, mentre la parte superiore era stata provvisoriamente legata con un filo di ferro perchè occorreva prendere le misure per forare le travi e imbullonare le staffe di sostegno a mensola; il lavoro era stato interrotto per la pausa pranzo e il lavoratore aveva ripreso da solo al termine della stessa, mentre B.L. l'avrebbe raggiunto un pò più tardi; quando quest'ultimo non era ancora arrivato e il lavoratore si trovava inginocchiato per scalpellare nel cordolo di cemento la traccia entro cui alloggiare il tubo da collegare all'abbeveratoio che doveva montare, C.L. era stato attinto dalla pesante cancellata, abbattutasi sulla sua schiena.

3. B.L. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

a) mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla condotta abnorme del lavoratore. Il ricorrente lamenta l'assenza, nel provvedimento, del dettagliato esame dell'ipotizzato omesso controllo da parte del datore di lavoro al momento dell'infortunio e ritiene evidente la contraddittorietà della motivazione laddove dagli esiti dibattimentali è pacifico che l'imputato abbia svolto attività di vigilanza e controllo durante il montaggio delle cancellate e che abbia partecipato personalmente all'installazione di esse; la contraddizione del ragionamento sviluppato nella sentenza, si assume, appare ancora più evidente in relazione alla fase in cui l'infortunio si è verificato, ossia quella di scavo, del tutto diversa, indipendente e non interferente con quella di montaggio, dovendosi configurare l'iniziativa del lavoratore di iniziare lo scavo e di usare il martello pneumatico come imprevedibile e assolutamente abnorme;

b) mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla fase lavorativa in cui è avvenuto il fatto. Secondo il ricorrente, la certificazione dell'attività come di ordinaria (rectius straordinaria) manutenzione in considerazione della particolare pesantezza risulta priva di adeguato ragionamento logico, mancando specifiche istruzioni per il montaggio e specifica indicazione in sede di consulenza tecnica della difesa. La revoca dell'ammissione del teste legale rappresentante della società fornitrice delle cancellate decisa dal primo giudice ha fatto venir meno ogni argomentazione idonea a superare quelle difensive, che avevano dimostrato come la sostituzione delle cancellate, ciclicamente svolta, non necessitasse di specifiche misure di prevenzione nè di particolari istruzioni e informazioni;

c) carenza di motivazione in ordine alla mancata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria. Nel ricorso si lamenta che la Corte territoriale abbia omesso qualsivoglia motivazione in merito alla richiesta formulata dall'appellante in ordine alla conversione della pena di mesi quattro di reclusione nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'art. 135 c.p..

Diritto


1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono inammissibili.

1.1. Come costantemente affermato dalla Corte di legittimità (ex plurimis, Sez.6, n.8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584), la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.

Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Deve essere sì anch'esso conforme all'art. 581 c.p.p., lett. c) (e quindi contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione); ma quando censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, così che esso sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente.

1.2. Risulta pertanto di chiara evidenza che se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d'appello, confrontandosi solo apparentemente con la motivazione della sentenza impugnata mediante la mera riproduzione di brani di essa, per ciò solo si destina all'inammissibilità, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente impugnato, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.

1.3. In altri e conclusivi termini, la riproduzione, totale o parziale, del motivo d'appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune circostanze ciò costituisce incombente essenziale dell'adempimento dell'onere di autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e con la sua integrale motivazione si confronta.

1.4. La Corte territoriale ha esaminato entrambe le censure qui replicate e, in particolare, ha ritenuto che fosse evidente la responsabilità del datore di lavoro, oltre che per la colpevole inosservanza dell'obbligo di fornire al dipendente un'adeguata formazione e informazione sui rischi, per non avere adeguatamente diretto e sorvegliato l'attività svolta dal lavoratore nel montaggio della pesante cancellata, disponendo che essa venisse legata in modo del tutto inidoneo con del filo di ferro. In presenza di tale comportamento del datore di lavoro, la Corte ha ritenuto che l'utilizzo del martello pneumatico da parte del lavoratore fosse condotta ascrivibile essa stessa all'omessa vigilanza da parte del datore, che aveva consentito che il dipendente proseguisse nelle operazioni propedeutiche all'installazione delle cancellate in sua assenza, sottovalutando i rischi che ciò avrebbe comportato. La Corte ha escluso che si trattasse di attività di ordinaria manutenzione in considerazione della necessità di approntare cautele per il rischio di caduta in considerazione della pesantezza delle cancellate da installare.

1.5. A fronte di tali specifiche argomentazioni, il ricorso non contiene altrettanto specifici argomenti dai quali si possa desumere il dedotto vizio di motivazione e presenta, in sostanza, le medesime argomentazioni svolte nell'atto di appello.

2. Il terzo motivo di ricorso è fondato.

2.1. Dalla lettura del provvedimento impugnato emerge l'omesso esame dell'istanza di conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria avanzata con l'atto di appello.

2.2. Occorre, in proposito, tenere conto del fatto che le misure sostitutive tendono al reinserimento sociale del condannato, per cui i criteri di cui all'art. 133 c.p. devono essere utilizzati nell'ottica di valutare se sia prevedibile che non vi sarà una ricaduta nel reato. Per chiarire, un giudizio prognostico favorevole sulla concedibilità della misura sostitutiva può, quindi, essere formulato anche nei confronti di un soggetto che, in relazione alla entità del fatto criminoso commesso, non sia ritenuto meritevole delle attenuanti generiche (Sez. 3, n. 37814 del 06/06/2013, Zicaro Romenelli, Rv. 256979; Sez. 5, n. 3643 del 21/01/1999, Capitano, Rv. 213536; Sez. 4, n. 3882 del 19/02/1990, Noce, Rv. 183755).

2.3. Giova, sul tema, ricordare la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Sez. U, n. 24476 del 22/04/2010, Gagliardi, Rv. 247274) che, interpretando il significato del termine "prescrizioni" di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 58, comma 2, ha escluso che il giudice possa fondare il diniego della conversione della sanzione detentiva in sanzione pecuniaria sulle condizioni di indigenza del condannato, al contempo richiamando la linea di demarcazione segnata dalla Consulta (Corte Cost. n.108 del 27 marzo 1987) per definire l'ambito di applicazione del sistema di conversione della pena detentiva in sanzione pecuniaria, onde evitare che un'indiscriminata applicazione dell'istituto si risolva in altrettante ipotesi di violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). In tale pronuncia, la Corte ha chiaramente affermato che la ratio delle pene sostitutive ha natura premiale e che il giudice, nell'esercitare il suo potere discrezionale di sostituire le pene detentive brevi con le pene pecuniarie corrispondenti, con la semidetenzione o con la libertà controllata, deve tenere conto dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., tra i quali è compreso quello delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell'imputato.

2.4. Dev'essere quindi, ribadito il principio per cui la valutazione discrezionale rimessa al giudice di merito ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 58, comma 1, deve essere sorretta da congrua ed adeguata motivazione, che dovrà tenere in particolare considerazione, tra gli altri criteri, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato, nell'ottica di valutare se sia prevedibile che non vi sia in futuro una ricaduta nel reato.

2.5. La Corte di Appello è, comunque, incorsa in vizio di motivazione; come detto, la L. n. 689 del 1981, art. 58 regola il potere discrezionale del giudice nella sostituzione della pena detentiva, imponendogli di attenersi ai parametri di cui all'art. 133 c.p. e la Corte ha omesso di fornire una motivazione che esplicitasse le ragioni dell'omessa conversione, peraltro in contrasto con la prognosi favorevole espressa dal giudice di primo grado ai fini dell'applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, in chiave di prognosi favorevole circa la futura astensione dal reato.

3. Conclusivamente, la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze ai sensi dell'art. 569 c.p.p., comma 4, per una nuova valutazione dell'istanza di sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al diniego della sostituzione della pena con rinvio sul punto alla Corte d'Appello di Firenze. Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2015