Cassazione Penale, Sez. 4, 21 ottobre 2005, n. 38877 - Caduta dall'alto e responsabilità. Nessun comportamento abnorme della vittima


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE

composta dai signori magistrati:
Dott. Giovanni Silvio Coco Presidente
Dott. Francesco Marzano Consigliere
Dott. Sergio Visconti Consigliere
Dott. Vincenzo Romis Consigliere
Dott. Patrizia Piccialli Consigliere
riuniti in camera di consiglio,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA


sul ricorso proposto da N. R. l'..omissis.. avverso la sentenza in data 25 ottobre 2002 della Corte di Appello di Firenze;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Patrizia Piccialli;
udito il Procuratore generale nella persona del sostituto dott. Mario Iannelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Benucci Benuccio del Foro di Firenze che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.


FattoDiritto




Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze in parziale riforma della sentenza in primo grado emessa in data 15.10.2001, assolveva F. S., nella qualità di presidente e direttore tecnico della ditta S., dal reato dal reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche e, con riferimento allo stesso reato, confermava la sentenza di condanna pronunciata nei confronti di N. R., nella qualità di direttore tecnico della stessa ditta e direttore del cantiere posto in Barberino del Mugello.

Trattavasi di un infortunio sul lavoro occorso in data 18 aprile 1996 a N. G., socio della società e capomastro del cantiere, che, mentre era intento al rifacimento del tetto del condominio L. L. M., a seguito dello sfondamento di una porzione del tetto, era precipitato all'interno del fabbricato da un'altezza di metri 3,15, riportando lesioni mortali al cranio.

A carico di N. R. erano stati ravvisati profili di colpa, sia generica, sub specie dell'imprudenza e negligenza, sia specifica, fondata, quest'ultima, sulla inosservanza del disposto degli artt. 70 e 77 lett. b DPR 7 gennaio 1956 n. 164 e degli artt. 381 e 389 lett. e DPR 27 aprile 1955 n. 547, avendo lo stesso omesso di adottare, nel corso dei lavori eseguiti ad un'altezza superiore ai due metri, adeguate impalcature o ponteggi o comunque precauzioni idonee ad eliminare i pericoli di caduta di persone e/o cose e per non avere accertato e vigilato che i lavori non proseguissero prima che le dette misure protettive venissero installate.

Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione N. R., articolando un unico motivo, con il quale deduce l'erronea applicazione della legge penale con riferimento all'art. 16 d.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164, sotto un duplice profilo.

La prima censura viene fondata essenzialmente sul rilievo che il giudicante avrebbe erroneamente interpretato la norma in questione conferendo al termine "approntare" il significato di un obbligo a carico dell'imputato, nella qualità di direttore dei lavori, di installare personalmente le opere provvisionali anziché quello corretto, tenuto conto della struttura e delle dimensioni operative della ditta nonché della presenza di un capo cantiere particolarmente esperto, di individuare le opere necessarie, descrivendole al personale, mettendo a disposizione degli operai tutto il materiale necessario per la realizzazione delle opere.

Sotto il secondo profilo si duole di un travisamento da parte dei giudici di pacifiche risultanze istruttorie, assumendo che nella ricostruzione della dinamica dell'incidente non era stato tenuto che, secondo le direttive dell'imputato, i lavori iniziati il lunedì precedente l'infortunio sulla parte del tetto che non presentava problemi di cedimento per l'esistenza di una soletta di cemento armato sottostante - avrebbero dovuto continuare nella zona pericolosa con lo smantellamento, il cui inizio, previsto per il mercoledì, era subordinato al previo approntamento del sotto impalcato.

I giudici di merito non avrebbero tenuto conto che la decisione di non approntare immediatamente l'opera provvisionale e di iniziare il lavoro era da attribuire esclusivamente al lavoratore deceduto, il cui comportamento, improvviso ed imprevedibile, avrebbe interrotto il nesso di causalità, ponendosi come causa esclusiva dell'infortunio.

Il ricorso non può trovare accoglimento quanto al profilo dell'accertata responsabilità dell'odierno ricorrente.

Il giudice di merito, con motivazione affatto illogica e con accertamenti fattuali qui non rivisitabili, ha infatti ricostruito non solo lo specifico ruolo rivestito, formalmente e sostanzialmente, dal ricorrente all'interno del cantiere (ruolo di direttore dei lavori che, per vero, non è posto in discussione neppure dal ricorrente stesso) e le carenze comportamentali al medesimo ascrivibili, ma anche puntualmente ricondotto a dette carenze la responsabilità dell'evento lesivo per cui è processo.

In proposito, per escludere qualsivoglia, pretesa violazione di legge è sufficiente ricordare come l'individuazione dei destinatari delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro va effettuata non in base a criteri astratti, ma avendo riguardo alle mansioni ed alle attività in concreto esercitate (ex pluribus, Cass., Sez. IV, 7 ottobre 1999, Serra ed altri).

Mentre non condivisibile è l'assunto sulla cui base il ricorrente vorrebbe andare esento da responsabilità, basato sull'asserito rilievo che nel cantiere ove si era verificato l'infortunio mortale, era presente un capo - cantiere, tenuto, ad approntare quelle misure antinfortunistiche la cui mancata predisposizione era stata invece addebitata al prevenuto.

È sufficiente ricordare, a tacer d'altro, che, secondo un assunto pacifico, in tema di infortuni sul lavoro, l'imprenditore o il direttore dei lavori non possono andare esenti da responsabilità penale solo perché abbiano delegato l'apprestamento delle misure antinfortunistiche ad un capo cantiere, il quale è semplicemente un preposto (Cass., Sez. IV, 8 gennaio 1982, Greco).

Né del resto risulta esservi stata una delega di funzioni sulla cui base possa discutersi, in ipotesi, di un esonero di responsabilità.

Miglior sorte non può avere neppure l'altro profilo di doglianza, laddove si vorrebbe sostenere che l'infortunio sarebbe avvenuto in una zona del cantiere (l'altro spiovente del tetto) diversa da quella ove erano stati programmati i lavori, onde questi erano da ricondurre alla condotta dello stesso infortunato, esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute.

Giova al riguardo ricordare che, per assunto pacifico, poiché le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti il caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile (ex pluribus, Cass., Sez. IV, 13 luglio 2000, Cirimbilli ed altro).

In ogni caso, inoltre, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (Cass., Sez. IV, 4 dicembre 2001, Fabbian).

Questo principio risulta attuato in concreto in modo convincente dal giudice di merito, che ha analizzato, partitamente, per ciascuno degli imputati, il ruolo svolto all'interno del cantiere, delineando, per ciascuno, le singole responsabilità: così pervenendo ad affermare la responsabilità del solo direttore dei lavori.

Con ricostruzione dei fatti e analisi convincente, il giudice di merito ha altresì escluso che la condotta dell'infortunato abbia integrato alcunché di esorbitante o di imprevedibile rispetto alle sue mansioni, tale da poter rilevare ai fini dell'interruzione del nesso causale, ravvisato come sussistente, invece, rispetto alle inosservanze colpose ascritte all'imputato, alle quali, in particolare, si è ritenuto di ricondurre eziologicamente l'infortunio.

La condotta imprudente e negligente, posta in essere dal dipendente, in questi casi, come sottolineato nella sentenza impugnata, assume soltanto l'efficacia di mera occasione o modalità della produzione dell'evento.

Resta da aggiungere che in questa sede non è possibile una rinnovata valutazione dei fatti e degli elementi di prova.

È principio non controverso, infatti, che nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né dove condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una "plausibile opinabilità di apprezzamento". Ciò in quanto l'art. 606. comma 1, lettera e), del Cpp non consente alla Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass., Sezione V, 13 maggio 2003, Pagano ed altri). In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, in particolare non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento di riscontro probatorio (Cass., Sezione VI, 6 marzo 2003, Di Folco).

Né sono ravvisabili violazioni di legge, avendo il giudice di merito fatta corretta applicazione del richiamato principio di diritto, che impone un apprezzamento "sostanzialistico" del ruolo di datore di lavoro e soggetto a questi assimilabile) e delle conseguenti responsabilità penali.

P.Q.M.

rigetto il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 29 settembre 2005

Depositata in cancelleria il 21 ottobre 2005.