Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 01 aprile 2015, n. 13859 - Movimentazione manuale dei carichi: infortunio mortale


 

"Le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro hanno la funzione di evitare che si verifichino eventi lesivi dell'incolumità fisica intrinsecamente connaturali all'esercizio di talune attività lavorative, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale imprudenza e disattenzione dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere sempre protetta con appropriate cautele (v. tra le tante, Sezione IV, 28 aprile 2011, n. 23292, Millo ed altri)."


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROMIS VINCENZO - Presidente -
Dott.ssa PICCIALLI PATRIZIA - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA


sul ricorso proposto da:
A.F. n. il ...
avverso la sentenza n. 5336/2013 pronunciata dalla Corte d'appello di Milano il 12/11/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 24/2/2015 la relazione fatta dal Cons. dott. Patrizia Piccialli;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. L. Riello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per la parte civile, l'avv.to ...;
uditi i difensori ...

 

 

 

Fatto


A.F. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che ha confermato il giudizio di responsabilità in ordine al reato di cui all'articolo 589 c.p., commesso in violazione della normativa antinfortunistica [in danno del lavoratore F.G.] ed, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla contestata aggravante rideterminando la pena in mesi 2 e giorni 20 di reclusione; fatto per il quale già in primo grado erano state concesse le attenuanti generiche e quella di cui all'articolo 62, numero 6, c.p., con giudizio di equivalenza ( fatto del 23 dicembre 2008).
La Corte di merito, ripercorrendo gli argomenti già sviluppati in primo grado, individuava i profili di colpa dell'A.F., nella qualità di legale rappresentante della ditta A.S.. s.r.l.[datrice di lavoro dell'operaio deceduto], per avere questi omesso di predisporre le misure atte ad impedire che i lavoratori sostassero sotto i carichi sospesi, durante la loro movimentazione in quota nonché nella zona di attività delle attrezzature di lavoro, adibite al sollevamento ed alla movimentazione dei carichi; ulteriore profilo di colpa veniva individuato nell'omessa adozione di misure per eliminare il rischio valutato e nella omessa formazione ed informazione degli addetti al reparto, con riferimento ai rischi connessi con la funzione effettivamente svolta nella impresa, così consentendo l'utilizzo del carrello a personale che non aveva eseguito il corso di addestramento. Per l'effetto, era risultato che l'operaio deceduto era stato travolto dalla caduta di colonnine zincate dal carrello su cui venivano trasportate con le forche a cm 210 da terra, anziché come previsto dalla normativa e dal piano di sicurezza, ad un'altezza di non più di 20 cm da terra.
Tale situazione, vuoi sotto il profilo della ricostruzione dell'incidente, vuoi con riferimento all'addebito di colpa, era stata ricostruita valorizzando, tra l'altro, gli esiti di una consulenza tecnica e la planimetria del luogo, da cui emergeva che il muletto aveva viaggiato con le forche all'altezza di oltre due metri, non per disattenzione e/o violazione delle istruzioni aziendali da parte del conducente del mezzo ( inizialmente coimputato, ma poi assolto, già in primo grado) ma perché i profilati da trasportare erano lunghi sei metri, mentre il cancello della ditta era largo soltanto cinque metri.
Con il ricorso si censura il giudizio di responsabilità evocandosi l'erronea applicazione dell'art. 71 comma 3, d.Lgs 81/2008, sul rilievo che il cortile ove si era verificato l'infortunio era dedicato esclusivamente allo stoccaggio delle merci, con le rastrelliere destinate ad accogliere i profilati mentre la ratio della norma citata è quella di evitare che carichi di qualunque genere possano sostare o gravare su persone o postazioni di lavoro.
Si sostiene, inoltre, che l'imputato aveva predisposto tutte le misure organizzative per evitare i pericoli nella movimentazione dei carichi e che le stesse erano state violate.
Si lamenta che la decisione impugnata non aveva tenuto conto della imprevedibilità della presenza del F.G. nel cortile e della grave inosservanza alle norme di sicurezza da parte della società che aveva prodotto ed imballato i materiali, utilizzando esclusivamente due legacci metallici, cosi che il pacco dei profilati si era aperto per la rottura di uno di essi, con la conseguente caduta delle sbarre che avevano colpito la vittima.
Si sostiene un travisamento della documentazione da parte della Corte di merito sul rilevo che il cancello non aveva pilastri e che il cortile era sgombro.
Infine si lamenta l'omessa motivazione sulla concessione dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p.

Diritto

Il ricorso è infondato.
La censura sulla responsabilità è tipicamente di merito a fronte di una duplice conforme statuizione di responsabilità, laddove risultano adeguatamente ricostruiti il fatto, gli addebiti di colpa, il nesso causale, in termini qui non rinnovabili.
La ricostruzione dell'incidente operata dai giudici di merito attraverso le testimonianze e gli accertamenti svolti dalla PG nella immediatezza del fatto, oltre che gli esiti della consulenza del PM, giustifica le conclusioni a cui sono pervenuti con riferimento alla rilevanza causale delle violazioni alla normativa antinfortunistica sopra richiamata.
E' stato così evidenziato che l'area di manovra del carrello non era delimitata né con nastri né con cartelli per impedire l'accesso del personale, che il carrello si era dovuto muovere con il carico sollevato a più di due metri per la presenza di ostacoli quali le rastrelliere alte m. 2,10, che il cortile era ingombro di attrezzi e materiali. Proprio tale situazione aveva impedito al conducente del carrello ( assolto in primo grado) di poggiare immediatamente a terra le colonnine zincate prelevate dal camion e l'aveva costretto ad arrestarsi con le forche alzate per decidere dove posare il carico così prolungando la situazione di pericolo del carico sospeso.
Questo quadro fattuale è stato correttamente e logicamente posto dai giudici di merito a fondamento del giudizio di rilevanza causale nella determinazione dell'evento della violazione dell'art. 71, comma 3, d.Lgs. 81/2008, che impone al datore di lavoro, al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro e per impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte, di adottare adeguate misure tecniche ed organizzative: se l'imputato avesse predisposto le misure atte ad impedire che i lavoratori sostassero sotto i carichi sospesi durante la movimentazione degli stessi in quota nonché nelle zone di attrezzature di lavoro, adibite al sollevamento ed alla movimentazione dei carichi, il F.G. non si sarebbe introdotto in quell'area.
Il giudizio controfattuale, formulato in questi termini, non presenta alcuna manifesta illogicità siccome scaturente e dedotta dalle risultanze di causa correttamente evidenziate e le deduzioni difensive afferenti il travisamento delle risultanze documentali prospettano elementi meramente possibilisti incapaci di inficiare quella conclusione.
Il ricorrente ripropone anche in questa sede una ricostruzione del fatto non risultante dal testo della sentenza e come tale preclusa alla cognizione del giudice di legittimità, risolvendosi in una censura sulla valutazione delle emergenze fattuali della vicenda come ricostruite dal giudice di merito, pur in presenza di una motivazione logicamente argomentata.
La decisione è in linea, in punto di diritto, con la giurisprudenza costante di questa Corte secondo la quale è principio non controverso quello secondo cui il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell'articolo 2087 del codice civile, in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo 40, comma 2, c.p. (di recente, tra le tante, Sezione IV, 4 dicembre 2014, n. 5403, Paolini).
Secondo pacifica interpretazione di tale disposizione, infatti, il compito del datore di lavoro non si esaurisce nella predisposizione di adeguati mezzi di prevenzione e protocolli operativi, essendo lo stesso tenuto ad accertarsi che le disposizioni impartite vengano nei fatti eseguite ed a intervenire per prevenire il verificarsi di incidenti, attivandosi per far cessare eventuali manomissioni o modalità pericolose da parte dei dipendenti o il mancato impiego degli strumenti prevenzionali messi a disposizione (v. la citata sentenza 5403/2015, Paolini).
In altri termini le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro hanno la funzione di evitare che si verifichino eventi lesivi dell'incolumità fisica intrinsecamente connaturali all'esercizio di talune attività lavorative, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale imprudenza e disattenzione dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere sempre protetta con appropriate cautele (v. tra le tante, Sezione IV, 28 aprile 2011, n. 23292, Millo ed altri).
Anche la censura sull'omessa applicazione dell'art. 114 c.p. è infondata.
L'attenuante prevista dall'art. 114 c.pp può essere concessa nei delitti colposi solo nel caso di cooperazione colposa ex art. 113 c.p. e non anche nel caso, del tutto diverso, come quello in esame,del concorso causale di condotte colpose, in cui manca la necessaria e reciproca consapevolezza dei cooperanti di contribuire alla condotta altrui ( Sezione IV, 4 ottobre 2012, Taccetti ed altri, rv. 25519).
Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 24 febbraio 2015