Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA
XVII LEGISLATURA
Giunte e Commissioni

Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro

Seduta n. 10, martedì 3 febbraio 2015


Audizione dei rappresentanti dell'Alleanza delle Cooperative
Audizione dei rappresentanti di Coldiretti, Confagricoltura e CIA


Presidenza della presidente FABBRI


Intervengono per Alleanza delle Cooperative il dottor Giuseppe Gizzi, il dottor Federico Baldelli e il dottor Claudio Riciputi, per Coldiretti il dottor Federico Borgoni, per Confagricoltura il dottor Donato Rotundo e la dottoressa Gloria Chiappini, per la Confederazione Italiana Agricoltori la dottoressa Claudia Merlino e il dottor Danilo De Lellis.

SULLA PUBBLICITÀ DEI LAVORI

PRESIDENTE
Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso il resoconto stenografico nonché, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo. Poiché non vi sono obiezioni, così resta stabilito.

PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione dei rappresentanti dell’Alleanza delle Cooperative

PRESIDENTE
L'ordine del giorno reca lo svolgimento di audizioni.
La prima audizione prevista per oggi è quella dei rappresentanti dell'Alleanza delle Cooperative. Ringrazio per la loro presenza il dottor Giuseppe Gizzi, responsabile delle relazioni industriali dell'Associazione generale cooperative italiane (AGCI), il dottor Federico Baldelli, del servizio sindacale e giuslavoristico di Confcooperative e il dottor Claudio Riciputi, dell'ufficio politiche del lavoro, relazioni industriali e previdenza della Lega delle cooperative.
La Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali sta rapidamente concludendo un ciclo di audizioni sul tema della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro. Si tratta di un'attività propedeutica finalizzata a capire, innanzitutto, se la normativa vigente risponda alle esigenze in materia di sicurezza sul lavoro e, in secondo luogo, per valutare quale lavoro potrà utilmente svolgere la Commissione d'inchiesta nei prossimi mesi, oltre ovviamente all'attività che la contraddistingue.
Lascio subito la parola ai nostri auditi a cui chiedo cortesemente di svolgere una relazione di circa 15 o 20 minuti, per lasciare la parola poi ai colleghi senatori che potranno rivolgere loro delle domande, dal momento che intorno alle 14,30 daremo inizio alla successiva audizione dei rappresentanti del mondo dell' agricoltura.

GIZZI
Desidero innanzitutto ringraziare il Presidente e i membri della Commissione parlamentare d'inchiesta per l'invito all'odierna audizione. A nome dell'Alleanza delle Cooperative dobbiamo osservare, in via preliminare che, per quanto si tengano presenti le diverse specificità del tessuto imprenditoriale italiano, il decreto legislativo n. 81 del 2008, contenente il testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, rimane baricentrato sulle dinamiche della grande impresa, in particolar modo manifatturiera. Peraltro, tale normativa fu elaborata in un contesto ben diverso dalla crisi economica che stiamo vivendo in questo momento.
Ciò premesso, che si tratti di impresa grande o piccola, manifatturiera o meno e che ci si trovi in una condizione di crisi oppure no, resta invariata la considerazione che facciamo da tempo e che viene costantemente ribadita, secondo cui la sicurezza sul lavoro rappresenta un'interazione di responsabilità che non può prescindere da un'azione pronta e generosa di tutte le parti sociali coinvolte. Oltre al comportamento virtuoso delle imprese, riteniamo infatti che anche i lavoratori abbiano un ruolo fondamentale, poiché la rilevanza della condotta negligente del lavoratore, in concorso di colpa, può rappresentare un problema per ciò che riguarda i temi della sicurezza. Quindi la salute e la sicurezza del lavoro devono estrinsecarsi nel modo stesso in cui l'impresa organizza la sua strategia lavorativa. Questa considerazione è ancor più valida nel mondo cooperativo, dove esiste la consustanzialità del rapporto tra socio e lavoratore: è infatti fondamentale tenere presente che al centro del nostro sistema c'è il socio.
È dunque per noi estremamente importante - e in questo modo rispondo alla sollecitazione iniziale della Presidente - il costante rilancio dell'investimento sulle politiche di prevenzione che negli ultimi anni hanno contribuito a una riduzione complessiva delle percentuali e del numero degli infortuni sul lavoro. Nel caso degli incidenti, riteniamo che giocare d'anticipo sia cruciale. Secondo l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, per ogni euro speso nei programmi antinfortunistici il ritorno è pari al doppio della cifra investita. In questo senso registriamo positivamente quanto fatto dall'INAIL. Privilegiando infatti la logica della promozione e del sostegno rispetto a quella della mera repressione, sono stati finanziati dei progetti, seguendo un'ottica di premialità per le imprese che decidono di investire nella sicurezza, migliorando la condizione degli ambienti di lavoro. Ricordo i 300 milioni di euro stanziati nel 2014, attraverso i bandi ISI e FIPIT (Finanziamenti alle imprese per progetti di innovazione tecnologica). A ciò si accompagnano gli sconti denominati OT/24, riconducibili all'oscillazione del premio per la prevenzione, per le imprese operative da almeno un biennio, che eseguono interventi per migliorare le condizioni di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, in aggiunta a quelli minimi previsti dalla legge.
Per ciò che riguarda il capitolo della prevenzione, come parte sociale abbiamo offerto il nostro contributo, non solo condividendo con l'INAIL la finalità dei bandi e sensibilizzando e supportando le nostre associate, ma anche in autonomia, come dimostra ad esempio il settore della pesca cooperativa - che è molto importante nel nostro ambito - nell'ambito del quale è stata condivisa, in alcuni territori, un'esperienza congiunta tra associazioni cooperative e sindacati confederali sulla prevenzione e l'informazione in materia di sicurezza per i soci e i lavoratori del settore.
Riteniamo che però non basti solo il consolidamento delle azioni di prevenzione, perché a distanza di molti anni dal varo del più volte citato testo unico appare ancor più necessaria una normativa maggiormente vicina alle caratteristiche delle piccole e medie imprese, che comprenda, quindi, anche le specificità delle imprese cooperative, stante l'obiettivo concreto di assicurare l'effettiva applicazione delle misure di sicurezza nelle imprese e non solo di affermare principi condivisibili a livello universale. Su questo aspetto registriamo l'esperienza positiva di adattamento della normativa, attraverso il decreto interministeriale del 13 aprile del 2011, che all'articolo 7 detta norme ad hoc per le cooperative sociali.
Abbiamo poi l'ulteriore necessità di un'uniformità applicativa all'interno del sistema regionale, che costituisce uno dei problemi relativi al testo unico. Guardando a una prospettiva più ampia e considerando anche le possibili implicazioni in termini di differenziali di competitività per le imprese, c'è però bisogno anche di un'armonizzazione della normativa a livello europeo: questo è un aspetto emerso in maniera evidente nel convegno internazionale organizzato a Roma, nei giorni 4 e 5 dicembre 2014, durante il semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea.
Riteniamo dunque imprescindibile il ruolo delle parti sociali, il cui valore non a caso è riconosciuto nel testo unico, anche attraverso una maggiore valorizzazione dei lavori della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, appena ricostituita dal Ministero competente, chiamata ad offrire utili spunti di riflessione sulle possibili ulteriori semplificazioni da apportare alla materia. Sono infatti le parti sociali i soggetti che meglio conoscono gli ambienti e i processi di lavoro rispetto ai quali vanno assicurate le sicurezze e valutati i rischi connessi che, contrariamente ad un errato tentativo di omologazione, non sono tutti uguali, né tutti elevati. Ciò non toglie che condividiamo alcune indicazioni già emerse davanti a questa Commissione, registrando, dal nostro angolo di osservazione, un calo degli infortuni negli ultimi anni, sia in termini generali che nelle nostre cooperative, ciò in linea con la riduzione complessiva e la presenza di settori dove maggiori sono i rischi e quindi più ricorrenti gli infortuni, settori per noi riconducibili all'edilizia, all'agricoltura e allo spettacolo, in cui operano molte delle nostre imprese cooperative. Lascio dunque la parola ai miei colleghi, per parlare di questi specifici settori.

RICIPUTI
Per ciò che riguarda il settore dell'edilizia, dal nostro angolo di osservazione abbiamo registrato una riduzione degli infortuni. Viene naturale fare una considerazione banale: in edilizia si perdono posti di lavoro e dunque è ovvio che calino gli infortuni, ma in realtà tale calo, in misura percentuale, è stato maggiore rispetto alla perdita di ore di lavoro. A ciò hanno contribuito le misure premiali dell'INAIL e le buone prassi in atto nelle nostre imprese, soprattutto in quelle più strutturate, ma anche la legislazione. Mi riferisco in particolare alla normativa sul Documento unico di regolarità contributiva (DURC) di cantiere e all'articolo 118 del decreto legislativo n. 163 del 2006, in materia di appalti, che aveva previsto il concetto di «congruità»: tali norme hanno indubbiamente contribuito alla riduzione degli infortuni.
La norma sulla congruità è stata sicuramente un elemento utile, ma c'è una criticità connessa alla previsione del DURC online, contenuta all'interno del decreto-legge n. 34 del 2014, del ministro Poletti, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese. In seguito a tale norma sul DURC online, infatti, non sarà più possibile verificare la congruità dell'incidenza della manodopera.
Indubbiamente il DURC online risponde a delle sacrosante esigenze di semplificazione per le imprese, ma bisogna fare attenzione al fatto che la semplificazione, pur rilevante, non vada a scapito degli importanti adempimenti in termini di sicurezza.
Sempre per quanto riguarda l'edilizia, un'altra criticità è data dalla cosiddetta patente a punti, di cui all'articolo 27 del testo unico sulla sicurezza. In questo ambito la patente a punti potrebbe contribuire, ed uso appositamente il condizionale presente, ma in realtà avrei dovuto usare il passato; nello specifico si tratta di uno strumento che attraverso un meccanismo di bonus-malus, fa sì che il punteggio iniziale di dotazione per le imprese diminuisca in caso di sanzioni per le violazioni in materia di sicurezza sul lavoro. L'azzeramento del punteggio, oltre ad impedire la partecipazione agli appalti pubblici e l'ottenimento di incentivi e contributi da parte dello Stato, è causa ostativa per il rilascio del DURC. In questo caso, però, la procedura si è bloccata perché manca il decreto attuativo. Pertanto, questa norma, che - come dicevo - avrebbe potuto offrire un valido contributo, per il momento non c'è.
Con riferimento al settore agricolo, la nostra organizzazione ribadisce il proprio impegno a promuovere la legalità e la sicurezza delle nostre imprese cooperative, come testimoniato dagli avvisi comuni che con le altre associazioni datoriali più rappresentative e con i sindacati abbiamo più volte sottoscritto sul tema.
Registriamo inoltre con favore quanto dichiarato a questa Commissione dal ministro Poletti e dal presidente dell'INAIL De Felice. Il mio collega ha prima parlato della promozione di interventi dedicati a questo comparto; penso, ad esempio, al recente bando FIPIT dell'INAIL, che è rivolto, in questo caso, anche alle piccole imprese edili, con un sostegno economico a favore dei necessari interventi di messa in sicurezza delle macchine, spesso datate e prive degli elementi di tutela e, per questo, causa di incidenti. Se non ricordo male, ciò è stato ricordato anche dal ministro Poletti.
Nei primi nove mesi dell'anno 2014 registriamo una parziale riduzione del livello degli infortuni nel settore (- 2 per cento) rispetto allo stesso periodo del 2013, anche se, purtroppo, si osserva un incremento delle malattie professionali.
Nel settore dello spettacolo dobbiamo purtroppo registrare degli incidenti, in occasione soprattutto della preparazione e degli allestimenti degli spettacoli, mi riferisco al crollo di alcuni palchi che hanno provocato dei decessi. Su questo tema da tempo abbiamo attivato con le organizzazioni sindacali un gruppo di lavoro ad hoc che ha prodotto una serie di proposte in materia di sicurezza che, in parte, sono confluite nel decreto ministeriale (il cosiddetto decreto palchi). Si tratta di un provvedimento che, malgrado necessiti di alcuni aggiustamenti, costituisce però sicuramente un punto di partenza per una nuova cultura della sicurezza in questo comparto. Si sta lavorando sulle linee guida e cercheremo quindi di fornire dei suggerimenti in ordine ai correttivi che si rendono necessari.
C'è poi un altro aspetto degno di nota in questo settore. Mi riferisco al fatto che come movimento cooperativo abbiamo sottoscritto con le organizzazioni sindacali più rappresentative il primo contratto collettivo dello spettacolo per il comparto cooperativo in vigore dal 1° gennaio di quest'anno. Tale contratto conferisce sicuramente un forte elemento di legalità nell'ambito di un mercato dove, purtroppo, proliferano le false cooperative e i cosiddetti contratti pirata e purtroppo lo scontiamo sulla nostra pelle. Mi riferisco a contratti che, oltre a prevedere dei forti ribassi, non tengono assolutamente in considerazione le norme sulla sicurezza su cui invece il nostro contratto investe molto.

BALDELLI
Signor Presidente, mi accingo alle conclusioni.
Nei settori appena menzionati - che sotto il profilo alla nostra attenzione rappresentano le maggiori problematicità - così come sul piano generale, rileviamo che la crisi in atto sta rendendo sempre più difficile per le nostre imprese cooperative sostenere tutto il carico derivante dagli obblighi previsti dalla legge in materia di sicurezza sul lavoro e, quindi, proprio in termini di sostenibilità, peraltro - come richiamato precedentemente - a fronte di una competizione che si fa sempre più forte. Pur tuttavia, una parte del nostro sistema - ad esempio le cooperative sociali - contribuisce attivamente a reimpiegare e favorire il reinserimento lavorativo di soggetti, tra cui quelli che hanno subito incidenti o che comunque sono titolari di indennità.
Il nostro auspicio è pertanto che venga rivolta una maggiore attenzione oltre che ad una logica premiale (laddove, ovviamente, vi siano le condizioni e buone performance), anche al sistema in termini di sostenibilità, evitando di caricare esclusivamente sulle imprese gli obblighi legati alla sicurezza sul lavoro. In altre parole, è difficile assolvere agli obblighi di legge se non vi è ad esempio la possibilità di utilizzare leve esterne, quali gli incentivi dell'INAIL o le risorse dei fondi interprofessionali. Gli incentivi INAIL possono costituire sicuramente una leva. Un'altra leva, per quanto ci riguarda, può essere rappresentata anche dall'utilizzo della formazione continua e, quindi, dei fondi interprofessionali. Da questo punto di vista come sistema cooperativo, pur avendo investito fortemente nel nostro fondo interprofessionale Fon.Coop (che, peraltro, ha appena compiuto dieci anni), ci troviamo però a riscontrare una certa rigidità, spesso e volentieri anche da parte di interlocutori sindacali, e quindi nell'impossibilità di utilizzare queste risorse per la formazione obbligatoria.
Ciò nonostante, abbiamo avuto dei risultati che sintetizzo in questi pochi dati: nel 2007 il nostro fondo interprofessionale, peraltro in anticipo rispetto ad altri fondi che hanno poi seguito la nostra stessa strada, ha cominciato a destinare una significativa quantità di risorse alla partita della formazione in tema di sicurezza. Dai dati in nostro possesso, si tratta di circa 2,4 milioni di euro che hanno interessato un numero significativo di imprese e, a cascata, anche di lavoratori.
Il ricorso al fondo interprofessionale e a questa leva formativa a nostro avviso trova ragione, in primo luogo, nella difficoltà di reperire ulteriori risorse da parte delle imprese e, in secondo luogo, nell'avvio, con la formazione in sicurezza, di attività formative più strettamente legate alle specificità delle imprese.
Mi avvio a concludere segnalando un altro aspetto che riveste per noi assoluto rilievo, mi riferisco alla necessità di dare vita ad un'agenzia unica delle ispezioni. In tema di sicurezza sul lavoro riteniamo infatti di particolare importanza la realizzazione di azioni di prevenzione, formazione, sensibilizzazione e semplificazione, ma soprattutto una costante attività di monitoraggio ed ispezione, sviluppata mettendo insieme i dati ed integrando i diversi sistemi.
Auspichiamo che l'intervento apportato dalla delega in attuazione della norma possa finalmente contribuire a far sì che questa agenzia unica delle ispezioni scoraggi gli abusi e punisca le irregolarità, non gravando a prescindere sulle imprese e sulla loro competitività.
Ciò è tanto più vero, come peraltro richiamato, in un'ottica di competizione con altre cooperative che tali non sono, perché sono false o utilizzano contratti che, dal nostro punto di vista, non hanno legittimità e molto spesso, anzi, si incrociano con livelli e condizioni di sicurezza del tutto carenti.
Infine, crediamo che il tema della sicurezza sul lavoro possa beneficiare positivamente di una legislazione del diritto del lavoro che sempre più vede nel lavoro a tempo indeterminato, o comunque in forme di lavoro tendenzialmente stabili, la regola comune. Sotto questo profilo c'è a nostro parere un effetto indiretto da non trascurare, così come in materia di normativa previdenziale (peraltro in odore di riforma) potrebbero esserci degli effetti positivi sul tema della salute e della sicurezza.
Queste, in sintesi, le nostre considerazioni.

PRESIDENTE
Ringrazio gli intervenuti per le loro relazioni.
Nel merito mi interesserebbe sapere come vengano utilizzati i fondi interprofessionali.

BALDELLI
Signora Presidente, innanzitutto va detto che il fondo interprofessionale è un fondo bilaterale alla cui costituzione hanno lavorato le tre centrali cooperative (Legacoop, AGCI e Confcooperative) e i sindacati maggiormente rappresentativi (CGIL, CISL e UIL).
In materia di sicurezza c'è sia la possibilità di emanare dei bandi ad hoc, come abbiamo fatto dal 2007, sia quella di utilizzare le risorse riconducibili a ciascuna azienda, cioè al versamento previsto dalla legge attraverso un conto formativo, soprattutto con riferimento alle cooperative più grandi. Nonostante ci sia la volontà di perseguire queste linee di formazione, siccome, per essere portato avanti, ogni piano formativo soggiace alla necessità di avere un accordo sindacale, spesso ci troviamo di fronte ad un atteggiamento un po' ostile nella misura in cui viene vista come un plus l'idea di fare formazione utilizzando le risorse dei fondi interprofessionali a fronte del conseguimento degli obblighi di legge in materia di formazione. Senza caricare la questione di significati, questo è un atteggiamento che rinveniamo anche nei meccanismi di incentivazione dell'INAIL, per cui si finanzia ciò che si porta avanti in più rispetto al requisito di legge.

PRESIDENTE
Se non ci sono altre domande ringrazio e congedo i nostri ospiti.

Audizione dei rappresentanti di Coldiretti, Confagricoltura e CIA

PRESIDENTE
L'ordine del giorno reca ora l'audizione di rappresentanti di Coldiretti, Confagricoltura e CIA. Sono presenti per Coldiretti il dottor Federico Borgoni, per Confagricoltura il dottor Donato Rotundo e la dottoressa Gloria Chiappini, per la Confederazione italiana agricoltori la dottoressa Claudia Merlino e il dottor Danilo De Lellis. A tutti rivolgiamo il nostro benvenuto.
Do quindi la parola al dottor Borgoni.

BORGONI
Signora Presidente, ringrazio la Commissione per averci dato la possibilità di esprimerci su questa partita.
Ho avuto modo di esaminare le relazioni e i verbali delle audizioni precedenti del ministro Poletti e del Presidente dell'INAIL e vorrei approfittare dell'occasione per dare informazioni più di dettaglio rispetto alla situazione degli infortuni mortali e delle denunce di infortunio nel settore agricolo; credo che ciò possa contribuire ad una lettura più puntuale in ragione delle possibili scelte sia del legislatore che dell'INAIL in materia di maggiore efficacia degli interventi e quindi rispetto agli obiettivi da porsi.
Per tracciare un quadro della situazione dico subito che dal 2007 al 2013 (sono gli ultimi dati disponibili a cui è possibile avere accesso) le denunce di infortunio hanno subito un calo importante, passando da 57.000 a 40.000; si tratta quindi di 17.000 denunce in meno e se teniamo presente che solo dieci anni prima, cioè nel 2004, erano 69.000, possiamo farci un'idea chiara di quale sia il trend nel settore agricolo. Analogo discorso vale per gli infortuni mortali: erano 175 nel 2004 e siamo scesi sotto la soglia fatidica di 100 nel 2013.
Fin qui si dà un senso positivo a questo percorso, fermo restando che stiamo comunque parlando di persone e sotto questo profilo i numeri relativi a decessi e invalidità non potranno mai costituire un buon risultato finché almeno non si riuscirà ad arrivare allo zero.
È tuttavia importante comprendere che questi dati non riguardano in via esclusiva il personale dipendente, considerato che nel 75 per cento dei casi le denunce di infortunio sono ascrivibili al lavoratore autonomo e nel 65 per cento dei casi mortali è ascrivibile al datore di lavoro autonomo. Questa è una particolarità del settore e deve poter essere assunta a riferimento nelle strategie di contrasto al fenomeno infortunistico. Se poi consideriamo che oltretutto, tra questi lavoratori autonomi, della platea complessiva delle aziende datrici di lavoro (che nel 2013 sono state 193.400), poco più del 50 per cento (forse il 51 per cento) orbita nell'ambito dell'associazionismo dei datori di lavoro, ci accorgeremo che c'è una grossa fetta di aziende che sono fuori da tutti i flussi formativi e informativi che le associazioni sono in grado di assicurare.
Questa è una puntualizzazione importante, perché soprattutto nelle piccole aziende è l'imprenditore ad essere maggiormente esposto al rischio e in agricoltura i pericoli, soprattutto di incidenti gravi o mortali, sono riferibili soprattutto all'utilizzo delle macchine agricole, dei trattori e delle macchine semoventi. Pertanto, riuscire a coniugare queste due variabili per avere un obiettivo d'intervento significa sicuramente agire in maniera efficace. Consentitemi di fare un esempio molto semplice: nel 2014 il bando FIPIT (Finanziamenti alle imprese per progetti di innovazione tecnologica) dell'INAIL è riuscito a coniugare perfettamente questi obiettivi, tra cui quello di intervenire sul lavoratore autonomo in quanto principale utilizzatore della macchina agricola, perché generalmente, anche quando è datore di lavoro, l'attività di utilizzo della macchina agricola la svolge lui e non i dipendenti, che solitamente sono stagionali dedicati alla raccolta e a operazioni non di elevata specializzazione. Certo è che un trattore, sia esso utilizzato dall'imprenditore o dall'operaio agricolo specializzato come trattorista, è bene che sia comunque a norma. Ciò va dunque a beneficio anche del comparto dei lavoratori dipendenti, ma chiaramente il bando FIPIT agisce sui trattori, dando il massimo punteggio proprio all'intervento sul mezzo che espone di più al rischio di infortuni in agricoltura; aggiungo che si interviene su trattori vecchi visto che si assegna il massimo punteggio in base alla data di immatricolazione, quindi questo bando è sicuramente uno strumento importante, tanto quanto lo sono gli accordi sui sistemi di formazione. Qui però c'è un problema. Per quanto l'intervento sia mirato, stanzi finanziamenti importanti e sia calibrato sulla realtà della piccola impresa, resta sempre il problema del regime de minimis. Prendiamo il caso di un'impresa con meno di nove dipendenti che assume un apprendista: siccome al di sotto dei nove dipendenti l'abbattimento dall' 11 all'1,61 per cento dell'aliquota contributiva per il lavoratore rientra nell'ambito della disciplina del regime de minimis, quel datore di lavoro avrà problemi ad accedere al bando FIPIT. Ho fatto il caso dell'apprendista, ma ci sono altre ipotesi di finanziamento che ricadono nell'ambito degli aiuti de minimis. È chiaro però che, se si utilizza quella riserva di disponibilità di 15.000 euro su un versante, poi l'imprenditore avrà problemi ad utilizzarla su un altro.
Sicuramente è importante il passaggio che è stato fatto, elevando il limite del de minimis da 7.500 a 15.000 euro. Sarebbe tuttavia altrettanto importante escludere totalmente dall'ambito di applicazione del regime de minimis gli interventi sulla sicurezza, giacché si sta parlando di persone, di vite umane, di sopravvivenza. Proprio per questo ritengo che la disciplina del de minimis non sia compatibile con gli strumenti destinati a garantire la sicurezza del lavoratore, dell'imprenditore e della famiglia imprenditrice.
Prima di concludere, vorrei fare un'ultima osservazione.
Si parla spesso in termini di valori assoluti, indicando un certo numero di denunce di infortuni, tra cui alcuni mortali, nonché di indici di incidentalità molto alti in rapporto al numero degli occupati. Proprio a tale riguardo tengo a sottolineare che in agricoltura forse il riferimento all'indice poteva avere un senso fino ai primi anni 2000. Questo perché mentre nei settori diversi da quello agricolo la riduzione degli infortuni o delle denunce di infortunio può essere correlata al crollo dell'occupazione, tant'è che in presenza di una riduzione dell'occupazione, il decremento del numero degli infortuni di fatto ha mantenuto un equilibrio sull'indice, diverso è il discorso per l'agricoltura. La diminuzione del valore assoluto degli infortuni in agricoltura - anche di quelli mortali - ha comportato un decremento dell'indice per il semplice fatto che dal 2008 in avanti - l'anno spartiacque della grande crisi - l'agricoltura non ha avuto flessioni di occupazione, ma ha saputo mantenere - anzi, in alcuni periodi addirittura incrementare - le giornate di occupazione. È chiaro, quindi, che una riduzione degli infortuni in termini di valori assoluti in agricoltura ha oggi un significato più pesante di quanto non lo avesse fino a qualche anno fa.

ROTUNDO
Buon pomeriggio a tutti, sono il dottor Donato Rotundo ed intervengo qui oggi in rappresentanza di Confagricoltura.
L'intervento del collega Borgoni mi agevola chiaramente il compito, esimendomi dall'approfondire una serie di argomenti, ma forse rispetto ai dati credo possa essere utile offrire alla Commissione qualche input in più.
Comincio col dire - credo in accordo con i colleghi presenti - che, a partire dalla prima disciplina sulla sicurezza sul lavoro varata con il decreto legislativo n. 626 del 1994, ma poi anche con il decreto legislativo n. 81 del 2008, il comparto dell'agricoltura si è trovato di fronte a normative che erano in qualche modo indirizzate a grandi imprese e al settore industriale. Già da allora un po' da parte di tutti si era fatto notare come le particolari caratteristiche del settore agricolo implicassero però degli interventi specifici, che tenessero conto della peculiarità del settore che, come dicono i dati, non è casuale.
Come ha ricordato il collega che è intervenuto prima di me, abbiamo oggi meno di 200.000 aziende agricole che assumono lavoratori a tempo indeterminato o a tempo determinato. Se pensiamo che l'estensione della sicurezza all'impresa familiare risale al 2008 - e solo per alcune disposizioni - capiremo allora bene come l'ambito di applicazione della disciplina in materia di sicurezza fosse all'epoca estremamente ristretto.
Parliamo quindi di 200.000 aziende, a fronte del 1.600.000 censite dall'ISTAT: questo ci aiuta a capire che mondo di aziende non specializzate ruota intorno all'agricoltura.
L'altra questione fondamentale, che ha sempre creato problemi, riguarda il fatto che, a fronte dei circa 1.100.000 lavoratori impiegati nel settore agricolo, solo 100.000 sono assunti con contratto a tempo indeterminato. Dei lavoratori assunti a tempo determinato molti poi - credo più di 300.00 - sono stagionali, quindi impiegati per un numero ristrettissimo di ore, senza dimenticare che in agricoltura l'attività si svolge a cielo aperto e che ci sono lavorazioni peculiari e doppi lavori, nel senso che spesso si lavora non solo in campagna ma anche fuori dall'azienda, senza altresì contare la particolare orografia del suolo italiano, che chiaramente ha implicato ed implica interventi specifici.
Non ritorno sulla questione degli infortuni perché mi sembra sia abbastanza chiara. Volevo però approfondire tre aspetti, estremamente importanti, correlati alla situazione in cui si trova oggi l'agricoltura nel nostro Paese e che probabilmente richiedono un lavoro ulteriore sul versante della prevenzione.
Il primo aspetto si riferisce alla massiccia presenza in agricoltura di lavoratori autonomi, con un 75 per cento degli infortuni che coinvolgono proprio questa tipologia di lavoratori. Questo dato ci fa capire che le aziende specializzate - parliamo probabilmente della maggiore parte di quelle 200.000 imprese che assumono lavoratori a tempo determinato o indeterminato - hanno fatto grandi passi in avanti sul piano della sicurezza, proprio a partire dai dati comunicati.
C'è poi un secondo aspetto importantissimo e riguarda l'invecchiamento degli operatori agricoli. Se andiamo a vedere i dati sugli infortuni potremo osservare che il 50 per cento degli infortuni mortali colpisce lavoratori con un'età superiore a 50 anni, ma la percentuale è molto elevata anche se si considerano i lavoratori al di sopra dei 64 anni. Questo ci fa capire un po' quali sono le difficoltà - oltre a quelle indicate in precedenza - di intervenire puntualmente su alcune tipologie di infortunio.
C'è poi un terzo elemento che ha portato a travisare molto il concetto di sicurezza in agricoltura. Sicuramente nel settore agricolo si registra uno degli indici di frequenza maggiore di incidenti. Il nostro è in effetti un settore a rischio, soprattutto per l'utilizzo e la presenza delle macchine agricole e su questo bisogna sicuramente lavorare; spesso e volentieri, però, si tende a non analizzare nel dettaglio ciò che avviene, e in questo senso rivolgiamo dunque un invito alla Commissione. Noi abbiamo infatti tutta una serie di aziende - ricomprese all'interno di quel 1.600.000 censite dall'ISTAT di cui dicevamo prima - rappresentata dai cosiddetti hobbisti dell'agricoltura, che non possiamo non considerare quando si va ad analizzare il dato relativo agli infortuni mortali sulle macchine agricole, fermo restando che negli ultimi quattro anni (2009-2013), a fronte di un'inversione di tendenza modesta, ma continua, che ha visto una diminuzione generale degli infortuni mortali - che rappresentano comunque uno zoccolo duro, su cui si sta facendo fatica ad intervenire - si è registrata invece una forte riduzione, di circa il 16-17 per cento, degli incidenti con mezzo di trasporto. In ogni caso, a fronte dei 24 infortuni mortali all'anno sulle macchine agricole comunicati dall'INAIL, spesso da parte di altre associazioni, sia pubbliche che private, vengono diffusi dati molto più elevati, per cui si finisce per parlare di 180-190 infortuni mortali all'anno sulle macchine agricole. Ciò significa che c'è un grande numero di persone che lavorano in agricoltura a livello hobbistico, che non sono censite dall'INAIL perché non assicurate, che concorrono però poi a rappresentare quello dell'agricoltura come un settore a forte rischio.
Su questo occorre lavorare ed indirizzare maggiormente la prevenzione.
Proprio in relazione all'ultimo discorso che ho fatto, mi permetto di segnalare l'importanza della questione dell'adeguamento delle macchine agricole, già affrontata in maniera specifica da questa stessa Commissione di inchiesta nel corso della precedente legislatura con tre obiettivi fondamentali: formazione, adeguamento delle macchine ed incentivi.
Per quanto riguarda gli incentivi, qualcosa di estremamente rilevante è stato già detto: bisogna proseguire su quella strada, aumentando gli interventi. È certamente calzante l'esempio del bando FIPIT, anche se, oltre al problema del regime de minimis, c'è anche da considerare il fatto che è possibile realizzare un intervento e su una sola macchina in ogni azienda agricola e chiaramente questo restringe notevolmente il campo.
Sul problema del de minimis, in particolare, c'era stato un invito, già ripreso da questa Commissione di inchiesta nel corso della precedente legislatura, ad intervenire sulle istituzioni europee al fine di chiarire definitivamente che alcuni interventi non debbono essere legati agli aiuti di Stato.
Lo stesso discorso vale per i piani di sviluppo rurale: nei nuovi piani, ai sensi del regolamento europeo 1305/2013, c'è solo un accenno alla sicurezza per quanto riguarda i giovani imprenditori. Forse si sta perdendo un contesto di intervento abbastanza importante, fermo restando che anche nella precedente programmazione, nonostante ci fossero indirizzi più precisi, pochissime Regioni hanno investito sulla sicurezza. Probabilmente, quindi, bisogna lavorare anche sulla prossima programmazione.
Il secondo aspetto che desidero evidenziare riguarda il cosiddetto patentino che come sapete entrerà in vigore nel marzo del 2015: è stata attivata una serie di percorsi formativi e man mano che ci si avvicina ai diversi impegni previsti in relazione all'esperienza professionale si arriverà ad adeguarsi.
Desidero fare però un accenno alla formazione, che è una delle questioni che abbiamo sempre presentato nei vari step di applicazione del testo unico n. 81 del 2008. Fermo restando che, proprio perché sono ormai previste diverse qualificazioni per i lavoratori agricoli - non c'è solo il patentino per le macchine agricole, ma anche quello per i prodotti fitosanitari - occorre iniziare ad investire sui giovani, a partire dalle scuole.
È infatti opportuno che tutti i percorsi formativi comincino a prevedere una serie di formazioni specifiche che permettano il rilascio delle abilitazioni, evitando così che i giovani che entrano nelle aziende si trovino a dover aspettare per svolgere i percorsi formativi.
Come accennavo in precedenza, l'aspetto più importante su cui ragionare è la duplicazione della formazione, che ci preoccupa fortemente. C'è già una previsione all'interno dell'articolo 37 del decreto legislativo n. 81 del 2008, recentemente implementata, in cui si dà mandato ad un apposito decreto di definire alcune disposizioni sui crediti formativi. Si tratta di una questione estremamente importante perché, visto che in agricoltura si pone sia il tema dei prodotti fìtosanitari sia quello dell'utilizzo delle macchine agricole, ci troviamo ad avere delle abilitazioni specifiche con formazione, una formazione generica per i lavoratori e una formazione generica per i datori di lavoro. Si rischia dunque di ottenere un effetto contrario a quello che ci si propone, ovvero di percepire la formazione - che è importantissima - come un obbligo a volte inutile e di prevedere troppe ore di formazione, a causa della duplicazione cui ho già fatto cenno.
Per quanto riguarda la revisione delle macchine agricole, che rappresenta il capitolo di cui si discuterà nelle prossime settimane, con il cosiddetto decreto-legge mille proroghe abbiamo avuto un ulteriore rinvio, che è chiaramente dovuto alla delicatezza della disposizione. Ci stiamo infatti riferendo a 2 milioni di macchine agricole utilizzate dalle aziende e dai contoterzisti, la cui revisione rappresenta un impegno notevole che, se andrà avanti, dovrà farlo sulla base di regole molto chiare e semplificate. Innanzitutto bisogna tenere in considerazione alcuni aspetti organizzativi, perché ovviamente è difficile spostare le macchine agricole dall'azienda; occorre inoltre che ci sia una gradualità effettiva per evitare di bloccare i lavori nelle aziende agricole e, soprattutto, è necessario cercare di avere pochi punti di controllo, che devono essere quelli che ci interessano effettivamente ai fini del raggiungimento degli obiettivi che ci poniamo.
Si tratta di una questione estremamente delicata che desta preoccupazione e siamo in attesa di poter discutere del relativo decreto con i Ministeri dei trasporti e dell'agricoltura.
Un ultimo aspetto su cui vorrei soffermarmi - lasciando poi la parola alla collega Merlino, affinché possa intervenire in materia di vigilanza, sistema sanzionatorio e aspetti connessi - è quello relativo alla semplificazione. Tutto ciò di cui ho parlato all'inizio del mio intervento ha ricevuto delle risposte, in parte nel decreto legislativo n. 81 del 2008 e, successivamente, nei provvedimenti integrativi. C'è dunque un indirizzo volto alla semplificazione degli aspetti relativi alla formazione, all'informazione, alla sorveglianza sanitaria e alla valutazione dei rischi. Si tratta di questioni che attendiamo vengano in qualche modo definite. Mi riferisco in particolare alla valutazione dei rischi, dal momento che la norma contenuta nell'articolo 29 del decreto n. 81 del 2008, riguardante la standardizzazione delle procedure, non ha soddisfatto il settore dell'agricoltura, perché una standardizzazione dovrebbe costituire una semplificazione.
L'altro aspetto su cui probabilmente occorre ancora intervenire è il decreto sulla semplificazione dell'informazione, della formazione e della sorveglianza sanitaria per le aziende che hanno addetti con meno di 50 giornate di lavoro. Qui siamo di fronte all'assurdo per cui, con la sorveglianza sanitaria, anziché avere una semplificazione, avremo probabilmente l'imposizione di un obbligo di sorveglianza sanitaria biennale. Dunque non c'è stata una semplificazione per favorire le aziende e consentire loro di non avere un medico competente interno, usufruendo del Servizio sanitario nazionale.
C'è infine la questione riguardante la governance, che interessa molto anche noi e che è stata affrontata dal Ministro competente: a tal proposito riteniamo ci sia bisogno di un coordinamento, sia a livello nazionale che regionale. Come ho accennato in precedenza, ci sono molti provvedimenti in itinere e c'è bisogno di molta comunicazione. C'è poi un aspetto che ci interessa molto a proposito delle macchine agricole: come accennava il collega intervenuto in precedenza, occorre avere dati puntuali per valutare le tipologie di rischio e la fenomenologia infortunistica, per fare interventi diretti sulle aziende e migliorare la situazione.

MERLINO
Intervengo a nome della Confederazione italiana agricoltori e cercherò di mantenermi nei limiti di tempo previsti, anche perché le linee fondamentali sono state già tracciate dagli interventi che mi hanno preceduto. Intanto voglio esprimere il mio ringraziamento alla Presidente e alla Commissione che ci offrono l'occasione di trasmettere il nostro pensiero in materia di sicurezza sul lavoro, un tema questo che rappresenta realmente una nostra preoccupazione e una delle priorità nella nostra agenda sindacale. Ci rechiamo nei vari territori, visitiamo le aziende e incontriamo i nostri associati e possiamo quindi asserire che se in questo momento chiedete a un imprenditore agricolo quale sia l'elemento che lo preoccupa di più nella gestione aziendale, nove volte su dieci risponderà che è la sicurezza sul lavoro. Credo che questa risposta contenga in sé degli elementi positivi e ci segnali come, rispetto a un passato che abbiamo lasciato alle spalle, si sia sviluppata una maggiore sensibilità nei confronti di questo tema. Ciò è dimostrato dal fatto che dal 2009 al 2013 gli infortuni nel settore agricolo sono diminuiti del 26 per cento, una riduzione, quindi, di un certo peso. È chiaro che tutto ciò è avvenuto per una serie di concause, ma è di tutta evidenza che c'è una maggiore e più diffusa sensibilità tra i nostri associati per gli aspetti relativi alla sicurezza sul lavoro, sia propria che, soprattutto, dei propri dipendenti.
Occorre poi considerare l'elemento dell'innovazione tecnologica, che porta a una maggiore sicurezza per ciò che riguarda le macchine che rappresentano il più elevato fattore di rischio.
Lo ricordo non tanto per enfatizzare questa sensibilità e questi dati positivi, ma per valorizzarli, anche perché l'agricoltura opera in un contesto economicamente difficile. Ciò vale un po' per tutti i settori, ma pensiamo che nel 2014 c'è stato il «domino» di interi settori produttivi - come ad esempio il settore ortofrutticolo in tutta l'Emilia-Romagna - che vivono un periodo di crisi nera. Malgrado questo, come ha ricordato il collega della Coldiretti, l'occupazione si è mantenuta sostanzialmente stabile. Dunque l'agricoltura è riuscita, malgrado le performance economiche negative o addirittura disastrose nel 2014, a registrare delle performance sostenibili dal punto di vista dell'occupazione e della sicurezza.
È evidente che non possiamo fermarci a questa affermazione, perché molto resta da fare. È vero che soprattutto l'indice di incidenza degli infortuni, derivante dal rapporto tra il tempo di esposizione al rischio e la frequenza degli infortuni, continua a rimanere alto e lo stesso si può dire per il rischio legato alle macchine, che causano il ferimento o la morte del lavoratore: questo è indubbiamente un dato da tenere in considerazione. Ci dobbiamo dunque chiedere che cosa fare in questo momento.
Mi piacerebbe trasmettere alla Commissione l'idea che ci troviamo in un momento storico molto particolare, in cui le aziende hanno già compiuto un determinato percorso, sia pur sicuramente perfettibile. Se faremo delle scelte ponderate e giuste - mi riferisco in primis al legislatore, ma non solo - probabilmente riusciremo veramente ad affermare quella che tutti chiamano la cultura della sicurezza, ovvero la propensione naturale alla sicurezza. Se invece faremo delle scelte sbagliate, in questo momento delicato il rischio che si corre è quello di tornare indietro.
Vorrei mettervi a conoscenza della situazione nella quale ci troviamo perché, secondo noi, le scelte da fare in questo momento sono determinanti e riguardano aspetti già ricordati dai colleghi intervenuti che, per brevità, provo a sintetizzare per titoli.
Mi riferisco in primo luogo alla semplificazione: al riguardo la prima cosa da fare è attuare le norme che già esistono. Ad esempio, in relazione al recente provvedimento di riforma del lavoro, il cosiddetto jobs act, nel quale si parla, giustamente, di un decreto delegato volto addirittura a dimezzare gli adempimenti e tutta la gestione dei rapporti di lavoro, bisognerebbe forse pensare ad attuare quello che già c'è. In proposito il collega Rotundo ha ricordato il cosiddetto decreto del fare (decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla legge n. 98 del 9 agosto 2013) il cui articolo 35, comma 13, semplifica tutti gli adempimenti relativi alla sicurezza per le imprese agricole con lavoratori a tempo determinato e per le piccole e medie imprese, così corrispondendo ad una raccomandazione che, in realtà, proviene da lontano e che più volte ci è stata rivolta dall'Unione europea. La suddetta norma vige dal 2013 e segnalo che le parti sociali agricole avevano al riguardo consegnato al Ministro del lavoro una serie di proposte operative proprio per cercare di dare un supporto alla attuazione di norme che si possono considerare settoriali e di non facile applicazione. Tuttavia, nonostante siano trascorsi due anni non è successo nulla. Anche per ciò che concerne le norme che avevamo ottenuto e che riguardano i lavoratori che svolgono meno di 50 giornate lavorative esistono tuttora dei problemi di attuazione.
Va detto che la normativa è realmente migliorata, dal momento che il decreto legislativo n. 81 del 2008 indubbiamente conteneva e contiene ancora, degli importanti elementi di semplificazione e di maggiore consapevolezza dei cambiamenti che interessano il mondo del lavoro); ciò detto, l'estenuante fase attuativa del suddetto decreto, che, peraltro, non è ancora terminata, ha nei fatti annullato tutti gli intenti di semplificazione della norma.
Il secondo aspetto è quello della premialità. Su questo fronte molto è stato detto e molto è stato fatto. L'INAIL ha finalmente compreso che il settore agricolo era l'unico a non utilizzare il meccanismo del bonus-malus, di conseguenza nel nostro settore anche a fronte di una riduzione drastica degli infortuni, l'aliquota contributiva pagata dal datore di lavoro era comunque fissa ed elevatissima (13,24 per cento della retribuzione). Come dicevo, da un po' di anni l'INAIL ha finalmente compreso la necessità di intervenire anche su questo aspetto e quindi è stata varata una serie di norme per la riduzione dei contributi INAIL che le imprese hanno accolto favorevolmente.
Un ulteriore aspetto riguarda i bandi FIPIT. A tale proposito va detto che se l'obiettivo del suddetto bando è quello di aiutare le imprese nell'adeguamento dei mezzi agricoli, in particolare dei trattori, non possiamo allora che condividerlo. Occorre però considerare che il parco macchine è quello precedentemente descritto; stiamo parlando di due milioni di macchine che, stante l'ultima proroga, dovranno essere sottoposte a revisione a partire dal 31 dicembre 2015, a fronte delle quali però i previsti 15 milioni di euro non sono praticamente nulla. Basti al riguardo pensare che le stime effettuate, anche all'interno della filiera agricola, condivise dalle tre organizzazioni qui rappresentate, dalle organizzazioni costruttrici di macchine agricole e dalle organizzazioni di conto terzi, indicano solo per la prima annualità di revisione, una cifra pari a 200 milioni. Si tratta peraltro di stime non improvvisate ma formulate sulla base di uno studio tecnico. È quindi chiaro che siamo molto lontani da queste dimensioni, fermo restando che si è comunque compreso che la leva della premialità va utilizzata.
Qualcosa è stato quindi fatto in questa direzione, certamente la revisione delle macchine agricole è un obiettivo talmente importante da richiedere ben altri mezzi, obiettivo cui si va peraltro ad aggiungere quello della revisione del regime de minimis.
Concludo velocemente soffermandomi sulla questione della vigilanza, sottolineando aspetti che immagino vi siano ben noti.
È senz'altro necessario intervenire in questo ambito. Anche in questo caso si può parlare di norme inattuate. Il nostro settore ha infatti registrato un provvedimento importante, mi riferisco alla legge 11 agosto 2014, n. 116 (la cosiddetta legge campo libero), che ha istituito il registro unico dei controlli per le imprese agricole, ma ad oggi non si è proceduto in alcun modo. Sicuramente l'ipotesi della istituzione di una agenzia unica delle ispezioni è molto interessante, ma credo che occorra guardare alla sostanza, considerato che disponiamo di tantissimi provvedimenti e leggi, anche ben concepiti, che prevedono che la vigilanza debba essere coordinata e che le amministrazioni dialoghino e si scambino dati. Abbiamo tantissimi provvedimenti di tal genere, a partire, se non ricordo male, dal famoso decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124. Ripeto, abbiamo moltissime buone leggi sul coordinamento della vigilanza e della governance, ma quando arriviamo poi all'attuazione delle stesse tutto cade, perché, di fatto, le amministrazioni si comportano come fossero delle monadi e quindi in modo del tutto autonomo e senza alcun coordinamento.
Ho incluso nel quadro che ho cercato di disegnare la semplificazione, la premialità e la vigilanza, perché, secondo noi questi principi sostengono e sosterrebbero le aziende che hanno la volontà e l'intenzione di investire sulla sicurezza e credo sia importare dare loro un segnale in questa direzione.

PRESIDENTE
Ringrazio gli auditi per il loro contributo e do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire.

CONTI
Signor Presidente, conoscendo l'impegno e la buona volontà della nostra Presidente, mi permetto di dire delle cose in libertà. Anzitutto ringrazio i rappresentanti delle organizzazioni per quanto ci hanno illustrato con una competenza facilmente intuibile e anche con grande sintesi.
Il problema, signor Presidente, è che non credo siano loro i nostri interlocutori. Sono un semplice componente della Commissione e, quindi, non so quali siano le ragioni che inducono la Commissione ad audire dei dirigenti e dei funzionari delle organizzazioni e non i rappresentanti eletti, che dovrebbero invece essere gli interlocutori dei legislatori. Questa considerazione - ripeto - non incide per nulla sulla qualità delle riflessioni svolte dai nostri ospiti che tengo in grande considerazione. Nello specifico il primo intervenuto ha sottolineato che qui si sta parlando di persone; il secondo ha dichiarato la sua intenzione di fornirci dati ed input; il terzo ci ha fatto capire che potevamo scambiarci delle idee e poi, tutti a casa!
Ora, questa Commissione non parte dal nulla - considerata la sua eccezionalità di Commissione quasi permanente che svolge la sua attività ormai da qualche legislatura (normalmente una Commissione di inchiesta non ha questo carattere) - e quindi noi abbiamo il dovere morale di pervenire una volta per tutte al dunque dei problemi che riguardano i nostri interlocutori e noi come legislatori.
Da questo punto di vista e sotto il profilo organizzativo potremmo senz'altro tenere aggiornati i dati già in nostro possesso che i nostri interlocutori potrebbero impegnarsi nel tempo ad aggiornare; ciò detto, ad un certo punto diventa però necessario che noi, in quanto legislatori, e i rappresentanti ufficiali eletti delle organizzazioni, o comunque, gli interlocutori al massimo livello) ci incontriamo per definire impegni e progetti. Bisogna arrivare al dunque e stabilire in cosa si impegnano le organizzazioni, tenuto conto che parliamo non solo di persone, ma anche di interessi. Sono del parere che per quanto riguarda questa Commissione non si possa parlare di centrodestra o di centrosinistra, dal momento che ci troviamo qui, unitariamente, per capire ed affrontare i problemi, cercando anche di risolverli.
Questo è però un mondo che incide su interessi, buoni e cattivi. Allora ad un certo punto dovremmo riuscire a mettere in fila tutte queste considerazioni all'interno di un libro bianco inerente il settore. Occorre individuare quali sono i problemi e quali le soluzioni che insieme vogliamo dare, impegnandoci vicendevolmente su questi argomenti. Poi, ovviamente, ci sono le emergenze, anche territoriali, su cui, in forma continuativa, la Commissione è chiamata ad impegnarsi.
A un certo punto, però, credo che si ponga una sorta di imperativo anche morale, per cui bisogna arrivare al dunque e cominciare a lavorare in una certa direzione, mettendo in atto qualcosa di concreto, sulla base di tutto quello che abbiamo imparato in questi anni, nonché tenendo presenti gli aggiornamenti dei dati che ci vengono forniti da chi di competenza, con l'assunzione di impegni da entrambe le parti.

PRESIDENTE
er correttezza, senatore Conti, volevo dirle che le organizzazioni vengono contattate nella persona dei loro Presidenti; sono poi le organizzazioni stesse che decidono chi deve intervenire. Difficilmente come Commissione possiamo suggerire chi debbano essere i nostri interlocutori.

CONTI
Era una sottolineatura che non facevo alla Presidenza, quanto piuttosto alle organizzazioni.

PRESIDENZA
Lo so, senatore Conti, ma ci tenevo a chiarire questo passaggio, perché credo che sia corretto farlo anche nei confronti delle organizzazioni da noi audite.

FUCKSIA
Signora Presidente, il tema è ampio e non si esaurisce certamente in così poco tempo; volevo però focalizzare l'attenzione su alcuni punti.
Innanzitutto c'è il discorso del rinnovamento delle macchine agricole, che incide notevolmente dal punto di vista economico ed è forse il tema più difficile da affrontare. Mi interrogo, in particolare, sui criteri perché - com'è stato detto anche qui oggi - in agricoltura si tratta spesso di piccole aziende, in molti casi di hobbisti, di persone quindi non assicurate. Penso che sia molto difficile andare a prevedere degli obblighi, incidendo su questo tipo di realtà. Vorrei quindi avere delle indicazioni più precise su come ad avviso dei nostri ospiti sarebbe importante intervenire in questo campo, senza prevedere un onere eccessivo a carico delle persone che si dedicano all'attività agricola.
Da questo punto di vista spero, peraltro, che non si vada a garantire una sorta di controinteresse lobbistico, quello cioè dei venditori di macchine agricole, un po' com'è accaduto per le automobili quando, per contrastare la presenza nell'aria delle particelle PM10 e PM2,5, sono state immesse sul mercato le auto Euro 3, Euro 4, Euro 5 ed Euro 6, ad una velocità tale per cui alla fine non si ha il tempo di comprare una macchina che è già vecchia.
Una volta c'erano gli ingranaggi scoperti, i trattori non erano cabinati: oggi non è più così e sicuramente certi interventi sono stati fondamentali. Allo stato probabilmente è più importante ridurre le vibrazioni o il rumore di una motosega, anche per gli effetti sulla salute e non solo in relazione al rischio infortunistico, nel merito del quale ricordo, invece, la nuova direttiva macchine, l'introduzione dei requisiti essenziali di sicurezza (RES). Volevo chiedere ai nostri ospiti di farci avere, se possibile, delle precise indicazioni che possano esserci utili per intervenire in questo ambito.
Ringrazio la dottoressa Merlino per quanto ci ha riferito, anche se devo dire che è forse la prima volta che sento parlare del decreto legislativo n. 81 del 2008 come di un intervento di semplificazione: se con quel provvedimento il tentativo era, infatti, di riunire tutta la normativa in materia di sicurezza sul lavoro, in realtà si è finito per complicare il mondo, tant'è vero che si è sollevato un vero e proprio vespaio tra tutti gli attori coinvolti. Sicuramente le intenzioni erano buone, ma, dato tutto quello che ne è seguito, forse non parlerei proprio di semplificazione, che ci auguriamo si realizzi comunque quanto prima. Anche da questo punto di vista ci attendiamo delle indicazioni e dei suggerimenti puntuali, in modo da poter dare luogo a delle modifiche migliorative.
Quanto all'intervento del dottor Rotundo, trovo che sia abbastanza strano prendere per buone certe cose solo quando fanno comodo. Se si tratta di tutelare la salute, dobbiamo occuparcene in maniera globale: per quanto io sia favorevole a ridurre le visite mediche al minimo, credo però che la visita preassuntiva in relazione ai rischi vada fatta da un medico competente, che conosce il documento di valutazione dei rischi e che ha partecipato alla valutazione dei rischi: non è possibile, infatti, che la visita venga effettuata da qualcuno che non conosce, ad esempio, i materiali che si utilizzano (penso a certi tipi di diserbanti o altro) e che possono quindi produrre certe conseguenze sul lavoratore. È necessario che del protocollo sanitario e della sorveglianza sanitaria si occupi un medico che conosce i rischi specifici per la salute e per la sicurezza del lavoratore che presta la sua attività in una data azienda. Non è possibile che ancora oggi si debba sentire il peso di questo: penso che ci siano ben altri margini per risparmiare e semplificare. Al contrario, credo che la compresenza, il fatto di vedere i rischi nell'insieme sia proprio il cardine: l'obiettivo è tutelare le persone, non vogliamo certamente fare business inutili, sulla base di una documentazione che non porta a niente.
Sono contenta che si sia sottolineato come la standardizzazione non abbia costituito una semplificazione, anche perché spesso un medico non si ritrova in certe categorie.
In conclusione, rinnovo la mia richiesta affinché vengano trasmessi alla Commissione dei suggerimenti puntuali, che possano esserci utili per intervenire, senza dimenticare, ancora una volta, che non si può essere d'accordo solo con quello che fa comodo, ma occorre fare quello che serve.

ROTUNDO
Signora Presidente, premetto che condivido l'impostazione sulla sorveglianza sanitaria, secondo quanto disposto dal decreto legislativo n. 81. Qui, però, stiamo parlando - almeno per quanto riguarda il mio intervento - della situazione di un'impresa agricola che assume un lavoratore per 40 giornate: in un caso di questo tipo la normativa attuale ci dice che occorre un medico competente, che deve visitare un'azienda che spesso non ha neppure un centro aziendale. Probabilmente parliamo - secondo quanto prevede attualmente il decreto - di un lavoratore non soggetto a rischi specifici normati con obbligo di sorveglianza sanitaria.
Quello che volevo far rilevare, ma forse non mi sono spiegato, è che in un caso come quello indicato, anziché parlare di semplificazione, è stato imposto un obbligo in più, dal momento che per i lavoratori che non sono soggetti a sorveglianza sanitaria, è previsto l'obbligo di visita biennale. Per questo ho sollevato il problema della necessità di intervenire per evitare che si arrivi poi a non semplificare, ma piuttosto a complicare.
Quanto alla questione delle macchine agricole, è chiaro che la revisione delle macchine è un problema grosso per tutte le imprese: probabilmente si potrebbe anche ipotizzare - ma non so con quali strumenti, perché dovremmo comunque rimanere nell'ambito della sicurezza sul lavoro - di chiedere la revisione alla parte non soggetta alle disposizioni per la sicurezza sul lavoro. Ne consegue che chi opera nell'ambito di attuazione del decreto legislativo n. 81 è soggetto a delle regole, ad una precisa valutazione dei rischi e si assume una responsabilità; per chi non opera in quell'ambito probabilmente l'unica maniera per controllare la sicurezza sulle macchine è la revisione, cioè il controllo sulla circolazione stradale. Forse questo potrebbe essere anche un segnale di partenza per iniziare a capire dove si situano i problemi e lì intervenire.

PRESIDENTE
Ringrazio gli intervenuti e dichiaro concluse le audizioni odierne.


Testi non rivisti dagli oratori.
Fonte: senato.it