Categoria: Cassazione civile
Visite: 10848

Cassazione Civile, Sez. Unite, 28 aprile 2015, n. 8567 - Grave coaxalgia bilaterale e dipendenza da causa di servizio


 

Presidente: ROSELLI FEDERICO Relatore: GRECO ANTONIO Data pubblicazione: 28/04/2015


SENTENZA


sul ricorso 11002-2013 proposto da:
B.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo studio dell'avvocato FEDERICO HERNANDEZ, rappresentato e difeso dall'avvocato Omissis, per delega a margine

del ricorso;

- ricorrente -

contro
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro prò tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso 1'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 31/2013 del CONSIGLIO DI STATO, depositata l'08/01/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/05/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;
udito l'Avvocato Omissis dell'Avvocatura Generale dello Stato; udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. Omissis che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

 

Fatto


B.V., appuntato scelto dei Carabinieri, impugnò davanti al TAR della Lombardia il decreto del Direttore di amministrazione del Comando generale dell'Arma, emesso ai sensi dell'art. 14, comma 1, del d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, di rigetto della domanda diretta al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità "grave coaxalgia bilaterale" ed alla concessione dell'equo indennizzo per l'infermità, sulla scorta del parere obbligatorio del Comitato di verifica. Questo, in contrasto con il precedente giudizio espresso della Commissione medica ospedaliera, aveva infatti valutato che l'infermità riscontrata non poteva essere considerata dipendente da causa di servizio, ma patologia "legata a disturbi circolari meccanici e dismetabolici".
Il giudice di primo grado, all'esito della consulenza tecnica disposta, ha accolto il ricorso, disponendo l'annullamento del diniego e dichiarando il diritto al riconoscimento della causa di servizio.
Il Consiglio di Stato, adito in appello dal Ministero della difesa, ha riformato la decisione, dichiarando il ricorso di primo grado in parte inammissibile, laddove si configurava come un'azione di accertamento, atteso che la formale introduzione della consulenza tecnica nel processo amministrativo non autorizza a qualificare come di diritto soggettivo la posizione, che rimane di interesse legittimo, del dipendente pubblico che richiede il riconoscimento della patologia dalla causa di servizio; ed in parte, con riguardo all'azione di annullamento, respingendolo. Ciò in quanto l'accertamento del nesso di dipendenza permane soggetto al sindacato del giudice amministrativo esclusivamente in caso di palese illogicità o errore tecnico fattuale - il ed. sindacato debole -, e al di fuori di tali ipotesi non può quindi estendersi sino a sostituire le valutazioni di spettanza degli organi tecnici dell'amministrazione. Un siffatto sindacato non esclude perciò che, sia pure in determinati limiti, il giudice amministrativo possa far ricorso alla consulenza tecnica d'ufficio, a norma dell'art. 67 del c.p.a., la quale deve però investire anche l'attendibilità delle ragioni addotte dal Comitato di verifica per negare la dipendenza da causa di servizio.
Nei confronti della decisione B.V. ricorre a queste Sezioni unite sulla base di un motivo, illustrato con successiva memoria.
Il Ministero della difesa resiste con controricorso.

 

Diritto


Con l'unico motivo il ricorrente, denunciando "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 14, comma 1, del d.P.R. n. 461 del 2001, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.", si duole dell'erronea esclusione in radice della "vigenza di una norma di diritto idonea a tutelare l'interesse fatto valere in giudizio. In particolare il riconoscimento, mediante ctu, del nesso causale fra patologia... e prestazioni di servizio dell'Arma dei carabinieri". E lamenta sia stata ritenuta assolutamente improponibile la domanda "per carenza dell'azione del riconoscimento della causa di servizio ed equo indennizzo in caso di parere negativo del comitato di verifica anche se errato".
Deduce infatti che nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali troverebbe applicazione la regola dell'art. 41 cod. pen., secondo cui il rapporto causale fra evento e danno sarebbe governato dal principio dell'equivalenza delle cause, dovendosi perciò riconoscere l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito anche in materia indiretta o remota alla produzione dell'evento; e rileva che tale orientamento andrebbe riferito alle concause di lesione, vale a dire agli "stati morbosi preesistenti che di per sé non costituiscono inabilità ma che concorrono a rendere l'esito della lesione da infortuni e da malattie professionali più grave che in un organismo immune da tali concause, anche in tema di artrosi".
Ciò posto, assume che "il parere valutativo del Comitato di verifica è incorso appunto in macroscopico errore nel non aver applicato tale principio assolutamente consolidato", e che l'ammissione della ctu sarebbe stata quindi disposta legittimamente, e quindi sarebbe "errata la sentenza del Consiglio di Stato impugnata, che in riforma della sentenza del TAR dichiara in parte inammissibile il ricorso di primo grado (relativamente all'azione di accertamento) e lo respinge con riguardo all'azione di annullamento".
Il ricorso è inammissibile, alla luce del principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui il sindacato delle Sezioni unite avverso le decisioni del Consiglio di Stato è circoscritto ai motivi inerenti alla giurisdizione (art. 362 c.p.c, comma 1), ossia ai vizi concernenti l'ambito generale dell'attività giudiziaria o i limiti di ciascuna giurisdizione, con esclusione di ogni sindacato sui modi di esercizio, a cui attengono gli errores in iudicando o in procedendo.
In tal senso è, ad esempio, Cass., sez. un., 16 febbraio 2009 n. 3688, secondo cui, "anche a seguito dell'inserimento della garanzia del giusto processo nella formulazione dell'art. 111 Cost., il sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato è limitato all'accertamento dell'eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del Consiglio stesso, ovvero all'esistenza di vizi che riguardano l'essenza di tale funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio, restando, per converso, escluso ogni sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, cui attengono gli errores in iudicando o in procedendo" (cfr. ancora, ex multis, Cass., sez. un., 16 febbraio 2007, n. 3615, e 19 dicembre 2002, n. 16270).
Nel caso di specie le censure formulate nell'unico motivo di ricorso, significativamente rubricato "violazione e/o falsa applicazione (art. 360, n. 3) dell'art. 14, comma 1, d.P.R. n. 461/2001", riguardano esclusivamente errores in iudicando, senza risolversi nella denuncia del detto sconfinamento del giudice amministrativo dall'ambito della propria giurisdizione.
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente alla refusione delle spese del giudizio, che si liquidano come in dispositivo.
Sussistono i presupposti, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del giudizio, liquidate in euro 2.800 per compensi di avvocato, oltre alle spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma il 13 maggio 2014