Cassazione Penale, Sez. 4, 29 aprile 2015, n. 18085 - Rischi interferenti: omesso coordinamento tra interventi di protezione e prevenzione. La figura del preposto


 

 

 

Responsabilità di un preposto a capo squadra dei prestatori di lavoro - M.F. - della CMT Engineering s.p.A., appaltatrice operante all'interno dello stabilimento ILVA s.p.a., e di un preposto responsabile della manutenzione e dell'appalto per conto della committente ILVA s.p.a. - F.A. - , per lesioni colpose gravi a M.R., lavoratore dipendente della CMT Engineering s.p.a. .

Agli imputati veniva contestato di aver omesso il coordinamento - mediante lo scambio di reciproche informazioni - di interventi di protezione e prevenzione atti a scongiurare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte, cosi consentendo che la realizzazione dei lavori oggetto dell'appalto fosse eseguita in assenza di un'effettiva concertazione sulle modalità operative da seguire, e non esercitando entrambi un'adeguata sorveglianza e vigilanza sull'esecuzione dei lavori stessi.

M.R. stava eseguendo, unitamente a due colleghi, all'interno dello stabilimento ILVA di Taranto, il montaggio delle flangie sulla tubazione del gas in prossimità della valvola a farfalla, su incarico di F.A., a sua volta informato da M.F., quale responsabile dell'appalto per conto della committente ILVA; quest'ultimo, previa ispezione del buon esito dell'operazione di sabbiatura della valvola compiuta dagli stessi operai della CMT, aveva informato il F.A. del fatto che poteva procedere al montaggio delle flangie e, posto che per far ciò era necessario chiudere prima la valvola, aveva incaricato un tecnico dell'ILVA di procedere a tale operazione di chiusura; mentre il M.R. ed i suoi due colleghi iniziavano il lavoro di montaggio delle flangie, il tecnico dell'ILVA contemporaneamente aveva azionato il comando di chiusura della valvola, determinando così la rotazione di una leva metallica lunga cm.60, che aveva schiacciato l'addome del M.R., nel frattempo addetto ad eseguire il montaggio delle flangie; il lavoratore aveva riportato una gravissima ferita penetrante bell'addome.

"La Corte territoriale, premessa la necessità di rileggere le risultanze istruttorie alla luce dei motivi di gravame, ha descritto la dinamica del fatto come emergente dalle deposizioni dei lavoratori presenti e dello stesso infortunato, peraltro non contestata dagli appellanti, ritenendo che il mancato coordinamento fosse addebitabile ad entrambi gli imputati per avere, ciascuno nell'ambito dei propri compiti e competenze, impartito contemporaneamente ai rispettivi operai ordini tra loro incompatibili, tanto desumendo dalla struttura dell'impianto al quale i due operai erano addetti, visibile dai rilievi fotografici in atti, che non consentiva agli stessi di vedersi reciprocamente mentre eseguivano gli ordini loro impartiti. Il quadro di comando della valvola a farfalla al quale era adibito il dipendente dell'ILVA era, infatti, situato al piano di campagna, mentre le flangie cieche al cui montaggio era adibito l'operaio infortunato si trovavano ad un'altezza di circa m.2,30 dal suolo. La sentenza impugnata si integra, sul punto, con quanto accertato dal giudice di primo grado, secondo il quale  M.F. aveva dato contemporaneamente indicazione al suo operaio di chiudere la valvola a farfalla ed al F.A. di ordinare ai suoi operai di montare le flangie, mentre  F.A. si era limitato a girare l'ordine ai suoi operai una volta ricevuta l'indicazione dal M.F., senza verificare la previa chiusura della valvola a farfalla da parte degli operai dell'ILVA, così violando le regole cautelari finalizzare ad evitare rischi per i lavoratori derivanti dal mancato coordinamento tra committente ed appaltatore in presenza di interferenza tra le rispettive lavorazioni."


 

 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: SERRAO EUGENIA Data Udienza: 24/03/2015


Fatto


1. La Corte di Appello di Lecce - Sez. Distaccata di Taranto, con sentenza del 15/04/2014, ha confermato la pronuncia emessa il 21/01/2013 dal Tribunale di Taranto, che aveva ritenuto M.F. e F.A. responsabili del reato di lesioni colpose gravi loro ascritto, condannandoli alla pena di tre mesi di reclusione, condizionalmente sospesa.
2. Agli imputati era contestata la violazione degli artt.590, commi 2 e 3, 583, comma 1, n.l cod. pen., 4 e 5 d.P.R. 27 aprile 1955, n.547, 1, comma 4-bis, 4, commi 1 e 5, 7, commi 1 e 2, 90, comma 1 lett a), d. lgs. 19 settembre 1994, n.626 e 2087 cod. civ. perché, il primo quale preposto a capo squadra dei prestatori di lavoro, tra cui M.R., della CMT Engineering s.p.A., appaltatrice operante all'interno dello stabilimento ILVA s.p.a., il secondo quale preposto responsabile della manutenzione e dell'appalto per conto della committente ILVA s.p.a., per colpa generica consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, nonché per inosservanza di specifiche disposizioni per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare, omettendo di coordinare - mediante lo scambio di reciproche informazioni - gli interventi di protezione e prevenzione atti a scongiurare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione all'interno del suddetto stabilimento dell'opera complessiva, cosi consentendo entrambi che la realizzazione dei lavori oggetto dell'appalto fosse eseguita in assenza di un'effettiva concertazione sulle modalità operative da seguire, e non esercitando entrambi un'adeguata sorveglianza e vigilanza sull'esecuzione dei lavori stessi, avevano cooperato a cagionare lesioni colpose gravi a M.R., lavoratore dipendente della CMT Engineering s.p.a.
3. L'infortunio era stato così ricostruito dai giudici di merito: M.R. stava eseguendo, alle ore 13:40 del 21 febbraio 2007, unitamente a due colleghi, all'interno dello stabilimento ILVA di Taranto, il montaggio delle flangie sulla tubazione del gas in prossimità della valvola a farfalla, su incarico di F.A., a sua volta informato da M.F., quale responsabile dell'appalto per conto della committente ILVA; quest'ultimo, previa ispezione del buon esito dell'operazione di sabbiatura della valvola compiuta dagli stessi operai della CMT, aveva informato il F.A. del fatto che poteva procedere al montaggio delle flangie e, posto che per far ciò era necessario chiudere prima la valvola, aveva incaricato un tecnico dell'ILVA di procedere a tale operazione di chiusura; mentre il M.R. ed i suoi due colleghi iniziavano il lavoro di montaggio delle flangie, il tecnico dell'ILVA contemporaneamente aveva azionato il comando di chiusura della valvola, determinando così la rotazione di una leva metallica lunga cm.60, che aveva schiacciato l'addome del M.R., nel frattempo addetto ad eseguire il montaggio delle flangie; il lavoratore aveva riportato una gravissima ferita penetrante bell'addome.
4. Avverso la sentenza di appello  M.F. propone ricorso per cassazione per i seguenti motivi: a) mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente si duole del fatto che i giudici di merito non abbiano esaminato tutti gli elementi a disposizione, non abbiano fornito una corretta interpretazione di quelli vagliati e non abbiano applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la decisione. In particolare, la motivazione sarebbe carente delle minime coordinate temporali che rendano intelligibili le ragioni dalle quali discenderebbe la responsabilità del ricorrente. Posto che il M.F. aveva chiesto agli operai CMT di sgombrare l'area di lavoro fin quando non fosse finita la messa in sicurezza dell'impianto, e che il F.A. aveva ugualmente dato l'ordine al M.R., la motivazione sarebbe carente con riguardo al collegamento causale tra l'evento e la condotta del M.F., essendo l'infortunio direttamente riconducibile all'ordine impartito dal F.A. piuttosto che al mancato coordinamento fra i preposti;
b) violazione degli artt.133 e 62 bis cod. pen., 53 legge 24 novembre 1981, n.689 nonché mancanza di motivazione, con riferimento al trattamento sanzionatorio. Il ricorrente lamenta che i giudici di merito non abbiano spiegato le ragioni per le quali non hanno concesso le attenuanti generiche né la conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria, limitandosi al generico e tautologico richiamo alla .
Trattandosi di condotte consumate nel febbraio 2007, si assume, si sarebbero potute applicare le attenuanti generiche per la sola incensuratezza del ricorrente.
5. Propone ricorso per cassazione anche  F.A., affidando l'impugnazione ai seguenti motivi:
a) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. Il ricorrente si duole del fatto che la sentenza impugnata abbia posto a base della condanna le dichiarazioni etero-accusatorie del coimputato M.F. senza alcun vaglio, con particolare riguardo ai canoni di cui all'art.192, comma 3, cod.proc.pen., mentre dall'istruttoria di primo grado era emersa l'impossibilità per il F.A. di procedere a quell'ordine nei confronti del M.R. se non dopo aver preliminarmente acquisito il consenso del responsabile della manutenzione ILVA, dunque non prima che il M.F. avesse conferito il proprio placet. Sarebbe priva di pregio, si assume, l'ipotesi del mancato coordinamento del F.A. con il M.F., posto che solo a seguito della materiale ultimazione dell'attività di quest'ultimo il primo avrebbe potuto impartire un comando operativo, in quanto il M.R. non sarebbe stato concretamente nelle condizioni di procedere all'attività. La grandezza dell'impianto AFO 2, secondo il ricorrente, non avrebbe mai consentito un coordinamento errato tra gli operanti;
b) carenza motivazionale. Si deduce che il giudice di secondo grado si sia limitato a riportare passaggi testimoniali ovvero della sentenza di primo grado senza spiegare perché fondino la pronuncia di colpevolezza.

Diritto

1. Il primo motivo del ricorso proposto da  M.F. è infondato.
1.1. La Corte territoriale, premessa la necessità di rileggere le risultanze istruttorie alla luce dei motivi di gravame, ha descritto la dinamica del fatto come emergente dalle deposizioni dei lavoratori presenti e dello stesso infortunato, peraltro non contestata dagli appellanti, ritenendo che il mancato coordinamento fosse addebitabile ad entrambi gli imputati per avere, ciascuno nell'ambito dei propri compiti e competenze, impartito contemporaneamente ai rispettivi operai ordini tra loro incompatibili, tanto desumendo dalla struttura dell'impianto al quale i due operai erano addetti, visibile dai rilievi fotografici in atti, che non consentiva agli stessi di vedersi reciprocamente mentre eseguivano gli ordini loro impartiti. Il quadro di comando della valvola a farfalla al quale era adibito il dipendente dell'ILVA era, infatti, situato al piano di campagna, mentre le flangie cieche al cui montaggio era adibito l'operaio infortunato si trovavano ad un'altezza di circa m.2,30 dal suolo. La sentenza impugnata si integra, sul punto, con quanto accertato dal giudice di primo grado, secondo il quale  M.F. aveva dato contemporaneamente indicazione al suo operaio di chiudere la valvola a farfalla ed al F.A. di ordinare ai suoi operai di montare le flangie, mentre  F.A. si era limitato a girare l'ordine ai suoi operai una volta ricevuta l'indicazione dal M.F., senza verificare la previa chiusura della valvola a farfalla da parte degli operai dell'ILVA, così violando le regole cautelari finalizzare ad evitare rischi per i lavoratori derivanti dal mancato coordinamento tra committente ed appaltatore in presenza di interferenza tra le rispettive lavorazioni.
1.2. Non risultano dedotte specifiche risultanze istruttorie idonee a scardinare la logicità e congruità della motivazione, né risulta indicato da quale atto del processo emerga che il M.F. avesse dato agli operai della CMT Engineering s.p.a. l'ordine di sgombrare l'area di lavoro fin quando non fosse finita la messa in sicurezza dell'impianto, rimanendo tale assunto una mera deduzione in fatto che non può essere sottoposta a verifica nel giudizio di legittimità.
2. Il secondo motivo del ricorso proposto da  M.F. è infondato.
2.1. La Corte territoriale, dopo aver sottolineato che la pena irrogata era pari al minimo edittale, ha specificamente replicato all'istanza di applicazione delle circostanze attenuanti generiche e di sostituzione della pena detentiva, dichiarata sospesa, ritenendo che la gravità della omissione avesse determinato un elevato rischio per la sicurezza e per l'integrità del lavoratore, in tale argomentazione ravvisandosi puntuale indicazione delle ragioni per le quali la Corte non ha ritenuto di ricorrere ad adeguamenti del trattamento sanzionatorio alle peculiarità del caso concreto e, in sostanza, di accogliere le due istanze proposte dall'appellante.
2.2. E', peraltro, consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione il principio secondo il quale, nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale, l'obbligo di motivazione del giudice si attenua, talché è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena (Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv.245596; Sez. 2, n.43596 del 07/10/2003, Iunco, Rv. 227685). Né può ritenersi che sia precluso, anche in applicazione della normativa antecedente l'entrata in vigore della legge 24 luglio 2008, n.125, negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nei confronti di chi sia incensurato, avendo sul punto la Corte di Cassazione chiarito che, anche secondo la disciplina previgente, le circostanze attenuanti generiche non possono essere riconosciute solo per l'incensuratezza dell'imputato, dovendosi considerare anche gli altri indici desumibili dall'art. 133 cod. pen. (Sez. 5, n. 4033 del 04/12/2013, dep. 2014, Morichelli, Rv. 258747).
2.3. E', altresì, ripetutamente affermato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale , essendo la sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria compatibile con il beneficio della sospensione condizionale in quanto la pena sostitutiva è a tutti gli effetti una sanzione penale (Sez.5, n.15785 del 17/01/2011, Scacco, Rv. 250162; Sez.3, n.46458 del 22/10/2009, Mbengue, Rv. 245618; Sez. I, n.5638 del 20/01/2009, Poli, Rv. 242451; Sez. 1, n.41442 del 14/10/2005, D'Angel, Rv. 232743).
2.4. Giova, tuttavia, ricordare la pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U, n. 24476 del 22/04/2010, Gagliardi, Rv. 247274) che, interpretando il significato del termine 'prescrizioni' di cui all'art.58, comma 2, I. 689/81, ha escluso che il giudice possa fondare il diniego della conversione della sanzione detentiva in sanzione pecuniaria sulle condizioni di indigenza del condannato, al contempo richiamando la linea di demarcazione segnata dalla Consulta (Corte Cost. n.108 del 27 marzo 1987) per definire l'ambito di applicazione del sistema di conversione della pena detentiva in sanzione pecuniaria, onde evitare che un'indiscriminata applicazione dell'istituto si risolva in altrettante ipotesi di violazione del principio di eguaglianza (art.3 Cost.). In tale pronuncia, la Corte ha chiaramente affermato che la ratio delle pene sostitutive ha natura premiale e che il giudice, nell'esercitare il suo potere discrezionale di sostituire le pene detentive brevi con le pene pecuniarie corrispondenti, con la semidetenzione o con la libertà controllata, deve tenere conto dei criteri indicati nell'art. 133 cod. pen., tra i quali è compreso quello delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell'imputato.
2.5. Dev'essere quindi, ribadito il principio per cui la valutazione discrezionale rimessa al giudice di merito ai sensi dell'art.58, comma 1, 1.689/81 deve essere sorretta da congrua ed adeguata motivazione, che deve tenere in particolare considerazione, tra gli altri criteri, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato. E la pronuncia impugnata risulta conforme a detto principio, avendo la Corte territoriale esplicitato i criteri, tra quelli previsti dall'art.133 cod. pen., sui quali ha fondato il diniego.
3. Il ricorso proposto da  F.A. è infondato. Dalla lettura dei motivi di ricorso si evince una doglianza concernente l'asserita mancanza di motivazione, ma si tratta di censura che non trova riscontro nel tenore della decisione impugnata, nonché l'asserita violazione dei criteri di valutazione della prova dettati dall'art.192, comma 3, cod.proc.pen., basati su assunti che non trovano rispondenza nel provvedimento impugnato, che in alcun modo ha fondato l'affermazione di responsabilità di  F.A. sulle dichiarazioni del coimputato, richiamando la struttura dell'impianto e la sua conformazione quale desumibile dal compendio fotografico in atti oltre che le deposizioni della persona offesa e di altri operai presenti al momento dell'infortunio.
4. Conclusivamente, entrambi i ricorsi devono essere rigettati. In applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen., al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 24/03/2015