Cassazione Penale, Sez. 4, 29 gennaio 2015, n. 4361 - Lavoratore precipitato da un lucernaio piano ricoperto con vetroresina


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - rel. Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
O.G. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2922/2013 CORTE APPELLO di GENOVA, del 11/12/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/10/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SPINACI Sante che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Genova ha confermato quella emessa dal Tribunale di Savona, sezione distaccata di Albenga, con la quale O.G. è stato ritenuto responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore Od. M., che dal medesimo aveva una malattia guarita in un tempo superire a quaranta giorni.

Secondo l'accertamento condotto nei gradi di merito e non controverso, il 7.8.2006 l' Od. era stato comandato dal caporeparto P. ad eseguire dei lavori sul tetto del reparto (OMISSIS) dello stabilimento di Finale Ligure della P. Aero Industries s.p.a., del quale l' O. era dirigente e responsabile della sicurezza, quando era precipitato da un lucernaio piano ricoperto con vetroresina, riportando la frattura-lussazione del polso sinistro, che esitava nella malattia sopra descritta.

All' O. è stato ascritto di non aver posto in essere misure idonee ad evitare la precipitazione del lavoratore dal lucernaio.

2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l'imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. Omissis.

2.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 che la Corte di Appello non avrebbe correttamente interpretato, giacchè da tale norma si ricava che nel caso in cui si verifichi un infortunio sul lavoro la responsabilità andrà attribuita a chi in concreto avrebbe dovuto tenere la condotta impeditiva dell'evento e non a tutti indistintamente i soggetti cui la legge attribuisce compiti in materia di sicurezza. Nella specie, tale responsabilità avrebbe dovuto essere posta in capo al caporeparto P..

2.2. Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all'omessa inflizione della sola pena pecuniaria.

Diritto

3. In via preliminare va rilevato che il reato per cui si procede non è estinto per prescrizione. Commesso il (OMISSIS), il termine massimo di prescrizione risulta decorso con lo spirare del 7.2.2014; risultano però sospensioni del menzionato termine che lo fanno slittare al 23.10.2014.

4. Il ricorso è infondato.

Invero, appare del tutto corretta l'argomentazione della Corte di Appello che, in replica a rilievo difensivo del tutto corrispondente a quello avanzato con il ricorso, ha evidenziato come sull' O., nella qualità di dirigente e di responsabile della sicurezza, gravasse l'obbligo di dotare di opportuna protezione il lucernaio del tetto, essendo prevedibile che i lavoratori vi si potessero recare per svolgere le loro mansioni ed essendo tali lucernari non calpestabili:

l'adempimento di tale obbligo, infatti, presupponeva un controllo sulle strutture che prescindeva dal vigilare sulle singole operazioni del lavoro quotidiano. Costituisce principio del tutto consolidato che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha tanto l'obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche che quello di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 c.c., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (cfr. Sez. 4, n. 20595 del 12/04/2005 - dep. 01/06/2005, Castellani ed altro, Rv. 231370). E' quindi irrilevante che l'imputato non fosse a conoscenza che il (OMISSIS) il P. avesse comandato l' Od. ad eseguire lavori sul tetto, così come è irrilevante che anche a questi, per aver disposto i lavori, competesse di assumere i provvedimenti necessari all'esecuzione dei lavori in sicurezza. Nè in tal modo si lascia emergere una responsabilità per fatto altrui, poichè all' O. risulta ascritta la violazione di un obbligo che gli era proprio e che, ove adempiuto, avrebbe evitato il prodursi dell'infortunio.

5. Manifestamente infondato è l'ulteriore motivo attinente alla mancata inflizione di pena pecuniaria in luogo di quella detentiva:

la Corte di Appello ha motivato il rigetto della richiesta difensiva facendo riferimento tanto alla insufficienza allo scopo dell'incensuratezza dell'imputato, quanto alla irrilevanza della colpa medica che per l'appellante aveva aggravato le lesioni, rilevando come l'omissione ascritta all'imputato avesse posto in grave pericolo la vita stessa del lavoratore.

La scelta tra pena detentiva e pena pecuniaria, nel caso di pene alternativamente previste, risponde comunque ai fini ai quali sono informati i criteri di cui all'art. 133 c.p.. Ne deriva che il giudice, nell'esercizio del potere di scelta, ha l'obbligo di indicare le ragioni che lo inducano ad infliggere la pena detentiva (in tal senso già Sez. 4, n. 3280 del 15/01/1979 - dep. 30/03/1979, Candito, Rv. 141654). Il sindacato di legittimità su tale motivazione non può che essere limitato ai vizi previsti dall'art. 606, comma 1, lett. e).

Nel caso che occupa è da escludersi che sia manifestamente illogica la valorizzazione del pericolo alla vita alla quale la condotta dell'imputato ha esposto il lavoratore, tenuto conto della inerenza della circostanza alla gravità del fatto. Non compete a questa Corte riformulare il giudizio di merito in ordine alla pena congrua, svolgendo in altro modo la valutazione dell'incidenza di una colpa medica che, peraltro, neppure nel ricorso si assume essere stata accertata in sede giudiziaria o transattiva.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2015