Cassazione Penale, Sez. 4, 21 maggio 2015, n. 21272 - Scala non adeguata e instabile: caduta a terra del lavoratore


 

Presidente: FOTI GIACOMO Relatore: BLAIOTTA ROCCO MARCO Data Udienza: 26/03/2015


FattoDiritto


1. Il Tribunale di Milano ha affermato la responsabilità dell'imputato in epigrafe in ordine al reato di cui all'art. 590 cod. pen. commesso con violazione delle norme sulla sicurezza dei lavoro il giorno 6 dicembre 2007 in danno del lavoratore G.A..
La sentenza è stata confermata dalla Corte d'appello di Milano.
All'imputato, nella veste di datore di lavoro ed amministratore unico della Ci. Ma S.r.l. è stato mosso l'addebito di aver messo a disposizione del lavoratore una scala non adeguata e stabile in relazione alle lavorazioni in corso, il lavoratore, per lavorare su cavi elettrici, si poneva a cavallo della scala ad oltre 4 metri d'altezza. Durante la trazione dei cavi la scala perdeva stabilità con la conseguenza che il G.A. cadeva in terra riportando lesioni personali.
2. Ricorre per cassazione l'imputato deducendo diversi motivi.
l. La Corte d'appello ha ritenuto l'inadeguatezza della scala alla stregua della inchiesta della Asl compiuta dai teste Pe. il quale, tuttavia, ha riferito di non aver mai visionato il luogo dell'infortunio e la scala e di aver ricevuto l'incarico solo un anno dopo il fatto. Dunque l'apprezzamento dei giudice è illogico. La scala era conforme alla normativa come da documentazione prodotta. Le circostanze riferite dalla vittima in ordine all'assenza di dispositivi autobloccanti ed al fatto di trovarsi a cavalcioni sono state smentite da due testi che lavoravano con il G.A.. La Corte ha ritenuto che fosse necessario un trabattello senza considerare che tale apparato era presente ma non poteva essere utilizzato a causa dell'angustia dei luoghi. Dunque il ragionamento ipotetico e controfattuale è viziato ed insufficiente. Non si comprende quale condotta l'imputato avrebbe dovuto tenere per evitare l'evento.
2. Sono state concesse attenuanti generiche equivalenti all'aggravante. In appello è stata negata la prevalenza delle attenuanti in considerazione del mancato risarcimento del danno: affermazione erronea, atteso che ii lavoratore ha dichiarato il contrario.
3. La Corte d'appello ha ritenuto di non poter irrogare la sanzione pecuniaria in luogo di quella detentiva, come richiesto dalla difesa. La questione è stata liquidata con l'affermazione che non sussistono particolari motivi per l'applicazione delle richieste pena pecuniaria: enunciato che dà luogo alla assenza di reale motivazione.
3. Il ricorso è infondato.
La sentenza impugnata considera che le dichiarazioni testimoniali richiamate dalla difesa sono irrilevanti poiché esse mostrano semplicemente che il trabattello non poteva essere utilizzato per l'angustia dei luoghi, essendosi in un corridoio. A tale riguardo, considera la Corte d'appello, le caratteristiche della lavorazione imponevano che venisse allestito un trabattello compatibile con la situazione dei luoghi, apprezzamento che è in linea con la valutazione espressa dal teste in servizio presso la Asl. All'imputato va addebitata la violazione dell'obbligo di vigilare e la mancata adozione di misure appropriate per tutelare l'integrità fisica dei lavoratore. L'assenza di una idonea postazione e di una adeguata vigilanza sono la causa della caduta. Sicuramente l'incidente non è stato determinato da un comportamento colposo o abnorme del lavoratore essendosi in presenza di una ordinaria fase della lavorazione.
Tale apprezzamento sulla responsabilità appare palesemente immune da censure logiche o giuridiche: si esplicita in modo risolutivo che il peculiare stato dei luoghi, considerata l'altezza da terra, richiedeva l'allestimento di un dispositivo a trabattello di dimensioni appropriate e tale da poter essere collocato nel sito in cui avveniva la lavorazione.
3.1 La pronunzia considera pure che la pena irrogata è congrua ed è accompagnata dal beneficio della sospensione condizionale, il giudizio dì equivalenza consente di applicare l'apparato sanzionatorio previsto dal primo comma dell'articolo 590 che prevede l'irrogazione di pena detentiva fino a tre mesi. A tale stregua appare congrua la pena dì un mese di reclusione. Non vi sono ragioni per ritenere la prevalenza delle attenuanti generiche in mancanza di "considerazioni in ordine ad un risarcimento del danno non menzionato". Non sussistono neppure ragioni particolari ai sensi dell'art. 133 C.P. che possano giustificare la prevalenza delle attenuanti generiche.
Pure tale apprezzamento, che costituisce esplicazione del discrezionale potere di conformazione della sanzione, appare, nel suo nucleo, immune da censure logiche o giuridiche, essendo basato su una lettura complessiva del caso ed ispirata, comunque, a criterio di equilibrio, visto che è stata irrogata una sanzione prossima al minimo. In particolare, per ciò che attiene al risarcimento dei danno ed alla connessa richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche, l'istanza è stata ragionevolmente disattesa in assenza di elementi di giudizio univoci. Al riguardo non si può che prender atto che, contrariamente a quanto dedotto, la vittima, nella sua deposizione (letta da questa Corte per valutare eventuale travisamento della prova), da un lato non chiarisce in quale guisa sia intervenuto il risarcimento e dall'altro fa riferimento a spese mediche non indennizzate.
Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

P Q M


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, Roma 26 marzo 2015