Cassazione Penale, Sez. 4, 26 maggio 2015, n. 22028 - Opere di impermeabilizzazione in pvc di una galleria: mancanza di occhiali ed elmetti a protezione del viso


 

 

Responsabilità per infortunio nel corso dei lavori di adeguamento di una SS appaltati dall' "Anas" alla "SIS Società Consortile per azioni" che aveva subappaltato alla "Edil P. s.r.l." le opere di impermeabilizzazione in PVC della galleria Omissis. Il M.A., operaio alle dipendenze della "Edil P.", mentre stava eseguendo, utilizzando una pistola chiodatrice, il fissaggio di un tessuto impermeabilizzante in PVC sulla volta della galleria, precedentemente consolidata con spritz-beton posato da personale della "SIS", nello sparare l'ultimo chiodo di fissaggio della tela, era stato investito al volto da una fiammata e da frammenti di pietra e schegge ed aveva riportato lesioni al viso (con rottura del bulbo oculare destro e perdita di alcuni denti), al cuoio capelluto ed alla mano destra. Le lesioni al viso hanno causato al lavoratore l'indebolimento permanente della vista per la perdita dell'occhio destro.


Dell'infortunio sono stati ritenuti responsabili: l'A.F., in qualità di amministratore della "Edil P. s.r.l." e datore di lavoro dell'operaio infortunato, il C.M. in qualità di direttore tecnico della stessa ditta, J.S. quale preposto, in quanto capo squadra del M.A., avendo essi omesso di richiedere ai lavoratori il costante utilizzo, nel corso dei lavori di posa del rivestimento in PVC, di idonei dispositivi di protezione individuale, come previsto dall'art. 4 co. 5 del d.lvo n. 626/94; nel caso di specie, di occhiali ed elmetti a protezione del viso, dispositivi di cui erano pur stati dotati i lavoratori, compreso l'operaio infortunato.

La Corte afferma che se gli imputati avessero adeguatamente vigilato, e quindi preteso dai lavoratori, nel caso di specie dal M.A., l'utilizzo di detti presidi di sicurezza, certo sarebbero state evitate le gravi conseguenze dell'incidente, pur ad altre condotte colpose riconducibile. Il mancato uso dell'elmetto e degli occhiali da parte del lavoratore, ricondotto all'omessa sorveglianza, da parte degli imputati, dell'effettivo utilizzo degli stessi da parte del lavoratore medesimo, si è quindi posto, secondo il coerente argomentare della corte territoriale, quale condizione dell'evento determinatosi.

 


 

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE Relatore: FOTI GIACOMO Data Udienza: 02/12/2014

 

Fatto


-1- Con sentenza del 14 luglio 2011, il giudice monocratico del Tribunale di Torino, sezione distaccata di Susa, ha dichiarato A.F., C.M. e J.S. colpevoli del reato di cui all'art. 590 co. 1, 2, 3 cod. pen., in relazione all'art. 582 co. 1 e 2 stesso codice, in pregiudizio del lavoratore  M.A..
Era accaduto che, nel corso dei lavori di adeguamento della SS n 24 del Monginevro in Cesana Torinese, appaltati dall' "Anas" alla "SIS Società Consortile per azioni" che aveva subappaltato alla "Edil P. s.r.l." le opere di impermeabilizzazione in PVC della galleria Claviere, il M.A., operaio alle dipendenze della "Edil P.", mentre stava eseguendo, utilizzando una pistola chiodatrice, il fissaggio di un tessuto impermeabilizzante in PVC sulla volta della galleria, precedentemente consolidata con spritz-beton posato da personale della "SIS", nello sparare l'ultimo chiodo di fissaggio della tela, era stato investito al volto da una fiammata e da frammenti di pietra e schegge ed aveva riportato lesioni al viso (con rottura del bulbo oculare destro e perdita di alcuni denti), al cuoio capelluto ed alla mano destra. Le lesioni al viso hanno causato al lavoratore l'indebolimento permanente della vista per la perdita dell'occhio destro.
Dell'infortunio sono stati ritenuti responsabili: l'A.F., in qualità di amministratore della "Edil P. s.r.l." e datore di lavoro dell'operaio infortunato, il C.M. in qualità di direttore tecnico della stessa ditta, J.S. quale preposto, in quanto capo squadra del M.A., avendo essi omesso di richiedere ai lavoratori il costante utilizzo, nel corso dei lavori di posa del rivestimento in PVC, di idonei dispositivi di protezione individuale, come previsto dall'art. 4 co. 5 del d.lvo n. 626/94; nel caso di specie, di occhiali ed elmetti a protezione del viso, dispositivi di cui erano pur stati dotati i lavoratori, compreso l'operaio infortunato.
Secondo il tribunale, era invalsa nel cantiere la prassi di non utilizzare tali dispositivi, a fronte della quale nessuna concreta vigilanza era stata svolta sui lavoratori, ai quali era sostanzialmente rimessa la valutazione discrezionale circa il loro utilizzo. Se, ha sostenuto il giudice del merito, il compito di controllo fosse stato correttamente svolto dagli imputati, ai quali, nelle rispettive qualità, competeva il dovere di verificarne l'uso, l'infortunio non si sarebbe verificato, poiché gli occhiali e l'elmetto avrebbero protetto il M.A. dai frammenti dai quali era stato investito.
All'affermazione di responsabilità è seguita la condanna degli imputati alla pena -sospesa alle condizioni di legge- di due mesi di reclusione ciascuno, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dichiarate equivalenti alle aggravanti contestate, nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della parte civile, M.A., alla quale è stata assegnata una provvisionale di 80.000,00 euro. Gli stessi imputati sono stati condannati al risarcimento del danno nei confronti della parte civile "FILLEA C.G.I.L.", liquidati in 10.000,00 euro. La stessa sentenza ha assolto da ogni addebito C.L., direttore, per conto della "SIS", del cantiere ove si è verificato l'incidente.
-2- Avverso detta sentenza, hanno proposto appello A.F., C.M. e J.S., i quali, premesso che la causa dell'incidente doveva ricondursi all'improvvisa ed imprevedibile detonazione di uno spezzone di miccia rimasto inesploso nella roccia e ricoperto da uno strato di spritz-beton che aveva uno spessore notevolmente inferiore a quello (15 cm.) stabilito nel progetto, hanno osservato che, poiché sia la presenza della miccia sia lo scarso spessore dello strato di spritz-beton erano riconducibili alle operazioni, di competenza della SIS, di esplosione, di disgaggio, di eliminazione di eventuali residui inesplosi e di messa in opera del manto di SB, eseguite prima dell'intervento della "Edil P.", nessun addebito poteva esser loro rivolto.
Con sentenza del 27 gennaio 2014, la Corte d'appello di Torino ha ridotto la pena inflitta ai tre imputati, avendo ritenuto la prevalenza delle riconosciute attenuanti sulle aggravanti contestate, confermando, nel resto, la decisione impugnata.
La corte territoriale ha quindi ribadito la responsabilità degli imputati, avendo ritenuto che la loro ricostruzione dei fatti non potesse essere condivisa.
In particolare, la stessa corte ha sostenuto che, se da un lato doveva ritenersi accertato che i frammenti che avevano investito il volto del M.A.erano stati prodotti da un'esplosione verificatasi sotto lo strato di spritz-beton, steso dai dipendenti della "SIS", a causa dell'impatto di un chiodo, sparato dal M.A.per fissare alla parete il tessuto in PVC, con qualcosa di esplosivo colà presente, dall'altro, non era stato accertato come e perché l'esplosione si era verificata. Era stato viceversa accertato che, per prassi, gli operai della "Edil P." non utilizzavano i previsti dispositivi di protezione individuale? nel caso del M.A., gli occhiali e l'elmetto protettivo; condotta, questa, ritenuta dal giudice del gravame certamente riconducibile nella sfera di responsabilità della "Edil P." e quindi di coloro ai quali competeva di verificare il costante utilizzo, da parte dei lavoratori, dei predetti dispositivi.
Proprio il mancato uso degli occhiali e dell'elmetto in dotazione, secondo lo stesso giudice, si è posto quale causa dell'infortunio patito dal M.A., e ciò a prescindere dalla concorrenza, pur ritenuta probabile, di autonome condotte imputabili alla SIS. Invero, a giudizio della corte territoriale, se il lavoratore avesse indossato l'elmetto e gli occhiali, e quindi se i responsabili della "Edil P." avessero correttamente svolto il loro compito di controllo delle maestranze per garantire il corretto uso di tali dispositivi, l'incidente non avrebbe avuto conseguenze, ovvero ne avrebbe avuto di ben meno gravi poiché la barriera protettiva, garantita dall'elmetto e dagli occhiali, avrebbe impedito ai frammenti sprigionatisi con l'esplosione di colpire direttamente il viso del lavoratore. Nei confronti dell'A.F., inoltre, il giudice del gravame ha rilevato un ulteriore profilo di colpa, rappresentato dal non avere lo stesso messo a disposizione del personale occhiali di protezione in grado di offrire una maggior resistenza all'impatto di schegge prodotte da eventi esplosivi come quello in esame.
-3- Avverso detta sentenza, congiuntamente propongono ricorso per cassazione i tre imputati che deducono:
a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione al nesso di causa ed all'elemento soggettivo del reato.
Dopo avere ribadito la tesi difensiva, secondo cui causa esclusiva dell'incidente era stata la presenza della miccia esplosiva e l'insufficiente strato di spritz-beton, ambedue riconducibili alla sfera di competenza della "SIS", i ricorrenti hanno osservato, quanto al nesso di causa, la contraddittorietà della motivazione laddove i giudici del gravame, dopo avere riconosciuto che all'origine dell'incidente vi era stata l'esplosione causata dall'impatto del chiodo sparato dal M.A. con qualcosa di esplosivo presente sotto lo strato di spritz-beton, ha poi in maniera del tutto illogica e contraddittoria, sostenuto che la causa dell'esplosione non era stata individuata con certezza. Conclusione, peraltro, alla quale gli stessi giudici sono pervenuti utilizzando argomentazioni svolte dal consulente della "SIS", le cui tesi sono state ritenute suggestive ed inverosimili.
D'altra parte, sostengono ancora i ricorrenti, il mancato uso degli occhiali non può ritenersi causalmente collegato alle lesioni riportate dal M.A. poiché essi, ove anche indossati, non sarebbero stati in grado di proteggere efficacemente il lavoratore dalla violenza dei frammenti sprigionati dall'esplosione. Gli occhiali in questione, invero, in materiale plastico, non erano progettati per resistere ad un'esplosione, bensì solo per contenere le schegge che possono prodursi nell'operazione di sparo dei chiodi in una parete rocciosa.
La condotta omissiva addebitata agli imputati non aveva avuto, quindi, alcuna efficienza causale nel determinismo dell'evento lesivo, mentre le opposte conclusioni alle quali è pervenuta la corte territoriale sarebbero frutto di argomentazioni del tutto prive di coerenza logica.
Con riguardo all'elemento soggettivo del reato, nel ricorso si richiama l'assoluta impre-vedibilità dell'evento, non solo perché non si erano mai verificati, in passato, fatti dello stesso tipo, ma anche perché non poteva ritenersi prevedibile che uno spezzone di miccia potesse rimanere accidentalmente nella roccia o nello strato di spritz-beton, né che questo potesse essere realizzato con uno spessore inferiore a quello previsto;
b) Violazione del principio di correlazione ex arti 521 e 522 cod. proc. pen. e vizio di motivazione con riferimento alla posizione del ricorrente A.F.. Nei confronti di costui, invero, la corte territoriale ha rilevato la presenza di un profilo di colpa ulteriore e diverso da quello originariamente contestato, rappresentato dal non avere dotato i lavoratori di occhiali di protezione più ampi e resistenti per prevenire il rischio della proiezione di schegge durante le operazioni di chiodatura. Profilo di colpa rispetto al quale l'imputato non è stato messo nelle condizioni di difendersi.
Concludono i ricorrenti chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

Diritto


Il ricorso è infondato, ai liti dell'inammissibilità.
-1- Quanto al primo dei motivi proposti, è opportuno ricordare che, in tema di vizio di motivazione, questa Corte ha costantemente affermato che il vizio della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, valutabile in sede di legittimità, sussiste allorché il provvedimento giurisdizionale manchi del tutto della parte motiva, ovvero la medesima, pur esistendo graficamente, sia tale da non evidenziare l'iter argomentativo seguito dal giudice per pervenire alla decisone adottata. E' stato, altresì, affermato che il vizio è presente anche nell'ipotesi in cui dal testo della motivazione emergano illogicità o contraddizioni di tale evidenza da rivelare una totale estraneità tra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale prescelta.
L'indagine di legittimità sulla motivazione affidata a questa Corte è quindi volta solo ad accertare se gli elementi probatori utilizzati dal giudice del merito siano stati compiutamente valutati secondo le regole della logica, attraverso un iter argomentativo congruo ed adeguato, idoneo a giustificare la decisione adottata; rimanendo estraneo ai poteri del giudice di legittimità un intervento volto ad offrire una diversa interpretazione delle prove o una revisione dell'analisi ricostruttiva dei fatti.
Tanto premesso, deve ammettersi che nel caso di specie nessuno di tali vizi è dato di cogliere nella motivazione della sentenza impugnata, che i ricorrenti censurano riproponendo considerazioni e tesi già poste all'esame dei giudici che, concordemente, nei due gradi del giudizio di merito, le hanno ritenute infondate con motivazione ampia e coerente sul piano logico, che non giustifica alcuna delle doglianze svolte nel ricorso; con le quali, peraltro, per buona parte, viene in sostanza prospettata alla Corte una non consentita rilettura degli elementi probatori attentamente e correttamente valutati da quei giudici.
I ricorrenti, d'altra parte, non considerano che nulla rileva la verifica dell'intervento, nel determinismo dell'incidente, di uno scoppio, né delle cause dello stesso, queste ultime, peraltro, solo in termini di probabilità individuate nella presenza di un frammento di miccia o cordone detonante rimasto inesploso, e che neanche rileva la possibile insufficienza dello strato di spritz-beton disteso sulla roccia, trattandosi di circostanze che potrebbero coin-volgere responsabilità ad altri riconducibili, non certo ad escludere quella degli odierni ricorrenti.
E' stato, invero, correttamente osservato dai giudici del merito che le gravi ferite riportate dal lavoratore erano riconducibili ad una condotta colposa quantomeno concorrente degli imputati (sotto il profilo dell'omessa vigilanza), che non avevano vigilato, in violazione dei doveri agli stessi attribuiti dalle norme vigenti, il preciso adempimento, da parte dei lavoratori dell'obbligo di indossare il casco e gli occhiali protettivi. Obbligo dagli stessi generalmente trascurato, nel rispetto di una pericolosa prassi che, secondo quanto motivatamente sostenuto nelle sentenze di ambedue i gradi di giudizio, e non contestato nel ricorso, si era instaurata in cantiere e che gli imputati avevano quantomeno tollerato.
Se, hanno giustamente affermato gli stessi giudici, gli imputati avessero adeguatamente vigilato, e quindi preteso dai lavoratori, nel caso di specie dal M.A., l'utilizzo di detti presidi di sicurezza, certo sarebbero state evitate le gravi conseguenze dell'incidente, pur ad altre condotte colpose riconducibile. Il mancato uso dell'elmetto e degli occhiali da parte del lavoratore, ricondotto all'omessa sorveglianza, da parte degli imputati, dell'effettivo utilizzo degli stessi da parte del lavoratore medesimo, si è quindi posto, secondo il coerente argomentare della corte territoriale, quale condizione dell'evento determinatosi.
Né può sostenersi, con i ricorrenti, che il mancato uso degli occhiali non avrebbe avuto alcuna efficienza causale nella determinazione dell'evento, dato che quelli in dotazione, per essere costituiti da materiale plastico dello spessore di pochi millimetri, non avrebbero comunque garantito alcuna protezione dalle schegge provocate dall'esplosione.
Anche a tale proposito, la corte territoriale, così come, in precedenza, il giudice di primo grado, ha reso logiche e condivisibili considerazioni laddove, richiamate le relazioni mediche in atti e rilevato che le schegge che avevano colpito il lavoratore si erano arrestate alle parti molli preorbitarie in sede fronto-parietale destra, frantumando il bulbo oculare ma senza causare lesioni ossee del massiccio facciale né della teca cranica, ne ha tratto la logica conclusione secondo cui, se il M.A. avesse indossato occhiali ed elmetto protettivo, non vi sarebbero state per lui significative conseguenze, e comunque, le stesse sarebbero state certamente ben inferiori a quelle riportate. Le diverse conclusioni alle quali sono giunti i ricorrenti, peraltro attraverso un'alternativa lettura degli elementi probatori in atti e dando per scontato l'intervento di una "dirompente deflagrazione" - espressione che drammatizza la stessa ipotesi dell'esplosione di un qualche residuo inesploso - non valgono ad inficiare la coerenza argomentativa della motivazione impugnata.
Mentre non sembra utile alla tesi difensiva l'insistente riferimento alla inidoneità degli occhiali in dotazione, forniti dalla ditta produttrice della pistola chiodatrice, a resistere all'impatto delle schegge provocate da un'esplosione. Invero, a prescindere dalla specifica fornitura, evidentemente correlata al normale utilizzo della pistola, spettava ai dirigenti e responsabili dell'esecuzione dei lavori di verificare la consistenza e resistenza degli occhiali rispetto agli specifici rischi connessi con i lavori in esecuzione e di assumere le più opportune e conseguenti decisioni per garantire l'incolumità dei lavoratori, dotandoli, eventualmente, di occhiali più resistenti.
Anche il tema della prevedibilità dell'evento, ulteriormente riproposto dai ricorrenti, è stato considerato ed approfondito nei due gradi del giudizio di merito, laddove è stato giustamente osservato che l'incidente occorso al M.A.non era per nulla estraneo, era anzi del tutto coerente rispetto alla particolare tipologia di mansioni che erano state affidate al lavoratore ed al luogo ove esse si svolgevano. La possibilità di un'esplosione in un ambiente particolare come una galleria, hanno motivatamente affermato i giudici del merito, correttamente richiamando anche la giurisprudenza di questa Corte in tema di prevedibilità, non poteva certo ritenersi evento eccezionale ed imprevedibile, specie per chi si trovasse ad operare in un tale ambiente con uno strumento fortemente invasivo, come una pistola sparachiodi, sulla volta di una galleria che aveva visto l'uso massiccio di esplosivi, che non rendeva certo imprevedibile la presenza di un residuo inesploso.
-2- Ugualmente infondato è il secondo motivo di ricorso, concernente l'asserita violazione del principio di correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza.
In tema di correlazione, invero, questa Corte ha costantemente affermato che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa.
Ipotesi certamente da escludere nel caso di specie, ove si consideri che il profilo di colpa rilevato a carico degli imputati, come descritto nel capo d'imputazione e come ritenuto in ambedue i gradi del giudizio di merito, è stato individuato nell'avere gli imputati omesso di richiedere ai lavoratori l'uso dei presidi di sicurezza individuali rappresentati, nel caso di specie, dagli occhiali e dall'elmetto di protezione. Contestazione dalla quale gli odierni ricorrenti si sono ampiamente difesi. Mentre il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, all'inadeguatezza degli occhiali e ad un ulteriore possibile profilo di colpa addebitabile agli imputati nella scelta di tale presidio protettivo, non rappresenta altro, nel contesto argomentativo che caratterizza la contestata decisione, che un argomento residuale, svolto in risposta alla obiezione difensiva, articolata in tema di nesso causale, secondo cui, neanche l'uso degli occhiali in dotazione alla pistola chiodatrice, realizzati in plastica e di minimo spessore, avrebbe evitato l'evento.
Peraltro, con riferimento specifico ai reati colposi, è stato condivisibilmente affermato che "quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere" (Cass. 38818/05). Ciò che rende ancor meno fondata la proposta censura.
-3- Il ricorso deve essere, dunque, rigettato ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione alle costituite parti civili delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2014.