Cassazione Penale, Sez. 4, 27 maggio 2015, n. 22381 - Taglio di arbusti "a terra" e mancanza di pantaloni anti-taglio


 

In caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al datore di lavoro invocare a propria discolpa, per farne discendere l'interruzione del nesso causale (articolo 41, comma 2, c.p.), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso datore di lavoro versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l'evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo (ciò che qui è indiscutibile, per quanto detto sull'omessa fornitura dei mezzi di protezione) (cfr. Sezione IV, 25 marzo 2011, D'Acquisto).
Con l'ulteriore rilievo che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento imprudente del lavoratore infortunato realizzato nello svolgimento delle proprie mansioni e utilizzando gli strumenti di lavoro (ciò che qui è primenti non revocabile in dubbio)


 

Presidente: ZECCA GAETANINO Relatore: PICCIALLI PATRIZIA Data Udienza: 17/04/2015

Fatto


M.M. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, parzialmente riformando in melius quella di primo grado [concessione dell'attenuante del risarcimento del danno e rideterminazione della pena avendo riguardo a quella stabilita nel comma 1 dell'articolo 590 c.p.], lo ha riconosciuto colpevole del reato di cui all'articolo 590 c.p., commesso in violazione della normativa antinfortunistica [in danno del lavoratore B.V., in data 10.3.2009]. Per l'effetto, il M.M. era stato condannato alla pena di 140,00 euro di multa, partendo dalla pena base di euro 300,00 di multa, poi ridotta per effetto delle generiche e della riconosciuta attenuante del risarcimento del danno.
La Corte di merito, ripercorrendo gli argomenti già sviluppati in primo grado, individuava i profili di colpa del M.M., quale datore di lavoro [legale rappresentante della società da cui dipendeva l'infortunato], per avere omesso di fornire al lavoratore, impegnato in un'operazione di taglio di arbusti, i necessari mezzi di protezione previsti per l'uso di motoseghe; in particolare, non avendo fornito, rispetto al taglio di arbusti "a terra" pantaloni anti-taglio con copertura non solo anteriore ma a 360 gradi; ciò a fronte di una dotazione di pantaloni coprenti solo a 180 gradi utilizzabili per il taglio di arbusti a parete, in situazioni in cui si era ritenuto di contemperare le esigenze di protezione con quelle della mobilità. In ogni caso il lavoratore infortunatosi non aveva indossato alcun presidio, sicché, durante il taglio dell'arbusto "a terra" era stato colpito al polpaccio di rimbalzo da una parte metallica dell'apparecchio, in una zona che neppure sarebbe stata coperta dai pantaloni con copertura a 180 gradi.
Di qui l'addebito di colpa.
Con il ricorso si sostiene in primo luogo che la Corte di merito non si sarebbe soffermata adeguatamente sul nesso causale.
Si sostiene ancora la pertinenza dei dispositivi di protezione assegnati ai lavoratori [pantaloni con copertura a 180 gradi], che si afferma essere stati scelti a seguito di una "sorta di sondaggio" tra i lavoratori. In proposito si argomenta che neppure l'organo di vigilanza avrebbe impartito alcuna prescrizione.
Si deduce l'imprevedibilità dell'evento, in ragione del fatto che il taglio "da terra" era comunque attività sporadica, mentre l'attività principale era quella del taglio in quota. L'imprevedibilità si argomenta anche sostenendo che l'arbusto oggetto del taglio doveva cadere nel bosco, mentre appunto imprevedibilmente era caduto sulla carreggiata.
Si prospetta comunque l'esonero da responsabilità in ragione del comportamento negligente del lavoratore, che aveva omesso di dotarsi dei mezzi di protezione.
La pena,infine, pur ridotta, era stata determinata partendo da una misura prossima al massimo edittale, senza adeguata motivazione.
All'odierna udienza il difensore del ricorrente ha richiesto escludersi la punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131- bis c.p., introdotto dal d.Lgs. 28/2015 in quanto ius superveniens

Diritto


Il ricorso è infondato.
A fronte di una duplice statuizione di condanna [la riforma ha riguardato solo il trattamento sanzionatorio] si articolano doglianze essenzialmente di merito in ordine all'apprezzamento del compendio probatorio, prospettando censure in diritto del tutto insussistenti.
La Corte territoriale ha ampiamente spiegato il confermato giudizio di responsabilità, anche confortando il necessario giudizio positivo sul nesso eziologico, spiegato comunque attraverso l'apprezzamento delle lesioni, come verificatesi, e l'omissione colpevole in punto di dotazione dei pantaloni protettivi. Il giudice si è anzi puntualmente soffermato sul fatto che solo i pantaloni con copertura a 360 gradi avrebbero protetto adeguatamente e evitato l'infortunio. Questo si sarebbe verificato finanche fossero stati indossati i pantaloni con copertura a 180 gradi, scelti - secondo la difesa- a seguito di sondaggio tra i lavoratori.
E' evidente allora l'inconferenza giustificativa di un giudizio di idoneità del mezzo di protezione siccome rimesso alla scelta volontaria dei lavoratori. E' il datore di lavoro obbligato a prescegliere i mezzi più sicuri, senza deroghe né deleghe, tantomeno in favore dei soggetti che vanno tutelati.
Certamente non ragionevolmente prospettabile è il tema dell'imprevedibilità dell'evento, rispetto ad un'attività [il taglio da terra] che non è altro che una delle modalità possibili di effettuazione del lavoro di che trattasi, anche ad ammettere che possa considerarsi quantitativamente prevalente l'attività di taglio in parete.
In tema di reati colposi, ai fini del giudizio di prevedibilità deve aversi riguardo alla idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno, non anche alla specifica rappresentazione ex ante in capo all'agente dell'evento dannoso concretamente realizzatosi (Sezione IV, 17 aprile 2013, Commissario straordinario ASL Salerno ed altri).
Ciò significa che qui non può certo discutersi di imprevedibilità, rispetto ad una modalità di condotta lavorativa perfettamente coerente con quella principale, pur se voglia ammettersene la residuante [ma certo non l'eccezionalità].
In questa ottica, è argomento inconferente quello difensivo basato sulla pretesa convinzione che l'arbusto sarebbe dovuto cadere nel bosco. Anche perché in ogni caso, anche in quel contesto, a ben vedere, il taglio sarebbe stato effettuato da terra, come nel caso di interessa, con i rischi del tutto identici.
Inaccoglibile la doglianza sulla pretesa negligenza del lavoratore.
Basta ricordare, con riflessi qui di immediato rilievo, che, in caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al datore di lavoro invocare a propria discolpa, per farne discendere l'interruzione del nesso causale (articolo 41, comma 2, c.p.), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso datore di lavoro versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l'evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo (ciò che qui è indiscutibile, per quanto detto sull'omessa fornitura dei mezzi di protezione) (cfr. Sezione IV, 25 marzo 2011, D'Acquisto).
Con l'ulteriore rilievo che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento imprudente del lavoratore infortunato realizzato nello svolgimento delle proprie mansioni e utilizzando gli strumenti di lavoro (ciò che qui è primenti non revocabile in dubbio) (Sezione feriale, 12 agosto 2010, Mazzei ed altri).
Incensurabile è anche il trattamento sanzionatorio, a fronte del resto di doglianza asseriva e generica: anche in questa sede non sono spiegati i motivi per cui il giudice avrebbe dovuto partire da una pena più bassa, dopo avere anzi riformulato in melius il trattamento sanzionatorio.
Vale ricordare che, in tema di determinazione della misura della pena, la valutazione del giudice di legittimità, in ordine all'efficacia ed alla completezza degli argomenti svolti in sede di merito, non può andare scissa dal risultato decisorio sotto il duplice profilo della pena in concreto irrogata e del giudizio globalmente espresso, come manifestazione del convincimento del giudice di merito. In questa prospettiva, la relativa motivazione può essere anche sintetica, quando le necessarie argomentazioni siano già state adeguatamente svolte dal giudice nell'esame di altri punti (Sezione VI, 9 febbraio 2010, Protasi).
Nella specie, non possono trovare ingresso doglianze rispetto ad una pena infine determinata in modo estremamente contenuto, con attenta considerazione da parte del giudice delle circostanze applicabili e delle relative riduzioni.
La richiesta afferente l'applicabilità del novum normativo di cui all'articolo 131 bis c.p. non può trovare accoglimento.
In proposito, valgono qui i principi già di recente espressi da questa Corte, secondo i quali, certamente, nell'assenza di una disciplina transitoria, la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto è applicabile anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore e, quindi, anche a quelli pendenti in Cassazione. In tale evenienza, la Corte di legittimità, deve in primo luogo considerare verificare l'astratta applicabilità dell'istituto, avendo riguardo ai limiti edittali di pena del reato. In secondo luogo, la Corte deve verificare la ricorrenza congiunta della particolare tenuità dell'offesa e della non abitualità del reato. Nell'effettuare questo secondo apprezzamento, il giudice di legittimità non potrà che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito, tenendo conto, in modo particolare, dell'eventuale presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto (Sezione III, 8 aprile 2015, n. 15449, Mazzarotto).
In effetti, qui il reato di che trattasi rientra in astratto nell'ambito di operatività dell'istituto vuoi avendo riguardo alla pena edittale , vuoi perché non rientra tra le ipotesi escluse nel comma 2, ultimo parte, dell'articolo 131 bis c.p. [ trattasi infatti di lesione personale colposa grave, e non gravissima].
Peraltro, all'accoglibilità della richiesta ostano alcuni dati emergenti dalla decisione indicativi di un apprezzamento sulla "gravità del fatto" che non consentono di ritenere astrattamente configurabili i presupposti per la non punibilità: è vero che è stata applicata la sola pena pecuniaria, previa concessione delle attenuanti generiche, ma questa è stata applicata partendo dal massimo edittale; inoltre, la connotazione della colpa addebitata al datore di lavoro, afferente la mancata fornitura ai lavoratori dei mezzi di protezione, presenta ex se profili di obiettiva rilevanza, ostativi alla astratta configurabilità della particolare tenuità.
Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 17 aprile 2015