Cassazione Penale, Sez. 4, 27 maggio 2015, n. 22389 - Responsabilità di un medico per non aver avvertito il datore di lavoro dell'inidoneità del lavoratore al sollevamento pesi


 


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Fatto


1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 24/10/2013, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Siena, in data 3/2/2012, con la quale P.G. e P.P., imputati del reato di lesioni colpose gravi, anche con violazione della normativa antinfortunistica, ai danni di M.I. (operaio alle dipendenze della soc. cooperativa agricola PAC, della quale il P.G. era responsabile per lo stabilimento di Monteriggioni e il P.P., medico, addetto al controllo delle condizioni di salute dei lavoratori), erano stati assolti perché il fatto non costituisce reato, aveva giudicato, ai soli effetti civili, il P.P. colpevole dell'ascritto reato, condannandolo al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, e ponendo a suo carico provvisionale di €. 8.000,00.
L'operaio, secondo il narrato di cui in sentenza, avendo accusato dei forti dolori alla schiena si era fatto visitare dal P.P. otto giorni prima dell'infortunio. Il 4/7/2006 il predetto operaio mentre era intento a sollevare uno scatolo del peso di circa 30 Kg., colpito da un lancinante dolore alla schiena, era caduto al suolo, procurandosi la frattura dell'apofisi trasversa della vertebra D11. Per contro il medico dell'azienda solo in data 26/9/2006 aveva inviato alla società un certificato medico che esprimeva il giudizio di "idoneità con prescrizioni" del M.I., sulla base della visita medica di cui s'è detto; prescrizioni consistenti nel divieto di movimentare manualmente pesi superiori ai 10 Kg.
2. Il P.P. propone ricorso per cassazione corredato da due articolate censure.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge, anche in relazione al principio di correlazione tra imputazione e statuizione di condanna.
Il capo d'imputazione contestava al professionista di aver violato la normativa antinfortunistica, ma ciò non era vero, siccome accertato dal Tribunale, non essendosi trattato di visita o controllo periodico e non essendo stata fornita dal lavoratore la documentazione richiesta dal medico (referto della prodotta risonanza magnetica). Invece, l'imputato era stato condannato in relazione al rimprovero di colpa generica che non gli era stato mosso.
2.1. Con il secondo motivo il P.P. deduce violazione di legge a riguardo del principio di causalità, sotto il duplice profilo del nesso tra la condotta contestata e l'evento e del nesso tra il comportamento del lavoratore e l'evento.
Inoltre si assume non essere stata acquisita una prova decisiva e, infine, il difetto di motivazione.
La Corte territoriale, equivocando, aveva fondato la propria decisione sulla dichiarazione del dott. Mi., ritenuto a torto consulente del P.M., trattandosi, invece, di un mero teste dell'allora coimputato P.G.. Peraltro, il medesimo, senza potersi pronunziare causa cognita, non avendo avuto accesso alle evidenze mediche del caso concreto, si era espresso in termini generici circa la compatibilità della frattura alla quale era andato incontro la p.o. e la caduta al suolo, escludendo, invece, che un tale evento potesse collegarsi alla sola circostanza del sollevamento del peso. Nulla, ovviamente, il teste era stato in grado di riferire sulla causa prossima o remota della sindrome dolorosa denunziata dal M.I.; né su un eventuale aggravamento della stessa provocato dalla mancata sospensione dal lavoro. La Corte di merito, attraverso aveva, in definitiva, ritenuto che la mancata sospensione avesse aggravato il sintomo e che il dolore avesse provocato la caduta, pur non essendovi prova che al momento della visita il M.I. presentasse una qualche patologia della colonna vertebrale.
Sarebbe occorso effettuare una perizia medica, ingiustamente negata in primo grado, così essendosi registrata la mancata assunzione di una prova decisiva.

Diritto


3. Il primo motivo è infondato. Il capo d'imputazione, senza ombra di dubbio, addebita, fra l'altro, all'imputato di essere incorso in colpa generica, omettendo quello che avrebbe dovuto essere il comportamento doveroso (avvertire immediatamente il datore di lavoro che le condizioni fisiche del lavoratore, già sulla base di una prima, sia pure provvisoria, diagnosi, erano tali da sconsigliarne impiego in attività che implicassero sollevamento di pesi di una certa consistenza), che era stata causa delle lesioni patite dalla p.o.
4. Proprio quanto sopra osservato rende palesemente non condivisibile l'asserto afferente al nesso di causalità. Se il professionista avesse segnalato la condizione di sofferenza del lavoratore con le relative prescrizioni, il datore di lavoro non lo avrebbe adibito a quelle mansioni pesanti che ne avevano causato la caduta.
Quanto, poi, alla correlazione tra la caduta e le lesioni basterà osservare che il trauma conseguito appare del tutto consequenziale e, sul punto, non vengono mossi apprezzabili critiche al narrato dalla p.o. Né, la circostanza che un tale giudizio venga ribadito dal dott. Mi., consulenti dell'altro imputato, piuttosto che del P.M., muta i termini della questione, non essendovi ragioni per pregiudizialmente giudicare inattendibile un consulente di una parte piuttosto che di un'altra, senza l'apporto di alcuno specifico e puntuale convincente argomento. Sul punto è, inoltre, appena il caso di soggiungere che l'ipotesi prospettata dal ricorrente secondo la quale la lesione avrebbe potuto essere messa in diretta correlazione con il sollevamento del peso, piuttosto che con la caduta, seguita alla fitta lancinante di dolore, è priva di senso: in un caso o nell'altro, infatti, la colpa del medico resta ferma. Infine, costituisce un mero sospetto congetturale l'affermazione secondo la quale era dubbia la fonte del dolore che affliggeva la p.o. Dall'istruttoria, infatti, emerge che il M.I., da tempo, lamentando dolore alla schiena, chiedeva di essere addetto ad attività lavorativa compatibile con il suo stato di salute (teste P., responsabile del reparto) e proprio per questo si era recato a visita presso il medico dello stabilimento, il quale, dopo un esame piuttosto superficiale (a suo stesso dire), in attesa di ricevere il referto dell'immagine della risonanza magnetica prodotta dal lavoratore, aveva assai tardivamente, e ad incidente oramai verificatosi, impartito la prescrizione di cui s'è detto. Prescrizione che ben avrebbe dovuto impartire immediatamente, non avendo nel tempo trascorso acquisito alcun implemento diagnostico. Infine, vai la pena ricordare, che il tecnico u.p.g. sentito dal Giudice ha chiarito che la movimentazione manuale di un peso di trenta chilogrammi, specie in condizioni di bassa temperatura (trattavasi di scatola conservata in ambiente refrigerato), costituiva specifico rischio di lesioni dorso-lombari.
5. Al rigetto del ricorso consegue il pagamento delle spese processuali e il rimborso di quelle legali in favore della parte civile, che, viste la notula, si liquidano nella misura giudicata di giustizia, di cui in dispositivo.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per questo giudizio di cassazione liquidate in €. 2.500,00 oltre accessori come per legge.