Categoria: Giurisprudenza civile di merito
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Tribunale di Firenze, Sez. Lav., 20 gennaio 2015, n. 67 - Danno alla «capacità lavorativa specifica»: va provata l'effettiva contrazione di reddito


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE
SEZIONE LAVORO

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Nicoletta Taiti ha pronunciato la seguente
SENTENZA


nella causa di I Grado iscritta al n. r.g. 3856/2010 promossa da:
PA.LA. (...), con il patrocinio dell'avv. VA.LU., elettivamente domiciliato in, presso il difensore avv. VA.LU.
Parte ricorrente
contro
BA. F.LLI SNC (C.F.), con il patrocinio dell'avv. CE.EN., elettivamente domiciliato in VIA (...) 50121 FIRENZE, presso il difensore avv. CE.EN.
Parte resistente


CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE


Parte ricorrente - premesso di avere subito un infortunio sul lavoro in data 27.5.2008, quando si trovava al lavoro alla macchina scorniciatrice, subendo una semiimputazione del braccio destro per mancato funzionamento dei dispositivi di autofrenatura - ha chiesto al Tribunale di accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità della Ditta Ba. snc nella causazione dell'infortunio del 27.5.2008 da lui subito, dichiarando la medesima ditta tenuta al pagamento nei suoi confronti dell'importo di Euro 442.117,40, o della diversa somma di giustizia, anche a seguito di Ctu medico -legale, e comunque ritenuta di giustizia secondo il prudente apprezzamento del Giudice, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Con vittoria di spese di lite.
Si è costituita la Ditta Ba. snc che ha concluso per il rigetto di tutte domande azionate nei suoi confronti da Pa.La., con vittoria di spese di lite.
Effettuata istruttoria orale e documentale; ammessa consulenza tecnica medico - legale (dott. Pa.Ro.); concesso termine per note, all'odierna udienza la causa è stata discussa e decisa con dispositivo di sentenza e contestuale motivazione pubblicamente letto.
Si danno qui per riportate le analitiche argomentazioni in fatto e in diritto poste da ciascuna parte a fondamento dei propri assunti.
Nel presente procedimento deve accertarsi se sussista una responsabilità della parte convenuta nell'infortunio per cui è causa, al fine di accertare la sussistenza di un eventuali danno differenziale rispetto a quanto già liquidato dall'Inail, a titolo di indennizzo.
Invero, ai sensi dell'art. 10 D.P.R. n. 1124/1965, l'assicurazione prevista e disciplinata dal medesimo D.P.R. esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro, precisando al contempo che - nonostante l'assicurazione predetta - permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato. Secondo tale normativa inoltre non si fa luogo a risarcimento quando il giudice riconosce che questo non ascende a somma maggiore dell'indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato e ai suoi aventi diritto. Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma dell'art. 66 e ss., medesimo DPR.
Successivamente è intervenuto l'art. 13 del D.l.vo n. 38/2000, secondo cui "in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come la lesione all'integrità psicofìsica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona....".
Si è poi precisato (Cass. Sez. lav. n. 10834/2010) che "in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell'azione risarcitoria di quest'ultimo al cosiddetto danno differenziale, nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale (a norma dell'art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965 e delle inerenti pronunce della Corte costituzionale), riguarda solo le componenti del danno coperte dall'assicurazione obbligatoria, la cui individuazione è mutata nel corso degli anni", distinguendosi tra fattispecie sottratte, "ratione temporis", all'applicazione dell'art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000, per le quali la suddetta limitazione riguarda solo il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica, e non si applica al danno non patrimoniale (ivi compreso quello alla salute o biologico) e morale per i quali continua a trovare applicazione la disciplina antecedente al D.Lgs. n. 38 del 2000 che escludeva la copertura assicurativa
obbligatoria e quelle fattispecie post D.l.vo citato (come quella per cui è causa), per le quali sussiste la copertura di tali tipi di danno.
Ciò premesso, emerge in fatto che il ricorrente ebbe a subire l'infortunio per cui è causa mentre si trovava alla macchina scorniciatrice, alla quale lavorava (per sue stesse dichiarazioni) da circa un ventennio: tale macchina veniva usata per produrre i manici delle scope in legno ed era caratterizzata da un ingranaggio effettuato da una serie di pialle rotanti.
Dal complesso dei documenti in atti, con particolare riferimento al verbale dell'Asl, al foglio Asl di prescrizioni, alla comunicazione dell'Asl di notizia di reato è dato evincere che, al momento dell'infortunio, la scorniciatrice aveva il dispositivo di frenatura del 1 albero orizzontale inferiore, dove è montato l'utensile circolare denominato pialla, non funzionante, tale da non permettere l'immediato arresto della rotazione quando si disattivava il macchinario. Inoltre, il dispositivo di sicurezza, inseribile mediante chiave di comando posto sul quadro, che permetteva l'arresto del macchinario quando si apriva la cabina predisposta per limitare la propagazione del rumore, era risultato non funzionante; sotto tale profilo, era possibile avviare il normale ciclo di lavoro senza avere preventivamente chiuso la cabina (pertanto, all'esito di tali indagini, l'Asl aveva dato alla ditta convenuta una serie di prescrizioni, nel senso di ripristinare il sistema di frenatura del 1 albero nonché i dispositivi di sicurezza che permettevano l'arresto immediato quando veniva aperta la cabina di insonorizzazione).
Nella comunicazione di notizia di reato dell'Asl si dà atto che, al momento in cui si era verificato l'intasamento del sistema aspiratore, il ricorrente aveva arrestato la macchina con il relativo tasto di emergenza per potere liberare il condotto intasato; aveva sollevato il portellone della cuffia di insonorizzazione per accedere alla tubazione di aspirazione che si trova sotto la pialla rotante; aveva rimosso il carter a protezione e quindi aveva inserito il braccio, credendo che la pialla si fosse arrestata dato che era trascorso circa un minuto dall'arresto macchina. Invece, la rotazione della pialla era ancora in corso, in quanto pur avendo azionato il comando di emergenza che ferma tutti gli organi in movimento, questi perduravano nella rotazione per qualche minuto se non interveniva nessun meccanismo di frenatura; il tutto, senza che il La. si accorgesse che la pialla era ancora in movimento. L'Asl aveva accertato inoltre che, di norma - quando si arrestava la macchina con il tasto di emergenza - intervenivano i motori autofrenanti che fermano in uno, due secondi tutte le pialle. Facendo varie prove, l'Asl aveva acclarato che i tempi di arresto erano invece oscillati dai 31 secondi al minuto (a riprova del mancato funzionamento) e che non era neppure facilmente accertabile da parte del ricorrente l'arresto o meno della pialla data l'elevata velocità della stessa, 6.000 giri al minuto (così dalla comunicazione notizia di reato basata appunto sugli accertamenti Asl).
Nel decreto di citazione a giudizio, si imputava al datore di lavoro il reato di cui all'art. 590, 1 comma, n. 1 cp, di avere causato una lesione personale (subamputazione braccio destro), con malattia superiore ai 40 giorni, in violazione dell'art. 71 comma 4, per avere permesso l'uso della scorniciatrice superset/puls matricola (...) avente il dispositivo di frenatura del 1 albero orizzontale inferiore, dove è montato l'utensile denominato pialla, non funzionante, tanto da non permettere l'immediato arresto della rotazione quando si disattiva il macchinario.
Infine, con sentenza n. 2197/2010, il Tribunale di Firenze, Sezione distaccata di Empoli, emessa ex art. 444 cpp, veniva condannato il datore di lavoro alla pena di mesi 9 di reclusione. L'esame degli atti consente di ritenere indubbio il fatto del malfunzionamento (come dedotto dagli accertamenti Asl e dichiarato dal teste Ma.Ba.). Deve invece accertarsi se tale mantenimento possa imputarsi o meno a condotta negligente del datore di lavoro, se vi era una procedura particolare che, se attivata, avrebbe consentito di evitare il danno prodottosi al ricorrente; se questi era stato sufficientemente istruito e formato all'uso della macchina.
Il datore di lavoro assume invero di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, garantendo la manutenzione del macchinario e quindi la sua sicurezza (del resto il lavoratore non aveva segnalato pregressi malfunzionamenti); rilevando che il ricorrente non aveva seguito la procedura corretta: in particolare, nella fase di smontaggio del carter, l'addetto al macchinario doveva agire in posizione inginocchiata; una volta rimossa la protezione, infatti, la pialla si sarebbe posta in posizione corrispondente al volto, si che da quella posizione si aveva la piena visibilità del meccanismo e quindi si poteva notare se lo stesso fosse ancora in rotazione. Inoltre, il datore di lavoro aveva messo a disposizione dell'addetto la pistola aspirante e un'asta per rimuovere gli intasamenti. Circa l'attività di manutenzione, si osserva che le fatture del novembre 2007 e del gennaio 2008 (attestanti riparazioni varie), non costituiscono prova sufficiente che il sistema frenante fosse stato controllato e debitamente monitorato. Invero, il datore di lavoro avrebbe dovuto allegare e dimostrare specificamente se c'erano o meno controlli periodici obbligatori, se gli stessi erano stati attuati: dalle fatture in questione si evince varie tipologie di interventi riparatori o di acquisto di materiale vario, ma trattasi di interventi effettuati su macchinari di vario tipo (non solo sulla scorniciatrice, ma anche sulla saldatrice, sulla fasciatrice ecc). Relativamente poi al macchinario su cui operava il ricorrente, dalle fatture si evincono interventi relativi "all'aggiustamento guida", alla dotazione di pattini in polidur, all'aggiustamento fusione, ma tali tipi di intervento effettuati non garantiscono che era stato fatto un controllo su tutto il macchinario, compreso il sistema autofrenante.
Quanto all'avere impartito la necessaria formazione al lavoratore sull'uso della macchina, nel verbale di inchiesta di infortunio, Domenico Ba. confermava di non avere mai fatto fare al ricorrente un corso specifico sui rischi della macchina cui era addetto il La., anche perché - a suo dire - la macchina era relativamente nuova e quindi più aggiornata e meno rischiosa. Anche relativamente alla procedura di accesso al macchinario in sede di rimozione del carter, non è stata data dimostrazione che fossero stati impartiti insegnamenti specifici di accedere alla stessa in posizione inginocchiata (per una migliore visibilità) e poi di rimuovere l'intasamento con una pistola ad aria, come testimoniato dal teste Marco Ba. in giudizio. Né appare sufficiente, ai fini della sussistenza di una specifica formazione, il fatto che, quando la macchina fu portata in azienda nel 1999, i tecnici avessero spiegato proprio al teste e al ricorrente il suo funzionamento (ma non necessariamente le procedure di sicurezza). Per contro, il fatto che il teste Iu. abbia confermato la circostanza che, in presenza di un intasamento, si può usare l'aria compressa o un'asta in caso di non risoluzione del problema (procedura che il teste adottò da subito quando iniziò ad operare sulla scorniciatrice) non è decisivo, dal momento che lo Iu. prese possesso del macchinario in sostituzione del La. (e dunque all'indomani dell'infortunio), si che è evidente che dopo il sinistro la ditta abbia preso le sue cautele anche formative, tanto che al teste fu consegnato un libro relativo alla esatta procedura. Peraltro, la mancata formazione (sebbene riferita alla sua persona) è stata confermata anche dal teste Dama che operava su una macchina similare alla scorniciatrice (cioè che produceva manici per scope in legno).
Ad avviso del Tribunale, pertanto, non appare rinvenibile una condotta imprudente del ricorrente il quale confidava nell'automatico funzionamento del sistema frenante, a nulla rilevando che lo stesso non ebbe a controllare se le pialle fossero o meno in movimento (secondo il Ba., il ricorrente - al momento in cui inserì il braccio - aveva lo sguardo rivolto verso di lui che sopraggiungeva). Pertanto, può affermarsi che la convenuta non ha assolto all'onere probatorio di avere fatto tutto quanto il possibile per evitare il danno: onere probatorio in capo al medesimo datore di lavoro, stante la natura contrattuale della responsabilità ex art. 2087 c.c.
In merito alla liquidazione dei danni non patrimoniali, si è ritenuto che "il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale" (Cass. n. SS. UU. n. 26972/2008). Ne consegue che il danno morale (che il ricorrente richiede) deve ritenersi ricompreso nel danno biologico subito (quale lesione all'integrità fisica permanente e temporanea).
Con riferimento a tale ultimo tipo di danno, il Ctu dott. Pa.Ro. (che si doveva pronunciare solo sulla quantificazione del danno, indubbia la sussistenza del nesso di causalità) ha ritenuto che " i postumi sono efficacemente rappresentati dalla voce 233 delle tabelle INAIL per il danno biologico: "perdita totale dell'avambraccio, a seconda dell'applicazione di protesi efficace", dal lato dominante 50 - 55%; si tratta di tabelle direttamente valide solo in ambito INAIL ma di rilievo anche in ambito più generale data la configurazione del danno biologico indennizzabile dell'INAIL. E' simile il barème di Bargagna et al. ((...) per la Valutazione del Danno Biologico. 3 edizione. Gi., Milano, 2001), appropriatamente citato da parte ricorrente perché disegnato apposta per danni da responsabilità civile: "amputazione di un braccio al terzo medio o di un avambraccio", dal lato dominante 55%, con oscillazioni entro 5 punti percentuali per lo stato del moncone e la possibilità di applicazione di protesi. E' da sottolineare che la protesi funzionale è di limitata (ancorché, non assente) efficacia. Tenendo conto di tutte le possibili ripercussioni del danno biologico e degli elementi favorevoli e sfavorevoli della fattispecie, è ragionevole valutare il danno complessivo nella misura del 55%, ai fini del risarcimento da responsabilità civile. Non vi sono documenti di malattia psichica in atto. Per il passato vi è un accenno anamnestico senza documentazione medica, in parte plausibile come reazione acuta alla mutata condizione anatomica e da considerare riassorbita nell'inabilità temporanea, in parte da attribuire a vicende private intercorrenti e indipendenti dai fatti di causa".
Ne consegue che il danno permanente (stimato al 55%) è costituito dalla sola menomazione fisica, mentre non vi sono attestazioni di ripercussioni psichiche in atti (la relazione prodotta dal ricorrente con le note finali è da considerarsi inammissibile per tardività).
Il danno biologico temporaneo è stato invece stimato dal Ctu in una durata complessiva di 155 giorni, da considerare ripartiti in 75 giorni, di inabilità temporanea totale; e in successivi 80 giorni, di inabilità temporanea parziale al 75%.
Ne consegue che, effettuato il calcolo secondo le tabelle del Tribunale di Milano, rivalutate al 2014, si calcola per invalidità permanente l'importo di 6 433.999,00, con personalizzazione al 25%, atteso che il braccio interessato era quello destro, per un totale di Euro 542.499,00; per l'inabilità temporanea, considerato un importo di 6 120,00 giornaliere (la forbice è di 6 96,00- Euro 145,00), si determina l'inabilità totale (75 giorni), per l'importo di Euro 9.000,00; per inabilità temporanea relativa (80 giorni al 75%), l'importo di Euro 7.200,00, per l'importo complessivo di Euro 558.699,00.
Da tale importo deve scomputarsi il valore della rendita capitalizzata al 2.7.2014 per 6 309.348,25 (come risultante dalla comunicazione Inail) nonché l'acconto di Euro 100.000,00 già corrisposto dal datore di lavoro.
Ne consegue che l'importo finale da corrispondersi è pari a Euro 149.350,75, oltre interessi e rivalutazione.
Quanto al danno alla capacità lavorativa specifica, si osserva come tale danno sia distinto e diverso dal danno alla capacità lavorativa generica: mentre questo consiste nella sopravvenuta inidoneità del soggetto danneggiato allo svolgimento delle attività lavorative che, in base alle condizioni fisiche, alla preparazione professionale e culturale, sarebbe stato in grado di svolgere (ed è pertanto riconducibile nella sfera del danno biologico), il danno alla capacità lavorativa specifica si riflette sul piano reddituale. In sostanza, esso consiste nella contrazione dei redditi subita dall'infortunato che non è più in grado di percepire quel reddito o di aspirare alla percezione di quel reddito, circostanza che vanno tutte allegate e dimostrate, non sussistendo automatismi di sorta.
In particolare, si è ritenuto che "fra lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non sussiste alcun rigido automatismo. Ne consegue che in presenza di una lesione della salute, anche di non modesta entità, non può ritenersi ridotta in egual misura la capacità di produrre reddito, ma il soggetto leso ha sempre l'onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l'invalidità permanente abbia inciso sulla capacità di guadagno" (Cass. sez. lav. n. 10031/2006; 23761/2011; 23468/2014).
Nella specie, il ricorrente non ha provato in che termini l'invalidità abbia inciso sulla sua capacità di guadagno, limitandosi a calcolare il danno facendo riferimento al periodo non lavorato dal luglio 2008 al settembre 2010, alla luce delle risultanze delle buste paga e delle dichiarazioni dei redditi. In realtà il ricorrente avrebbe dovuto provare l'effettiva contrazione di reddito, costituito dalla differenza tra quanto percepiva e quanto avrebbe potuto percepire svolgendo altro lavoro; non può poi non tenersi in conto (ed è circostanza incontestata e comunque provata dalla deposizione del teste Ba.) che al ricorrente fu proposto di continuare a svolgere attività lavorativa dopo l'infortunio e che l'offerta in questione era stata rifiutata. La domanda sul punto va pertanto rigettata.
In definitiva, si provvede come da dispositivo.
Le spese di lite (liquidate ex DM n. 55/2014, previa compensazione di un terzo per la soccombenza su una domanda risarcitoria) e le spese di consulenza tecnica, come liquidate in separato decreto, sono a carico di parte ricorrente, così come le spese effettuate per l'attività dell'interprete svolta durante l'assunzione di prova per testi, da liquidarsi a seguito di presentazione della relativa istanza da parte del medesimo interprete.

P.Q.M.


Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni istanza e eccezione assorbita, così provvede: condanna Ba., S.r.l. al pagamento in favore di Pa.La. della somma complessiva di 6 149.350,75, oltre interessi e rivalutazione;
compensa in ragione di un terzo le spese di lite e condanna Ba. S.r.l. al pagamento del residuo che liquida in Euro 8.133,00, oltre 15% per spese generali, oltre Iva e Cap come per legge nonché al pagamento delle spese per la consulenza tecnica e per l'attività dell'interprete, come liquidate in separati decreti.
Sentenza resa ex articolo 429 c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale.
Così deciso in Firenze il 20 gennaio 2015.
Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2015.