Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 22 giugno 2015, n. 26267 - Infortunio mortale a causa dell'assenza di parapetti e obblighi del responsabile per la sicurezza del cantiere. Responsabilità del medico del pronto soccorso


 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: ZOSO LIANA MARIA TERESA Data Udienza: 22/04/2015



Fatto


1. B.M. e M.A.L.erano tratti al giudizio innanzi al tribunale di Foggia per rispondere del reato di cui agli articoli 113, 589 e 590 cod. pen. perché, in cooperazione colposa tra loro e nelle rispettive qualità di datore di lavoro e responsabile per la sicurezza del cantiere, per colpa consistita nel non aver attuato le misure di sicurezza previste dall'articolo 27 del d.p.r. numero 547/55, ed in particolare nell'aver omesso di garantire la doverosa sicurezza del posto di lavoro, consentendo che i balconi del cantiere edile fossero sprovvisti di regolamentari parapetti verso i lati esterni ai sensi dell'articolo 26 del citato decreto, cagionavano a C.V.N. lesioni personali gravissime alla colonna vertebrale consistite in plurime fratture vertebrali nonché in lesioni traumatiche del rene sinistro produttive di ematoma retro peritoneale e plurime fratture costali di sinistra produttive di emotorace dalle quali derivava la morte dell'infortunato in Omissis l' 8 agosto 2001.

C.R. veniva tratto a giudizio per il reato di cui all'articolo 589 cod. pen perché, per imprudenza e imperizia, cagionava la morte di C.V.N. per shock ipovolemico causato dalle imponenti lesioni traumatiche del rene sinistro produttive di ematoma retroperitoneale e dalle plurime fratture costali di sinistra, produttive di emitorace. In particolare, nella sua qualità di medico che subentrava nel servizio di pronto soccorso, prendendo, così, in carico il paziente C.V.N., non predisponeva e comunque non verificava adeguatamente i necessari accertamenti diagnostici riguardanti la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, i risultati degli esami di laboratorio, le condizioni emodinamiche; non predisponeva, non richiedeva e comunque non verificava adeguatamente, in vista delle successive determinazioni inerenti il paziente, a fronte dell'esame radiologico effettuato che segnalava diffuso ispessimento a livello dello spazio pararenale posteriore di sinistra, un esame TAC completo; all'imputato era altresì ascritto di non aver adeguatamente richiesto, predisposto e comunque verificato al momento della sottoscrizione del referto ed in vista delle sue determinazioni, una consulenza chirurgica generale per l'adeguata valutazione del quadro addominale di C.V.N..
Il tribunale di Foggia, con sentenza emessa l'11 novembre 2009, dichiarava B.M. e M.A.L. colpevoli limitatamente al delitto di lesioni colpose e condannava B.M. alla pena di un mese di reclusione e M.A.L. alla pena di euro 100,00 di multa nonché entrambi al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede in favore di ciascuna delle parti civili, concedendo una provvisionale immediatamente esecutiva. Con la medesima sentenza assolveva i predetti imputati ed il medico C.R. dal reato di cui all'articolo 589 cod. pen. perché il fatto non sussiste.
2. Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello sia i difensori degli imputati condannati sia il difensore delle parti civili costituite. I primi due chiedevano l'assoluzione ed il terzo l'affermazione della responsabilità civile per colpa professionale del medico assolto in primo grado.
La corte d'appello di Bari, con sentenza in data 30 settembre 2013, riformava la sentenza del tribunale di Foggia dichiarando non doversi procedere nei confronti di B.M. e M.A.L. nonché di C.R. in ordine al reato per il quale vi era stata condanna, in quanto estinto per prescrizione, confermando le relative statuizioni civili; condannava C.R. al risarcimento dei danni in favore delle parti civili da liquidarsi in separata sede e condannava tutti gli imputati a rifondere alle parti civili costituite le spese di difesa tecnica nonché C.R. in solido con B.M. e M.A.L. a rifondere alle parti civili le spese di difesa tecnica del primo grado di giudizio.
Con riguardo agli imputati B.M. e M.A.L., rilevava la corte d'appello che il C.V.N. era caduto nel vuoto mentre stava effettuando lavori di pitturazione di un cornicione poiché il parapetto del balcone non era stato saldato fermamente al muro sicché, pur ipotizzando che il lavoratore fosse caduto perché aveva rimosso il predetto parapetto, tale comportamento anomalo non avrebbe potuto essere attuato nel caso in cui il parapetto stesso fosse stato saldamente ancorato al muro. Con riguardo all'imputato C.R., rilevava la corte d'appello che il paziente era stato ricoverato presso il pronto soccorso dell'ospedale di Omissis alle 12:45 ed, a tal punto erano stati chiesti esami di laboratorio e radiologici nonché un'ecografia addominale. Effettuati i necessari accertamenti nel reparto di radiologia, era stata evidenziata la presenza di frattura delle vertebre con diffuso ispessimento a livello dello spazio pararenale posteriore di sinistra. Mentre il paziente si trovava in radiologia era sopravvenuto un collasso cardiocircolatorio ed erano stati allertati gli anestesisti rianimatori dottori D.L. e M. i quali erano intervenuti ed avevano ristabilito le condizioni della vittima. Verso le 14:20 il paziente era stato dimesso dalla radiologia ed affidato alle cure del dottor C.R., medico in servizio dalle 14:00 presso il pronto soccorso, con quattro indicazioni diagnostiche precise tra cui una consulenza chirurgica ed una TAC del rachide dorso lombare, solo all'esito delle quali era stato consigliato il trasferimento presso il reparto di neurochirurgia per curare le accertate lesioni spinali. Tuttavia il C.R., omettendo di compiere gli specifici accertamenti richiesti dagli altri specialisti intervenuti in precedenza, aveva deciso inopinatamente di dare priorità all'ormai irreversibile lesione midollare ed aveva trasferito il paziente presso l'ospedale di San Giovanni Rotondo dove questi era giunto cadavere in conseguenza della grave emorragia causata dalle lesioni al rene sinistro, come dimostrato dall'autopsia. Il giudice di primo grado aveva assolto l'imputato sulla base delle dichiarazioni rese dai dottori D.L. e M., i quali avevano eseguito la stabilizzazione del paziente dopo il suo collasso cardiocircolatorio ed avevano riferito in dibattimento di aver suggerito al dottor C.R. di chiamare il dottor L. per eseguire una consulenza chirurgica. I testi avevano riferito di aver incrociato il chirurgo mentre si recava al pronto soccorso e che egli avrebbe loro rivolto la domanda " che vuole C.R. da me ?". Da ciò il giudice di primo grado aveva tratto la conclusione che l'imputato avesse adempiuto alle prescrizioni degli altri sanitari disponendo la consulenza chirurgica affidata al dottor L. in alternativa ad una TAC più approfondita, e solo all'esito della consulenza avesse deciso di trasferire il paziente presso il reparto di neurochirurgia dell'ospedale di San Giovanni Rotondo. Tuttavia, rilevava la corte d'appello, le dichiarazioni rese in dibattimento dai dottori D.L. e M. non erano utilizzabili in quanto il giudice di primo grado non aveva disposto l'audizione del teste L., rigettando la richiesta formulata sul punto dalla difesa della parte civile, ed era così incorso nel divieto di utilizzare le dichiarazioni de relato rese dai due medici posto dall'articolo 195, comma 3, cod. proc. pen.. Perciò non vi era prova alcuna che il dottor C.R. avesse disposto una consulenza chirurgica e che solo all'esito di essa avesse deciso di avviare il paziente al reparto di neurochirurgia dell'Ospedale di San Giovanni Rotondo. Peraltro i consulenti del pubblico ministero avevano correttamente sottolineato la grave negligenza professionale del dottor C.R., il quale aveva condotto a prematura morte il paziente, tenuto conto che, dopo i primi rilievi diagnostici, il radiologo aveva rimandato il paziente al pronto soccorso con espressa segnalazione di un diffuso ispessimento a livello dello spazio pararenale posteriore di sinistra ed il dottor C.R. non aveva ritenuto opportuno disporre una TAC esplorativa dei reni e dello spazio retroperitoneale per accertare ed escludere eventuali lesioni degli organi retroaddominali. Inoltre i consulenti avevano convincentemente affermato che le lesioni ossee vertebrali midollari del paziente non erano tali da mettere il medesimo in imminente pericolo di vita e che era stata, invece, la grave lesione renale sinistra ad assumere rilevanza causale assoluta nella genesi dello shock ipovolemico che aveva condotto a morte il C.V.N..
3. Avverso la sentenza della corte d'appello proponevano ricorso per cassazione C.R. e M.A.L. .
4. C.R. svolgeva quattro motivi di doglianza.
4.1 Con il primo motivo deduceva violazione di legge per aver la corte d'appello escluso l'utilizzabilità delle dichiarazioni dei dottori D.L. e M. circa l'ingresso del dottor L. nel reparto del pronto soccorso del nosocomio di Omissis. Invero il divieto di cui all'articolo 195 cod.proc.pen. avrebbe potuto riguardare le dichiarazioni rese dal L. ai testi ma non già il fatto di averlo visto recarsi al pronto soccorso. Quindi la corte d'appello aveva errato nel ritenere che non sussistesse prova alcuna che il dottor C.R. avesse disposto una consulenza chirurgica.
4.2. Con il secondo motivo deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la corte d'appello aveva sovvertito il giudizio di primo grado omettendo di valutare il compendio probatorio già valutato dal giudice di prime cure prediligendo ingiustificatamente e illogicamente le sole deposizioni dei consulenti del pubblico ministero dottor T. e A.. La corte d'appello non aveva considerato gli altri elementi a discarico, quali la deposizione del dottor D.L. il quale aveva affermato che era necessario trasferire il paziente in neurochirurgia perché una delle complicanze maggiori della sezione midollare era l'emorragia che poteva estendersi e quindi il paziente sarebbe potuto morire se non mandato subito in una sezione di neurochirurgia. Inoltre andava considerato che, dopo l'intervento dei medici rianimatori, le condizioni emodinamiche del paziente si erano ristabilite completamente sicché il trasferimento nel reparto di neurochirurgia più vicino risultava essere la scelta più opportuna. Inoltre non aveva tenuto conto la corte d'appello che le indicazioni poste al dottor C.R. erano due, o la ripetizione della TAC completa oppure la richiesta di consulenza ad opera del chirurgo. L'imputato aveva optato per la consulenza ad opera del chirurgo e tanto bastava per affermare che egli avesse tenuto un comportamento diligente.
4.3. Con il terzo motivo deduceva violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui era stato ritenuto sussistente l'elemento della colpa in capo all'imputato. Invero la TAC era stata eseguita ed il diffuso ispessimento era stato riscontrato sicché il doveroso comportamento alternativo lecito, ossia l'effettuazione della TAC, non era più necessaria ed era bastevole la mera consulenza chirurgica. Erano stati effettuati la visita completa del paziente ed i rilievi pressori; inoltre era stata diagnosticata una lesione midollare con l'indicazione di un ricovero in neurochirurgia; l'ematocrito era basso e, quindi non tale da destare particolare allarme. Dunque la decisione di trasferimento del paziente presso la neurochirurgia dell'Ospedale di San Giovanni Rotondo costituiva in quel momento la scelta più rispondente alla diligenza operativa esigibile dal medico di pronto soccorso.
4.4. Con il quarto motivo deduceva violazione di legge e vizio di motivazione per non essere stata considerata l'insussistenza del nesso di causalità tra l'omissione e l'evento morte in violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen.. Ciò in quanto, quand'anche fosse stata eseguita una TAC completa e fosse stata constatata la lesione grave al rene sinistro, non era provato che si sarebbe potuto attuare un intervento con efficacia salvifica, tenuto conto dei tempi ristretti dell'emergenza. La corte d'appello avrebbe dovuto accertare l'effettiva efficacia condizionante della condotta che avrebbe dovuto trovar luogo, e che non era stata eseguita, onde fondare il giudizio di colpevolezza oltre che su sufficienti leggi di copertura scientifica anche sulle più specifiche contingenze della concreta fattispecie. Infine non era stato tenuto conto degli altri fattori causali poiché al paziente erano stati diagnosticati non solo la lesione renale ma anche altri traumi determinanti l'evento morte, quali il trauma toracico.
Con memoria contenente motivi aggiunti depositata il 7.4.2015 il ricorrente deduceva, altresì, vizio di motivazione derivante da travisamento della prova in quanto la corte d'appello aveva erroneamente ritenuto che la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria a mezzo dell'audizione del teste L. fosse derivata dalla parte civile e non già dall'imputato.
5. M.A.L.  svolgeva due motivi di ricorso.
5.1. Con il primo motivo deduceva violazione di legge e vizio di motivazione per avere la corte d'appello optato per la pronuncia estintiva del reato per prescrizione rinunciando a una valutazione nel merito dei fatti contestati e scartando a priori la possibilità di addivenire a una pronuncia assolutoria nel merito.
5.2.Con il secondo motivo deduceva vizio di motivazione derivante da travisamento della prova in ordine alla ricostruzione della dinamica dell'infortunio in quanto la corte d'appello aveva ritenuto che l'infortunato fosse caduto perché non era stata predisposta la protezione del balcone esterno idonea a prevenire il rischio di caduta dell'operatore; sennoché l'infortunato aveva rimosso la protezione per raggiungere l'appartamento di fianco evitando, così, di dover scendere e salire le scale. Tale comportamento si configurava come un'azione abnorme dell'infortunato che determinava la cesura del rapporto di causalità tra l'omissione ascritta all'imputato e l'evento verificatosi.

Diritto


6. Osserva la corte che il primo motivo di ricorso proposto da C.R. è fondato. Invero si legge nella sentenza di primo grado che i consulenti del pubblico ministero hanno indicato due comportamenti corretti esigibili dall'imputato, consistenti o nell'esecuzione di una TAC o nel richiedere una consulenza chirurgica. Orbene, la corte d'appello ha ritenuto non sia stata raggiunta la prova che il dott. C.R. aveva richiesto la consulenza chirurgica in considerazione del fatto che non era utilizzabile, a norma dell'art. 195, comma 3, cod. proc. pen., quanto riferito dal dott. D.L., medico rianimatore che era intervenuto assieme alla dottoressa M. presso il reparto radiologico ove si trovava il C.V.N. al fine di rianimarlo, ovvero di avere incontrato il dott. L. mentre si recava presso il pronto soccorso, di averlo udito dire " che vuole C.R. da me ? ", e di aver risposto " Vai a vederlo che c'è un politrauma ". La corte d'appello ha ritenuto l'inutilizzabilità delle dichiarazioni in quanto non era stata disposta l'audizione del teste L..
Sennonché l'inutilizzabilità prevista dall'art. 195, comma 3, cod. proc. pen. riguarda le sole dichiarazioni relative a fatti di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone e non i fatti da lui direttamente percepiti o le frasi da lui pronunciate.
Ne consegue che sono utilizzabili le deposizioni dei testi D.L. e M. laddove questi hanno dichiarato di aver incontrato il dott. L. mentre stavano andando via dal pronto soccorso e questi vi entrava, come pure è utilizzabile la deposizione del teste D.L. laddove egli ha dichiarato di aver invitato il dott. L. a visitare un politraumatizzato. La corte d'appello avrebbe dovuto, quindi, considerare il contenuto intrinseco delle citate deposizioni ai fine di valutare se il dott. C.R. avesse posto in essere uno dei comportamenti corretti da lui esigibili.
7. Il secondo motivo di ricorso è parimenti fondato. Invero la corte d'appello ha omesso di motivare in ordine alla possibile insorgenza della emorragia conseguente alla sezione midollare indicata dal teste D.L. come una delle possibili complicanze da lui considerate tanto da averlo indotto a dimettere il C.V.N. dal suo reparto alle ore 14.20 con quattro richieste( Rx torace, Eco addome, Consulenza chirurgica e TAC rachide dorso lombare ) ed il consiglio di trasferire il paziente in neurochirurgia. Ha omesso la corte d'appello di valutare se, secondo un giudizio ex ante e tenuto conto dei riscontrati valori emogasanalitici nonché degli altri accertamenti eseguiti ( compresa, eventualmente, la consulenza chirurgica ), avrebbe potuto ritenersi l'attualità del rischio derivante dalla emorragia conseguente alla sezione midollare.
8. Il terzo motivo di ricorso rimane assorbito in quanto l'esame delle questioni sulle quali la corte territoriale ha omesso di soffermarsi conduce ad individuare quale fosse il comportamento lecito richiedibile al dott. C.R..
9. Il quarto motivo di ricorso è fondato.
La corte di legittimità ha affermato il principio secondo cui l'operazione intellettuale che va sotto il nome di giudizio contro-fattuale richiede che venga preliminarmente descritto ciò che è accaduto; solo dopo aver accertato che cosa è successo ( giudizio esplicativo) è possibile chiedersi cosa sarebbe stato se fosse intervenuta la condotta doverosa (giudizio predittivo). Si tratta di una puntualizzazione tutt'altro che neutrale sul piano delle implicazioni. Basti pensare che se del giudizio predittivo si ammette la validità anche in presenza di esiti non coincidenti con la certezza processuale oltre ogni ragionevole dubbio ( sicché può dirsi che la condotta doverosa avrebbe avuto effetto impeditivo anche se tanto può affermarsi solo 'con elevata probabilità logica' ), per il giudizio esplicativo la certezza processuale (nei sensi sopra indicati) deve essere raggiunta. Ove si tratti di reati omissivi impropri può dirsi che la situazione tipica, donde trae origine l'indifferibilità dell'adempimento dell'obbligo di facere, deve essere identificata in termini non dubitativi; ove così non fosse non sarebbe possibile neppure ipotizzare l'omissione tipica. Si tratta di piani correlati ma distinti; e non sembra ammissibile che i deficit di conoscenza che incidono sul giudizio esplicativo possano essere colmati da una particolare evidenza dell'attitudine salvifica del comportamento doveroso mancato, perché in realtà senza una preliminare incontroversa delineazione del quadro fattuale quell'attitudine si può predicare solo in termini astratti (Sez. 4, n. 23339 del 31/01/2013, Giusti, Rv. 256941 ). Ne consegue che, nel caso in cui non possa ritenersi raggiunta la certezza processuale, al di là di ogni ragionevole dubbio, che nel momento in cui, alle 14.20, il dott. C.R. ha preso in carico il paziente, l'emorragia derivante dalla lesione renale fosse in atto ( giudizio esplicativo ) non si potrà pervenire alla formulazione del giudizio predittivo avuto riguardo al doveroso comportamento richiedibile al dott. C.R.. Raggiunta la certezza processuale che tale processo patologico era in atto, occorrerà accertarsi se, tenuto conto del tempo necessario per effettuare la TAC e predisporre il tavolo operatorio, il comportamento lecito esigibile dall'imputato, che è risultato omesso, avrebbe prodotto l'esito salvifico.
Per tutte le ragioni esposte la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per nuovo esame sui punti indicati.
10. Il primo motivo di ricorso proposto da M.A.L.è infondato.
Invero il problema che si pone è se il giudizio civile e quello penale si debbano scindere al punto tale che, pur risultando in ipotesi dall'approfondimento a fini civilistici l'innocenza, si debba pronunciare declaratoria di improcedibilità per la causa estintiva o ritenere la pregiudizialità interna invertita, per cui l'approfondimento civilistico influisce sulla decisione penale imponendo la assoluzione con una formula di merito se risulti la innocenza. La questione è già stata affrontata dalla corte di legittimità ( Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273; Sez. 6, n. 1748 del 17/1/2006, Bisci, n.m. ) nel senso che all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, a meno che il giudice, per la presenza della parte civile, non sia chiamato a pronunciarsi sulla azione civile e, quindi, non sia legato ai canoni di economia processuale che impongono la declaratoria della causa di proscioglimento quando la prova della innocenza non risulti ictu oculi. Ne deriva che nel giudizio di appello il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, quando il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l'impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell'art. 530, comma secondo, cod. proc. pen..
Ciò premesso, per quel che concerne l'applicabilità dell'art. 129, secondo comma, del codice di rito, cui risulta finalizzato il ricorso (essendo stata dichiarata dalla Corte d'Appello la prescrizione del reato), va ricordato che, in forza dei consolidati princìpi di diritto enunciati da questa Corte, il sindacato di legittimità, appunto ai fini della eventuale applicazione della disposizione appena citata, deve essere circoscritto all'accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell'insussistenza del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l'operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'art. 129 c.p.p., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato, deve prevalere l'esigenza della definizione immediata del processo (in tal senso cfr., ex plurimis, Sez. Unite, Tettamanti, cit). A meno che l'imputato non rinunci espressamente alla prescrizione: maturata la prescrizione del reato, ed a fronte della mancanza dell'evidenza della prova dell'innocenza, l'imputato, volendo, può, infatti, far valere il suo diritto alla rinuncia alla prescrizione, correndo il rischio consapevole di un verdetto sfavorevole all'esito del richiesto approfondimento. E non è priva di rilievo la natura della rinuncia della prescrizione quale diritto personalissimo dell'imputato, come pacificamente ritenuto nella giurisprudenza di questa Corte: si veda, ex plurimis, Sez. 2, n. 23412 del 09/06/2005 Ud. (dep. 21/06/2005) Rv. 231879, secondo cui . Detta decisione - peraltro intervenuta prima ancora che la rinuncia della prescrizione fosse normativamente prevista con la legge cd. "ex Cirielli" n. 251/2005 del 5 dicembre 2005 entrata in vigore l'8 dicembre 2005 - appare inequivocabile nel senso che il silenzio dell'imputato non può essere interpretato in altro modo se non come esercizio del diritto a non rinunciare alla prescrizione.
Nella concreta fattispecie, nella sentenza della Corte distrettuale - come più diffusamente si avrà modo di chiarire in prosieguo esaminando analiticamente il secondo motivo di ricorso del M.A.L. - non sono riscontrabili elementi di giudizio idonei ad integrare la prova evidente dell'innocenza del prevenuto, ma sono, anzi, contenute valutazioni di segno diametralmente opposto, logicamente conducenti all'accertamento della responsabilità del prevenuto stesso. Non sono pertanto ravvisabili i profili di violazione di legge e vizio motivazionale prospettati dal ricorrente, posto che, avuto riguardo al testo della sentenza impugnata - che si integra con le argomentazioni già precedentemente svolte in senso conforme dal primo giudice - si rileva che la Corte distrettuale, attraverso il percorso motivazionale sopra ricordato (nella parte narrativa), da intendersi qui integralmente richiamato onde evitare superflue ripetizioni - ha analizzato, secondo i canoni prescritti, gli aspetti concernenti le problematiche relative alla sussistenza della condotta colposa contestata all'imputato e del nesso causale tra la condotta stessa, quale descritta nell'imputazione, e l'evento, non mancando di esprimere le proprie valutazioni al riguardo, con considerazioni che consentono non solo di escludere che possa ritenersi acquisita la prova evidente dell'innocenza dell'imputato, ma anche di escludere, pur all'esito dell'esame delle risultanze processuali svolto dalla Corte distrettuale ai fini civilistici ex art. 578 c.p.p., che possa parlarsi di compendio probatorio contraddittorio o insufficiente tale da legittimare il prevalere della causa di proscioglimento nel merito sulla causa estintiva del reato (cfr. Sez. Unite, Tettamanti, cit.).
11. Come già accennato, va rilevata l'infondatezza del secondo motivo di censura dedotto dal M.A.L..
Invero non sussiste il dedotto vizio di motivazione derivante da travisamento della prova in ordine alla ricostruzione della dinamica dell'infortunio in quanto dalla motivazione della sentenza della corte d'appello, che si integra con quella di primo grado, trattandosi di cd. "doppia conforme ", si evince che il C.V.N. è stato visto cadere dal teste B. N., addetto ad un cantiere antistante quello in cui operava l'infortunato, il quale ha dichiarato che questi stava sulla fioriera la quale, secondo le deposizioni dei testi Omissis, era dotata di protezioni tutt'altro che stabili, costituite da tavole mobili che venivano rimosse per passare da un appartamento ad un altro senza scendere dal palazzo e risalire. Si trattava, dunque, di operazione, quella del passaggio da un appartamento ad un altro, prevedibile in quanto di fatto praticata dai dipendenti sicché la corte di appello, con motivazione logica ed esaustiva nonché fondata su incontroversi dati di fatto, ha dato conto delle ragioni sottese al giudizio di colpevolezza formulato in capo al M.A.L., il quale avrebbe dovuto dotare i balconi di protezioni adeguate, dunque non facilmente amovibili, onde prevenire il comportamento inadeguato dell'operaio.
Ciò facendo la corte d'appello si è uniformata ai principi più volte espressi dalla corte di legittimità secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro (ed il responsabile per la sicurezza), in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (ex pluribus, Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 - dep. 27/01/2015, Bonelli, Rv. 261946 ).
Il ricorso proposto da M.A.L. va, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; lo stesso va altresì condannato a rimborsare alle parti civili le spese sostenute per questo giudizio che si liquidano in complessivi euro 2.550, oltre accessori come per legge.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso di M.A.L. e lo condanna al pagamento delle spese processuali nonché a rimborsare alle parti civili le spese sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di C.R. e rinvia per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello cui demanda il regolamento delle spese tra le parti anche per questo giudizio.
Così deciso il 22 aprile 2015.