Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 22 giugno 2015, n. 26263 - Rischi da elettrolocuzione: operatore dell'Enel morto folgorato a causa di una scarica di corrente elettrica


 

 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: D'ISA CLAUDIO Data Udienza: 10/04/2015



Fatto


1. Il Tribunale di Cagliari, con sentenza del 21.12.2007, dichiarava la penale responsabilità di B.P.A., S.A. e D.M.L., in ordine al reato di cui all'art. 589, co. 3 cod. pen., relativo alla morte dell'operaio E.P., cagionata da folgorazione provocata da una scarica di corrente elettrica che lo aveva attraversato mentre, la mattina del 5 agosto 2003, in località Genna Retza in agro di Fluminimaggiore, stava operando su di una linea elettrica aerea, in quanto dipendente della società MBM Costruzioni S.p.a., di cui gli imputati erano rispettivamente Presidente del Consiglio di amministrazione, responsabile tecnico di cantiere e preposto a caposquadra, in esecuzione di un contratto di appalto stipulato tra la predetta MBM con la società ENEL.
Si precisava in sentenza che il procedimento era stato iniziato anche a carico di M.M. e L.D., operatori dell'ENEL, definito con il rito ex art. 444 c.p.p., ed, in particolare, la condotta colposa contestata a costoro, presenti sul cantiere il giorno dell'infortunio mortale, era consistita nell'avere eseguito un non corretto ed incompleto sezionamento (eliminazione della tensione elettrica) della linea elettrica su cui doveva operare il E.P., con conseguente persistenza di tensione in almeno uno dei conduttori costituenti la linea, nell'aver omesso di accertare l'effettiva messa fuori tensione della linea elettrica aerea, e nel non avere adeguatamente valutato la situazione di rischio evidenziata da fenomeni di scintillio tra i morsetti del dispositivo di messa in corto circuito ed i conduttori nudi della linea elettrica, fenomeni verificatisi e segnalati dai dipendenti della MBM sin dall'inizio dell'attività lavorativa che avrebbero dovuto imporre l'immediata sospensione delle lavorazioni sino all'accertamento ed eliminazione degli scintillìi.
I profili di colpa riconosciuti a carico dei responsabili della MBM, come contestati, sono stati ravvisati: per il B.P.A., in quanto (in violazione degli artt. 3 e 4 D.lvo 626/94, ed in relazione all'art. 8 stesso D.lvo) nella sua qualità di datore di lavoro, ometteva, nella redazione del Piano operativo di Sicurezza, la individuazione delle specifiche procedure di sicurezza imposte dalle norme CEI, con particolare riferimento alla parte in cui le stesse prevedono che, prima di dare inizio alla esecuzione di lavori su linee elettriche, si debba verificare con idonea strumentazione che tutte le parti attive o quelle che, comunque, possano interferire con la zona di lavoro, siano state messe fuori tensione ed in sicurezza, ed ometteva altresì di indicare nell'elenco delle attrezzature, previste per le lavorazioni a contatto con linee elettriche aeree, la adozione di idoneo strumento atto alla verifica di assenza di tensione. Nonché, unitamente al S.A. e D.M.L., nelle loro qualità, - in violazione degli artt. 34 e 35 del medesimo D.lvo, in relazione all'art. 348 d.p.R. 547/55 - non mettevano a disposizione dei lavoratori dipendenti attrezzature idonee alla verifica strumentale della eventuale presenza di tensione sulla linea aerea, ed omettevano, altresì, di fornirli di indumenti adeguati ed idonei alla effettuazione dei lavori a contatto con conduttori nudi sotto tensione.
La Corte d'appello di Cagliari, adita dagli imputati, con la sentenza indicata in epigrafe, nel fare proprio l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado, rigettava, l'appello ritenendo infondati i relativi motivi.
2. Ricorrono per cassazione, con un unico atto, il B.P.A., il S.A. ed il D.M.L. .
Con il primo motivo denunciano violazione di legge, nella specie degli att. 185 e 182, 228, 191, 453, 500, 511, 514 cod. proc. pen., nonché manifesta contraddittorietà della motivazione.
Si rileva che il Tribunale ha acquisito tutti i verbali di sommarie informazioni assunte dai consulenti del P.M. in sede di espletamento della consulenza/ con provvedimento emesso all'udienza del 27.10.2006, ciò in violazione dell'art. 500 c.p.p. che dispone il divieto di lettura delle allegazioni delle dichiarazioni rese dai testimoni durante le indagini; la sentenza impugnata, pur richiamando la disposizione di cui all'art. 228 c.p.p., giustifica il provvedimento del Tribunale sulla base di un vago giudizio, riferito allo scarso rilievo che, comunque, le dichiarazioni assunte dai consulenti avrebbe avuto nella decisione di primo grado, ma ciò non toglie, per la Difesa, che il giudice è obbligato a decidere solo servendosi degli atti legittimamente acquisiti. Per altro, erronea è l'affermazione della Corte d'appello, che, nel rilevare che trattasi comunque di nullità relativa, essa sarebbe stata sanata per non essere stata eccepita nei termini previsti dal codice di rito; invero, si evidenzia che l'eccezione fu sollevata dalla Difesa e trascritta a verbale proprio all'udienza del 27.10.2006 subito dopo l'ordinanza dibattimentale del Tribunale.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 468 e 495 c.p.p.. La Difesa, al termine dell'udienza del 23.01.2007, aveva chiesto di poter sentire un consulente di parte proprio in riferimento alla decisione del Tribunale di acquisire i verbali di sommarie informazioni redatti dai consulenti. Inopinatamente il giudice di primo grado ha rigettato la richiesta non disponendo una perizia basando esclusivamente la sua decisione sulle valutazioni dei consulenti del P.M..
Con il terzo motivo la denunciata violazione riguarda gli artt. 40, 41 e 43 cod. pen..
La sentenza ha del tutto ignorato le norme che impongono precisi obblighi a carico del lavoratore e del preposto ed ha trascurato l'abnorme comportamento di quest'ultimo. Ha inoltre fatto carico al B.P.A., presidente del consiglio di amministrazione, non presente sul luogo, del comportamento della vittima, benché egli avesse provveduto a formare adeguatamente tutta la squadra delle MBM con preposti e tecnici qualificati ed avesse predisposto un POS in conformità delle norme CEI e con la certificazione di qualità ed avesse messo a disposizione dei lavoratori gli indumenti adeguati e le attrezzature necessarie ad eseguire i lavori.
Il quarto motivo ha ad oggetto la violazione delle norme CEI, dell'art. 43 cod. pen. e vizio di motivazione con riferimento al contratto di appalto tra ENEL e MBM.
Si premette che l'incarico e gli obblighi della MBM e dell'ENEL erano precisati dal contratto di appalto intercorso tra le stesse società. In particolare, il contratto d'appalto - formato dalla lettera d'ordine, dalla Ietterei d'accettazione (firmata dal B.P.A.), dall'elenco compensi, dalla scheda delle norme integrative CEI, con le prescrizioni concernenti i rapporti tra l'ENEL e le imprese appaltatrici per lavori fuori tensione, attribuiva all'ENEL l'onere di consegnare l'impianto, sul quale la committente e l'appaltatrice dovevano lavorare, fuori tensione.
Il quinto motivo denuncia vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità con riferimento ai documenti acquisiti. Da un lato la Corte d'appello, nell'affermare che le procedure di controllo sulla linea elettrica per verificare l'avvenuta operazione di sezionamento erano di competenza esclusiva dell'ENEL, censura la sentenza di primo grado, secondo la quale le procedure di sicurezza dovevano essere attuate dalla MBM con la conseguenza che il E.P. sarebbe dovuto essere messo nelle condizioni di eseguire tali controlli. Dall'altro lato la sentenza d'appello cade in contraddizione con se stessa laddove afferma che l'ultima fase di procedura era di competenza della MBM, ciò in contrasto con quanto prescritto dalla lettera di accettazione sottoscritta dal B.P.A..
Con il sesto motivo si eccepisce la violazione delle norme CEI e di quelle integrative e vizio di motivazione. Si argomenta che la Corte d'appello, nel sostenere la responsabilità degli imputati, indica una norma CEI - n. 50110/1 del 1998 - e ne dà un'applicazione totalmente erronea; la norma enuncia un principio generale secondo il quale per qualsiasi operazione in prossimità di un impianto elettrico si deve fare riferimento alla valutazione dei rischi specificando come l'operazione o l'attività lavorativa devono essere eseguite in sicurezza, e non indica il soggetto, che deve eseguire le procedure di sicurezza, soggetto che viene, invece, individuato dalla scheda integrativa CEI nel preposto conduzione impianto e cioè nel caso M.M., operaio dell'ENEL.
Il settimo motivo ha ad oggetto la censura di violazione di legge nella specie dell'art. 348 d.P.R. 547/55 e degli artt. 3-4 , 34-35 del D.lvo 626/94 e 78 del D.lgs 81/2008, nonché vizio di motivazione.
Premesso che, trattandosi di lavori su linea elettrica non in tensione che non richiedono obblighi di attrezzature specifiche, è, in ogni caso, emerso dalla documentazione acquisita che i vertici dell'azienda avevano messo a disposizione degli operai tutti gli indumenti elencati nella norma e gli indumenti adeguati ai lavori da svolgere e prescritti dalle norme del settore, come emerge dalle ricevute di sottoscritte dal E.P., totalmente ignorate in sentenza.
Con motivi ottavo, nono e decimo si denuncia violazione di legge di tutte le norme che impongono obblighi al lavoratore e del preposto nonché vizio di motivazione, e conseguente insussistenza del nesso causale tra la condotta contestata agli imputati e l'evento morte determinato esclusivamente dal comportamento abnorme della persona offesa, e, comunque, per omessa valutazione del concorso di colpa della vittima.
Le sentenze di merito omettono di motivare circa il comportamento del lavoratore assunto in totale violazione delle numerose norme di legge tese a porre precisi obblighi a carico del lavoratore: art. 6 del d.p.R. 547/1955, art. 5 del D.Lgs 626/1994, ed art. 20 del D.lgs 81/2008. Si argomenta che gli obblighi del E.P. erano ancora più rigorosi tenendo conto del fatto che egli era preposto alla conduzione lavoro. Una posizione che lo poneva gerarchicamente superiore agli altri collaboratori presenti, lo rendeva responsabile della sicurezza del lavoro e gli imponeva di essere ancora maggiormente prudente anche nell'interesse dell'azienda. E' assolutamente arbitraria e contrastante con le risultanze probatorie l'affermazione della sentenza di secondo grado che il E.P. fosse stato mandato allo sbaraglio. Il E.P. liberamente aveva accettato quel ruolo e se ne era assunto le responsabilità: lo aveva assunto dopo un lungo apprendistato, come dimostrato dalla documentazione allegata.
Ne consegue per i ricorrenti che i fatti che hanno determinato la morte del E.P. furono abnormi ed imprevedibili e nello stesso modo deve essere considerato l'esorbitante ed inopinabile comportamento della p.o., questa ha contravvenuto ad un ordine dell'azienda, ha assunto un comportamento non connesso con l'attività lavorativa che prevedeva solo lavori fuori tensione e dunque esorbitante rispetto alle consegne ben chiare ricevute, consapevolmente ha violato le norme di cautela suggerite dalla prudenza e dalla stessa ditta e ha ignorato consapevolmente ed aggravato una situazione di pericolo chiaramente ravvisabile nella situazione dallo scintillio sprigionato dai cavi elettrici sintomo che la tensione elettrica non era stata eliminata. Circa poi la inevitabilità dell'evento si rileva che i dispositivi di sicurezza, come accertato, erano stati portati sul luogo dall'ENEL, dunque nulla sarebbe mutato qualora li avessero avuti con se i lavoratori della MBM. Inoltre è stato anche accertato che il E.P. venne fulminato perché fu così negligente che, pur indossando i guanti, toccò i fili con le parti nude e, dunque, indumenti differenti a nulla sarebbero serviti.
Nonostante la chiara incidenza della condotta della persona offesa nella causazione dell'evento i giudici del merito non fanno alcun accenno al concorso, non considerando che il comportamento imprudente del lavoratore può rilevare come concausa dell'infortunio e la responsabilità del datore di lavoro deve essere proporzionalmente ridotta.
La sentenza, inoltre, si evidenzia, ha omesso di valutare la colpa dei ricorrenti, anche ai fini della richiesta prevalenza delle attenuanti generiche. Il fatto che gli stessi furono ingannati dall'ENEL e dalle Norme CEI, e furono ingannati dagli esperti qualificati che predisposero insieme al B.P.A. il piano di sicurezza e dagli esperti che tennero i corsi di formazione ai quali partecipò il E.P..
Con l'undicesimo motivo si censura la sentenza, sotto il profilo di violazione di legge e vizio di motivazione, per avere omesso di individuare l'incidenza causale di coloro che la stessa sentenza considera i principali responsabili dell'infortunio: gli operai dell'ENEL.
Con memoria depositata nei termini i ricorrenti si deposita la sentenza del GIP del Tribunale di Cagliari di applicazione della pena concordata nei confronti degli operai dell'ENEL M.M. e D.L., a conforto di quanto già argomentato sulla responsabilità esclusiva di costoro e dello steso E.P. che era il preposto alla conduzione dei lavori, responsabile della sicurezza e sul quale gravava l'obbligo di sospendere i lavori.

Diritto


3. I motivi esposti sono infondati e determinano il rigetto dei ricorsi. Questa Corte, chiamata ad esaminare le denunciate violazioni di legge nonché la contraddittorietà e la carenza motivazionale, non può fare a meno di valutare le diverse questioni proposte, atteso che la verifica della coerenza logica di tutto il percorso argomentativo della impugnata sentenza è emerso in maniera del tutto chiara, anche laddove ha fatto proprio le motivazioni, in fatto ed in diritto, del giudice di primo grado.
3.1 Condivisibile pienamente è l'argomentazione posta a base della valutazione che la Corte d'appello ha fatto della censura oggetto del primo motivo del ricorso, in quanto aderente al dato normativo ed alla giurisprudenza di questa Corte.
E' indubbio, infatti, che debba trovare applicazione, come ritenuto dalla Corte del merito, l'art. 228 c.p.p., comma 3, secondo cui "qualora ai fini dello svolgimento dell'incarico, il perito richieda notizie all'imputato, alla persona offesa o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell'accertamento peritale". Pur facendo la norma in questione riferimento al perito, è pacifico che essa debba "valere" anche nei confronti del consulente per identità di ratio legis. Il consulente, così come il perito, hanno la facoltà di chiedere notizie alla persona offesa, all'indagato/imputato, alle persone informate sui fatti in quanto egli, in tal modo, viene a svolgere non solo una funzione critica e scientifica, ma anche un'attività di percezione e ricezione di notizie (ed. Potere istruttorie del perito). Orbene l'art. 228 c.p.p., comma 3, consente l'utilizzazione degli elementi acquisiti nell'ambito della funzione percettiva e recettiva solo ai fini dell'esercizio della funzione critico - scientifica ("solo ai fini dell'accertamento peritale" dice la norma). I risultati istruttori acquisiti dal perito, insomma, possono essere utilizzati solo dal medesimo per rispondere ai quesiti, e non dal giudice per l'accertamento della verità processuale (cfr. Cass. pen. sez. 3 13.11.2007 n.2001).
Ciò precisato, la questione sottoposta dai ricorrenti non riguarda la violazione dei principi enunciati. Invero, la Corte, dopo aver premesso che all'udienza (in Tribunale) del 27.10.2006, il P.M., stante l'opposizione della Difesa alla acquisizione degli allegati alla consulenza, ha fatto una lunga precisazione sulla natura ed il contenuto degli allegati di cui chiedeva la produzione, senza menzionare le sommarie informazioni, specifico oggetto della censura, rileva che la decisione del Tribunale di acquisire "tutti" gli allegati risponde alla mera esigenza di documentare la corrispondenza fra le valutazioni dei due consulenti e le informazioni che le hanno determinate o condizionate. In buona sostanza, vuol dire che il Tribunale ha effettuato l'esame dell'attività, svolta dai consulenti del P.M., per altro all'esito della loro audizione dibattimentale, per verificarne la validità tecnica con riferimento agli atti "istruttori" da essi compiuti. Ma ciò che più rileva, in ordine alla ritenuta infondatezza della censura, è che il Tribunale, come rimarcato dai giudici dell'appello, non ha affatto ricostruito i fatti sulla base dei verbali delle sommarie informazioni acquisite dagli ausiliari, bensì soprattutto sulle deposizioni dibattimentali dei testi Ca. e C. (anch'essi sentiti dai consulenti), e non di altri.
Sicché, si è fuori dal divieto di utilizzazione delle informazioni assunte dai consulenti, nel senso che, ancorché si voglia considerare non consentita l'acquisizione agli atti di dette informazioni, non avendo esse inciso sul convincimento del giudice (prova di resistenza) sono da ritenersi tamquam non essent.
Del resto, il motivo si palesa anche generico, in quanto, proprio in ragione di tale specifico rilievo contenuto in sentenza, i ricorrenti avrebbero dovuto indicare specificamente i punti delle dette informazioni utilizzate dal Tribunale per basare la propria decisione circa la responsabilità degli imputati. Vi è ancora da dire, ciò a riprova della non influenza nel processo di tali acquisizioni, che, sostanzialmente, circa la ricostruzione del fatto, non vi è contestazione, ed oggetto delle dichiarazioni testimoniali del Ca. e del C., nonché delle informazioni acquisite dai consulenti, è proprio la ricostruzione del fatto; altre, come esposto nella parte narrativa, sono le censure che colpiscono la sentenza, con specifico riferimento alla insussistenza, in capo ai ricorrenti, della posizione di garanzia per ognuno di essi, e del nesso causale essendo stato addotto che l'evento è stato determinato da esclusivo comportamento negligente ed imprudente della vittima.
Ritenuta, pertanto, non violativa di alcuna regola processuale, e, comunque, non influente ai fini della decisione, l'ordinanza dibattimentale di acquisire agli atti gli allegati alla relazione dei consulenti del P.M., resta del tutto irrilevante la questione circa la tempestività o meno della eccezione da parte della Difesa.
3.2 Alla stregua di quanto sino ad ora esposto risulta parimenti del tutto infondato il secondo motivo dovendosi ritenere, al di là della tempestività o meno della richiesta istruttoria, questione su cui si è intrattenuta la Corte del merito, superflua l'audizione in dibattimento di un consulente di parte (richiesta con riferimento alle informazioni acquisite con l'ordinanza del 27.10.2006) atteso che di quelle informazioni il Tribunale non ne poteva tener conto come in effetti è stato.
3.3. il terzo motivo verrà esaminato contestualmente ai motivi ottavo, nono e decimo riguardando esso il denunciato comportamento negligente della persona offesa.
Logicamente preliminare è la trattazione della contestata posizione di garanzia in capo ai ricorrenti sotto il duplice profilo dell'erronea interpretazione del contratto d'appalto intercorso tra l'ENEL e la MBM (quarto motivo), e della dedotta violazione di legge con riferimento alle norme CEI e di quelle integrative (motivi quinto e sesto).
E' da precisare, in ordine alle specifiche contestazioni, che, per quanto riguarda il B.P.A., egli non ha prospettato in ricorso censure circa la mancata previsione nel POS di specifiche procedure in linea con la normativa CEI e della predisposizione di adeguati strumenti di rilevazione e con la messa a terra e con la cortocircuitazione quali ulteriori misure di prevenzione atte a ridurre l'esposizione al rischio da elettrolocuzione, avendo egli ritenuto assorbente la non titolarità della posizione di garanzia in ragione dei due profili prima evidenziati. A loro volta il S.A. ed il D.M.L., relativamente alla contestazione della violazione della disposizione di cui all'art. 34 D.Lvo 626/94 ed all'art. 348 d.p.R. 547/55, comune anche al B.P.A., solo dopo aver contestato la titolarità della posizione di garanzia, hanno opposto in fatto di avere messo a disposizione le attrezzature e gli indumenti idonei a prevenire infortuni sul lavoro del tipo di quello oggetto del procedimento.
Quanto al primo profilo i ricorrenti, più in particolare, hanno evidenziato che il contratto stabiliva inequivocabilmente, come prescrivono le norme CEI richiamate, che gli operai dell'ENEL dovevano disattivare la linea e consegnarla fuori tensione dopo aver posto in essere anche tutte le operazioni di verifica di assenza di tensione. Dunque, si afferma, la sentenza impugnata, nel sostenere che la MBM avesse l'obbligo di impedire che si verificasse la morte del E.P., trascura la netta posizione di garanzia assunta dall'ENEL, che, in qualità di committente dei lavori, pone le regole e le condizioni dei contratti d'appalto, con conseguente affidamento da parte della MBM sull'operato dell'ENEL ed esclusione, ai sensi dell'art. 43 cod. pen., di ogni addebito di colpa ai tre imputati.
L'argomentazione non è condivisibile poiché, se accettata, farebbe venire meno gli obblighi, legislativamente previsti dagli artt. 3 e 4 D.Lvo 626/1994 [ovviamente non trova applicazione il d.lgs. n. 81/2008, entrato in vigore successivamente all'accadimento de quo, ancorché vi è corrispondenza contenutistica con le disposizioni di cui all'abrogato d.Lvo 626/94 (cfr. Sez. 4, n. 42018 del 12/10/2011 -dep. 15/11/2011, Marsiletti, Rv. 251932 per la quale sussiste continuità normativa tra l'art. 4 D.Lgs. n. 626 del 1994 concernente gli obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto - ancorché formalmente abrogato dall'art. 304 D.Lgs. n. 81 del 2008 )] ed, in particolare, dall'art. 348 d.P.R. 547/1955 ed art. 34 Dl.vo 626/1994, in capo al datore di lavorodi prevenzione degli infortuni con riferimento ai rischi da elettrolocuzione, indipendentemente dalle norme CEI, richiamate dal contratto di appalto de quo (scheda integrativa), che, secondo i ricorrenti, porrebbero l'osservanza delle procedure per la consegna "fuori tensione" della linea elettrica solo a carico dell'appaltante, con esclusione di ogni responsabilità da parte della ditta appaltatrice nel caso di mancata osservanza di esse.
In buona sostanza, come già ha puntualmente evidenziato dalla Corte distrettuale (V. pag. 28), è pur vero che non era previsto, contrattualmente, che la ditta appaltatrice accertasse l'effettiva messa in sicurezza dell'impianto in contraddittorio con i tecnici dell'ENEL, mentre questi eseguivano le operazioni di loro competenza, ma restava, comunque, l'obbligo del datore di lavoro, quale titolare della ditta appaltatrice, di garantire che il personale alle sue dipendenze svolgesse le proprie mansioni in condizioni di completa assenza di rischi da elettrolocuzione. Quanto mai appropriata ed assorbente sul punto è la considerazione dei giudici del gravame di merito secondo cui la non tassatività del contraddittorio, nella fase della messa in sicurezza, non poteva lasciare gli operai del MBM nella condizione di dover accettare fideisticamente una situazione che poteva esporli a gravissimi rischi, essendo possibile il verificarsi di errori e manchevolezze nell'operato di chi doveva consegnare loro l'impianto.
Vale ricordare che l'applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro sottendono proprio allo scopo di evitare che l'errore umano, possibile e, quindi, prevedibile, influente su di una condotta lavorativa diversa da quella corretta, ma pur sempre posta in essere nel contesto lavorativo, possa determinare il verificarsi di un infortunio. Se tutti i dipendenti fossero sempre diligenti, esperti e periti non sarebbe necessario dotare i luoghi di lavoro e le macchine di sistemi di protezione.
Correttamente, pertanto, è stata interpretata, nella sentenza impugnata, la lettera di accettazione della MBM e la notifica di consegna di lavoro, sez. A, sottoscritta dal E.P., prima di iniziare il lavoro, nel senso della mancata previsione di un contraddittorio, tra gli addetti della ditta appaltante e di quelli della ditta appaltatrice, nell'operazione di "sezionamento" della linea elettrica con riferimento alla terza fase (la prima, il sezionamento, e la seconda, verifica della richiusura, erano certamente rimesse agli operai dell'ENEL) prevista dalla normativa CEI, vale a dire quella della verifica della messa fuori tensione dell'impianto; per quanto riguarda, invece, la quarta fase, cioè I' esecuzione della messa a terra e in cortocircuito, questa fu rimessa agli operai della MBM, come dal punto IV. 1.3 del contratto di appalto secondo il quale il committente (ENEL) si riservava di demandare all'appaltatore l'esecuzione della messa a terra.
Il denunciato vizio di contraddizione (quinto motivo) non sussiste: l'avere, infatti, escluso (diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado) che non era previsto il contraddittorio tra l'appaltante e l'appaltatrice per le detta terza fase dell'operazione di "sezionamento", non esimeva certamente il datore di lavoro, innanzitutto, dall'obbligo di prevedere e disciplinare il rischio da elettrolocuzione nel piano operativo di sicurezza, ma anche di mettere in condizione i suoi dipendenti di verificare, mediante la dotazione di idoneo strumento, l'effettiva assenza di tensione sulla linea oggetto dei lavori, e, in subordine, quanto meno, di dotare degli opportuni strumenti di protezione che li potesse proteggere anche nel caso in cui, per negligenza, imperizia ed imprudenza ed anche in violazione delle specifiche procedure previste dalla normativa citata CEI, la verifica sull'assenza di tensione non fosse stata effettuata.
I ricorrenti, anche se implicitamente, hanno fatto riferimento al principio dell'affidamento, nel senso che, essendo previsto contrattualmente l'obbligo della appaltante di eseguire le operazioni di sezionamento e di consegnare alla ditta appaltatrice la linea elettrica fuori tensione, alcuna verifica doveva essere effettuata dalla MBM dovendosi fondatamente ritenere che l'operazione di sezionamento sarebbe stata effettuata secondo le prescrizioni tecniche in materia, pienamente conosciute dai tecnici dell'ENEL in quanto a tanto deputati.
Orbene, il principio di affidamento costituisce applicazione del principio del rischio consentito: dover continuamente tener conto delle altrui possibili violazioni della diligenza imposta avrebbe come risultato di paralizzare ogni azione, i cui effetti dipendano anche dal comportamento altrui. Il principio, d'altra parte, si connette pure al carattere personale e rimproverabile della responsabilità colposa, circoscrivendo entro limiti plausibili ed umanamente esigibili l'obbligo di rapportarsi alle altrui condotte: esso è stato efficacemente definito come una vera e propria pietra angolare della tipicità colposa. Pacificamente, la possibilità di fare affidamento sull'altrui diligenza viene, però, meno quando l'agente è gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi; o, quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere che altri non si atterrà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività o che, comunque, possa incorrere, per imprudenza o negligenza, in errore.
La tendenza della giurisprudenza di legittimità è quella di escludere o limitare al massimo la possibilità di fare affidamento sull'altrui correttezza.
Nel caso di specie, l'obbligo di controllo da parte dei ricorrenti, in relazione alle rispettive specifiche posizioni, della corretta operazione di sezionamento da parte dei tecnici dell'ENEL è imposta dalle norme indicate nel capo d'imputazione e, comunque, a carico del datore di lavoro, ai sensi della normativa di cui al d.P.R. 547/1955 (art.391-392-6 ) e di quella generale in materia di sicurezza aziendale (art.4 D.L.G.S. 626/1994) ed anche in riferimento alla norma ed. "di chiusura del sistema" ex art. 2087 C.C, sussiste un obbligo di controllo dell'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni e procedure aziendali di sicurezza. In altre parole, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 C.P.P. comma 2.
E' da aggiungere che, nel caso di specie, si è al di fuori del ed. "rischio interferenziale", poiché le attività lavorative dei tecnici dell'ENEL e di quelli della MBM non erano contestuali, cosicché l'operato dell'uno non interferiva nell'operato dell'altro, tanto da richiedere la redazione di un piano di coordinamento; infatti quelli della MBM sono intervenuti, per svolgere il loro lavoro, solo dopo essere stati assicurati dai tecnici dell'ENEL che era stata effettuata l'operazione di sezionamento e la linea era fuori tensione. Ciò assume una significativa rilevanza giuridica incombendo su di ognuno degli agenti proprie e rispettive responsabilità in relazione ai rispettivi campi di lavorazione.
3.4 Quanto alla erronea interpretazione delle richiamate norme CEI (sesto motivo), ed in particolare la n. 50110/1 del 1998, si osserva che i ricorrenti cadono in un equivoco di fondo laddove sostengono che trovano applicazione le norme CEI con riferimento ai "lavori fuori tensione", nel senso che oggetto dei lavori appaltati dovessero essere linee mai prima attraversate da corrente elettrica e non, invece, come nel caso di specie, linee già portanti su cui si doveva operare previa, appunto, la messa fuori tensione. Ed è, quindi, condivisibile l'affermazione della Corte cagliaritana secondo cui, quando vi sia soltanto il dubbio che l'impianto su cui si opera possa risultare in tensione, le procedure di sicurezza e le misure di protezione sono quelle proprie dell'impianto in tensione, cioè quelle previste dalla normativa CEI n. 51010/1.
3.5 Parimenti infondata è l'altra denunciata violazione di legge con riferimento agli artt. 348 del d.P.R. 547/55 e 3-4 del D.Lvo 626/94 e 78 del D.lgs 81/2008 (settimo motivo).
Quanto a quest'ultima norma, come già sottolineato, essa non può trovare applicazione e né risulta che ad essa abbiano fatto riferimento i giudici del merito che hanno, invece, richiamato le norme di cui all'art. 348 d.P.R. 547/55, all'art. 34 D.Lvo 626/94, quanto al contestato profilo di colpa a carico di tutte e tre gli imputati in relazione alla specifica rispettiva posizione di garanzia di non aver messo a disposizione della persona offesa attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ovvero adatte a tali scopi ed idonee ai fini della sicurezza e della salute.
In fatto è rimasto accertato (V. pag. 29 sentenza) che la squadra della MBM si recò ad eseguire il lavoro senza alcuno dei presidi antinfortunistici ed addirittura senza i fioretti, strumenti indispensabili per l'operazione da svolgere di messa a terra ed in cortocircuito, tanto da chiederli in prestito ai tecnici dell'ENEL. Non erano dotati del rilevatore di tensione, erano sprovvisti degli speciali indumenti protettivi (l'adozione di tali indumenti avrebbe evitato che il E.P. toccasse gli elementi in tensioni con le parti nude del corpo), tali circostanze non sono oggetto di contestazione, ma si è dedotto da parte dei ricorrenti che, trattandosi di lavori su linea elettrica non in tensione, non richiedono obblighi di attrezzature specifiche e che, in ogni caso, dalla documentazione acquisita è rimasto accertato che i vertici dell'azienda avevano messo a disposizione degli operai tutti gli indumenti elencati nella norma e gli indumenti adeguati ai lavori da svolgere.
La deduzione difensiva non coglie nel segno: l'obbligo di dotare gli operatori dipendenti di idonee attrezzature (specificamente previste per "i lavoratori addetti all'esercizio di installazioni elettriche dal richiamato art. 348 d.P.R. 547/55 nonché dal paragrafo 4.1 norme CEI N 50110/1), si estende, come puntualmente evidenziato dalla Corte di merito, anche a tutte quelle situazioni in cui possa essere ragionevolmente prevedibile un rischio di esposizione del lavoratore al contatto di energia elettrica. Come già rilevato la circostanza che il E.P. ed i suoi compagni di lavoro dovessero operare su di una linea "messa fuori tensione" dai dipendenti dell'ENEL non eliminava il rischio da elettrolocuzione in ragione di una non regolare manovra di "sezionamento" della linea.
La deduzione difensiva secondo cui le attrezzature (ivi compreso il rilevatore di tensione) e gli indumenti erano stati messi a disposizione degli operai, tra cui lo stesso E.P. che aveva sottoscritto delle ricevute attestanti l'avvenuta consegna di tali indumenti, è stata, con congrua motivazione, disattesa prima dal Tribunale e poi dalla Corte distrettuale, ponendosi in rilievo come, in materia di sicurezza, ciò che occorre considerare non sono le dotazioni di cantiere o di magazzino del datore di lavoro, ma da un lato la valutazione del rischio e la programmazione della sicurezza, dall'altro la sua concreta attuazione.
3. 6 Con i motivi terzo, ottavo, nono e decimo i ricorrenti essenzialmente disancorano il nesso causale dal loro comportamento omissivo, facendo ricadere la causazione dell'evento unicamente sul comportamento della persona offesa, dimenticando che anche essa, nonostante il suo ruolo attivo nella esecuzione dei lavori, era la destinataria delle garanzie antinfortunistiche.
E' bene fare alcune puntualizzazioni in diritto in ragione del richiamo alla normativa di cui al D.lvo 81/2008 da parte dei ricorrenti.
L'infortunio sul lavoro è occorso il 5.08.2003, momento successivo alla promulgazione del D.Lvo 626/1994, ma antecedente alla radicale modifica del sistema di prevenzione pervenuta per mezzo del nuovo Testo Unico della sicurezza: D.Lgs 9.04.2008 n. 81.
Il sistema della normativa antinfortunistica si è lentamente trasformato da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, anche imponendosi contro la loro volontà), ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori.
In giurisprudenza, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" (che si rifa spesso all'art. 2087 cc), si è giunti - a seguito dell'introduzione del D. Lgs 626/94 - al ricorso del concetto di "area di rischio" (Sez. 4, Sentenza n. 36257 del 01/07/2014 Ud. Rv. 260294; Sez. 4, Sentenza n. 43168 del 17/06/2014 Ud. Rv. 260947; Sez. 4, Sentenza n. 21587 del 23/03/2007 Ud. Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva. Strettamente connessa all'area di rischio che l'imprenditore è tenuto a dichiarare (cd. DVR), si sono individuati i criteri che consentissero di stabilire se la condotta del lavoratore dovesse risultare appartenente o estranea al processo produttivo o alle mansioni di sua specifica competenza. Si è dunque affermato il concetto di comportamento "esorbitante", diverso da quello "abnorme" del lavoratore.
Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall'ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell'ambito del contesto lavorativo, il secondo, quello, abnorme, già costantemente delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, si riferisce a quelle condotte poste in essere in maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, cioè, che nulla hanno a che vedere con l'attività svolta.
La recente normativa (T.U. 2008/81) impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia.
Le tendenze giurisprudenziali si dirigono anch'esse verso una maggiore considerazione della responsabilità dei lavoratori (cd. "principio di autoresponsabilità del lavoratore).
In buona sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e si sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del fattore causale.
Il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione, egli non risponderà dell'evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore.
Questi principi non si attagliano al caso di specie, essendo rimasto provato non solo la mancanza di valutazione (nel POS) del rischio da elettrolocuzione nel caso di lavorazioni su linea elettrica messa fuori tensione, ma anche l'omessa concreta dotazione al lavoratore, nel frangente dell'infortunio, della strumentazione (rilevatore di tensione) e di altri presidi antinfortunistici (indumenti appropriati ed altro).
Mentre, non è affatto rimasto provato, come si sostiene in ricorso, al fine di evidenziare la condotta gravemente colposa della persona offesa, che quest'ultima avesse coscientemente operato su di una linea elettrica che sapeva ancora in tensione. Dalla testimonianze acquisite, come riportate nella sentenza impugnata, è emerso che il E.P., pur avendo manifestato ai tecnici dell'ENEL i suoi dubbi circa la regolare effettuazione della manovra di sezionamento (aveva rappresentato che erano visibili degli scintilli sintomatici della permanenza della tensione elettrica), era stato rassicurato (e quasi deriso) dagli stessi sulla assenza di tensione. E, dunque, sul piano logico pienamente condivisibile è la considerazione dei giudici di merito, secondo cui appare oltremodo inverosimile ritenere che la persona offesa abbia proceduto ad effettuare i lavori assegnatigli, per altro non protetto da indumenti adeguati (non forniti), nella consapevolezza di rischiare sicuramente la vita.
Correttamente, pertanto, la Corte sarda ha fatto riferimento alla giurisprudenza di legittimità, che con tranquillante uniformità, ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.).
Se il E.P. fosse stato dotato del misuratore di tensione non si sarebbe accontentato della risposta rassicurante dei tecnici dell'ENEL, ma avrebbe verificato di persona la messa fuori tensione della linea elettrica per fugare i dubbi avuti. Come pure, se avesse avuto a disposizione gli indumenti adatti, isolanti, anche nel dubbio della persistenza della tensione elettrica, avrebbe potuto riparasi dalla elettrolocuzione o, quanto meno, riportare danni fisici meno gravi.
Posta in questi termini la questione è infondata la censura della omessa valutazione della condotta colposa quale concausa dell'infortunio ai fini della quantificazione della pena.
Altrettanto infondata è l'ulteriore censura di omessa valutazione della colpa dei ricorrenti per la concessione delle attenuanti generiche, ingannati dai tecnici dell'ENEL, e da coloro ai quali affidarono i corsi di formazione cui partecipò il E.P., per quanto argomentato in ordine alla titolarità della posizione di garanzia.
3.7. Manifestamente infondata è la censura posta a base dell'undicesimo motivo e ribadita con la memoria difensiva, in quanto la responsabilità accertata a carico dei tecnici dell'ENEL si inserisce anch'essa nel tema affrontato della responsabilità dei ricorrenti in ragione delle accertate rispettive posizioni di garanzia.
4. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma all'udienza del 10 aprile 2015.