Categoria: Cassazione penale
Visite: 10460

Cassazione Penale, Sez. 4, 22 giugno 2015, n. 26292 - Lavori di costruzione della centrale termoelettrica e caduta mortale. Responsabilità di datore di lavoro e preposto


 

 

Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO Relatore: IANNELLO EMILIO Data Udienza: 03/06/2015

Fatto


1. Con sentenza del 14/3/2014 la Corte d'appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, giudicava le concesse attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e per l'effetto riduceva la pena inflitta a R.Z. e M.Z. per il reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, loro ascritto - rispettivamente, al primo quale legale rappresentante della S. S.r.l. e, al secondo, quale preposto - in relazione alla morte del dipendente G.R., avvenuta in data 26/4/2006 a seguito di infortunio nel corso dei lavori di costruzione della centrale termoelettrica a ciclo combinato di Omissis.
Confermava nel resto la sentenza di primo grado.
All'interno di detto cantiere la S. S.r.l. era impegnata nei lavori, ad essa commessi in subappalto, di montaggio e assemblaggio delle componenti prodotte dalla ditta F.lli C.. Il sinistro si è verificato più precisamente durante la copertura dell'involucro in metallo del generatore di vapore e recupero (GVR), costituito da quattro moduli (ed. "casing") dell'altezza di 30 m ciascuno, posizionati a distanza di 2 m l'uno dall'altro.
Il G.R. era impegnato nella posa in opera, sulla sommità di due di tali moduli, di un pannello lungo 10 m e largo 2, sulla superficie superiore del quale erano saldate 6 travi, per il sostegno dei piedini (o bielle) sottostanti e per il passaggio di tubazioni, nonché traversine metalliche ad L per l'irrigidimento del pannello.
Secondo le indicazioni rese dai testimoni sentiti in dibattimento e dai consulenti del pubblico ministero il posizionamento e l'ancoraggio del pannello ai moduli avvenivano con le seguenti modalità operative: dapprima il pannello veniva imbracato mediante quattro catene di sollevamento agganciate alla seconda e alla quinta delle sei travi saldate nella superficie superiore del pannello, cosicché quelle esterne, la prima e la sesta, rimanevano libere; il pannello era quindi posizionato in corrispondenza dello spazio vuoto esistente tra un modulo e l'altro fino ad essere portato a contatto con la superficie inferiore delle travi di raccordo delle colonne dei due portali cui veniva saldato; alle operazioni di saldatura provvedevano due operai, portati a circa 30 m da terra da un autocestello, i quali a al fine stazionavano sulla superficie del pannello medesimo, trattenuto in quota con le quattro catene tenute in tiro da una gru; gli operai procedevano dapprima alla saldatura delle travi poste al centro del pannello (la terza e la quarta), quindi si spostavano verso l'estremità del pannello saldando la seconda e la quinta (cui erano agganciate le catene della gru) e, infine, passavano a saldare la prima e la sesta trave. Per poter operare la saldatura di queste ultime travi più esterne, gli operai dovevano allineare le due estremità laterali del pannello alle travi di raccordo delle colonne dei portali, poiché dette estremità rimanevano a sbalzo essendo il pannello agganciato alle catene di sollevamento, come detto, solo nella parte centrale.
Durante la permanenza in quota gli operai addetti alla saldatura erano dotati di una cintura di sicurezza con fune di trattenuta, che veniva agganciata alla fune di guardia tesa tra due montanti a morsetto posizionati durante la prima fase di sollevamento.
Secondo la ricostruzione accolta dal Tribunale, al momento della caduta G.R. stava ultimando, insieme con altro operaio, A.E., le operazioni di saldatura del pannello; dopo aver saldato le travi centrali (la seconda, la terza, la quarta e la quinta), egli si era portato sulla parte a sbalzo, verso la trave n. 1, onde effettuare, preliminarmente all'operazione di saldatura, l'allineamento del pannello con la trave di raccordo del portale, attraverso il paranco a mano ivi posizionato allo scopo; proprio nel corso di tale operazione il pannello cedeva in corrispondenza della parte a sbalzo (compresa tra le travi nn. 1 e 2) e il G.R. cadeva nel vuoto, trascinando a terra il parapetto al quale aveva vincolato la fune di trattenuta della cintura di sicurezza indossata; tale parapetto era stato realizzato prima del sollevamento in quota del pannello, applicando, alle estremità dei lati corti dello stesso, dei montanti con la relativa fune di guardia in acciaio.
L'evento era ascritto ai predetti imputati a titolo di colpa generica e specifica, quest'ultima consistita, per entrambi, nella violazione dell'art. 10, comma 2, d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164 (per non aver disposto che la fune di trattenuta fosse assicurata, direttamente o tramite anello scorrevole, lungo una fune appositamente tesa tra parti stabili o fisse delle opere provvisionali) e, inoltre, per R.Z., nella violazione dell'art. 9, comma 1, lett. c-bis) in relazione all'art. 2, comma 1, lett. f-ter) d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494, e dell'art. 4 d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (per non avere redatto il documento di valutazione dei rischi in modo coerente alle operazioni descritte e alle misure di sicurezza da adottare per i lavori in quota) e, ancora, nella violazione dell'art. 36-bis, comma 5, d.lgs. n. 626/1994 (per non avere previsto l'installazione di dispositivi di protezione contro le cadute che avessero configurazione e resistenza tali da evitare o arrestare le cadute da luoghi di lavoro in quota).
Conformemente al primo giudice, la Corte riteneva accertato che l'evento fosse da ricondurre causalmente anche a difetti progettuali e di struttura del pannello, in ciò essendovi peraltro perfetta consonanza tra le parti e i loro consulenti; più precisamente, il pannello in questione, così come gli altri forniti per la copertura delle descritte strutture, era risultato inidoneo, per come progettato e per i materiali con i quali era stato confezionato, alle modalità di montaggio e posa sopra illustrate, che prevedevano l'ancoraggio delle catene nella sola parte centrale, ciò comportando una tensione nelle parti terminali del pannello tale da esaurire la capacità di tenuta delle parti estreme del pannello medesimo, con la conseguenza che qualsiasi aumento di peso di tali mensole avrebbe determinato il collasso e la deformazione del pannello.
Ciò però, secondo entrambi i giudici di merito, non valeva ad escludere il nesso causale tra l'evento e le violazioni ascritte agli imputati, posto che le norme in tema di prevenzione citate, anche rispetto a situazioni complesse di impresa e cantiere, obbligano il datore di lavoro a valutare e prevenire i rischi connessi alle specifiche lavorazioni della propria impresa, senza che egli possa invocare a sua discolpa, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, eventuali responsabilità altrui.
Ciò premesso, violazione causalmente efficiente era considerata l'omessa predisposizione di una fune salvavita fissata a parti stabili delle opere provvisionali cui agganciare la cintura di sicurezza, questa essendo risultata agganciata, nell'occorso, ad una fune di guardia inidonea, in quanto tesa tra due montanti ancorati al pannello medesimo, con morse a bulloni, nella traversa di irrigidimento più esterna, peraltro montati con modalità erronee. Ciò aveva fatto sì che il G.R., scivolando sul piano inclinato venutosi a creare in conseguenza del cedimento del pannello e precipitando nel vuoto, non fosse trattenuto dal parapetto medesimo avendo egli impresso nell'impatto una forza dinamica che quest'ultimo non poteva sopportare.
Al riguardo, la Corte riteneva inoltre destituita di fondamento la tesi difensiva secondo cui, in occasione del fatto, in realtà erano presenti e utilizzabili altri punti di ancoraggio del lavoratore a strutture stabili, anche sul punto confermando la valutazione già espressa dal Tribunale.
La circostanza era stata affermata dal teste D.E. ed era stata ribadita dagli appellanti anche sulla base di una fotografia da essi stessi scattata sui luoghi, in cui si nota la presenza di una fune di trattenuta. La deposizione del teste era però ritenuta inattendibile, reputandosi del tutto illogico e privo di giustificazione che gli imputati, pure astretti dalle indagini nei loro confronti per la morte del dipendente, avessero taciuto o si fossero dimenticati della realizzazione di un ancoraggio ad un punto fisso della struttura e avessero piuttosto introdotto la circostanza solo in corso di processo, a quasi sei anni di distanza dagli eventi, quando nessun accertamento utile, oggettivo e concreto, poteva essere compiuto.
Rimarcava, inoltre, la Corte, che gli altri testimoni avevano di contro tutti affermato di avere sempre operato con le medesime modalità, specificando che gli addetti alle operazioni in quota sui pannelli si ancoravano ai parapetti installati alle estremità con le modalità sopra dette e non già ad altri elementi o strutture. Anche gli ispettori dell'Asl, che avevano proceduto alla verifica dei luoghi nell'immediatezza dell'infortunio, e il consulente tecnico del Pubblico Ministero avevano concordemente escluso di avere notato la presenza di funi e di punti di ancoraggio su parti stabili della struttura.
Quanto alla foto prodotta dagli imputati, rilevava la Corte che essa era stata scattata dopo il fatto, in occasione di un successivo sopralluogo e nulla poteva dimostrare circa la sua provenienza, l'oggetto ritratto e il tempo della sua collocazione.
2. Avverso tale decisione  R. e M.Z. propongono ricorso per cassazione, per mezzo del loro difensore, sulla base di quattro motivi, illustrati in ricorso peraltro non secondo l'ordine con cui sono all'inizio enumerati.
2.1. Una prima doglianza (indicata in apertura come terzo motivo di ricorso) è diretta a contestare la valutazione della Corte secondo cui le prove acquisite nel loro complesso smentirebbero la tesi difensiva dell'esistenza di una fune di trattenuta ancorata ad un punto fisso: fune che sarebbe stata installata il 24/4/2006 da D.E. e M.Z., così come confermato in dibattimento dal primo, e che viene ritratta nella fotografia prodotta e acquisita all'udienza del 17/10/2011.
Lamentano i ricorrenti che la Corte ha omesso di disporre la perizia richiesta dalla difesa onde verificare posizionamento e funzione del cordino ritratto nella foto, assumendo trattarsi di prova decisiva.
Evidenziano che, comunque, indicazioni circa l'esistenza e l'adeguatezza della fune descritta emergevano anche dalla deposizione resa dal consulente tecnico del PM, ingegner R..
Deducono ancora che il giudizio di inattendibilità della deposizione del teste E. è fondato su considerazioni illogiche e infondate atteso che le sue dichiarazioni non sono in contrasto con quelle degli altri suoi colleghi, avendo egli solo precisato che due giorni prima dell'infortunio era salito sul pannello montato con il fratello e con M.Z. e aveva montato la fune in questione saldandola nel punto in cui è fotografata e considerato, inoltre, che nessun interesse poteva egli avere a favorire il datore di lavoro posto che, al momento di rendere testimonianza, egli da tre anni non lavorava più alle dipendenze della S. S.r.l..
2.2. Una seconda serie di censure (indicata in apertura come primo motivo di ricorso) è diretta a contestare, come manifestamente illogica e incoerente con l'istruzione acquisita, la valutazione della Corte secondo cui a causare l'evento sarebbero state, da un lato, la mancanza di stabilità del pannello e il fatto che lo stesso fosse stato sollevato con modalità inidonee a preservarne la capacità di carico, in quanto agganciato solo nelle due travi centrali; dall'altro, la mancata installazione di una linea vita ancorata a punti stabili, la quale invece si imponeva stante il rischio di cedimento e deformazione del pannello.
Sotto il primo profilo, deducono infatti i ricorrenti che: non vi è alcun teste che abbia riferito di oscillazioni e/o di instabilità del pannello; l'operazione di sollevamento a 30 m è stata lentissima ed è durata mezz'ora; il gruista aveva seguito per ogni centimetro tale operazione e avrebbe avvertito i due colleghi se il pannello avesse manifestato instabilità; il pannello è collassato un'ora e mezza dopo che il G.R. e il collega A.E. avevano eseguito la gran parte delle saldature, cosa che rendeva il pannello ben stabile.
Quanto al secondo passaggio motivazionale, rilevano che il consulente tecnico di parte, analogamente a quanto sostenuto dal consulente tecnico di coimputato giudicato separatamente con rito abbreviato, aveva affermato che il pannello, avendo, sui lati lunghi, un parapetto naturale costituito dalle pareti delle colonne portanti e, sui lati corti, due parapetti provvisori, era da considerare un «piano di calpestio orizzontale con conseguente esclusione della necessità di predisporre dispositivi di sicurezza contro le cadute dall'alto».
Sulla base di tale premessa, che secondo i ricorrenti sarebbe stata accolta anche dai giudici di merito, rilevano che, nella legittima aspettativa di essi ricorrenti e dei dipendenti della S. S.r.l., quel pannello avrebbe dovuto avere la capacità di reggere i due lavoratori - come del resto sempre avvenuto nei precedenti montaggi, senza alcuna obiezione da parte del direttore del cantiere e del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione - dovendosi pertanto escludere che essi avessero l'obbligo di predisporre dispositivi di sicurezza per evitare cadute dall'alto.
Evidenziano al riguardo che i pannelli e ogni pezzo da montare arrivavano in cantiere già pronti per il montaggio; non spettava al montatore verificare se il costruttore avesse rispettato, nel costruire i pezzi, le regole della buona arte e se le saldature soddisfacessero i coefficienti di sicurezza; tali verifiche spettavano semmai alla committente A., attraverso la direzione lavori e il coordinatore per la sicurezza nella fase progettuale e in quella esecutiva, oltre che alla subcommittente STF; alla S. non furono consegnati i disegni, per cui essi ricorrenti non potevano sapere che mancassero saldature; peraltro i difetti del pannello, secondo gli stessi consulenti tecnici del P.M., erano accertabili solamente eseguendo le prove e i calcoli che essi avevano fatto al Politecnico; nella sentenza resa nel giudizio abbreviato a carico del responsabile dei lavori e del coordinatore per la sicurezza, il G.u.p. aveva escluso che rientrasse nei compiti di essi odierni ricorrenti verificare che il pannello fosse stato costruito a regola d'arte.
2.3. Altra censura, indicata come motivo n. 4, investe la sentenza impugnata, per carenza di motivazione, in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato.
Per le stesse considerazioni suesposte, deducono i ricorrenti l'imprevedibilità ex ante, da parte degli stessi, atteso il ruolo ad essi attribuito nella complessiva organizzazione dei lavori, del pericolo di collassamento del pannello, in quanto causato da gravi errori di fabbricazione.
2.4. Con un ultimo motivo, infine, indicato come secondo nella numerazione iniziale, i ricorrenti lamentano inosservanza della regola di giudizio dettata dall'art. 533 cod. proc. pen..
Rilevano che le carenze istruttorie e la ricostruzione parziale operata dai verbalizzanti e dal consulente tecnico del PM rendevano ingiustificato il convincimento della colpevolezza di essi ricorrenti al di là di ogni ragionevole dubbio.

Diritto

 


3. Il ricorso è infondato sotto tutti i profili dedotti.
La Corte motiva il proprio convincimento, conforme a quello del giudice di primo grado, in punto di penale responsabilità in modo coerente ed esaustivo.
Per contro le censure di carenza o manifesta illogicità della motivazione si rivelano in realtà basate, in parte, su una lettura non corretta o parziale della motivazione, in altra parte sulla mera inammissibile prospettazione di una diversa valutazione delle prove raccolte ovvero ancora su una altrettanto inammissibile richiesta di una rinnovata valutazione delle prove medesime.
Assunto principale del ricorso è quello secondo cui le modalità di sollevamento del pannello consentissero di fare pieno affidamento sulla stabilità dello stesso e sulla capacità, quindi, di sostenere il peso dei due operai che sopra di esso stazionavano per le operazioni di saldatura (argomentandosi poi da tale assunto la conseguente esclusione dell'obbligo di predisporre altre misure di prevenzione del pericolo di caduta dall'alto).
Diversamente da quanto affermato in ricorso, tale assunto tuttavia non può affatto considerarsi accolto dai giudici di merito, essendo al contrario evidenziato in sentenza che le modalità di imbracatura del pannello, con l'agganciamento delle catene di sollevamento solo a due delle sei travi in esso presenti, posizionate centralmente (la seconda e la quinta), determinavano una inevitabile instabilità o non rigidità delle parti estreme del pannello stesso, ossia dei segmenti compresi tra la prima e seconda trave (quello sul quale stava operando la vittima al momento del tragico occorso) e tra la quinta e la sesta.
Ciò del resto è confermato dal fatto, più volte rimarcato in sentenza, che al momento della saldatura tali parti più estreme del pannello venivano a trovarsi a un livello più basso, rispetto alla piastra soprastante del modulo cui occorreva saldarle, di circa 1,5 m, tanto da rendersi necessaria una preliminare operazione di sollevamento di tali estremi, compiuta agganciandoli ad un soprastante paranco e, quindi, tirandoli fino a farli combaciare con la struttura a cui dovevano essere saldati.
Indipendentemente pertanto da alcun approfondimento circa la corretta fabbricazione a regola d'arte del pannello e l'assenza in esso di difetti strutturali - approfondimento effettivamente non di competenza della ditta incaricata del montaggio, nella misura in cui non possano tali difetti ritenersi di evidenza tale da risultare percepibili secondo le competenze tecniche comunque esigibili a un'impresa operante nel settore - rimane il fatto che, alla stregua di quanto compiutamente argomentato in sentenza, con motivazione in sé coerente e non fatta segno di alcuna specifica censura da parte dei ricorrenti (anzi sul punto dagli stessi chiaramente travisata), le condizioni di imbracatura del pannello e le modalità di sollevamento non consentissero affatto di fare alcun affidamento sulla idoneità dello stesso a sorreggere gli operai impegnati nei lavori predetti, soprattutto nella fase degli stessi relativa ai segmenti più esterni, in prossimità dei lati corti, e imponessero pertanto l'adozione delle misure di sicurezza dirette e a prevenire il pericolo di caduta dall'alto, quali appunto imposte dalle norme la cui violazione è stata ad essi contestata.
Su tale aspetto focale della vicenda, i giudici di merito motivano ampiamente e con linearità argomentativa, mentre il contrario assunto dei ricorrenti lungi dal fondarsi sulla indicazione di emergenze oggettive, univoche e decisive risultanti dal corpo stesso della sentenza o da atti del processo specificamente e compiutamente richiamati, si rivela basato esclusivamente sulle affermazioni del consulente tecnico di parte, peraltro riportate per un breve stralcio e senza l'indicazione di alcun argomento tecnico che valesse a spiegare la proposta diversa valutazione o tanto meno a segnalare l'inattendibilità di quella invece accolta in sentenza.
Né può valere a corroborare tale tesi la considerazione che, in precedenza, nonostante l'adozione delle medesime modalità operative, nessun evento del genere si fosse mai verificato, non essendo una tale constatazione idonea a dimostrare di per sé, per il suo carattere meramente empirico, l'assenza di rischio alcuno insito in quelle modalità, né a renderne scusabile sul versante soggettivo - come appresso si dirà - la mancata previsione ex ante. Solo un preventivo studio tecnico-scientifico dei livelli di stabilità del piano di lavoro rappresentato dal pannello medesimo che si trattava di applicare alla sommità, ovviamente coinvolgente una attenta considerazione delle sue caratteristiche strutturali e di resistenza fisica alle sollecitazioni, la considerazione delle modalità di ancoraggio e dei mezzi adoperati per il suo sollevamento, avrebbe potuto avvalorare una tale convinzione e legittimare pertanto la mancata previsione di alternativi sistemi di ritenuta. Di ciò peraltro avrebbe dovuto trovarsi espressa indicazione anche nel piano operativo di sicurezza. Di tanto non essendovi traccia nel processo, nemmeno sul piano delle mere allegazioni, resta assorbente la considerazione che il pesantissimo pannello, lungi dal costituire esso stesso presidio di sicurezza per i lavori da compiersi a 30 metri di altezza, ne era l'oggetto; assumerlo pertanto al tempo stesso anche quale utile ancoraggio in funzione di prevenzione dei rischi di caduta dall'alto, costituisce un evidente corto circuito logico.
Su tali premesse l'osservazione che poi la caduta dall'alto abbia trovato un contributo causale determinante non già nella condizione di scarsa rigidità del pannello nella sua parte più laterale per le modalità con cui era imbracato alla gru (ossia per essere agganciato solo alle travi centrali e non anche a quelle più estreme), ma in un cedimento strutturale dello stesso mai prima verificatosi non assume rilievo sul piano dell'efficacia causale della violazione della regola cautelare (ed. causalità della colpa) al riguardo occorrendo rilevare che: a) in astratto, tale cedimento non può considerarsi del tutto estraneo alla classe di eventi che quella regola (aggancio delle cinture di sicurezza a punto stabile delle strutture fisse o delle opere provvisionali) mira a prevenire; b) anche a considerarlo estraneo, tuttavia, l'osservanza di quella regola (comunque da osservarsi per le ragioni sopra dette) avrebbe evitato l'evento.
4. Quanto poi alla sussistenza della detta violazione, le contrarie allegazioni dei ricorrenti (venendosi, così, alla seconda ragione di critica), secondo cui in realtà era stata curata la predisposizione di funi salvavita ancorate a parti stabili degli stessi moduli che si trattava di coprire, si appalesano inammissibili, risolvendosi nella prospettazione di questioni di merito ovvero di una nuova e diversa valutazione degli elementi di prova raccolti, la quale, come noto, non può trovare ingresso in questa sede, a fronte di una motivazione sul punto certamente esaustiva e pienamente coerente sul piano logico e rispetto alle acquisizioni istruttorie.
La Corte, invero, ha adeguatamente motivato la valutazione dell'efficacia recessiva della deposizione resa dal teste D.E. sul punto in questione, rispetto a quella degli altri testi, sulla base di argomenti non manifestamente illogici: quali in particolare la inverosimilianza della omessa attenzione dedicata non solo dagli altri testi ma anche dagli stessi imputati nella fase iniziale del procedimento ad un aspetto fattuale di tale rilevanza.
Giova al riguardo rammentare che la Cassazione non è giudice delle prove, non deve sovrapporre la propria valutazione a quella che delle stesse hanno fatto i giudici di merito, ma deve stabilire - nell'ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato - se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, se nell'interpretazione del materiale istruttorio abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cfr. Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428; Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi, Rv. 214567): il vizio di motivazione denunciabile ex art. 606, comma 1, lett. e) non può, cioè, consistere nella mera deduzione di una valutazione del contesto probatorio ritenuta dal ricorrente più adeguata (Sez. 5, n. 45420 del 04/10/2004, Lebbiati, non mass.), ma deve essere volto a censurare l'inesistenza di un plausibile e coerente apparato argomentativo a sostegno della scelta operata in dispositivo dal giudicante.
Il Tribunale, prima, e la Corte d'Appello, poi, hanno, invero, indicato con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione adottata, confutando, in maniera analitica, persuasiva e scevra da vizi logici, la diversa valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dalla difesa, in quanto in buona sostanza fondata su un alternativa spiegazione causale del sinistro priva di concreti riscontri e in definitiva meramente congetturale.
5. Né può considerarsi integrare vizio di cui all'art. 606 comma 1 lett. d) cod. proc. pen. il motivato rigetto della richiesta di espletamento di perizia volta ad accertare la natura e idoneità della fune salvavita ritratta dalla foto prodotta dagli imputati.
Occorre al riguardo anzitutto rammentare che per pacifico indirizzo «prova decisiva» è da intendere unicamente quella che risulti determinante per un esito diverso del processo, nel senso che essa, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove fosse stata esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (v. Sez. 2, n. 21884 del 20/03/2013, Cabras, Rv. 255817; Sez. 4, n. 27738 del 08/05/2007, Matteucci, non mass.; Sez. 2, n. 16354 del 28/04/2006, Maio, Rv. 234752).
Di conseguenza, non sussiste il vizio di mancata ammissione di prova decisiva quando si tratti di prova che debba essere valutata unitamente agli altri elementi di prova processualmente acquisiti, non per eliderne l'efficacia probatoria, ma per effettuare un confronto dialettico che in ipotesi potrebbe condurre a diverse conclusioni argomentative (v. Sez. 6, n. 37173 del 11/06/2008, Ianniello, Rv. 241009; Sez. 2, n. 2827 del 22/11/2005, dep. 2006, Russo, Rv. 233328).
Alla stregua di tali parametri, carattere di decisività non può certamente attribuirsi alle attività istruttorie di carattere meramente esplorativo e riconducibili più propriamente al concetto di mezzi di ricerca della prova che a quello di mezzi di prova, cui unicamente è riferibile la previsione invocata (v. Sez. 6, n. 6861 del 28/04/1993, Ferrovai ed altro, Rv. 195139; con riferimento alla perizia, v. peraltro Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012, Ritorto, Rv. 253707; Sez. 4, n. 14130 del 22/01/2007, Pastorelli, Rv. 236191; Sez. 6, n. 37033 del 18/06/2003, Brunetti, Rv. 228406; Sez. 6, n. 17629 del 12/02/2003, Zandri, Rv. 226809; Sez. 4, n. 9279 del 12/12/2002, dep. 2003, Bovicelli, Rv. 225345).
Peraltro, nel caso di specie, tale perizia, qualunque fosse stato il suo esito, poiché diretta solo ad accertare l'idoneità di quel presidio di sicurezza sul presupposto che esso nel caso di specie fosse stato predisposto, non avrebbe potuto comunque smentire il rilievo, dirimente, della inidoneità della foto prodotta dagli imputati a dimostrare tale presupposto, in quanto per espressa ammissione degli stessi scattata diversi giorni dopo l'incidente e pertanto inidonea a dimostrare che quel punto d'aggancio fisso in essa ritratto sussistesse effettivamente anche prima dell'incidente occorso.
6. Restano naturalmente assorbiti -anche i rilievi in punto di elemento soggettivo del reato.
La colpa, specifica, addebitata ai ricorrenti discende, in re ipsa, dalla accertata violazione degli obblighi ad essi imposti dalle citate norme antinfortunistiche dovendosi per ciò stesso ritenersi implicitamente accertata anche la prevedibilità ex ante dell'evento, non emergendo alcuna circostanza che consenta di ritenere esulante dalle cognizioni e dalle competenze dei ricorrenti, nelle descritte qualità, la possibilità di prevedere - indipendentemente, ripetesi, da ogni accertamento sull'esistenza di difetti strutturali del pannello - l'instabilità dello stesso e comunque la sua inidoneità a sorreggere in sicurezza gli operai che su di esso stazionavano, in ragione delle particolari modalità di imbracatura alla gru, né potendo dubitarsi che l'evento poi tragicamente verificatosi - caduta dall'altro dell'operaio - rientrasse tra i rischi che le norme violate miravano a prevenire (ed. concretizzazione del rischio).
Come s'è detto, non può giovare, nemmeno sul versante soggettivo della colpa, la considerazione che in precedenza, nonostante l'adozione delle medesime modalità operative, nessun evento del genere si fosse mai verificato, non essendo una tale constatazione idonea a renderne scusabile la mancata previsione ex ante. Questa del resto discende dalla stessa previsione normativa che, nell'imporre l'adozione della regola cautelare, per ciò stesso codifica e rende pertanto prevedibile, per effetto della stessa doverosa conoscenza e conoscibilità della norma, l'esistenza dei pericoli di caduta discendenti dall'esecuzione di lavori in altezza. Solo una ragionevole certezza dell'insussistenza in concreto di tale pericolo in ragione della idoneità della modalità operativa adottata a costituire essa stessa idoneo presidio collettivo di sicurezza, avrebbe potuto escludere la prevedibilità ex ante dell'evento. Una tale ragionevole certezza però nel caso di specie, sulla base delle emergenze acquisite, non trova alcuna valida base logica, questa certamente non potendo essere rappresentata dalla mera constatazione empirica della tragica novità dell'accadi/nento.
7. Alla stregua delle considerazioni che precedono privo di pregio si appalesa infine anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia la violazione della regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
Questa invero rappresenta nient'altro che, a contrario, la verifica del grado di probabilità logica attribuibile al ragionamento inferenziale con cui il giudice ricollega, sulla base delle prove raccolte, il fatto concreto alla ipotizzata spiegazione causale.
Ed invero, intanto tale ragionamento può ritenersi dotato di elevato grado di probabilità logica ed in grado pertanto di supportare il convincimento della sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa dell'imputato e l'evento con «elevato grado di credibilità razionale», in quanto non permanga un «dubbio ragionevole» (ossia, non meramente congetturale) che l'evento possa essere stato determinato da una causa diversa: dubbio nella specie escluso dalla Corte di merito, alla stregua di motivazione esaustiva e coerente, la cui piena adeguatezza risulta confermata dai superiori rilievi.
Né ad una diversa conclusione sul punto può indurre la modifica introdotta dall'art. 5 della legge 6 febbraio 2006, n. 46, mediante la sostituzione del comma 1 dell'art. 533 del codice di procedura penale con la disposizione secondo cui «il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato al di là di ogni ragionevole dubbio».
Secondo l'opinione prevalente in giurisprudenza, infatti, tale novella non ha avuto sul punto un reale contenuto innovativo, non avendo introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazioni della prova, essendosi invece limitata a codificare un principio già desumibile dal sistema, in forza del quale il giudice può pronunciare sentenza di condanna solo quando non ha ragionevoli dubbi sulla responsabilità dell'imputato. La novella, dunque, non avrebbe inciso sulla funzione di controllo del giudice di legittimità che rimarrebbe limitata alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento, con l'impossibilità di procedere alla rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della sentenza e dunque di adottare autonomamente nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (v., in tal senso, tra le ultime pronunce, Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579, la quale ha precisato che tale regola di giudizio impone al giudice di giungere alla condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità; cfr. anche, in tal senso, Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Javad, Rv. 251507).
Nella specie, giova ribadire, nessun dubbio può nutrirsi né sulla ricostruzione delle cause del sinistro, né sulla sussistenza delle violazioni contestate; né tale dubbio può fondatamente predicarsi solo in ragione dell'esistenza di una deposizione testimoniale che afferma l'esistenza di un fatto (ossia l'esistenza di punti fissi di ancoraggio delle cinture di sicurezza) incompatibile con tale ricostruzione, posto che tale deposizione è stata posta ad oggetto di valutazione adeguatamente motivata di inattendibilità e recessività rispetto alle emergenze di segno contrario.
8. Il ricorso va pertanto rigettato con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 3/6/2015