Cassazione Penale, Sez. 4, 25 giugno 2015, n. 27009 - Infortunio con il nastro trasportatore dell'argilla per laterizi. Responsabilità di un lavoratore nei confronti del collega


 

 

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE Relatore: SERRAO EUGENIA Data Udienza: 09/06/2015

Fatto


1. La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 12/05/2014, ha confermato la pronuncia emessa il 5/10/2013 dal Tribunale di Messina nei confronti di P.A., ritenuto responsabile del delitto previsto dagli artt. 40, secondo comma, 113 e 590, commi 1, 2 e 3, cod. pen. perché, in cooperazione colposa con il datore di lavoro e nella qualità di operaio addetto al quadro di manovra del nastro trasportatore dell'argilla per laterizi, aveva colposamente dimenticato di disattivare il nastro trasportatore dall'interruttore generale di alimentazione, nonostante l'esplicita richiesta del collega N.A., così cagionando gravissime lesioni personali a quest'ultimo. L'imputato è stato, pertanto, condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed al risarcimento del danno, da liquidarsi dinanzi al giudice civile, in favore della costituita parte civile.
2. I giudici di merito avevano ricostruito l'infortunio come segue: il giorno 18 aprile 2006 N.A. stava lavorando presso l'impianto che portava la creta ai macchinari quando si erano rotte due cinghie in un nastro trasportatore; era andato a cercare quelle di ricambio e, nel frattempo, aveva mandato il collega P.A. a staccare i macchinari dall'alimentazione elettrica; sapeva che il collega era in grado di attuare l'operazione e, in ogni caso, quest'ultimo gli aveva risposto positivamente; non aveva, quindi, verificato se l'interruttore fosse stato spento e aveva proceduto a mani nude alla sostituzione di una cinghia del nastro trasportatore, senza avvedersi che il macchinario era rimasto acceso e che le relative pulegge erano in movimento; era rimasto, quindi, con entrambe le mani incastrate nei meccanismi delle pulegge.
3. P.A. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente all'accertamento del reato per erronea applicazione alle dichiarazioni della persona offesa della presunzione di attendibilità riguardante le dichiarazioni dei testimoni; il ricorrente si duole del fatto che la Corte di Appello abbia conferito alle dichiarazioni della parte offesa costituita parte civile una attendibilità non consentita dal nostro ordinamento, anziché procedere alla verifica intrinseca ed estrinseca di tali dichiarazioni, omettendo di prendere in considerazione tutta una serie di circostanze ed elementi emersi in dibattimento che avrebbero condotto ad un giudizio di inattendibilità. Dalla stessa parte offesa, si assume, era stata esclusa la prova certa che l'imputato avesse udito l'invito a disattivare la corrente elettrica;
b) inosservanza o erronea applicazione dell'art.41, secondo comma, cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione; il ricorrente si duole del fatto che i giudici di merito abbiano escluso l'applicabilità dell'art. 41, secondo comma, cod. pen. sebbene dalle acquisizioni dibattimentali emergesse che la puleggia in funzione fosse visibile e nonostante la stessa persona offesa avesse confermato che il motore era acceso, così dimostrando il comportamento eccezionale e abnorme posto in essere dall'infortunato;
c) inosservanza o erronea applicazione dell'art. 41, secondo comma, cod. pen. - mancata assunzione di un elemento di prova decisivo con riferimento all'art.495, comma 2, cod. proc. pen.; il ricorrente deduce che il perito nominato dalla Corte di Appello non ha descritto né ricostruito le operazioni compiute dal lavoratore nel momento rilevante della causa, ossia quando doveva sostituire la cinghia e, tuttavia, dall'esame del consulente sarebbe emerso che la parte offesa non potesse non avvedersi che la puleggia era in movimento, avendo il consulente fatto riferimento solo alla vista ed all'udito senza riferire in ordine al tatto, avendo fornito risposte contraddittorie e non esaustive. Dalla escussione del perito, si assume, è emerso che la cinghia non ha un'elasticità tale da consentire, una volta apposta un'estremità sulla puleggia inerte, che l'altra estremità possa essere tirata ad una distanza anche limitata dalla puleggia in movimento e poi rilasciata repentinamente per incastrarvisi, da ciò dovendosi desumere che la parte offesa non potesse non avvedersi che la puleggia era in movimento;
d) il ricorrente ha, quindi, eccepito l'intervenuta prescrizione del reato.

Diritto


1. Osserva preliminarmente il Collegio che il reato per il quale l'imputato è stato tratto a giudizio è prescritto.
2. Si tratta di fatto commesso il 18/04/2006. Quanto al tempo necessario a prescrivere, la disciplina attualmente vigente, applicabile in quanto si tratta di fatto commesso successivamente alla data di entrata in vigore della legge 5 dicembre 2005, n.251, prevede il termine prescrizionale di sei anni, in ogni caso non ulteriormente estensibile oltre un quarto in caso di interruzioni, per complessivi sette anni e sei mesi. Posto che la pronuncia della sentenza di primo grado in data 5/10/2009 ha interrotto il decorso della prescrizione, in base al A combinato disposto degli artt. 157,160 e 161 cod.pen., come modificati con legge n.251/2005, e tenuto conto dei periodi di sospensione del termine, alla data del 20/05/2014, ossia in data successiva alla pronuncia della sentenza in grado di appello, si è compiuto il termine massimo previsto dalle norme citate.
3. Al riguardo, rilevato che il ricorso non risulta affetto da profili di inammissibilità, occorre sottolineare, in conformità all'insegnamento ripetutamente impartito dalla Corte di Cassazione, come, in presenza di una causa estintiva del reato, il giudice sia legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art.129, comma 2, cod.proc.pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n.35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275). Sul punto, l'orientamento della Corte è univoco.
3.1. Coerente con questa impostazione è la uniforme giurisprudenza di legittimità che, fondandosi anche sull'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità, esclude che il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre all'annullamento con rinvio, possa essere rilevato dal giudice di legittimità che, in questi casi, deve invece dichiarare l'estinzione del reato (Sez. 4, n. 14450 del 19/03/2009, Stafissi, Rv. 244001).
3.2. Nei casi in cui sia stata proposta azione civile nel processo penale, tale principio è, tuttavia, applicabile, con riferimento alla responsabilità penale dell'imputato, solo nel giudizio di primo grado, all'esito del quale il giudice non può dichiarare estinto il reato e pronunciarsi sull'azione civile (Sez.4, n. 10471 del 1/10/1993, Conversi, Rv. 195462). Nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunziata dal primo giudice o dal giudice di appello ed essendo ancora pendente l'azione civile, il giudice penale, secondo il disposto dell'art.578 cod.proc.pen., è invece tenuto, quando accerti l'estinzione del reato per prescrizione, ad esaminare il fondamento dell'azione civile. In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell'impugnazione deve verificare, senza alcun limite, l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle ' restituzioni ed al risarcimento pronunziata dal primo giudice o, come nel caso in f esame, confermata dal giudice di appello.
4. Con riguardo, in particolare, all'impugnazione proposta anche in relazione alle statuizioni civili, secondo quanto già affermato da questa Sezione (Sez.4, n. 10802 del 21/01/2009, Motta, Rv.243976), trova applicazione il principio cosiddetto di immanenza della costituzione di parte civile. In ragione di tale principio, normativamente previsto dall'art.76, comma 2, cod. proc. pen., secondo il quale 4.1. Corollario di questo principio generale è che l'immanenza viene meno soltanto nel caso di revoca espressa e che i casi di revoca implicita - previsti dall'art.82, comma 2, cod.proc.pen., nel caso di mancata presentazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado o di promozione dell'azione davanti al giudice civile - non possono essere estesi al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dalla norma indicata (Sez. 5, n.39471 del 04/06/2013 , De Iuliis, Rv. 257199;Sez. 6, n.48397 del 11/12/2008,Russo,Rv. 242132;Sez. 4, n.24360 del 28/05/2008, Rago, Rv. 240942; Sez.5, n.12959 del 8/02/2006, Lio, Rv.234536; Sez.6, n.25723 del 6/05/2003, Manfredi, Rv. 225576; Sez.l, n.9731 del 12/05/1998, Totano, Rv. 211323).
4.2. Esaminando il caso concreto, va rilevato che, dagli atti processuali, risulta che la parte civile ha partecipato al giudizio di primo grado ed al giudizio di appello. Consegue, alle considerazioni svolte, che, dovendosi ancora ritenere in essere l'azione civile, i motivi d'impugnazione devono essere esaminati sotto tutti i profili e non soltanto ai fini dell'accertamento dell'eventuale esistenza dell'evidenza della prova dell'innocenza.
5. Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è infondato.
5.1. Va rimarcato che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dal ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, ditalchè - sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza della Corte di legittimità - deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile (Sez. U, n.6682 dei 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229; Sez.3, n.44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906).
5.2. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
5.3. La Corte territoriale non si è, peraltro, limitata a richiamare la motivazione della sentenza di primo grado ed ha valutato che la persona offesa avesse reso dichiarazioni molto chiare nel descrivere la dinamica dell'infortunio, ritenendole affidabili in quanto intrinsecamente lineari e logiche. Tale giudizio di intrinseca attendibilità è stato corroborato da considerazioni di carattere logico (N.A. non avrebbe avuto ragione di coinvolgere l'imputato, con il quale vi erano rapporti di normale colleganza, senza astio né altra ostilità, né una persona nel possesso delle proprie facoltà avrebbe messo le mani sul macchinario senza prima chiedere ad un collega di scollegare l'alimentazione) e dalla constatata assenza di emergenze istruttorie che contraddicessero la versione dei fatti descritta dalla vittima. Il giudice di appello ha, inoltre, riportato, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, quanto riferito dalla persona offesa a proposito del fatto che il P.A. avesse risposto positivamente alla sua richiesta di staccare l'alimentazione che, quindi, evidentemente aveva udito.
5.4. Nella sentenza si è, dunque, fatta corretta applicazione di un principio più volte enunciato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, anche a Sezioni Unite, che è il seguente: (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214; Sez.5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Pirajno, Rv. 261730). Le deduzioni svolte nel ricorso per evidenziare la contraddittorietà della motivazione risultano, pertanto, inidonee a scardinare il costrutto logico della sentenza e, sostanzialmente, tendenti ad ottenere una diversa valutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità.
6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto rappresenta la mera reiterazione di analogo motivo di appello.
6.1. Come costantemente affermato dalla Corte di legittimità (ex plurimis, Sez.6, n.8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584), la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod.proc.pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Deve essere sì anch'esso conforme all'art. 581 lett.c) cod.proc.pen. (e quindi contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione); ma quando censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, così che esso sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall'art. 606,comma 1, lett. e) cod.proc.pen., deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente.
6.2. Risulta pertanto di chiara evidenza che se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d'appello, confrontandosi solo apparentemente con la motivazione della sentenza impugnata mediante la mera riproduzione di brani di essa, per ciò solo si destina all'inammissibilità, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente impugnato, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.
6.3. In altri e conclusivi termini, la riproduzione, totale o parziale, del motivo d'appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune circostanze ciò costituisce incombente essenziale dell'adempimento dell'onere di autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e con la sua integrale motivazione si confronta.
6.4. Nel caso concreto, il mancato confronto con la sentenza impugnata è reso palese dall'assenza di riferimenti alla perizia disposta dalla Corte di appello proprio al fine, dichiarato nella stessa sentenza, di dirimere i dubbi emergenti dall'istruttoria in merito al fatto che la persona offesa fosse o meno in grado di rendersi conto che il meccanismo non fosse stato disattivato, rendendo inammissibile la censura.
7. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
7.1. Nell'atto di impugnazione sono state sviluppate alcune argomentazioni tendenti ad ottenere una valutazione della perizia dibattimentale favorevole al ricorrente, in contrapposizione al giudizio espresso dalla Corte territoriale in merito agli esiti dell'accertamento di natura tecnica. Si tratta di argomentazioni che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, posto che, in tema di prova scientifica, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta, ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice del sapere scientifico ed è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. Ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti di una consulenza, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, dep. 2015, C, Rv. 262722).
7.2. In particolare, la Corte territoriale ha riportato la ricostruzione della dinamica dell'infortunio offerta dal perito, sottolineando come quest'ultimo avesse constatato personalmente, sulla base di un sopralluogo con il motore in funzione, perchè fosse possibile non rendersi conto del movimento della puleggia. Il ricorrente ha dedotto, in contrasto con il tenore del provvedimento, che il perito non avrebbe ricostruito le operazioni compiute dal lavoratore infortunato, indicando come dirimente la circostanza che la cinghia da inserire tra le due pulegge non fosse sufficientemente elastica da consentire al lavoratore di applicarla mantenendosi ad una certa distanza.
7.3. Oltre a proporre una lettura della perizia diversa da quella congruamente riportata dal giudice di merito, il ricorrente sviluppa, a ben vedere, un'argomentazione che tende a mettere in dubbio quando riferito dal lavoratore infortunato senza, tuttavia, scardinare la coerenza e logicità del  discorso giustificativo del provvedimento impugnato. Al costrutto argomentativo della sentenza di primo grado, la Corte territoriale ha, infatti, aggiunto un elemento di valutazione di natura tecnica, onde fugare ogni residuo dubbio in merito alla dinamica dell'infortunio, già ricostruita sulla base delle considerazioni già svolte dai giudici di entrambi i gradi di merito a sostegno della credibilità della persona offesa.
8. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata ai soli effetti penali per intervenuta prescrizione del reato. Il ricorso va, invece, rigettato agli effetti civili.

P.Q.M.


Annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata per essere il reato ascritto all'imputato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso ai fini civili.
Così deciso il 9/06/2015