Cassazione Penale, Sez. 4, 06 luglio 2015, n. 28618 - Infortunio plurimo all'interno della cava. Responsabilità del sorvegliante


 

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE Relatore: IANNELLO EMILIO Data Udienza: 28/04/2015



Fatto


1. Con sentenza del 26/2/2013 il Tribunale di Trapani dichiarava L.O. colpevole dei delitti di omicidio colposo e lesioni colpose gravi, aggravati dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in relazione all'infortunio plurimo occorso in data 23/1/2008, intorno alle ore 16,30, all'interno della cava gestita in C. dalla s.n.c. G.A. & C, nella quale l'L.O. ricopriva le funzioni di sorvegliante: infortunio che aveva cagionato la morte dell'operaio cavatore A.S. e lesioni personali gravi all'altro operaio S.S..
Era infatti accaduto che questi, impegnati nell'attività di riduzione in pezzature di una porzione informe di bancata di marmo e, precisamente, ad eseguire un terzo taglio attraverso un filo diamantato che a tal fine occorreva far passare sotto il masso sfruttando una cavità naturale alla base di esso, venivano travolti e schiacciati da un suo movimento di assestamento.
L'evento era ascritto a colpa generica e specifica dell'imputato, quest'ultima in relazione alla violazione delle disposizioni antinfortunistiche contenute negli artt. 7 lett. e), 130 e 131 del d.P.R. 9 aprile 1959, n. 128 (Norme di polizia delle miniere e delle cave) richiamati in imputazione e, dunque, rispettivamente:
a) per non avere adeguatamente vigilato, nella sua qualità di sorvegliante di cava, sull'osservanza delle norme di sicurezza da parte dei lavoratori;
b) per avere erroneamente ritenuto stabile il piano d'appoggio del masso da sezionare, costituito da materiale roccioso di grossolana pezzatura;
e) per non avere interdetto l'accesso alla cavità presente sotto il masso da tagliare, al fine di evitare che gli operai vi si introducessero.
Concesse le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulla contestata aggravante, l'imputato era condannato alla pena (sospesa) di mesi nove di reclusione oltre che, in solido con la società G.A. & C. s.n.c, responsabile civile, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili da liquidarsi in sede civile e al pagamento di provvisionali in favore delle stesse.
Sulla base delle dichiarazioni della parte offesa S.S. il primo giudice riteneva accertato in punto di fatto che:
il grosso blocco di marmo era stato posto su un letto non perfettamente piano ed era stato puntellato con materiale collocato da L.O. con una pala meccanica;
dopo aver completato il secondo dei tagli per la riduzione in pezzature del blocco, occorrendo procedere al terzo taglio, lo S.S. era impegnato a collocare il filo diamantato, tramite l'uso di una sonda e sfruttando una cavità dell'altezza di circa 1,5 m formatasi sul letto di posa; aveva a tal fine infilato il braccio dentro detta cavità, mentre A.S. si trovava alla sua destra per aiutarlo;
immediatamente dopo che era stato sentito un fruscio, il blocco aveva subito un cedimento travolgendo i due operai con le tragiche conseguenze sopra dette.
Il Tribunale richiamava inoltre quanto riferito dallo stesso imputato alla P.G. e cioè che, poco prima del sinistro, egli aveva notato i due operai introdursi nella cavità formatasi sul letto di posa e, rendendosi conto della pericolosità di tale manovra, aveva loro intimato di uscire e si era quindi allontanato per prelevare una sonda più lunga idonea all'intero attraversamento del masso.
Sulla base delle indicazioni rese dal perito, Ing. C., rilevava infine il primo giudice che: il blocco di marmo aveva mostrato durante i tagli fessurazioni rese vieppiù evidenti dalle operazioni di bagnatura; la base di appoggio era precaria a causa delle asperità del masso; ciò aveva provocato il cedimento da cui era conseguito l'infortunio, che invece si sarebbe potuto evitare se l'L.O., in presenza delle visibili lesioni sfociate poi nella frattura, avesse prudenzialmente sospeso le operazioni di taglio rimandandole al mattino seguente, quando alla luce del giorno avrebbero potuto meglio valutarsi le reali condizioni di rischio dovute alla lavorazione.
Di contro erano ritenute non rilevanti le considerazioni svolte dal consulente della difesa Ing. M., il quale, evidenziando la particolare composizione del marmo estratto da quella cava, aveva sostenuto la non significatività delle tracce di apparenti lesioni rispetto al pericolo di cedimento, potendo trattarsi di semplici venature e pertanto non di fessurazioni.
2. I gravami interposti dall'imputato e dalla responsabile civile erano rigettati dalla Corte d'appello di Palermo con sentenza del 12/3/2014, con la conseguente integrale conferma della decisione di primo grado.
Riconosciuta la fondatezza dell'eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese davanti alla P.G. dal L.O., in quanto raccolte in violazione dell'art. 63 cod. proc. pen., reputava nondimeno la Corte che il giudizio di penale responsabilità trovasse adeguato fondamento sui restanti elementi acquisiti in dibattimento e, segnatamente, sulle conclusioni della perizia redatta dall'Ing. C., in quanto a loro volta fondate su di una motivata e puntuale valutazione di quanto emerso nel corso degli accertamenti tecnici, idonea a confrontarsi con la ricostruzione fornita dallo S.S..
In tal senso evidenziava in particolare che il perito, sulla scorta di un'attenta analisi delle porzioni del masso presenti sui luoghi e dei punti di corrispondenza tra le stesse, aveva concluso nel senso che effettivamente il grosso masso aveva in origine una conformazione che avrebbe potuto indurre ad introdursi dentro la cavità per la sistemazione della sonda ed aveva, altresì, evidenziato che il sinistro doveva ritenersi originato dal collassamento della parte del masso che verosimilmente poggiava su supporto di pietra, il quale a sua volta causava la rotazione verso il basso del masso con fulcro nella zona ancora poggiata sul letto di posa, che si traduceva in un repentino abbassamento della volta della cavità ove si trovavano gli sfortunati lavoratori.
Vagliando, quindi, alla luce di tale ricostruzione, le dichiarazioni rese in dibattimento della persona offesa, S.S., il quale aveva negato di essersi introdotto con lo A.S. sotto il masso dentro la sua cavità e aveva pertanto smentito di essere stato visto e rimproverato dall'L.O. nell'immediatezza di un'operazione del genere, da lui stesso definita manifestamente imprudente, riteneva la Corte che le due ricostruzioni in realtà non si discostassero in modo rilevante, in particolare quanto alla posizione degli operai al momento del collasso del masso e che, peraltro, le maggiori divergenze fossero verosimilmente da attribuire all'intento dello stesso S.S. di ridimensionare l'imprudenza della propria condotta.
Rimarcava infatti che: a) anche lo S.S., in dibattimento, aveva comunque dato atto che egli e lo A.S. si erano abbassati fino ad inginocchiarsi per collocare la sonda in corrispondenza della descritta cavità naturale e che aveva già infilato il braccio sotto il masso «per cercare di spingere la bacchetta» e farle raggiungere l'altra estremità, quando, preceduto da un fruscio, il blocco di pietra aveva fatto un mezzo giro e si era inclinato verso il basso travolgendoli; b) nessuna plausibile giustificazione il teste aveva fornito riguardo alla iniziale versione resa alla P.G. del Dipartimento del Corpo Regionale, allorquando egli aveva riferito di essersi spinto sotto il blocco fino alla vita (essendo ragionevole ipotizzare che altrettanto stesse facendo lo A.S., incaricato di aiutarlo); e) lo S.S. aveva ricordato che l'evento era stato preceduto da un sibilo che non poteva che essere interpretato come un segnale di imminente pericolo, sicché soprattutto lo A.S., se davvero non fosse stato materialmente impegnato nelle operazioni sotto il masso, avrebbe avuto il tempo di capire cosa stava accadendo e cercare la fuga con buone possibilità; d) in ogni caso, anche a ritenere interamente attendibile la versione fornita in dibattimento dallo S.S., essa valeva a smentire la tesi difensiva secondo cui gli operai si trovavano a distanza di sicurezza ed il masso li avrebbe travolti solo a seguito di una rotazione e di un movimento verso valle.
Rimaneva pertanto acclarata, secondo la Corte, la condotta inosservante dei due operai e, di conseguenza, anche la responsabilità dell'imputato che, quale sorvegliante della cava, avrebbe dovuto impedirla, specie in presenza di pericolo di movimenti in quella fase della lavorazione, resi evidenti dalle condizioni del letto di posa e della puntellatura e dalle caratteristiche intrinseche del blocco su cui ci si accingeva ad operare il terzo taglio.
Richiamava anche al riguardo quanto evidenziato nella relazione peritale, e cioè che: il masso presentava certamente una forma irregolare nella faccia inferiore laddove era presente la cavità di notevoli dimensioni, per cui la parte sud (quella risultata interessata dal distacco) veniva comunque a poggiare su una superficie ridotta, come tale meno stabile poiché non interamente adagiata sul letto di posa; il blocco nel suo insieme presentava un quadro fessurativo abbastanza esteso e profondo, riconoscibile già nella seconda fetta, spaccatasi al centro durante la separazione; la visibilità di tali condizioni era tanto più agevolata dalle rutinarie operazioni di bagnatura pacificamente intervenute; una lesione evidente si trovava proprio in continuità con la porzione poi distaccatasi; tale situazione non poteva non essere stata rilevata da coloro che stavano lavorando sul masso e quindi dallo stesso sorvegliante che avrebbe dovuto, vista la situazione e soprattutto la conformazione della base di appoggio, adottare la massima prudenza e rinviare al giorno seguente un più approfondito esame del quadro fessurativo del masso, in ciò coinvolgendo possibilmente la Direzione dei Lavori.
Alla luce di tali indicazioni peritali, la Corte reputava pertanto inattendibile la tesi difensiva secondo cui era impossibile distinguere i segni dell'estesa fessurazione da quelli di una semplice venatura tipica del marmo estratto in quella cava.
3. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione, per mezzo dei rispettivi difensori, l'imputato e la società responsabile civile.
L.O. pone a fondamento del proprio ricorso cinque motivi.
3.1. Con il primo deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità per avere la Corte territoriale posto a base della propria decisione, sia pure indirettamente, le dichiarazioni rese dall'imputato nel corso delle indagini preliminari, che la stessa Corte ha riconosciuto essere inutilizzabili perché rese in assenza delle garanzie difensive.
Rileva infatti che il perito, sulle cui conclusioni poggia essenzialmente il giudizio di penale responsabilità, ha in realtà operato sulla base di tutte le fonti di prova assunte sino a quel momento e, dunque, anche delle predette dichiarazioni, le quali hanno di fatto condizionato, secondo il ricorrente, le conclusioni dell'ausiliario sulla dinamica del sinistro, avendo egli dato per scontato che gli operai si fossero introdotti sotto la cavità del masso utilizzando quanto dichiarato dall'indagato alla polizia mineraria.
3.2. Con il secondo deduce vizio di motivazione e violazione dei criteri legali di valutazione della prova.
Premesso che la decisione risulta dichiaratamente fondata sulle conclusioni del perito e sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa S.S., lamenta che la Corte ha omesso di valutarne il contenuto nella sua interezza.
Rileva in tal senso che anche il perito aveva espressamente ritenuto non verosimile un cedimento dei puntelli, valutando come imprevedibile un vizio di coesione così esteso all'interno del masso, che cioè si trattasse di frattura, bensì visibile all'esterno, ma tuttavia tale da interessare l'intera superficie, essendo questa ipotesi «assolutamente ai limiti» e difficile da prevedere; analogamente il teste S.S., su specifica domanda della difesa, aveva negato che fosse visibile una frattura interna del blocco marmoreo.
3.3. Con il terzo motivo deduce carenza e comunque manifesta illogicità della motivazione posta a fondamento della ritenuta pericolosità della condotta tenuta dagli operai, di avvicinamento e stazionamento a contatto o davanti al blocco, per il passaggio del filo diamantato, posto che la stessa sentenza espressamente riconosce che il movimento all'origine dell'evento lesivo si è verificato a seguito dell'avvenuto collassamento del blocco.
Sostiene, in sintesi, che una valutazione di pericolosità della condotta degli operai avrebbe potuto esprimersi solo ove si fosse al contempo affermato che il movimento del blocco in lavorazione era stato causato da un errore nella sua stabilizzazione ma è invece incoerente rispetto alla accolta spiegazione causale secondo cui il movimento di roto-traslazione in avanti, in senso antiorario, del blocco è stato determinato dal suo imprevedibile e improvviso cedimento strutturale, non altrimenti evitabile e comunque non imputabile alla puntellatura del blocco eseguita proprio per consentire agli operai di avvicinarsi ad esso per il passaggio del filo diamantato (come anche riferito dal perito).
3.4. Con il quarto motivo deduce ancora violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. in tema di valutazione della prova con riferimento alla affermata inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa S.S. circa la posizione degli operai al momento del collasso del masso.
Rileva che il teste in dibattimento ha negato di essersi infilato sotto il blocco sino alla vita e ha anche negato di averlo dichiarato alla polizia giudiziaria nel corso delle indagini; osserva che peraltro anche il perito ha valutato come inverosimile l'ipotesi che i due lavoratori si siano introdotti nella cavità sotto il masso, ammettendo solo che essa abbia potuto indurre i lavoratori a utilizzare tale varco per agevolare l'ingresso della sonda e accorciare i tempi dell'intervento.
Censura, inoltre, come illogica l'ipotesi prospettata dalla Corte secondo cui la persona offesa abbia inteso sminuire la portata della propria condotta, atteso che al contrario ciò contrastava con il proprio interesse all'affermazione della responsabilità dell'imputato.
Assume, inoltre, il carattere meramente congetturale dell'affermazione contenuta in sentenza secondo cui lo A.S., se davvero non fosse stato impegnato nelle operazioni sotto il masso, avrebbe avuto il tempo di accorgersi di quanto stava accadendo e cercare la fuga con buone possibilità, essendo tale prospettazione contrastata, secondo il ricorrente, dalla dinamica del sinistro quale ricostruita dallo stesso perito.
3.5. Con il quinto motivo deduce infine violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
Rileva che la Corte ha omesso di precisare quale sia stata la regola cautelare violata e se il rischio verificatosi rientrava tra quelli che tale regola era finalizzata a prevenire e come tale inoltre fosse ex ante prevedibile.
Sostiene che nessun rimprovero può essere mosso all'imputato non essendovi alcuna certezza che il collasso del masso fosse prevedibile ed evitabile con l'adozione delle cautele mirate ad evitare pericolosi movimenti del blocco («puntellatura» o «quasatura»), le quali hanno anzi hanno in realtà determinato il collassamento stesso.
4. La G.A. & C. s.n.c, responsabile civile, pone a fondamento del proprio ricorso due motivi.
Il primo di essi è interamente sovrapponibile al primo motivo del ricorso proposto dall'imputato, all'esposizione del quale pertanto può farsi rimando.
Con il secondo la ricorrente deduce vizio di motivazione lamentando che la Corte ha omesso di indicare le prove sulle quali ha fondato il convincimento secondo cui l'imputato è incorso in colpa per non avere correttamente valutato le condizioni di pericolosità del masso.

Rileva al riguardo che le conclusioni del perito secondo cui vi erano evidenti fessurazioni nel masso possono dimostrare l'assunta pericolosità dello stesso, ma non anche il comportamento imprudente o imperito del L.O.. Ciò in quanto, assume la ricorrente, manca la prova che l'imputato quella sera ordinò il taglio del masso; che avesse o meno vietato di accostarsi a quest'ultimo; che gli operai avessero osservato o meno le disposizioni di cui all'art. 131 codice delle miniere.
5. In data 23/4/2015 l'Inail ha depositato memoria con la quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

Diritto


6. Entrambi i ricorsi sono infondati e vanno rigettati.
L'affermazione, posta a fondamento del primo motivo di censura proposto da entrambi i ricorrenti - secondo cui la ricostruzione del perito, di rilievo centrale nella motivazione delle conformi pronunce di merito, poggerebbe su elementi desunti dalle dichiarazioni rese dall'imputato nel corso delle indagini preliminari, che la stessa Corte ha riconosciuto essere inutilizzabili ai sensi dell'art. 63 cod. proc. pen. poiché rese in assenza delle garanzie difensive - non trova alcun riscontro, né nel contenuto stesso della sentenza impugnata, né in altri atti processuali specificamente indicati.
La Corte d'appello al contrario chiaramente sottolinea in motivazione che la propria valutazione è fondata sulle valutazioni del perito in quanto discendenti, non da una generica lettura degli atti processuali, bensì dagli accertamenti tecnici operati sui luoghi. Ciò del resto si ricava ampiamente dalle considerazioni sopra sintetizzate dirette a illustrare gli elementi fattuali e le ragioni logiche attraverso le quali si perviene alla ricostruzione della dinamica del sinistro ritenuta più attendibile: elementi desunti da una diretta analisi delle evidenze raccolte sui luoghi e in particolare dalle dimensioni e dalla conformazione del grosso masso di marmo, poste anche a raffronto con le dichiarazioni rese dalla persona offesa, S.S..
7. Si appalesano altresì infondati i motivi che in entrambi i ricorsi (secondo, terzo e quarto motivo del ricorso L.O.; secondo motivo del ricorso proposto dalla G.A. & C. s.n.c.) sono diretti a contestare l'esistenza della violazione della regola cautelare ascritta all'imputato e della sua efficacia causale rispetto all'evento.
Essi propongono questioni meramente valutative e di merito, inammissibili nel giudizio di legittimità, e non si misurano con l'addebito posto a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità che non è certamente quello di non aver puntellato adeguatamente il blocco di marmo, né di aver ordinato ai cavatori di operare nelle condizioni che li hanno esposti alle tragiche conseguenze del sinistro, ma ben diversamente quello di non aver impedito una condotta lavorativa palesemente imprudente e violativa delle regole richiamate (130 e 131 cod. miniere).
Principio di fondo che si ricava da tali disposizioni è quello per cui l'operazione di taglio e riquadratura dei massi o blocchi di marmo deve essere eseguita in condizioni di massima sicurezza per gli operai addetti a tali lavorazioni, per loro natura estremamente pericolose, essendo in particolare necessario assicurarsi anzitutto dell'esistenza di un piano d'appoggio stabile (art. 130) ed essendo consentito agli operai di «introdursi negli spazi angusti adiacenti o approssimarsi alle parti per separare» solo in presenza di «puntellatura o altra misura» idonea a «garantire da pericolosi movimenti del masso o di parti di esso», altrimenti valendo la regola generale che vieta agli operai di stazionare in prossimità delle parti da separare (art. 131).
La costruzione logico-sintattica di tale ultima norma, in particolare, rende evidente il rapporto di regola ed eccezione tra quest'ultimo divieto e la prevista possibilità di derogarvi in presenza di presidi che garantiscano dai pericoli della lavorazione medesima, tale per cui quest'ultima - anche in relazione ai primari e inviolabili diritti che essa è diretta a tutelare - deve essere restrittivamente interpretata e non può in particolare correlarsi a soggettive valutazioni circa l'apparente stabilità o non pericolosità del masso da lavorare.
Nel caso di specie, i giudici di merito sulla scorta degli accertamenti peritali hanno posto in luce una serie di elementi che certamente non consentivano agli addetti alle lavorazioni in questione e tra essi in particolare al L.O. - per il suo ruolo di sorvegliante - di far affidamento sulle condizioni di sicurezza del masso che si trattava di frazionare e, in genere, della situazione nella quale stavano operando i due operai: a cominciare dalla precaria base di appoggio, inadatta rispetto alle particolari conformazioni e asperità del masso, particolarmente evidenti proprio nella parte inferiore che presentava una cavità di notevoli dimensioni tale da determinare una ridotta superficie d'appoggio, passando quindi al riscontrato «quadro fessurativo» esteso e profondo, riconoscibile già nella porzione poco prima tagliata, spaccatasi al centro durante la separazione, e di tale evidenza da non poter sfuggire alla percezione degli operai e dello stesso sorvegliante.
Le opposte valutazioni sul punto espresse dei ricorrenti si appalesano di contenuto meramente assertivo e non valgono comunque a segnalare manifeste illogicità o carenze nelle argomentazioni svolte nelle conformi pronunce di merito.
Esse peraltro si rivelano ispirate a una lettura formalistica e riduttiva dei livelli e delle misure di sicurezza prescritti dalle citate norme, in particolare laddove argomentano sulla presunta anomalia e imprevedibilità della profonda ed estesa fessurazione che avrebbe causato il collassamento del grosso blocco di marmo, in evidente contrasto però con la lettera e lo scopo della disciplina richiamata la cui operatività, come detto, non può intendersi subordinata ad una soggettiva e sempre opinabile prognosi di più o meno elevata coesione interna e stabilità del blocco di marmo, da compiersi caso per caso, ma ben diversamente impone che siano garantite condizioni oggettive di sicurezza (da ottenersi per mezzo di puntellature o altre idonee misure) da valere per qualsiasi ipotesi, sia pure remota, di «pericolosi movimenti del masso o di parti di esso».
Ciò posto, meno ancora possono valere a infirmare la tenuta logica della motivazione della sentenza impugnata le critiche svolte in ordine alla valutazione della deposizione della persona offesa, S.S., circa la condotta da essa tenuta nell'occorso e segnatamente circa la sua posizione rispetto al masso - se sottomessa in parte più o meno rilevante ad esso, nel tentativo di far passare il filo diamantato nel varco esistente alla sua base, o, piuttosto, solo accostata ad esso - essendo evidente (al di là del carattere meramente valutativo e della conseguente inammissibilità anche di tali rilievi) che la stessa dinamica del sinistro e i suoi drammatici effetti di per sé valgono a dimostrare che, comunque, quelle condizioni di sicurezza non erano rispettate.
8. Restano naturalmente assorbiti anche i rilievi in punto di elemento soggettivo del reato.
La colpa, specifica, addebitata al L.O. discende, in re ipsa, dalla accertata violazione degli obblighi ad esso imposti dalle citate norme antinfortunistiche dovendosi per ciò stesso ritenersi implicitamente accertata anche la prevedibilità ex ante dell'evento, non emergendo alcuna circostanza che consenta di ritenere esulante dalle cognizioni e dalle competenze del ricorrente, nelle descritte qualità, la possibilità di prevedere - indipendentemente, ripetesi, dalla rara profondità ed estensione della fessurazione interna del blocco di marmo che ne ha determinato il collassamento - la pericolosità delle modalità operative seguite nell'occorso dai due operai e l'inadeguatezza della puntellatura adottata, per le dimensioni del masso, la sua particolare conformazione e l'instabilità della sua base di appoggio, a garantire quelle condizioni di sicurezza richieste dalle citate norme prevenzionistiche; né potendo certamente dubitarsi che l'evento tragicamente verificatosi rientrasse tra i rischi che le norme medesime miravano a prevenire (cd. concretizzazione del rischio).
Nelle condizioni descritte la prevedibilità ex ante dell'evento discende, in altre parole, dalla stessa previsione normativa che, nell'imporre l'adozione della regola cautelare, per ciò stesso codifica e rende pertanto prevedibile, per effetto della stessa doverosa conoscenza e conoscibilità della norma, l'esistenza dei pericoli legati al tipo di lavorazione (crollo del blocco di marmo o di parte di esso). Solo una ragionevole certezza dell'adeguatezza delle misure adottate, avrebbe potuto escludere la prevedibilità ex ante dell'evento. Una tale ragionevole certezza però nel caso di specie, sulla base delle emergenze acquisite, non trova alcuna valida base logica, questa certamente non potendo essere rappresentata dalla mera constatazione empirica della peculiarità delle cause del collassamento del grosso pezzo di marmo. Tanto è del resto implicitamente riconosciuto dallo stesso ricorrente L.O. laddove, per sostenere che nessun rimprovero gli può essere mosso sul piano soggettivo, avendo egli provveduto a puntellare il blocco di marmo, afferma che anzi proprio tale puntellatura avrebbe contribuito a determinare «il manifestarsi di una forza di frattura» interna al masso (così a pag. 24, in fine, del ricorso L.O.), così dunque implicitamente riconoscendo che quella puntellatura si è rivelata non in grado di prevenire e difendere gli operai da ogni pericolo di collassamento, ma omettendo di considerare che proprio in ciò sta la violazione addebitata, posto che la regola cautelare inosservata non si limitava a prescrivere il puntellamento del masso ma ben diversamente vietava di consentire di operare a ridosso del masso se non in condizioni tali da garantire, rispetto a qualsiasi pericolo di crollo, la sicurezza degli operai.
9. Per le considerazioni che precedono, deve in definitiva pervenirsi al rigetto di entrambi i ricorsi, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, oltre che alla rifusione in favore delle parti civili delle spese dalle stesse sostenute per il presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi euro 2.500,00 in favore dell'INAIL; euro 2.500,00 in favore di S.S.; euro 4.500,00 in favore di Omissis; oltre, per tutti, accessori come per legge.
Così deciso il 28/4/2015