Cassazione Penale, Sez. 4, 10 luglio 2015, n. 29777 - Infortunio con un macchinario: consolidata prassi pericolosa di pulizia del nastro


 

 

Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO Relatore: GRASSO GIUSEPPE Data Udienza: 21/05/2015



Fatto


1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 28/3/2014, confermò quella emessa dal Tribunale di Modena, in data 3/11/2010, con la quale, giudicata A.S. colpevole del reato di lesioni colpose gravi, con violazione della normativa antinfortunistica, ai danni di A.R. (operaio alle dipendenze della s.r.l. Tecno Inerti, della quale l'A.S. era legale rappresentante), l'aveva condannata alla pena stimata di giustizia, sospesa a condizione che l'imputata pagasse la provvisionale, liquidata in 10.000 euro, nonché al risarcimento del danno in favore della p.c, da liquidarsi in separata sede.
L'operaio aveva patito lesioni alla mano destra (esitate nell'amputazione del secondo dito) finita all'interno dell'ingranaggio movente di un macchinario utilizzato per trasportare e selezionare materiale pietroso e s'imputava al datore di lavoro di non avere approntato le misure idonee, sia di tipo tecnico che organizzativo, a ridurre al minimo i rischi connessi all'uso del macchinario di cui s'è detto; in particolare, per non avere approntato adeguato sistema segregativo del macchinario in esame, specie nella zona di rinvio tra nastro trasportatore e puleggia, consentendo consolidata prassi pericolosa di pulizia del nastro.
2. L'A.S. propone ricorso per cassazione corredato da plurime censure, denunzianti vizio motivazionale in questa sede rilevabile e violazione di legge.
2.1. Con i primi due motivi, tra loro osmotici, la ricorrente assume che l'istruttoria aveva dimostrato che un adeguato sistema di sicurezza, oltre che consistere nell'apposizione di ostacoli fisici (carter protettivi), può essere costituito dall'adozione di una procedura virtuosa. Procedura, nella specie consistente nello spegnere il macchinario, che risultava essere stata adottata.
Ciò era stato spiegato nei corsi formativi e proprio quel giorno l'infortunato era stato richiamato dal collega V. a non intervenire sulla macchina, per liberarla da residui, a motore acceso. Sul punto la Corte di merito aveva reso motivazione incerta e contraddittoria, prima ammettendo la procedura e poi mettendola in dubbio.
2.2. Con il terzo motivo si sostiene che la Corte di merito, rimproverando, in definitiva di non avere controllato il sistema di sicurezza (esistente), aveva condannato l'imputata contestandole un addebito diverso rispetto a quello enunciato nel capo d'imputazione. Peraltro, nello stabilimento, come constava dall'istruttoria, vi era un capo-fabbrica (il fratello dell'imputata), incaricato di controllare. Né, alla luce delle dichiarazioni del teste V., poteva affermarsi che vi fosse una prassi tollerata contraria agli imposti divieti.
2.3. Con il quarto motivo la ricorrente critica il governo della prova operato dal Giudice d'appello. Non era dato sapere perché le dichiarazioni del V. e dell'ing. S. non fossero state prese in considerazione; nel mentre, quelle della persona offesa avrebbero dovuto essere sottoposte ad un più rigoroso vaglio, proprio utilizzando le altre fonti di prova.
2.4. Con il quinto motivo censura la decisione di non avere considerato la condotta del lavoratore abnorme e, quindi, causa esclusiva dell'evento; una tale connotazione, che rende l'evento non prevedibile e non prevenibile, poteva trarsi dalla volontà dell'infortunato di violare consapevolmente le regole cautelari poste a tutela della sicurezza.

Diritto


3. Va osservato che dopo la sentenza di secondo grado è venuto a maturare il termine massimo prescrizionale previsto dalla legge per il reato contestato in relazione ad un quadro impugnatorio che non appare inammissibile, in quanto i proposti motivi, sibbene, come si vedrà, non meritevoli di accoglimento, tuttavia, legittimamente radicano il giudizio di cassazione e, quindi, s'impone la declaratoria estintiva agli effetti penali. Il fatto risale al 24/5/2007 e, pertanto, in base al comb. disp. degli artt. 157 e 160, cod. proc. pen., il reato si è prescritto il 24/11/2014.
Non emerge, d'altro canto, alcuna delle ipotesi che, ai sensi dell'art. 129, cod. proc. pen., avrebbe importato declaratoria d'innocenza. Infatti, In tema di declaratoria di cause di non punibilità nel merito in concorso con cause estintive del reato, il concetto di «evidenza» dell'innocenza dell'imputato o dell'indagato presuppone la manifestazione di una verità processuale chiara, palese ed oggettiva, tale da consistere in un quid pluris rispetto agli elementi probatori richiesti in caso di assoluzione con formula ampia (Cass. 19/7/2011, n. 36064).
Il giudice può pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 129 c.p.p. solo quando le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile (Cass. 14/11/2012, n. 48642). Situazione che qui manifestamente non ricorre per quanto appresso.
4. Quanto alle statuizioni civili deve osservarsi che le doglianze, prese in analitico esame non meritano di essere accolte.
4.1. Le censure sintetizzate al § 2.1., in definitiva, sono tese a dimostrare che, nonostante l'assenza di adeguati strumenti di protezione degli ingranaggi in movimento, in azienda era vigente la regola che imponeva d'intervenire sulla macchina solo dopo averla spenta. Procedura, questa, che rendeva del tutto sicuro qualunque operazione sulle parti in movimento. L'istruttoria, in realtà, non conduce alla predetta conclusione. Pur vero che nei rari momenti formativi si era fatto cenno alla necessità di spegnere la macchina prima di intervenire sulle parti in movimento, ma, appunto, si era trattato di fugaci ed occasionali richiami, agevolmente interpretabili come estrema ratio, allorquando l'operazione si fosse presentata particolarmente complessa. Al contrario veniva tollerata la prassi, che non bloccava il ciclo produttivo, di eliminare le ostruzioni che quotidianamente si presentavano, stante la vetustà del macchinario, senza necessità di spegnere lo stesso. Peraltro, proprio la testimonianza di V. W., prodotta dalla Difesa, corrobora il superiore assunto. Il predetto teste, il quale si occupava da oltre quattro anni della manutenzione del nastro trasportatore, pur vero che quella mattina aveva raccomandato all'operaio poi infortunatosi di stare attento a dove metteva le mani, stante che quest'ultimo era impiantista ed egli meccanico, ma, allo stesso tempo, non ha fatto mistero dello stato di vetustà del macchinario e dell'assenza di conformità dello stesso alle norme di sicurezza, alla mancanza di direttive cogenti e, financo, alla rarità dei cartelli di pericolo. Così, in definitiva, finendo per confermare, piuttosto che smentire, le dichiarazioni dell'infortunato.
4.2. Anche il terzo motivo non merita accoglimento. Al contrario di quel che asserisce la ricorrente con l'artifizio di un vero e proprio sofisma la mancata previsione non costituisce un addebito diverso rispetto a quello contestato (non aver adottato le misure tecniche organizzative del caso al fine di prevenire l'infortunio), ma ne è proprio il cuore: in definitiva si contesta all'imputata di non avere previsto il prevedibile, adottando gli strumenti necessari. Non rileva, infatti, che in misura più o meno ripetuta si fosse esternata la segnalazione di pericolo derivante dall'intervenire sugli ingranaggi senza prima spegnere il motore, quando una tale prassi era tollerata e, comunque, in assenza di strumenti cogenti che impedissero simili malaccorti interventi (carter protettivi, meccanismi di spegnimento automatico all'atto dell'intrusione dell'arto, presenza costante ed effettiva di personale vigilante, ecc.). Il fatto storico, in ogni caso, resta lo stesso: si addebita l'evento lesivo all'imputata per non avere tenuto la condotta legalmente prevista, funzionale alla salvaguardia della salute sul luogo di lavoro.
4.3. La ricorrente, contestando, con il quarto motivo, la ricostruzione del fatto operata dal giudice, non mostra di aver tenuto in adeguato conto la norma processuale la quale consente riesame in sede di legittimità del percorso motivazionale (salvo l'ipotesi dell'inesistenza) nei soli casi in cui lo stesso si mostri manifestamente (cioè grossolanamente, vistosamente, ictu oculi) illogico o contraddittorio, dovendo, peraltro, il vizio risultare, oltre che dalla medesima sentenza, da specifici atti istruttori, espressamente richiamati (art. 606, comma 1, lett. c).
Peraltro, in questa sede non sarebbe consentito sostituire la motivazione del giudice di merito, pur anche ove il proposto ragionamento alternativo apparisse di una qualche plausibilità.
Sull'argomento può richiamarsi, fra le tante, la seguente massima, tratta dalla sentenza n.15556 del 12/2/2008 di questa Sezione, particolarmente chiara nel delineare i confini del giudizio di legittimità sulla motivazione: Il nuovo testo dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., come modificato dalla l. 20 febbraio 2006 n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il "novum" normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto travisamento della prova, finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere a un'inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all'interno della decisione.
L'A.S., in definitiva, pretende di efficacemente contrastare il riferito costrutto motivazionale proponendo diversa ricostruzione, peraltro neppure dotata di maggiore plausibilità.
Il Giudice, esaminate le emergenze istruttorie, ha, con motivazione compiuta e non illogica, per un verso, assegnato piena credibilità alla ricostruzione dell'episodio, siccome narrato dall'infortunato e, per altro verso, congruamente affermato la posizione di garanzia dell'A.S., in uno alla violazione della normativa antinfortunistica. Invero, il Giudice d'appello ha tenuto conto non solo delle dichiarazioni della p.o., ma anche quelle del teste A.S., che, come si è sopra accennato, al contrario di quel che opina la ricorrente, non contraddicono quelle dell'infortunato. Ha pure tenuto conto delle dichiarazioni dell'ing. S., consulente della Tecno Inerti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, tuttavia, logicamente osservando che aver ricordato nei rari momenti formativi che prima di procedere alla pulizia dei rulli la macchina andava spenta, non aveva di certo impedito l'evento, in quanto, spinta dalla necessità praticamente quotidiana di sopperire ai continui blocchi del nastro trasportatore, causati dalla obsolescenza del macchinario, si era consolidata una prassi, resa agevole dall'assenza di carter protettivi e di altri strumenti che rendessero effettivamente cogente l'astratto divieto, d'intervenire per sbloccare l'ingranaggio con la macchina a motore acceso.
4.4. Il quinto ed ultimo motivo, come si è anticipato, ipotizza che l'evento, in quanto frutto di condotta abnorme del lavoratore, non era prevedibile e prevenibile dal garante.
Può sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione del 28/4/2011, n. 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le tante, v. Sez. IV, 10 novembre 2009, n. 7267; Sez. IV, 17 febbraio 2009, n. 15009; Sez. IV, 23 maggio 2007, n. 25532; Sez. IV, 19 aprile 2007, n. 25502; Sez. IV, 23 marzo 2007, n. 21587; Sez. IV, 29 settembre 2005, n. 47146; Sez. IV, 23 giugno 2005, n. 38850; Sez. IV, 3 giugno 2004), la quale ha precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti.
Pur non potendosi in astratto escludere che possa riscontrarsi abnormità anche in ipotesi nelle quali la condotta del lavoratore rientri nelle mansioni che gli sono proprie, ove la stessa sia consistito in un'azione radicalmente ed ontologicamente lontana dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, qui la detta ipotesi, comunque, residuale, non ricorre.
Incombe sul datore di lavoro il precipuo obbligo d'impedire prevedibili imprudenti condotte dei lavoratori e, comunque, di coloro che si trovino legittimamente all'interno dell'area di lavoro, mediante utilizzo di strumenti e macchinari non agevolmente alterabili, l'uso obbligatorio di dispositivi individuali di protezione e, non ultimo, l'approntamento di personale di vigilanza capace di negare l'accesso a procedure pericolose. La circostanza che la vittima (aderendo con imprudenza ad un modo di fare che certamente aveva assimilato sul luogo di lavoro) abbia contribuito alla verificazione dell'evento non può considerarsi in alcun modo causa esclusiva dell'evento, perché imprevedibile e imprevenibile, nel senso che prima si è chiarito.
Infine, è utile ricordare che questa Corte ha avuto modo di affermare reiteratamente l'estrema rarità dell'ipotesi in cui possa configurarsi condotta abnorme anche nello svolgimento proprio dell'attività lavorativa, escludendola tutte le volte in cui il lavoratore commetta imprudenza affidandosi a procedura meno sicura, ma apparentemente più rapida o semplice, che non gli venga efficacemente preclusa dal datore di lavoro (Sez. IV, n. 952 del 27/11/1996; Sez. IV, n. 40164 del 3/672004; Sez. IV, n. 2614/07 del 26/10/2006).
5. Disposto, pertanto, annullamento della sentenza impugnata agli effetti penali, essendo il reato contestato estinto per prescrizione, la medesima statuizione, ai fini civili, deve essere confermata. La ricorrente deve essere condannata a rimborsare alla parte civile le spese legali di questo giudizio, nella misura, vista la notula, stimata congrua e di cui in dispositivo.

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione; fa salvi gli effetti civili e condanna l'A.S. alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, A.R., liquidate in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge. Così deciso in Roma il 21/5/2015