SENATO DELLA REPUBBLICA
XVII LEGISLATURA
Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro

Seduta n. 15, martedì 12 maggio 2015

Audizione di rappresentanti della Conferenza Stato-Regioni

Presidenza della presidente FABBRI

Intervengono il dottor Luciano Marchiori, il dottor Antonio Maritati, il dottor Alberto Chinaglia, ilprofessor Giuseppe Mastrangelo,il dottor Massimo D'Angelo, il dottor Paolo Alessandrini, la dottoressa Marina Principe e il dottor Stefano Mirabelli.

SULLA PUBBLICITÀ DEI LAVORI

PRESIDENTE
Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso il resoconto stenografico, nonché, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo. Poiché non vi sono obiezioni, resta così stabilito.

PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione di rappresentanti della Conferenza Stato-Regioni

PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Conferenza Stato-Regioni, in particolare di esponenti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, in ordine alla tematica delle malattie professionali connesse all'amianto.
Comunico che, al termine della seduta, è convocato l'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi.
Do il benvenuto al dottor Luciano Marchiori, al dottor Antonio Maritati, al dottor Alberto Chinaglia, al professor Giuseppe Mastrangelo, al dottor Massimo D'Angelo, al dottor Paolo Alessandrini, alla dottoressa Marina Principe e al dottor Stefano Mirabelli., che ringrazio per la loro presenza ed a cui lascio immediatamente la parola.

MARCHIORI
Signora Presidente, come Conferenza delle Regioni abbiamo predisposto un documento, che mi avvio ad illustrare, avvalendomi anche di altra documentazione, tra cui alcune slides la cui proiezioni oggi non è però possibile e che quindi mi riservo di far avere alla Commissione insieme ad altri documenti.
Nell'ambito del nostro ragionamento prendiamo in esame patologie professionali legate all'esposizione ad amianto. La prima caratteristica di questo problema deriva dal fatto che l'attuale epidemia, soprattutto di neoplasie polmonari e mesotelioma che stiamo registrando, deriva dalla esposizione avvenuta negli anni passati. La massima esposizione si è avuta soprattutto nel decennio tra il 1960 e il 1970. Il periodo d'incidenza e il tempo di latenza della patologia neoplastica e del mesotelioma è di circa 40 anni. Quindi, oggi noi registriamo di fatto i danni derivanti da una pregressa esposizione professionale.
A questo proposito, bisogna considerare che, negli anni, i livelli di esposizione dei lavoratori si sono via via ridotti. Basti al riguardo pensare che intorno agli anni Settanta il TLV (il valore limite di soglia di esposizione indicato dagli igienisti industriali americani che serviva da riferimento del mondo scientifico) era fissato in 2,5 fibre di amianto per centimetro cubo. Oggi i limiti imposti dal decreto legislativo n. 81 del 2008 è di 0,1 fibre di amianto per centimetro cubo. Questo dato dà l'ordine della riduzione dell'esposizione che negli anni si è progressivamente verificata.
Il nostro sistema sanitario ha iniziato a registrare i danni derivanti dall'esposizione ad amianto in termini di mesoteliomi a seguito dell'istituzione del Registro nazionale mesoteliomi, sancito dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 308 del 10 dicembre 2002. Da allora è per l'appunto attivo nel nostro Paese il Registro nazionale mesoteliomi, sostenuto dall'azione dei Centri operativi regionali, (indicati come COR nella documentazione allegata), che permettono di indagare tutti i casi di mesotelioma che si verificano nel territorio di competenza delle ASL. Per ogni caso viene svolta un'indagine, che spesso porta a un rapporto all'autorità giudiziaria, e che permette di stabilire il tipo di esposizione, se professionale, ambientale, domestica oppure non definibile.
Il Registro nazionale mesoteliomi nella quinta edizione, al momento in fase di stampa, riporta una casistica di oltre 19.000 casi di mesotelioma registrati dal 1993 ad oggi.
Il periodo mediano di esposizione degli affetti da questa patologia è di circa 46 anni e l'età di questa popolazione si aggira intorno ai 67 anni.
Questi dati saranno ricavabili dalla prossima pubblicazione del quinto Registro nazionale mesoteliomi, a cura dell'INAIL, che è costruito sulla base dei rapporti di tutte le Regioni e delle ASL che hanno proceduto alle indagini.
Circa il 70 per cento dei casi riferiti a queste patologie derivano da esposizione professionale; tra il 5 ed il 7 per cento dei casi proviene da esposizione ambientale, ed una percentuale analoga è dovuta a esposizione domestica.
Accanto all'attività di sorveglianza su questa patologia, che è tipica da esposizione all'amianto, vi è anche una attività diretta agli ex esposti sani, da noi definita sorveglianza sanitaria per lavoratori ex esposti, prevista dalla legge n. 257 del 1992 e da normative successive, ovvero la legge n. 626 del 1994 e ora il Testo unico del 2008.
Questa assistenza è già stata organizzata e attivata in 14 Regioni e, in totale, sono stati svolti circa 22.000 accertamenti. Considerato che L'INAIL ha riconosciuto oltre 120.000 lavoratori ex esposti, circa un quinto di questa popolazione è stata già interessata dalle azioni delle Regioni e delle ASL.
Uno dei problemi incontrati riguarda la disomogeneità dell'offerta di assistenza tra i vari territori. In alcuni casi si mettevano in atto accertamenti di primo livello, più basici, mentre in altri si procedeva subito con l'offerta di accertamenti diagnostici complessi, come ad esempio la TAC spirale. Pertanto, una delle esigenze che abbiamo avvertito a livello di sistema regionale è stata quella di concordare un protocollo omogeneo da proporre su tutto il territorio nazionale. Tale protocollo è stato approvato anche in Commissione salute la scorsa settimana ed è contenuto nel documento allegato alla relazione.
Il protocollo è anche l'esito di un progetto specifico del CCM (Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie), indirizzato a definire un protocollo di sorveglianza sanitaria per i lavoratori ex esposti amianto.
Il numero di casi di mesotelioma di origine professionale riconosciuti dall'INAIL, si aggirano intorno ai 500-600 in media all'anno, ad ogni caso di mesotelioma corrispondono circa 4 casi riconosciuti di tumore del polmone da amianto. Quindi si contano in media circa 500-600 casi annui di mesotelioma e circa 200-250 casi annui di tumore al polmone di origine professionale riconosciuti da INAIL. Questi dati, considerati nel loro insieme, ci portano a una casistica di decessi annui pari al numero degli infortuni mortali: annualmente noi registriamo infatti lo stesso numero di decessi per malattia professionale (causati all'80 per cento da amianto) e per infortuni sul lavoro, compresi gli incidenti stradali, come indica il primo grafico allegato al documento che consegneremo agli atti. È chiaro che stiamo parlando di esposizioni verificatesi prima dell'avvento della Riforma sanitaria, quando anche i poteri ispettivi e di controllo erano in mano allo Stato, in particolare all'Ispettorato del lavoro, che in quegli anni - posso dirlo per mia esperienza diretta - non aveva le competenze né il personale per svolgere controlli adeguati in materia d'amianto, basti pensare che in provincia di Verona c'era un solo ispettore. Questa era la situazione pregressa.
Attualmente, l'esposizione può avere luogo in due situazioni: ad esempio nel caso di lavoratori addetti ad attività di rimozione e decoibentazione. Sappiamo infatti che per effetto della legge n. 257 del 1992 è vietata la commercializzazione dell'amianto ed è solo possibile l'attività di decontaminazione e decoibentazione. Un altro caso è quello di lavoratori che saltuariamente possono essere esposti all'amianto a seguito di attività di manutenzione agli impianti industriali che contengono tale materiale sotto forma di guarnizioni, flange o coibentazioni. Le ditte che svolgono questa attività sono iscritte all'albo nazionale dei bonificatori; in Italia, in base al censimento del 2011, risultano essere circa 2.200 le ditte che hanno relazionato alle Regioni sull'attività svolta, per un totale di circa 16.000 lavoratori esposti. La sorveglianza sanitaria di questi lavoratori è in capo al medico competente e al datore lavoro e le ASL svolgono azione di vigilanza e di controllo in due forme. Mi riferisco in primo luogo all'obbligo di notifica alla ASL ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 2008, articoli nn. 250 e 256, dei lavori di decoibentazione con amianto. Le ASL ricevono quindi anticipatamente i piani di bonifica dell'amianto e pertanto in tempo reale si è conoscenza di tutta l'attività di decoibentazione svolta sul territorio, e nel 10-15 per cento dei casi - dato medio nazionale - si svolge anche un intervento di tipo ispettivo indirizzato ai cantieri che per caratteristiche, dimensioni e tipo di amianto (friabile e non compatto) sono a rischio maggiore. I dati di esposizione dei lavoratori misurati dalla struttura pubblica - cito un lavoro pubblicato dalle ASL della Regione Umbria - evidenziano che con l'adozione dei dispositivi e delle procedure di protezione individuali previsti dalla normativa si garantiscono livelli adeguati di tutela dei lavoratori, soprattutto per i lavori con amianto compatto; per quelli con amianto friabile i livelli di esposizione sono tali da richiedere le ulteriori misure di protezione previste dal citato decreto legislativo n. 81 del 2008. Sui lavori per amianto di tipo friabile le ASL garantiscono il controllo nella totalità dei casi
Questo per quanto riguarda l'attività di prevenzione e di vigilanza. Per ciò che concerne invece l'altra forma di controllo, a fine anno le Regioni e le ASL ricevono dalle ditte che hanno effettuato bonifiche sul territorio di competenza la relazione sull'attività svolta ai sensi dell'articolo della legge n. 257 del 1992.
In realtà, questa è anche una sorta di duplicazione rispetto alle comunicazioni fatte ai sensi dell'articolo 250 del citato decreto legislativo, però aggiunge informazioni ulteriori circa l'elenco dei lavoratori esposti e i livelli di esposizione; ogni Regione è quindi in grado di avere contezza dei lavoratori esposti e anche dei livelli di esposizione dichiarati dal lavoratore.
Nel 2013 sono stati trasmessi alle ASL un totale di oltre 86.000 piani di bonifica amianto e il controllo è stato svolto in 11.500 cantieri.
Una rilevazione effettuata nel 2011 evidenziava che a circa 80.000 piani di bonifica corrispondono 500.000 tonnellate di materiale contenente amianto avviato in discarica. Questo è il volume complessivo dell'attività di decoibentazione che annualmente viene svolta. Devo anche dire che secondo la rilevazione dal 2008 al 2013 i dati sono in aumento; in particolare, nel 2008 avevamo registrato 52.000 piani di bonifica amianto contro gli 86.000 del 2013, quindi stiamo parlando di un'attività ancora in svolgimento e sembra addirittura in via di incremento e questo è un dato positivo perché indica una progressiva dismissione dell'amianto nel Paese.
Se mi è consentito, vorrei ora illustrare complessivamente le attività effettuate dalle ASL per meglio chiarire l'opera di prevenzione svolta sul territorio.
In base al decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 17 dicembre 2007 "Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro", siamo tenuti garantire un livello essenziale di assistenza pari al controllo del 5 per cento delle unità locali con dipendenti site nel territorio (troverete questo dato nel documento che trasmetteremo). Monitoriamo queste informazioni dal 2006 e dal 2009 garantiamo la copertura su tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali di assistenza, raggiungendo il controllo di oltre il 6 per cento delle unità locali sul territorio. Questa attività si concretizza essenzialmente in circa 150.000 ispezioni svolte annualmente sul tutto il territorio nazionale. Ad esse corrispondono circa 50.000 violazioni contestate ai datori di lavoro per inosservanza delle norme previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008. Nel 2013 le relative sanzioni comminate hanno comportato un introito di 40 milioni di euro.
Un'altra attività interessante è il controllo in materia di direttiva macchine. Il monitoraggio svolto con l'INAIL dal 2010 al 2013 evidenzia che complessivamente sono state segnalate al Ministero dello sviluppo economico inosservanze della direttiva europea macchine in 3.000 casi; sono state inviate al Ministero 3.000 segnalazioni che nell'80 per cento dei casi sono state confermate e le ASL hanno dato luogo a 2.600 verifiche. Questo controllo diffuso del territorio è una delle caratteristiche dell'attività di vigilanza delle ASL. La direttiva macchine comporta la messa a norma delle macchine e quindi la soluzione di un problema che riguarda non solo l'Italia, ma l'intero territorio europeo.
Sempre nell'ambito delle attività svolte dalle ASL mi sembra importante sottolineare le ispezioni effettuate annualmente in oltre 50.000 cantieri edili ed in circa 8.000 aziende agricole. A fronte di questa attività, sul piano giudiziario nel 2013 abbiamo svolto 15.000 inchieste per infortuni gravi o mortali, con 4.599 denunce all'autorità giudiziaria per violazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro.
Sono state inoltre indagate oltre 9.200 malattie professionali, con 859 evidenziazioni di violazione della normativa sulla sicurezza del lavoro.
Teniamo a sottolineare che i dati derivanti dal monitoraggio dell'attività svolta dai medici competenti in base all'articolo 40 del decreto legislativo n. 81, allegato 3B, evidenziano circa 16.000 lavoratori attualmente esposti all'amianto e circa 125.000 lavoratori esposti a cancerogeni. Questa è quindi una popolazione che siamo in grado di attenzionare, perché conosciamo le aziende, i protocolli sanitari svolti ed i colleghi medici competenti che tutelano questa popolazione.
Tornando, invece, all'argomento amianto, mi avvio a concludere ribadendo che il monitoraggio sui casi di mesotelioma è garantito da anni attraverso il Registro nazionale mesoteliomi e attraverso i Centri operativi regionali istituiti e operativi in tutte le regioni.
Il controllo sui lavori di bonifica in corso è garantito attraverso gli strumenti del decreto legislativo n. 81, articoli 250 e 256, e l'attività di controllo sui lavori è svolta dalle ASL che, nel 15 per cento dei casi, intervengono direttamente nel cantiere in termini di sorveglianza sanitaria, controllando le procedure di sicurezza e i livelli di esposizione.
Il Piano nazionale prevenzione e il Piano nazionale amianto prevedono lo sviluppo di una ulteriore azione finalizzata a evidenziare, non i casi di mesotelioma, rispetto ai quali l'azione è già garantita, ma i tumori a bassa frazione eziologica e, in questo caso, i tumori polmonari derivanti da esposizione ad amianto. Riteniamo, infatti, che l'attuale dato sottostimi il fenomeno. A questo fine, il Piano nazionale prevenzione e il Piano nazionale amianto prevedono l'attivazione, attraverso i Centri operativi regionali, di sistemi di sorveglianza epidemiologica basati sui registri degli esposti a cancerogeni, previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008, e sulle SDO (scheda di dimissione ospedaliera). L'incrocio di questi archivi consente di monitorare possibili casi di patologie occupazionali che possono essere collegati all'esposizione professionale a cancerogeni. Questo è un obiettivo sia del Piano nazionale prevenzione che del Piano nazionale amianto.
Rispetto a quest'ultimo piano le Regioni hanno espresso parere favorevole. Tengo a sottolinearlo perché tale piano non è fermo in Conferenza Stato-Regioni perché da noi osteggiato, ma in quanto il Ministero dell'economia e delle finanze ha segnalato problemi di ordine economico che devono essere superati; torno tuttavia a ribadire che dal punto di vista dell'operatività sanitaria, da parte delle Regioni non vi è alcuna obiezione. E tengo particolarmente a evidenziarlo perché al riguardo ho letto interpretazioni diverse.
Sempre sulla base di quanto previsto dal citato articolo 9 (mi riferisco ai dati che annualmente ricevono le Regioni), siamo altresì in grado di garantire la mappatura dei siti che in ogni Regione vengono considerati a maggior rischio, a causa della presenza di amianto friabile.
La collaborazione avviata con il Ministero del lavoro attraverso una Commissione nel 2008 ha portato a varie proposte che però, attualmente, non hanno ancora prodotto nessun atto concreto se non l'approvazione la settimana scorsa, in sede di Conferenza Stato-Regioni, dell'accordo concernente l'accreditamento dei laboratori che effettuano i controlli in materia di esposizione da amianto. Questo può essere considerato un primo risultato dei lavori che da tempo avevamo attivato.
È all'esame della conferenza tecnica e penso che potrà essere definita rapidamente, la modulistica per la relazione annuale di cui all'articolo 9 della citata legge n. 257 del 1992, relativa alle comunicazioni che le ditte che svolgono i lavori di decoibentazione devono trasmettere alle ASL e alle Regioni.
Ho concluso l'illustrazione del documento, che lasciamo agli atti e che contiene anche la proposta di protocollo per la sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex esposti ad amianto che, come Regioni, abbiamo già condiviso in Commissione salute e che risponde anche ad un altro obiettivo, sia del Piano nazionale di prevenzione sia del Piano nazionale agricoltura.
Vorrei anche sottolineare come questa attività richieda un elevato livello di competenza tecnica da parte del personale, mi riferisco soprattutto a chimici e ispettori, che da decenni rappresenta un patrimonio culturale delle ASL. Poiché è difficile trasportare questo know how in altra amministrazione in tempi rapidi, se si trasferiscono le competenze di vigilanza il rischio che si corre è la creazione di un vuoto tecnico così come è avvenuto in passato prima del varo della Riforma sanitaria.

PRESIDENTE
Dottor Marchiori, nel ringraziarla, devo comunicarle che, intorno alle ore 15,15, noi dovremo sospendere i nostri lavori, per dare modo ai commissari di partecipare ai lavori di altre Commissioni.
Se i colleghi me lo consentono, inizierei per prima a porre delle domande ai nostri ospiti, per poi cedere la parola a chi di loro intende intervenire. Dopo di che i nostri auditi avranno il tempo per fornire le risposte ma, qualora non riuscissero a farlo entro i tempi a nostra disposizione, potranno farcele avere anche per iscritto, così che noi potremo acquisirle insieme al resto del materiale già consegnato.
La mia prima domanda è la seguente: il Registro nazionale dei mesoteliomi è stato istituito in tutte le Regioni? Quando prima ha parlato dell'assistenza sanitaria agli ex esposti, ha fatto riferimento a 14 Regioni su 20. Questo significa che le altre Regioni non offrono assistenza sanitaria agli ex esposti e in tal caso per quale ragione?
Riguardo alla mappatura dei siti, a noi risulta che la Regione Calabria sia l'unica in Italia a non avere provveduto in tal senso. Rileggendo, però, il resoconto stenografico dell'audizione del professor Balduzzi, il quale ci ha riportato alcuni dati della Conferenza nazionale sull'amianto, svoltasi nel 2012, abbiamo rilevato che il 50 per cento dei siti da bonificare si troverebbero in due regioni, le Marche e l'Abruzzo.
È facilmente intuibile che, probabilmente, la rilevazione e la mappatura dei siti nelle Regioni è disomogenea o che, quantomeno, non è stata fatta così come avrebbe dovuto. Anche perché da marchigiana, qualora fosse vero che il 50 per cento dei siti da bonificare si trovano nelle Marche e l'Abruzzo, mi preoccuperei non poco. Noi abbiamo già avuto modo di affrontare questo aspetto, e siamo dell'idea che la ragione di ciò sia ascrivibile al fatto che alcune Regioni non abbiano condotto la rilevazione nei termini dovuti.
Ebbene, tornando alla domanda, quali sono queste Regioni? E cosa possiamo fare affinché la mappatura sia uniforme? Prima di lasciare la parola al senatore Borioli, rilevo che, probabilmente, l'accordo siglato tra Governo, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano, concernente la qualificazione dei laboratori pubblici e privati in tema di rilevazione dell'amianto, è una delle soluzioni affinché questo dato di disomogeneità possa essere superato. Se è così, vi chiedo di spiegarcelo.

BORIOLI
Signora Presidente, in realtà due delle domande che intendevo porre corrispondono a quelle da lei appena effettuate.
Vorrei quindi rivolgere un quesito in ordine al Registro nazionale dei mesoteliomi (RENAM), perché mi interesserebbe capire quanto ciò che viene individuato, soprattutto per la parte riguardante le patologie sviluppate per ragioni ambientali o di contatto familiare, a vostro avviso risulti esaustivo rispetto al campo reale del problema. Immagino infatti che l'accertamento dei casi di patologie contratte per ragioni professionali sia un po' più semplice, rispetto a quello riguardante i casi di patologie contratte per ragioni di contatto ambientale o domestico. Faccio questa domanda in relazione anche a una misura, introdotta nella recente legge di stabilità, con cui si prevede l'estensione anche a queste tipologie di ammalati e ai loro familiari delle misure introdotte con il Fondo nazionale vittime dell'amianto istituito presso l'INAIL. Su questo punto, infatti, il contatto diretto con alcuni dei protagonisti della realtà locale evidenzia che RENAM riesce più faticosamente in questi casi a registrare il dato.
La seconda domanda è già stata anticipata dalla Presidente. Immagino che il protocollo approvato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano per quanto riguarda il miglioramento dell'omogeneità degli accertamenti fatti sugli ex esposti sani contempli anche il recupero di questo tipo di attività nei confronti degli ex esposti sani anche da parte di quelle Regioni che ancora non sono tra le 14 che invece hanno già avviato tale attività. Pertanto, se ho inteso bene, il protocollo è teso non solo a uniformare le tipologie degli accertamenti tra Regioni, ma anche ad inserire le Regioni che ad oggi sono rimaste fuori da questo tipo di attività.
Infine, l'ultima domanda che vorrei rivolgerle riguarda i controlli e la vigilanza che si sta operando sugli addetti alla decontaminazione e alla decoibentazione, che mi pare di aver capito sono di due tipologie: per una parte coprono il 10 o 15 per cento degli addetti, mentre per la parte che riguarda il trattamento dell'amianto friabile è esaustiva di tutti gli addetti. Vorrei capire quali riscontri avete da questo punto di vista. È vero che i tempi di incubazione sono molto lunghi, ma vorrei sapere se avete qualche riscontro rispetto all'eventuale sviluppo di patologie correlate all'amianto in questo tipo di lavoratori.

BAROZZINO
Signora Presidente, stiamo affrontando un tema molto delicato e difficile, proprio per questo proporrò delle riflessioni e delle domande, piuttosto che critiche di qualche genere. Vorrei partire da un presupposto: io vivo nella Regione Basilicata, dove il tema dell'amianto è molto sentito dai cittadini e l'esigenza che più spesso mi viene rappresentata riguarda la mancanza di informazione, in quanto a volte i cittadini non sanno proprio come comportarsi. Ho sentito parlare di questo tema persone molto più autorevoli e preparate di me, tuttavia per quanto mi riguarda ho la sensazione che di frequente le strutture locali non siano proprio in grado di dare risposte, e quindi vorrei sapere se i nostri ospiti reputino necessario un loro rafforzamento.
Ho sentito parlare di un protocollo nazionale, che condivido, ed anche della possibilità di rafforzare l'azione in questo ambito attraverso una procura nazionale che dia input agli enti locali su come comportarsi e su come affrontare il problema. E' con rammarico, e per tante ragioni, che lamento il fatto che le strutture locali non siano in grado di affrontare questo problema. A volte osserviamo il degrado, vediamo l'amianto buttato per la strada, e questo perché in alcuni settori c'è un'ignoranza totale rispetto a questo problema. Rafforzare questo aspetto mi sembra quindi veramente fondamentale, anche perché ho avuto modo di fare alcune segnalazioni ai registri dei tumori delle Regioni dove sono riuscito a informarmi e ho capito che spesso i Comuni non forniscono dati agli enti preposti e le Regioni sotto il profilo delle segnalazioni sono addirittura ferme a quattro o cinque anni fa. Questo è pertanto il lavoro che saremmo chiamati a fare tutti insieme, ognuno per la sua parte, perché dare queste informazioni a tutti i nostri cittadini è fondamentale ai fini del superamento di questo problema devastante. In base alle mie letture le prime segnalazioni dei danni procurati dall'amianto risalgono agli anni Venti o Trenta del secolo scorso, ma l'amianto è stato prodotto fino agli anni Novanta. Queste sono le informazioni che secondo me dobbiamo dare alle persone, perché solo con l'informazione e con la tutela possiamo veramente affrontare questa problematica, diversamente, tutto quello che facciamo risulta assolutamente insufficiente.

FAVERO
Signora Presidente, ringrazio i nostri ospiti per l'interessante esposizione e vado subito al nocciolo della questione. Noi sappiamo che l'amianto può essere presente nell'ambiente in tutte le matrici (nell'acqua, nell'aria e nel suolo), ma che esso assume caratteristiche di massima pericolosità quando le fibre si trovano in forma aerodispersa, diventando così respirabili, e una volta respirate, le fibre di minerali di amianto provocano malattie come mesotelioma, tumori polmonari e via dicendo.
La questione che vorrei porre è collegata al tema dei cantieri di cui avete parlato e alla presenza delle rocce asbestifere. Io vengo dal Piemonte, dove abbiamo delle zone ben individuate (come ad esempio Balangero) che sono interessate da questi problemi; tuttavia anche l'Emilia Romagna, la Basilicata, di cui parlava il collega Barozzino, e la Valle d'Aosta sono esempi di regioni in cui è presente quel tipo di formazioni geologiche. Pertanto, ogni volta che si apre un cantiere, ad esempio per un metanodotto, ci troviamo di fronte a questi rischi; questo significa che il problema non è costituito solo dagli ex esposti. Nel caso delle ferrovie, basti pensare alla linea Torino-Lione, del resto, insieme agli altri colleghi piemontesi sappiamo benissimo quante sofferenze questo problema determini. Esiste poi il rischio reale che le fibre di amianto passino dalla matrice rocciosa all'atmosfera, diventando respirabili e potenzialmente pericolose.
Sappiamo che una normativa del 1994 prende in considerazione i cantieri di bonifica da amianto antropico. Le attività in cantieri con presenza di amianto naturale non sono però regolate in maniera specifica, ma sono riconducibili a una delle casistiche che devono essere trattate in ottemperanza al decreto legislativo n. 81 del 2008. Sapendo questo, in Piemonte sono state date delle linee di indirizzo, ma non so cosa sia successo nelle altre Regioni, quindi vorrei sapere come si proceda in altri contesti. So che sono state individuate delle soluzioni; ad esempio in Piemonte rispetto al problema del terzo valico, della linea ferroviaria Torino-Lione o in altri casi come quello di Sauze d'Oulz, ci siamo dovuti attrezzare. In tutti i documenti della Regione viene assunta come soglia di allarme per le fibre aerodisperse la misurazione delle fibre per litro con il metodo della microscopia elettronica a scansione (SEM).
Ci troviamo quindi di fronte a delle carenze su questo versante, considerato che, come è stato ricordato anche dalla Presidente, non c'è omogeneità, perché ogni Regione fa ciò che crede.
In secondo luogo, vi chiedo se voi non riteniate che, come diceva il senatore Barozzino, insieme, ognuno per la propria parte, sia possibile addivenire a un progetto più organico.

MARCHIORI
Signora Presidente, comincio col dire che il Registro nazionale mesoteliomi è attivo in tutte le regioni.
Abbiamo ragione anche di ritenere che i casi di mesotelioma che interessano la pleura così come altri organi non sfuggano al sistema di controllo dei Centri operativi regionali, perché esso viene effettuato attraverso la verifica delle diagnosi di dimissione ospedaliere e l'acquisizione dei vetrini dell'anatomia patologica. Il lavoro condotto è dunque sofisticato e non superficiale, anche perché ognuno di questi casi viene refertato all'autorità giudiziaria. Addivenire ad una ipotesi di omicidio colposo plurimo (perché spesso di questo si tratta), non è una decisione facile che va quindi documentata con completezza.
Questo approfondimento diagnostico si esplica anche attraverso l'utilizzo di un questionario unico nazionale predisposto dal Registro nazionale dei mesoteliomi. E con ciò rispondo anche alla questione che è stata posta in ordine alla disomogeneità tra Regioni. Ripeto, tutti i casi vengono indagati in base ad un protocollo definito dal suddetto Registro, e vengono approfondite anche le altre cause, esclusa quella professionale, ovvero quella domestica o quella ambientale. Da questo punto di vista, credo di poter dire che il fenomeno sia davvero sotto controllo e sotto osservazione.
Rispetto alla Regione Basilicata, i miei dati sono diversi. Dal monitoraggio risulta che la Regione Basilicata abbia offerto un protocollo di sorveglianza sanitaria molto avanzato e i numeri, presentati alla seconda Conferenza nazionale amianto e riportati nei suoi atti, superano il migliaio di casi. Il protocollo sanitario come dicevo è molto sofisticato, considerato che prevede la TAC spirale per tutti i lavoratori.
Al momento non sono in grado di fornire altre informazioni, quello che tuttavia posso dire è che la sorveglianza sanitaria in Basilicata è sicuramente presente ed attiva.
Si tenga presente che anche nel Veneto, nella fase iniziale della nostra esperienza, quando invitammo tutti gli ex esposti (selezionando un gruppo di 4.000 lavoratori che risultavano tra i più esposti) a sottoporsi a un controllo sanitario, la risposta fu relativa, intorno al 60 per cento. Non tutti, infatti, hanno interesse a ripercorrere la loro storia, sottoponendosi a percorsi che possono anche essere, fisicamente e psicologicamente, pesanti. Mi risulta, comunque, che la Basilicata abbia una esperienza forte in questo senso.
Quanto alle 14 Regioni su 20 che hanno offerto la sorveglianza sanitaria, bisogna considerare che il Testo unico non definisce a carico di chi sia questa sorveglianza, ma prevede che il medico competente informi il lavoratore ex esposto sull'opportunità di sottoporsi a successivi controlli.
È stata la sensibilità delle Regioni, e anche la pressione delle associazioni ex esposti, a far addivenire ad una offerta di sorveglianza sanitaria. Nel Veneto tale sorveglianza è stata considerata un LEA (Livelli essenziali di assistenza) regionale aggiuntivo - perché è un'attività che, altrimenti, non troverebbe copertura - e lo stesso hanno fatto altre Regioni. In altri casi, invece, si è ritenuto che il medico di base potesse essere il primo filtro per fornire questa informazione e per la gestione di questi casi, senza sviluppare strutture ad hoc dedicate.
Quindi, la differenza tra le esperienze regionali è dettata dalla mancanza di un preciso quadro normativo che definisca i compiti e anche dalle diverse esigenze espresse dal territorio rispetto a questo problema.

PRESIDENTE
Dottor Marchiori, vorrei un ulteriore chiarimento a proposito delle Regioni che non offrono assistenza sanitaria. In proposito lei ha detto che tale scelta sta alla sensibilità delle Regioni. Ho capito bene? E potremmo sapere quali Regioni non si sono attivate?

MARCHIORI
Signora Presidente, non ricordo a memoria quali siano le Regioni che non hanno offerto la sorveglianza sanitaria. Posso dirle, però, che grazie al protocollo che abbiamo definito la settimana scorsa, tutte le Regioni sono impegnate in questa attività, e lo saranno a maggior ragione anche sulla base del Pano nazionale amianto, ovviamente quando sarà approvato.
In base a questo protocollo, definito appunto la settimana scorsa, tutte le Regioni sono coinvolte e quindi stanno iniziando ad attivarsi onde garantire la sorveglianza sanitaria, il che corrisponde anche ad un'esigenza del Piano nazionale di prevenzione. Entro quest'anno, quindi, attraverso i piani regionali di prevenzione sarà attiva la linea di lavoro anche nelle Regioni che non l'hanno offerta.

PRESIDENTE
Il decreto legislativo n. 81 del 2008 prevede che le somme riscosse con le sanzioni possano essere trattenute dalle Regioni per progetti di prevenzione. Disponete di un dato da cui si evinca la proporzionalità tra le sanzioni riscosse e i progetti di prevenzione?

CHINAGLIA
Signora Presidente, sono Alberto Chinaglia, funzionario della Regione Veneto e membro del Coordinamento delle Regioni. In relazione all'articolo 13, comma 6, del decreto legislativo n. 81, che fornisce indicazioni per l'appunto su questa materia, abbiamo effettuato un monitoraggio sull'utilizzo da parte delle Regioni di questi fondi, derivanti appunto dall'irrogazione delle sanzioni. Il 99 per cento delle Regioni ha già risposto.
In tutte le Regioni, però, è stato definito questo utilizzo, con provvedimenti della Giunta regionale o attraverso indicazioni fornite direttamente alle Aziende sanitarie. In alcune Regioni si è stabilito che i fondi vengano trattenuti direttamente presso l'Azienda sanitaria locale, con le indicazioni di utilizzo fornite dai Comitati regionali di coordinamento.
Questi fondi vengono destinati alle attività di prevenzione in materia di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro svolte dai dipartimenti di prevenzione delle Aziende sanitarie. La individuazione delle priorità e di eventuali progetti specifici viene effettuata con l'indicazione data ai Comitati regionali di coordinamento. Tali progetti vengono poi concretizzati dalle singole Aziende sanitarie locali.
Se poi lei, Presidente, vuole sapere esattamente a quanto ammonti la proporzione tra le sanzioni riscosse e i progetti, posso dirle che al momento non sono in grado di dare questa indicazione ma, a seguito della rilevazione effettuata, credo che più avanti saremo in grado di trasmetterle dei dati precisi.

D'ANGELO
Signora Presidente, sono Massimo D'Angelo, direttore del Centro sanitario amianto del Piemonte. Per quanto attiene le attività di informazione, sono ben convinto che, in effetti, ci sia una notevole disomogeneità tra le azioni di comunicazione messe in atto dalle diverse strutture.
Per quanto riguarda la Regione Piemonte, noi abbiamo identificato, quale elemento fondamentale per garantire i processi di comunicazione, la realizzazione di sportelli informativi amianto presso i Comuni. Questa realizzazione prende spunto da una mia idea a partire dal presupposto che se si immagina che la ASL e l'ARPA facciano vigilanza, allora la realizzazione di sportelli informativi presso queste strutture può risultare, per il cittadino, dirimente rispetto alla richiesta. Ritengo invece che i Comuni rappresentino l'anello di congiunzione tra il sistema sanitario regionale, la richiesta del cittadino e la garanzia dell'ottemperanza delle normative. Al riguardo è stato citato il decreto ministeriale del settembre 1994 che prevede una valutazione del rischio dei manufatti che il cittadino detiene. In molti casi, questa valutazione del rischio dei manufatti non viene però effettuata dal cittadino perché non è a conoscenza della normativa, laddove proprio tale valutazione costituisce l'elemento di base per l'adozione di un programma di manutenzione e controllo (elemento fondamentale che consente di controllare il manufatto nel tempo), ovvero per un intervento di bonifica. Nel sito d'interesse nazionale di Casale Monferrato (che conta 48 Comuni), nell'ambito di un progetto nazionale del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM), abbiamo effettuato corsi di formazione per i tecnici comunali e per il personale amministrativo affinché potessero a loro volta dare informazioni ai cittadini proprietari di edifici con manufatti contenenti amianto sulle misure da attuare. Ha poi avuto luogo un corso di formazione, che ha visto la collaborazione del Centro sanitario amianto con l'Università degli studi del Piemonte orientale, proprio per l'istituzione degli sportelli informativi amianto nei Comuni.
Per quanto riguarda l'altra istanza concernente l'amianto in matrice minerale, in effetti come Regione Piemonte abbiamo definito le linee guida per la gestione del rischio dovuto a questo tipo di amianto al fine di garantire, attraverso un'analisi del rischio e le misure per gestirlo, l'abbattimento del rischio di esposizione della popolazione oltre che dei lavoratori, sulla base di quanto previsto anche dal decreto legislativo n. 81 del 2008. È vero che ogni Regione ha operato in maniera assolutamente segmentata, ma è altrettanto vero che in Piemonte abbiamo definito anche le linee guida per la gestione del rischio dell'amianto in matrice minerale. Nel merito, ad esempio si faceva riferimento a Salice D'Ulzio, un paese in cui la quantità di fibre aerodisperse riscontrate raggiungeva livelli dieci volte superiori a quelle che sono le indicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità, che prevedono una fibra per litro; ebbene, in quel caso abbiamo adottato tutte le misure per garantire la gestione del rischio da amianto in matrice minerale, esiste cioè in tal senso una vigilanza da parte dei servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro, oltre che un monitoraggio specifico da parte di ARPA Piemonte.

MARCHIORI
Signora Presidente, avevo dimenticato di trattare due problemi, il primo dei quali riguarda le ragioni per cui Marche e Abruzzo detengono il 50 per cento dei 30.000 siti da bonificare. Stiamo parlando di un ambito in cui le competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono forti e si accavallano con quelle del Ministero della salute e quindi c'è una sovrapposizione di normative. È stato dato mandato alle Regioni di fare il censimento, ma non sono stati definiti parametri e criteri, per cui in alcune realtà si è proceduto a una rilevazione di tutte le forme di amianto, sia friabile che compatto, mentre in altre, attenendosi maggiormente alle indicazioni della normativa, si è proceduto alla rilevazione dell'amianto friabile, in quanto è quello che si ritiene più pericoloso. Si è quindi determinata questa disomogeneità per cui in Veneto risultano esservi 600 siti, che adesso sono ridotti a poche decine, mentre nelle Marche ne risultano 11.000-12.000, probabilmente perché in quella Regione sono stati censiti anche i tetti in eternit, cioè quello che chiamiamo amianto antropico, diffuso nelle abitazioni e soprattutto sotto forma di amianto compatto. Il primo problema rispetto al censimento dell'amianto è dato dal fatto che il Ministero dell'ambiente e quello della salute hanno percorso esperienze diverse, inoltre è intervenuto anche l'Istituto superiore di sanità con progetti sperimentali; sono stati quindi finanziati molti interventi, ma non si è riusciti ad addivenire a un risultato omogeneo, perché è mancato un input centrale che definisse bene le modalità e le forme del controllo del censimento, per cui ogni Regione ha definito propri criteri. Adesso, l'orientamento che stiamo cercando di avere a livello di sanità è quello di concentrarci sulle situazioni che possono essere a rischio per la salute, quindi essenzialmente sull'amianto in matrice friabile, laddove riteniamo che il rilevamento sull'amianto compatto, quindi quello di origine antropica (presente nelle abitazioni civili e in tutti gli altri edifici), sia d'interesse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Aggiungo che per allontanare questo rischio (che è basso, ma diffuso e quindi alla fine può avere comunque una rilevanza in termini di sanità pubblica), prima di tutto occorrono politiche ambientali e di incentivazione, in secondo luogo è necessario un quadro politico più generale con delle risorse che in questo momento il Paese o le Regioni non possono destinare. D'altra parte, la normativa prevede che i proprietari degli edifici provvedano annualmente a una verifica del rischio dato dalla presenza di amianto. Questo strumento è stato poco sviluppato, laddove se decidessimo di percorrere questa strada, prevedendo anche l'obbligo di notificare alla ASL la presenza di amianto friabile e quindi pericoloso, potremmo arrivare senza grossi costi a una sensibilizzazione maggiore dell'opinione pubblica e anche del mercato rispetto al problema della presenza di amianto negli edifici.
La domanda inerente i soggetti attualmente esposti ad amianto è interessante e questo aspetto è sicuramente oggetto di riflessione e di attenzione. Attualmente, per fortuna, non abbiamo riscontri di forme di patologia, ma è sicuramente un aspetto da tenere monitorato e lo facciamo attraverso i controlli sui cantieri, ma anche attraverso misure poste in essere dalle ASL, nonché mediante il controllo dei livelli di esposizione che le ditte annualmente ci comunicano. I dati in nostro possesso documentano che i livelli di protezione attualmente adottati sono adeguati alla tutela dei lavoratori.

D'ANGELO
Un altro conto è però l'esposizione ambientale, che per esempio è nota a Casale Monferrato per la presenza del cosiddetto "polverino", quello a cui si faceva prima riferimento. L'esposizione ambientale a polverino è la conseguenza di un utilizzo improprio dell'amianto, non quale manufatto tal quale, ma come derivato: con il processo di tornitura si dava infatti vita alla formazione di fibre di amianto, una specie di borotalco che veniva utilizzato nei sottotetti o nei battuti di cemento nelle pertinenze delle unità abitative. Chiaramente questo incide notevolmente sulla dispersione di fibre nel momento in cui o si accede ai sottotetti o si effettuano anche banali attività nei luoghi ove è presente il polverino nei battuti di cemento. Parlo ad esempio di bambini (faccio riferimento ai bambini perché sono una fascia d'età particolarmente suscettibile) che vanno a giocare all'interno di pertinenze in cui vi sia amianto sotto forma di polverino. In tal caso la cessione di fibre è continuativa e tale da determinare un aumento del rischio di esposizione della popolazione generale. Ricordiamo che in Piemonte, nell'ambito del sito d'interesse nazionale di Casal Monferrato, oggi abbiamo il 70 per cento dei casi di patologie correlate all'amianto non più di origine occupazionale ma di tipo ambientale o domestico, quale conseguenza di questo utilizzo improprio dell'amianto o del fatto che i lavoratori portavano a casa l'amianto attraverso le tute che indossavano all'interno delle industrie.
Vi è poi un altro rischio da considerare: nello specifico poiché la fabbrica non garantiva sistemi di inibizione del passaggio delle fibre verso l'esterno, degli studi hanno evidenziato che nelle aree perimetrali rispetto all'industria stessa vi è un'elevatissima incidenza di casi di mesotelioma pleurico.

BORIOLI
Signora Presidente, se mi è consentito vorrei chiedere una integrazione rispetto alla risposta fornita alla questione, da lei posta, circa la diversa entità di siti contenenti amianto rilevata tra le varie Regioni.
Dalla risposta fornita mi sembra di aver compreso che la ragione di tale diversità stia nella mancanza di linee e criteri uniformi per la determinazione di questi siti tra le varie Regioni.
Siccome la questione mi sembra molto rilevante, mi interessa capire se questa mancanza di linee uniformi sia da ascrivere soltanto a una inerzia di natura politico-amministrativa o a una incertezza della comunità scientifica circa la tipologia e le condizioni alle quali attenersi per individuare, nel censimento, innanzitutto le situazioni foriere di maggiori rischi e poi le situazioni su cui l'uomo può intervenire per rimuovere i rischi attraverso la bonifica dei siti. Così come mi interessa capire se oggi, in presenza di una assunzione di responsabilità, sia possibile determinare una serie di criteri uniformi per far sì che questo censimento attinga a livelli omogenei sul territorio nazionale, e quindi sia possibile capire quali siano i casi su cui occorre prioritariamente intervenire.

MARCHIORI
Signora Presidente, risponderò portando un esempio, per poi svolgere un ragionamento.
In Veneto nel 2000 abbiamo proceduto al censimento dei mesoteliomi nei siti industriali dove si erano verificati dei casi, in quelli che venivano notificati alle ASL, e in circa il 60 per cento delle scuole e degli ospedali.
Nel 2004 abbiamo trasmesso al Ministero dell'ambiente i risultati del censimento, come hanno fatto le altre Regioni comprese le Marche. Tutto è rimasto silente fino al 2012 quando, in preparazione della seconda Conferenza nazionale amianto, i NAS sono venuti in Regione a chiedere il riscontro dei dati della nostra attività - in quanto non avevamo trasmesso i dati degli anni successivi al censimento- ed a quel punto abbiamo risposto che stavamo ancora aspettando le risposte del primo censimento.
Con ciò intendo dire che è stato difficile costruire un ragionamento globale, perché manca un centro che unisca Ministero della salute, Ministero dell'ambiente e dimensione regionale. Bisogna però riconoscere che con il Ministero della salute riusciamo ad interloquire e che, nel contesto del ragionamento sul piano annuale amianto, il Ministero della salute è presente. Così non è con il Ministero dell'ambiente.
A mio avviso, il problema è che vi è un alto grado di competenza ambientale e che ogni Regione ha compiuto dei percorsi autonomi. Tali percorsi non sono mai stati sottoposti a verifica, ma vi garantisco che le situazioni a maggior rischio sono state tutte evidenziate, e bonificate, e che sono sotto controllo.
Chiaramente, non posso parlare per tutta l'Italia, ma in base alla mia esperienza sul territorio, come risulta anche dagli atti della Conferenza nazionale amianto del 2012, i siti di interesse nazionale sono stati tutti messi in sicurezza. Diverso è il problema della diffusione di questo materiale e anche dell'utilizzo improprio, rispetto al quale davvero occorre una politica complessiva.

FAVERO
Dottor Marchiori, le chiedo una conferma circa una notizia che è stata riportata sui giornali, ma che ci è stata riferita anche in questa sede. Nelle specifico, nonostante non si possano più vendere manufatti contenenti amianto, sembra che da parte dell'India vi sia di nuovo una commercializzazione di tali manufatti verso l'Italia. Le risulta che sia vero?

MARCHIORI
L'unica esperienza che abbiamo avuto in questi anni, a livello nazionale e regionale, peraltro ben governata dal Ministero della salute, ha riguardato l'importazione dalla Cina di autovetture modello jeep della Great Wall con guarnizioni realizzate in materiale contenente amianto.
È un problema circoscritto, ma i prodotti in questione sono stati subito presidiati, controllati su tutto il territorio nazionale e da tutte le ASL e sottoposti a un intervento generalizzato. I punti vendita sono stati individuati e controllati e sono stati presi i provvedimenti del caso.
Questa è una partita che, a livello nazionale, svolgiamo in coordinamento con il Ministero della salute nei confronti dell'importatore. Questo, senatrice, è l'unico esempio che a noi risulti.

PRESIDENTE
Ringrazio nuovamente gli intervenuti e dichiaro conclusa l'odierna audizione.


Note: Bozze non corrette dai relatori
Fonte: Senato della Repubblica