Cassazione Penale, Sez. 5, 21 dicembre 2015, n. 50102 - Il legale rappresentante, imputato per il reato presupposto, non può compiere atti difensivi nell’interesse dell’ente, compresa la nomina del difensore di fiducia


 

 

Presidente Fumo – Relatore Pistorelli

Fatto



1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Bari, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di D.A.C. e D.G. per i reati di cui agli artt. 110, 483 e 640-bis c.p., confermando invece la condanna ex d.lgs. n. 231/2001 della G. Hotels s.r.l. in riferimento al menzionato reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e le statuizioni adottate dal giudice di prime cure in merito alla confisca per equivalente del profitto dello stesso reato.
La vicenda riguarda il conseguimento da parte della G. Hotels di agevolazioni finanziarie erogate dal Ministero delle attività produttive ex l. n. 488/1992 attraverso artifizi consistiti nella presentazione di una perizia attestante la non necessità di autorizzazioni per l'esecuzione di lavori edilizi e facendo figurare altrettanto falsamente l'avvenuto conferimento delle risorse proprie necessarie per la copertura della quota dell'investimento finanziato spettante alla società.
2. Avverso la sentenza ricorrono entrambi gli imputati e la G. Hotels.
2.1 Con gli identici ricorsi proposti nell'interesse di D.A.C. e D.G. articolano quattro motivi.
2.1.1 Con il primo i ricorrenti deducono errata applicazione della legge penale e violazione di legge, eccependo la nullità delle sentenze di primo e secondo grado nella parte relativa alla condanna dell'ente in difetto di una valida costituzione del medesimo in quanto rappresentato in entrambi i gradi di merito dal difensore di fiducia invalidamente nominato dallo steso D. nella sua qualità di amministratore della G. Hotels. L'incompatibilità del D. a rappresentare l'ente in quanto imputato del reato da cui dipendeva la responsabilità dell'ente, pur correttamente rilevata dalla Corte territoriale, non determina infatti l'inefficacia dell'atto d'appello - come invece sostenuto in sentenza - bensì e per l'appunto che si è proceduto in assenza di un difensore validamente nominato, configurandosi così una nullità assoluta rilevabile in ogni stato e grado del processo.
2.1.2 Con il secondo motivo lamentano ulteriore violazione di legge in merito al ritenuto difetto di legittimazione degli imputati ad impugnare le statuizioni della sentenza di primo grado concernenti la responsabilità dell'ente ed in particolare quelle relative alla confisca del profitto del reato. Legittimazione invece sussistente in capo all'imputato che sia altresì socio e amministratore dell'ente medesimo, atteso che la condanna di quest'ultimo si riverbera sul suo patrimonio - e dunque indirettamente sul socio chiamato a ripianare le conseguenti perdite mediante la ricostituzione del capitale sociale - e comporta l'eventuale responsabilità di chi l'ha gestito per il danno causato allo stesso.
2.1.3 Con il terzo motivo viene denunziata errata applicazione della legge penale in merito alla confisca della somma sequestrata all'ente a titolo di equivalente del profitto del reato di truffa, atteso che ai sensi dell'art. 19 comma 1 d.lgs. n. 231/2001 non può essere disposta la confisca del profitto nella parte in cui può essere restituita al danneggiato. Posto che oggetto di sequestro era stata una somma corrispondente all'entità dei finanziamenti erogati dal Ministero delle attività produttive che lo stesso aveva provveduto successivamente a revocare, tale somma doveva essere restituita all'autorità erogante. Ed in tal senso la Corte territoriale avrebbe illegittimamente confermato la confisca della suddetta somma nella forma per equivalente, mentre la sentenza di primo grado si era limitata a disporre la confisca del profitto del reato, ritenendo così l'inapplicabilità del disposto del primo comma dell'art. 19 citato, peraltro in maniera erronea, atteso che lo stesso deve invece ritenersi applicabile anche nel caso la confisca venga disposta per equivalente.
2.1.4 Con il quarto motivo, infine, i ricorrenti deducono errata applicazione della legge penale e correlati vizi della motivazione in merito alla ritenuta responsabilità dell'ente. In particolare con il motivo in esame si lamenta l'inconfigurabilità del reato presupposto di tale responsabilità, atteso che la mera proposizione della domanda di accesso ai finanziamenti in cui viene dichiarato il possesso di requisiti invero inesistenti non è sufficiente ad integrare la truffa contestata, come dimostrano altresì i poteri di revoca per difetto degli stessi esercitagli dall'autorità erogante anche successivamente all'ammissione provvisoria del richiedente alle agevolazioni. In tal senso solo la mancata realizzazione del progetto oggetto della domanda consentirebbe di ritenere la stessa menzognera, fattispecie che non ricorre nel caso di specie atteso che il progetto è stato compiutamente realizzato.
2.1.5 Sotto altro profilo i ricorrenti rilevano come le artificiose operazioni sul capitale sociale contestate - per quanto emerge dalla stessa sentenza - sarebbero state effettuate al fine del conseguimento della seconda rata del finanziamento, il che esclude qualsiasi rilevanza causale di tali condotte con riguardo all'erogazione della prima rata, avvenuta in un momento precedente. In tal senso, escluso che la frode sia stata consumata come invece contestato attraverso la proposizione della domanda di finanziamento, il profitto illecito realizzato corrisponderebbe esclusivamente alla quota del medesimo erogato con la seconda rata e cioè quello derivato dalla consumazione dell'effettiva condotta fraudolenta eventualmente posta in essere.
2.1.6 In secondo luogo la motivazione della sentenza sarebbe illogica nella misura in cui afferma la fittizietà dei conferimenti del socio D.G. escludendo la compensazione degli stessi con il credito vantato da quest'ultimo in relazione al conferimento di un immobile. È si vero che l'atto di vendita di tale immobile è posteriore ai fatti, ma la Corte territoriale avrebbe in proposito trascurato di rilevare come nello stesso si farebbe riferimento alla già avvenuta corresponsione del prezzo da parte della società.
2.1.7 Quanto alla falsa perizia, i giudici del merito avrebbero erroneamente ritenuto che l'attestazione della regolarità delle opere finanziate fosse requisito imposto dal decreto di concessione provvisoria delle agevolazioni, atteso che lo stesso si limitava ad assegnare al beneficiario l'obbligo di operare nel pieno rispetto delle norme edilizie, urbanistiche e di salvaguardia ambientale, la verifica del cui rispetto veniva demandato alla fase del collaudo dell'opera, con la conseguenza che è in quel momento che dovevano sussistere le eventuali necessarie autorizzazioni. Conseguentemente il presunto artifizio non avrebbe avuto - contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza - una qualsiasi efficienza causale nell'erogazione della seconda rata del contributo. Peraltro la perizia sospettata di falsità riguarda esclusivamente le opere indicate nel progetto allegato alla domanda, talché l'indicazione di altro manufatto eventualmente eseguito abusivamente - che è poi l'oggetto del rimprovero mosso dalla Corte territoriale - esulava dall'oggetto dell'attestazione richiesta al perito. Né la sentenza ha fornito prova del rapporto di essenzialità tra tale manufatto e le opere di ristrutturazione finanziate.
2.1.8 Infine ulteriore difetto di motivazione emerge dalla mancata verifica, al di là delle condotte contestate, dell'effettivo possesso da parte dell'ente richiedente dei requisiti per ottenere la seconda rata di finanziamento e cioè l'apporto nell'esecuzione del progetto di una determinata quota di capitale proprio e la legittimità sotto il profilo edilizio ed urbanistico dell'intervento finanziato. Verifica invece necessaria ai fini dell'affermazione dell'ingiustizia del profitto, ineludibile presupposto per la configurabilità del reato presupposto di truffa.
2.2 Il ricorso proposto nell'interesse della G. Hotels s.r.l. articola tre motivi in tutto sovrapponibili al primo, terzo e quarto dei ricorsi dei due imputati, alla cui illustrazione pertanto si rinvia.

Diritto



1. I ricorsi di D.A.C. e D.G. sono inammissibili, dovendosi escludere che l'imputato autore del reato presupposto sia legittimato e abbia interesse ad impugnare, anche nel caso di simultaneus processus, il capo della sentenza relativo all'affermazione della responsabilità ex d.lgs. n. 231/2001 dell'ente nel cui interesse o vantaggio lo stesso sia stato commesso.
1.2 Quanto alla legittimazione, l'art. 71 del citato decreto legislativo, nel disciplinare le impugnazioni delle sentenze relative alla responsabilità amministrativa dell'ente, individua inequivocabilmente ed esclusivamente in quest'ultimo il soggetto legittimato proporle, com'è logico atteso che è anche l'unico soggetto nei cui confronti è destinata a produrre direttamente i propri effetti la decisione oggetto di impugnazione e ad essere applicate le sanzioni amministrative previste dal decreto. Né rileva in senso contrario quanto stabilito dal successivo art. 72, il quale riproduce sostanzialmente la regola posta dal primo comma dell'art. 587 c.p.p. in tema di estensione dei motivi d'impugnazione nel procedimento soggettivamente cumulativo. Infatti che l'ente possa giovarsi dell'impugnazione proposta dall'imputato purché non fondata su motivi esclusivamente personali (e vicereversa), non è certo sintomo della legittimazione dello stesso imputato ad impugnare i capi della sentenza che riguardano l'affermazione della responsabilità della persona giuridica, così come egli non sarebbe legittimato ad impugnare quelli relativi alla posizione di altro imputato.
1.3 Quanto invece alla sussistenza dell'interesse all'impugnazione - prospettato dai ricorrenti in relazione al fatto che essi sono anche soci della Hotels G. s.r.l. - deve ritenersi che siano affatto irrilevanti le conseguenze economiche indirette o riflesse che potrebbero riverberarsi nella sfera soggettiva del socio o dell'amministratore a seguito dell'irrogazione delle sanzioni previste dal d.lgs. n. 231/2001, a maggior ragione, com'è nel caso di specie, quando quest'ultimo vanta personalità giuridica ed è dunque dotato di piena autonomia patrimoniale.
1.4 In realtà l'impostazione seguita nei ricorsi sconta in radice l'errore di aver concentrato l'attenzione sulla legittimazione oggettiva degli imputati - e cioè sulla configurabilità di un proprio autonomo interesse a proporla (comunque inesistente) - quando invece, come illustrato, ciò che rileva a monte, alla luce del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, è il loro difetto di legittimazione soggettiva ad impugnare, legittimazione la cui perimetrazione è rimessa alle scelte discrezionali del legislatore con l'unico limite della ragionevolezza, che certo non può ritenersi violato solo che si pensi come l'ente, nel sistema configurato dal d.lgs. n. 231/2001 - non risponde direttamente del reato - non ha cioè diretta soggettività penale - ma di un autonomo illecito che nella sua sostanza si risolve nel non aver saputo creare le condizioni per prevenirne la consumazione qualora lo stesso risulti essere stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio dai soggetti tassativamente indicati nell'art. 5 dello stesso decreto.
2. È invece fondato il primo motivo del ricorso della G. Hotels, il cui accoglimento comporta l'assorbimento di tutti gli altri motivi proposti dall'ente.atteso il carattere pregiudiziale della questione processuale sollevata.
2.1 Come noto, il d.lgs. n. 231 del 2001 ha dedicato una disciplina speciale alle modalità di partecipazione dell'ente al procedimento nell'esigenza di coniugare l'esercizio del diritto di difesa con la necessità che tale partecipazione avvenga per il tramite di una persona fisica in grado di rappresentare l'ente medesimo. In tal senso i primi due commi dell'art. 39 del decreto stabiliscono che “l'ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo” e che “l'ente che intende partecipare al procedimento si costituisce depositando nella cancelleria dell'autorità giudiziaria procedente una dichiarazione contenente a pena di inammissibilità: a) la denominazione dell'ente e le generalità del suo legale rappresentante; b) il nome ed il cognome del difensore e l'indicazione della procura; c) la sottoscrizione del difensore; d) la dichiarazione o l'elezione di domicilio”. L'ultimo comma dello stesso articolo prevede invece che “quando non compare il legale rappresentante, l'ente costituito è rappresentato dal difensore”. Questa disciplina è poi integrata da quanto disposto dal successivo art. 40, il quale assicura all'ente privo di un difensore di fiducia l'assistenza di quello d'ufficio, e soprattutto dall'art. 41, che riserva nella fase processuale la condizione del contumace esclusivamente all'ente non formalmente costituitosi e non anche a quello il cui rappresentante legale non sia comparso in udienza nonostante l'avvenuta costituzione ai sensi del citato art. 39.
2.2 Il richiamato primo comma dell'art. 39 prevede dunque l'incompatibilità del legale rappresentante dell'ente a rappresentarlo nel procedimento a suo carico qualora egli sia contestualmente anche imputato per il reato presupposto della responsabilità addebitata alla persona giuridica. Incompatibilità che discende dalla presunzione iuris et de iure della sussistenza di un conflitto di interessi tra ente e suo rappresentante, destinata a rivelarsi già nel primo atto di competenza di quest'ultimo e cioè la scelta del difensore di fiducia e procuratore speciale senza la cui nomina il soggetto collettivo non può validamente costituirsi. Come di recente chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, in sostanza, “anche la semplice nomina del difensore di fiducia della persona giuridica da parte del rappresentante legale in situazione di conflitto di interessi (perché indagato come persona fisica) deve considerarsi ricompresa nel divieto posto dall'art. 39 del decreto, in quanto realizzata da un soggetto che non è legittimato a rappresentare l'ente, ossia ad esprimere la volontà del soggetto collettivo nel procedimento che lo riguarda” (Sez. Un., n. 33041 del 28 maggio 2015, Covalm Biogas coop a.r.l.).
2.3 Si è in passato dubitato della stessa legittimità costituzionale di tale disposizione, questione che questa Corte ha già avuto modo di dichiarare manifestamente infondata, sottolineando come l'incompatibilità menzionata, così come prevista dall'art. 39 cit., non determina né la compromissione del diritto di difesa dell'ente, né costituisce violazione del principio di uguaglianza, ovvero del giusto processo (Sez. 6, n. 41398 del 19 giugno 2009, Caporello, Rv. 244405).
2.3.1 In tal senso la sentenza Caporello ha evidenziato come, a differenza di altre esperienze giuridiche in cui simili casi di conflitto tra ente e rappresentante sono risolti con la nomina di un terzo da parte del giudice, il legislatore italiano ha compiuto una scelta diretta ad evitare forme di invadenza giudiziaria all'interno dell'organizzazione della persona giuridica, rimettendo a quest'ultima ogni decisione al riguardo, nel rispetto della stessa struttura e degli organi del soggetto collettivo. In sostanza, dal complesso della disciplina prevista in materia di rappresentanza emerge come da parte del legislatore si sia voluto evitare di imporre all'ente un rappresentante di nomina esterna, sia pure solo per la partecipazione al procedimento penale, e si sia preferita una soluzione che attribuisca all'ente la scelta di chi debba rappresentarlo nel processo, anche in caso di conflitto di interessi, utilizzando i normali strumenti previsti all'interno della sua compagine organizzativa, quali lo statuto o il proprio atto costitutivo.
2.3.2 In tale ottica non può allora sostenersi che la disciplina dell'art. 39 cit. pregiudichi il diritto di difesa dell'ente, atteso che questi può comunque costituirsi nel procedimento sostituendo il rappresentante divenuto incompatibile ovvero nominandone uno ad hoc per il processo (soluzione quest'ultima già prospettata invero nella Relazione al d.lgs. n.231 del 2001) ed anche qualora decida invece di rimanere inerte - cioè di non provvedere ad alcun tipo di sostituzione del rappresentante legale (non importa per quale ragione) - comunque rimane tutelato dalla previsione dell'art. 40 del decreto che impone gli venga nominato un difensore d'ufficio che ne garantisce l'assistenza in ogni fase del procedimento.
2.4 Esclusa dunque l'illegittimità costituzionale dell'art. 39, si pone il problema dell'effettiva portata dell'incompatibilità ivi prevista e della sorte degli atti compiuti per conto dell'ente dal legale rappresentante incompatibile.
2.4.1 In tal senso, secondo l'orientamento oramai consolidato espresso da questa Corte, l'incompatibilità prevista dall'art. 39 cit. ha carattere assoluto, come dimostrerebbe a contrariis l'espressa deroga contenuta nell'art. 43 comma 2 d.lgs. n. 231/2001 in tema di notificazioni all'ente, il quale fa espressamente salve quelle eseguite mediante consegna al legale rappresentante incompatibile.
2.4.2 Ne conseguirebbe che il rappresentante incompatibile non può compiere alcun atto difensivo nell'interesse dell'ente e che quest'ultimo, se materialmente posto in essere, dovrebbe considerarsi inefficace. In particolare sarebbe privo di efficacia non solo l'atto di costituzione, ma altresì anche l'eventuale nomina di un difensore di fiducia effettuata indipendentemente dalla formale costituzione, con l'ulteriore conseguenza che tale nomina sarebbe tamquam non esset e gli atti compiuti dal difensore in esecuzione di un mandato privo di efficacia inammissibili (Sez. 2, n. 52748 del 9 dicembre 2014, P.M. in proc. VbiOl e altro, Rv. 261967; Sez. 6, n. 29930 del 31/05/2011 - dep. 26/07/2011, Ingross Levante Spa, Rv. 250432; Sez. 6, n. 41398 del 19/06/2009 - dep. 28/10/2009, Caporello, Rv. 244409; Sez. 6, n. 15689 del 05/02/2008 - dep. 16/04/2008, Soc. a r.l. A.R.I. International, Rv. 241011).
2.4.3 Principi questi che hanno ora, come accennato, avuto l'autorevole avallo della già citata pronunzia delle Sezioni Unite, le quali hanno stabilito che il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore di fiducia dell'ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall'art. 39 d.lgs. n. 231 del 2001 e che è inammissibile, per difetto di legittimazione rilevabile di ufficio ai sensi dell'art. 591, comma 1, lett. a), c.p.p., l'impugnazione eventualmente presentata dal difensore dell'ente nominato dal rappresentante il quale versi nella menzionata situazione di incompatibilità.
2.5 Se dunque l'atto di costituzione e la nomina del difensore e procuratore speciale effettuati dal rappresentante incompatibile sono privi di efficacia, ne consegue che nel processo l'ente, privo di formale rappresentanza e di fatto non costituitosi, deve essere dichiarato contumace ai sensi dell'art. 41 del decreto e il giudice deve procedere a nominargli un difensore d'ufficio. Soprattutto, nella fase della costituzione delle parti, deve ritenersi che al giudice spetti l'obbligo di verificare la regolarità dell'atto di costituzione e della nomina del difensore che, ai sensi dell'art. 39 comma 2 lett. c), lo deve sottoscrivere, e, rilevata l'incompatibilità, di dichiarare l'inammissibilità della costituzione con la conseguente pronunzia dei provvedimenti sopra descritti.
3. Nel caso di specie risulta che all'ente, inizialmente non costituitosi, era stato nominato nella fase delle indagini preliminari un difensore d'ufficio in occasione dell'adozione nei suoi confronti di una misura cautelare reale. Successivamente, come detto, l'ente si è costituito per la prima volta in persona del legale rappresentante D.A.C. che ha proceduto alla nomina di un difensore di fiducia, il quale ha assistito l'ente nell'udienza preliminare e nel corso del dibattimento di primo grado ed ha altresì proposto l'appello ritenuto sostanzialmente inammissibile dalla Corte territoriale in ragione per l'appunto dell'incompatibilità dello stesso D. in quanto imputato del reato presupposto. Infine il ricorso è stato proposto dal difensore nominato da D.F. , amministratore subentrato a quello ritenuto incompatibile e mai imputato del reato presupposto, il quale, nel legittimo esercizio dei poteri attribuitigli dallo statuto e del mandato conferitogli dall'assemblea (come documentati dalla difesa), ha provveduto a depositare un nuovo atto di costituzione dell'ente l'8 luglio 2013.
3.1 È dunque evidente come l'ente sia rimasto privo nell'intera fase processuale dell'assistenza di un difensore, atteso che quello d'ufficio correttamente nominato nel corso delle indagini preliminari non ha ricevuto avviso della fissazione dell'udienza preliminare, né della data del disposto rinvio a giudizio, mentre quello di fiducia, nominato dall'amministratore incompatibile, per le ragioni esposte in precedenza, non era legittimato a svolgere alcuna attività difensiva in favore dell'ente per le ragioni esposte in precedenza, né tantomeno a rappresentarlo in udienza ai sensi dell'art. 39 comma 4 d.lgs. n. 231/2001.
3.2 Sussiste dunque la nullità assoluta eccepita dalla ricorrente, verificatasi già al momento della celebrazione dell'udienza preliminare ed erroneamente non rilevata dalla Corte territoriale, che pure ha considerato inefficace la nomina del difensore che ha assistito l'ente nel corso di tutti i gradi del giudizio di merito. In particolare, come già ricordato, il giudice dell'appello al momento della costituzione delle parti - e non all'esito del dibattimento di secondo grado - avrebbe dovuto verificare la regolarità della costituzione dell'ente e la legittimazione del difensore che lo assisteva e, riscontrata l'invalidità della prima e l'inefficacia della nomina fiduciaria, innanzi tutto provvedere a dichiarare la contumacia di G. Hotels e provvedere alla nomina di un difensore di ufficio ovvero provvedere alla citazione del difensore d'ufficio originario, la cui nomina invero mai era venuta meno. Una volta costituite le parti dinanzi a sé, lo stesso giudice avrebbe poi dovuto registrare la nullità assoluta verificatasi nel grado precedente e adottare i provvedimenti conseguenti.
4. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio, ma l'annullamento deve necessariamente essere esteso anche a quella di primo grado fino a travolgere l'udienza preliminare e il decreto che ha disposto il rinvio a giudizio dell'ente, con conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Lucera per l'ulteriore corso e cioè la fissazione di una nuova udienza preliminare in ragione della richiesta di rinvio a giudizio proposta dal pubblico ministero nei confronti della G. Hotels, atto questo che va considerato tuttora valido e produttivo dei suoi effetti tipici.
5. In tal senso va ancora osservato che l'illecito da reato contestato all'ente non può ritenersi estinto per intervenuta prescrizione - come eccepito nel corso della discussione dalla difesa - atteso che attraverso la richiesta di rinvio a giudizio il titolare dell'azione punitiva ha proceduto alla formale contestazione del suddetto illecito ai sensi dell'art. 59 d.lgs. n. 231/2001. Adempimento questo che, a norma dell'art. 22 commi 2 e 4 dello stesso decreto, non solo interrompe la prescrizione, ma ne sospende altresì il decorso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. Conseguentemente, come accennato, l'illecito in questione (rectius: le sanzioni amministrative irrogabili in ragione del suo accertamento) non può ritenersi ancora prescritto, risultando il relativo termine sospeso dalla data di proposizione della richiesta di rinvio a giudizio (il 15 febbraio 2007), tempestivamente presentata entro il quinquennio da quella di consumazione del reato presupposto, come richiesto dal primo comma del citato art. 22 d.lgs. n. 231/2001.

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado nei confronti di G. Hotels s.r.l. e dispone la trasmissione al Tribunale di Lucera per il corso ulteriore.
Dichiara inammissibili i ricorsi di D.A.C. e D.G. e condanna i due predetti singolarmente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.