Categoria: Cassazione penale
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  • Committente
  • Responsabile dei lavori
  • Piano di Sicurezza e Coordinamento

Responsabilità della proprietaria di un cortile per infortunio occorso a soggetto incaricato della ripavimentazione dello stesso: il lavoratore veniva infatti travolto da una scala demolita da un escavatorista che era al lavoro sopra di lui.

Vengono ravvisati, sia in primo che in secondo grado, elementi di colpa specifica in violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, comma 1, lett. a), e art. 6, comma 2, ed cit. D.Lgs. art. 3, comma 4, dichiarati estinti per prescrizione, in riferimento alla sua posizione di garanzia, quale committente e responsabile dei lavori, perchè non verificava l'adempimento degli obblighi di redazione del piano di sicurezza e di coordinamento e designava coordinatore per l'esecuzione dei lavori B.E., privo dei prescritti requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 10.
E, quindi, acquisita la prova delle omissioni indicate, i Giudici di merito hanno affermato che l'infortunio occorso al B.S. si è verificato proprio per la mancanza di un coordinamento tra gli interventi di pavimentazione del cortile e di demolizione della scala, lavori inevitabilmente e strettamente connessi tra loro, visto che la scala incombeva sul cortile."

Proposto ricorso in Cassazione, la Corte rigetta affermando "che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionaiità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza.
Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.).
Sul punto la motivazione della sentenza impugnata è più che congrua nel rilevare che dall'inadempimento relativo all'omessa nomina del coordinatore per l'esecuzione dei lavori sono derivate conseguenze particolarmente gravi, strettamente legate da nesso di causalità con l'infortunio occorso al B..
Se, infatti, il piano di sicurezza fosse stato effettivamente predisposto e la nomina del coordinatore per l'esecuzione dei lavori correttamente e validamente effettuata, ne sarebbe derivata in concreto una precisa organizzazione degli interventi facenti capo alle varie ditte incaricate delle opere da eseguire ed una vigilanza sul coordinamento di tali interventi, come specificamente previsto dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5."

"Ha evidenziato ancora la Corte territoriale che la connessione di tali lavori, materialmente affidati al B. ed all'escavatorista, incaricato della demolizione della scala, rende evidente la responsabilità della P. indipendentemente dall'accidentalità o dalla volontarietà del colpo di benna, quale ipotetica causa del crollo.

Quanto poi al comportamento della parte offesa, in maniera giuridicamente corretta, la Corte, pur evidenziando che essa, ben sapendo che la stabilità del manufatto da demolire era già fortemente compromessa dal taglio degli ancoraggi all'edificio, nel porsi al di sotto di essa, mentre l'escavatorista operava, ha posto in essere incontestabilmente un comportamento imprudente, ha ritenuto che non può considerarsi causa simultanea da sola, sufficiente a determinare l'evento, ma ha inciso significativamente sulla causazione dello stesso."

"Per il caso di specie basta riportare la giusta, quanto puntuale, osservazione della Corte d'Appello secondo cui al comportamento omissivo dell'imputata, come descritto, si è aggiunto quello imprudente, ma non abnorme del B.. Quindi, non è affatto contraddittoria, diversamente da come deduce la ricorrente, la parte della sentenza che riconosce il concorso di colpa della persona offesa."


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. MAISANO Giul - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1. B.S. p.c. RINUNCIANTE, N. il (OMISSIS);
2. P.M., N. il (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di BOLOGNA, in data 8.02.2007;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso udita la relazione fatta dal Consigliere D'Isa Claudio;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale nella persona del Dott. Di Popolo Angelo che chiede dichiararsi inammissibile il ricorso della parte civile e rigettarsi il ricorso dell'imputata.


Fatto


In data 8.02.2007 la Corte d'Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Ravenna in data 31.03.2005, nei confronti di P.M. limitatamente al delitto di lesioni colpose con violazione della normativa antinfortunistica ai danni di B. S., accertato in (OMISSIS), in ordine al quale è stato condannato alla pena di Euro 200,00, di multa; confermava altresì le statuizioni civili, dichiarando l'estinzione per prescrizione dei reati contravvenzionali.
In sintesi il fatto.
In data (OMISSIS), B.S., nel corso di lavori di ripavimentazione di un cortile della cui esecuzione era stato incaricato dalla proprietaria, veniva travolto dal crollo di una scala, al di sotto della quale si era venuto a trovare, nel mentre questa veniva demolita dall'escavatorista T.F., che stava appunto operando con un escavatore.
A seguito dell'infortunio la parte offesa riportava lesioni personali gravi.
La sentenza di appello ha fatto proprio l'impianto motivazionale di quella di primo grado ravvisando nella condotta dell'imputata elementi di colpa specifica in violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, comma 1, lett. a), e art. 6, comma 2, ed cit. D.Lgs. art. 3, comma 4, dichiarati estinti per prescrizione, in riferimento alla sua posizione di garanzia, quale committente e responsabile dei lavori, perchè non verificava l'adempimento degli obblighi di redazione del piano di sicurezza e di coordinamento e designava coordinatore per l'esecuzione dei lavori B.E., privo dei prescritti requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 10.
E, quindi, acquisita la prova delle omissioni indicate, i Giudici di merito hanno affermato che l'infortunio occorso al B.S. si è verificato proprio per la mancanza di un coordinamento tra gli interventi di pavimentazione del cortile e di demolizione della scala, lavori inevitabilmente e strettamente connessi tra loro, visto che la scala incombeva sul cortile.
Ricorrono in cassazione l'imputata e la parte civile.
La P. con un primo motivo denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 40 c.p., per la ritenuta sussistenza del nesso causale fra la condotta omissiva della ricorrente e l'evento lesivo de quo.
Premesso che il B.S. aveva la gestione del cantiere, e la direzione ed il governo dell'unica maestranza ivi presente al momento dell'infortunio, cioè il T., artigiano escavatorista, incaricato dallo stesso B. S., si evidenzia che nessun piano della sicurezza e nessun coordinatore per l'esecuzione avrebbe mai potuto evitare e/o impedire l'evento infortunistico, il tutto secondo un giudizio controfattuale.
Sul punto si adduce che la Corte territoriale ha espresso, erroneamente, un giudizio affermativo di sussistenza del nesso causale e, conseguentemente, di colpa, in assenza di una rigorosa e motivata verifica, rilevando che essendo stata violata la norma che assolve a funzioni di sicurezza e coordinamento tra le imprese nei cantieri, la sola violazione è stata sufficiente a determinare l'evento.
La Corte non si è posta la domanda se la caduta della scala sia frutto di un crollo accidentale o di una manovra volontaria non considerando che, operando l'escavatorista su commissione e direttive dello stesso B.S., quest'ultimo non avrebbe dovuto trovarsi sotto la scala che proprio lui aveva assunto il compito di demolire.
In questo contesto, si rileva, seppure redatto il piano della sicurezza e seppure presente il coordinatore per l'esecuzione, l'evento non avrebbe potuto impedirsi, atteso che i due artigiani non operavano l'uno all'insaputa dell'altro, bensì il primo dirigeva il secondo.
Questa funzione direttiva per il ricorrente esclude la necessità di ogni e qualsiasi obbligo di coordinazione, essendo questa assolta dallo stesso rapporto intercorrente tra le due imprese che operavano su incarico diretto della committente.
Ci si chiede se al giudicante di appello è consentito dedurre coefficienti di probabilità espressi dalla legge statistica o indirettamente ricavabili dalla norma di prevenzione, per ritenere fondata l'ipotesi accusatoria sul nesso causale o se piuttosto il Giudice debba accertarne la sussistenza nel caso concreto sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, accertando altresì l'esclusione dell'interferenza di fattori alternativi.
In fatto si rileva che la sentenza parte da presupposti erronei circa i rapporti intercorrenti tra il B.S. ed il T..
Il contesto organizzativo operante nel cantiere al momento dell'infortunio era esclusivamente riferibile al dominio ed al controllo del B. che si rapportava con il T. secondo modalità di controllo operativo che sono assimilabili a quelle intercorrenti fra un datore di lavoro ed un dipendente.
Non vi era, pertanto alcun obbligo di coordinare alcunchè e precostituire D.Lgs. n. 494 del 1996, ex art. 5, quella precisa organizzazione degli interventi che presuppone un'autonomia tecnica, giuridica ed operativa delle singole ditte e delle rispettive attività poste dalle medesime contestualmente in essere.
Con un secondo motivo si denuncia manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento il Giudice di appello afferma che B. "era titolare di una ditta di pavimentazioni, persona quindi abituata a lavorare in cantiere e si era egli stesso assunto l'impegno di chiamare l'escavatorista con il quale avrebbe condotti i lavori, ivi compresa la demolizione della scala".
Quindi era necessario accertare le cause del crollo, accidentale o volontario, della scala ciò avrebbe significato per il ricorrente accertare anche se la volontaria demolizione era inevitabilmente avvenuta nell'ambito di un'attività controllata dal B. il quale aveva il controllo di tutte le operazioni lavorative, ne conosceva la rilevanza e ne aveva anche il coordinamento con il proprio ausiliario.
Con atto depositato in cancelleria la costituita parte civile ha dichiarato di rinunciare all'impugnazione.

Diritto


I motivi esposti sono infondati, sicchè il ricorso va rigettato.
Questa Corte, chiamata ad esaminare la denunciata contraddittorietà e la carenza motivazionale, non può fare a meno di valutare la ciascuna delle diverse questioni proposte, atteso che la verifica della coerenza logica di tutto il percorso argomentativo della impugnata sentenza è emerso in maniera del tutto chiara, anche laddove ha fatto proprio le motivazioni, in fatto ed in diritto, del Giudice di primo grado.
Sul punto si osserva che, come è stato più volte affermato da questa Corte, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, sicchè è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello.
Orbene, la censura che si muove all'impugnata sentenza non riguarda la contestazione della posizione di garanzia che è stata attribuita all'imputata, con i consequenziali obblighi di osservanza della normativa antinfortunistica, nè, quindi, si contesta la colpevolezza in ordine alla violazione delle contravvenzioni indicate ai capi A) e B) della rubrica, in relazione alle quali è stata dichiarata la causa estintiva della prescrizione.
Ed è questo che rende infondati i motivi di gravame di legittimità, in quanto nel momento in cui si afferma che "..nessun piano della sicurezza e nessun coordinatore per l'esecuzione avrebbe mai potuto evitare e/o impedire l'evento infortunistico per cui è processo..." si disancora il nesso causale dal comportamento omissivo dell'imputata facendo ricadere la causazione dell'evento unicamente sul comportamento della persona offesa, dimenticando che anche essa, nonostante il suo ruolo attivo nella esecuzione dei lavori, era la destinataria delle garanzie antinfortunistiche.
Con tranquillante uniformità questa Corte ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionaiità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza.
Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.).
Sul punto la motivazione della sentenza impugnata è più che congrua nel rilevare che dall'inadempimento relativo all'omessa nomina del coordinatore per l'esecuzione dei lavori sono derivate conseguenze particolarmente gravi, strettamente legate da nesso di causalità con l'infortunio occorso al B..
Se, infatti, il piano di sicurezza fosse stato effettivamente predisposto e la nomina del coordinatore per l'esecuzione dei lavori correttamente e validamente effettuata, ne sarebbe derivata in concreto una precisa organizzazione degli interventi facenti capo alle varie ditte incaricate delle opere da eseguire ed una vigilanza sul coordinamento di tali interventi, come specificamente previsto dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5.
Ha evidenziato ancora la Corte territoriale che la connessione di tali lavori, materialmente affidati al B. ed all'escavatorista, incaricato della demolizione della scala, rende evidente la responsabilità della P. indipendentemente dall'accidentalità o dalla volontarietà del colpo di benna, quale ipotetica causa del crollo.
Quanto poi al comportamento della parte offesa, in maniera giuridicamente corretta, la Corte, pur evidenziando che essa, ben sapendo che la stabilità del manufatto da demolire era già fortemente compromessa dal taglio degli ancoraggi all'edificio, nel porsi al di sotto di essa, mentre l'escavatorista operava, ha posto in essere incontestabilmente un comportamento imprudente, ha ritenuto che non può considerarsi causa simultanea da sola, sufficiente a determinare l'evento, ma ha inciso significativamente sulla causazione dello stesso.
E' noto, invero, che, ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 1, un antecedente può essere considerato condizione necessaria dell'evento quando rientri nel novero di quegli antecedenti che, sulla base di una successione regolare, conforme, cioè, a una regola dotata di validità generalizzante (detta anche legge generale di copertura), porti ad eventi del genere di quello in verifica.
Cioè, il nesso di condizionamento sussiste tutte le volte in cui un evento derivi da un altro, il quale si ponga come una delle condizioni senza il verificarsi del quale - normalmente - l'evento derivato non sarebbe accaduto.
Pertanto, può dirsi che è causale quel comportamento (azione od omissione) dell'uomo al quale segue, secondo l'id quod plerumque accidit, il verificarsi dell'evento dannoso o pericoloso; e ciò indipendentemente dal concorrere di condizioni (fattori, circostanze) preesistenti o simultanee ovvero sopravvenute, a meno che queste ultime risultino da sè sufficienti a determinare l'evento.
Nel campo del diritto il fattore riferibile al comportamento dell'uomo è chiamato causa, essendo dato per scontato (c.d. assunzioni tacite", secondo la nomenclatura proposta da una nota dottrina) che tutti gli altri sinergici eventi, cronologicamente precedenti o coevi o successivi (se inseritisi secondo la normalità del traffico" causale), non interessano specificamente la ricerca della causa (giuridica): essi restano presupposti ed assunti nella clausola (sottintesa) coeteris paribus.
Ne segue che quando l'evento - causa sia riconducibile alla condotta umana, impregiudicata l'ulteriore analisi sulle condizioni di imputabilità soggettiva, correttamente si afferma che la causa dell'evento oggetto d'indagine ("da cui dipende l'esistenza del reato", secondo la formula codicistica) fu il comportamento (azione od omissione) dell'uomo.
Il rapporto di causalità tra condotta ed evento costituisce una delle componenti oggettive della fattispecie penale e, per questo, il relativo accertamento deve seguire secondo criteri obbiettivi (preesistenti al giudizio), estraibili dall'osservazione empirica e forniti dei requisiti della generalità (generalizzazione) e della ripetitività con elevato grado di conferma, sicchè sia assicurato un buon grado di obiettività nell'accertamento dell'elemento oggettivo della fattispecie di reato (cfr.: Sez. 4^, 6 dicembre 1990, Sonetti; Sez. 4^, 27 maggio 1993, Rech).
Per il caso di specie basta riportare la giusta, quanto puntuale, osservazione della Corte d'Appello secondo cui al comportamento omissivo dell'imputata, come descritto, si è aggiunto quello imprudente, ma non abnorme del B..
Quindi, non è affatto contraddittoria, diversamente da come deduce la ricorrente, la parte della sentenza che riconosce il concorso di colpa della persona offesa.
La circostanza che l'operazione di demolizione della scala si svolgeva sotto l'unico governo della parte offesa non assume rilevanza significativa ai fini dell'esclusione del nesso causale; anzi, proprio la mancanza di organizzazione dei lavori, secondo un piano ben preciso, volto a garantire la sicurezza di tutti i lavoratori, ha consentito che quella attività, che per altro richiedeva cognizioni tecniche relative alla stabilità, fosse svolta con molta leggerezza da solo due persone senza una preventiva programmazione.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Va dichiarata l'inammissibilità del ricorso della parte civile stante la sua rinuncia all'impugnazione.
A mente dell'art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità, dovrebbe conseguire l'onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Tuttavia, la giurisprudenza ha in altre simili occasioni ritenuto che tale disposizione si adatta all'ipotesi in cui il ricorso risulti inammissibile perchè manifestamente infondato, o proposto fuori termine, o mediante difensore non abilitato al patrocinio in Cassazione; diversamente, quando l'inammissibilità deriva dalla rinuncia al ricorso collegata alla circostanza che il ricorrente ha ottenuto in altra sede la pronuncia favorevole che si attendeva dalla stessa Corte (sent. n. 324 del 24.10.2000, rv. 216449, Zamparmi), oppure è venuto meno l'interesse ad impugnare, per vicende sopravvenute indipendenti dalla volontà del ricorrente medesimo, appare iniquo ed irragionevole condannare la parte stessa alle spese ed alla penalità aggiuntiva del pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso della parte civile.br /> Così deciso in Roma, nella Udienza, il 13 novembre 2008.
Depositato in cancelleria il 16 gennaio 2009