REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI RAVENNA - SEZIONE PENALE
GIUDICE MONOCRATICO DI I GRADO
Il Giudice dott. Piero Messini D'Agostini ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A

nei confronti di:


L.M., nato il *** a Bologna, ivi residente, in via ***

- PRESENTE -

difensori di fiducia: avv.ti Riccardo Sabadini e Isotta Farina del Foro di Ravenna.

F.L*., nato il *** a Ravenna, ivi residente, in ***

- PRESENTE -

difensori di fiducia: avv.ti Giuseppe Savini e Domenico Benelli del Foro di Ravenna.

R.D., nato il *** a Milano, residente, elettivamente domiciliato in Novafeltria presso lo studio dell'avv. Giuseppe Bartolini

- ASSENTE -

difensore di fiducia: avv. Giuseppe Bartolini del Foro di Pesaro.

IMPUTATI

a) per il reato p. e p. dall'art. 40 cpv e art. 589 C.P. perché, rispettivamente con le qualità di seguito indicate:
1. L.M. in qualità di direttore dello stabilimento "F.Spa" con sede in Alfonsine (RA) via ***, datore di lavoro-committente dei lavori di manutenzione degli impianti elettrici di stabilimento;
2. L*.F.. in qualità di titolare della ditta individuale "F.L*." con sede in Ravenna ***, appaltatore- sub committente dei lavori di manutenzione degli impianti elettrici da svolgersi presso lo stabilimento della ditta "F.Spa";
3. D.R. in qualità di legale rappresentante della ditta "DD." con sede in Novafeltria (PU) ***, sub appaltatore dei lavori di cui sopra nonché datore di lavoro della vittima G.T., operaio elettricista.

Durante i lavori di manutenzione degli impianti elettrici dello stabilimento "F.Spa" sito in Alfonsine (RA) ***, per colpa, consistita genericamente in negligenza ed imperizia, nonché specificatamente nell'inosservanza delle norme cautelari in materia di sicurezza del lavoro di seguito indicate, con particolare riferimento ad un lavoro elettrico da svolgersi in alta tensione, cagionavano la morte di G.T. avvenuta per fibrillazione ventricolare indotta da folgorazione per contatto con condutture di corrente alternata ad alto voltaggio.
In particolare il giorno ***, l'operaio elettricista G.T., dipendente della ditta DD", subappaltatrice dei lavori tesi alla realizzazione e all'ampliamento della cabina elettrica n. 5 sita presso lo stabilimento della ditta "F.Spa"- si recava presso lo stabilimento con sede in Alfonsine (RA) ***, per effettuare l'inserimento di un perno in ferro risultato mancante all'interruttore MT dell'unità funzionale IMS, fornita dalla ditta "DD" ed installata dalla ditta "F.L*.". T.G., senza ricevere alcuna informazione relativamente alla tensione cui rimaneva esposta l'apparecchiatura sulla quale doveva intervenire, che ancorché in fase di allestimento era già stata collegata alle sbarre a 15 KV, rimaneva folgorato atteso il prematuro collegamento alla rete 15.000 V dell'unità funzionale IMS presso cui stava lavorando.
In Alfonsine (RA) il ***.

Condotte colpose dovute, oltre a generica imperizia e negligenza nell'organizzare le fasi lavorative, all'inosservanza di specifiche norme di legge posta a tutela dei lavoratori, in particolare:
a) Per il reato. p.e. p dall'art. 4 comma I e II, art. 89 e 90 D.Lvo 626/94 lett. a) e b) c) in relazione anche all'art. 3 lett. a), b), c),d), t) perché, L.M. in qualità di datore di lavoro committente nonché di responsabile dell'impianto elettrico, F.L*. in qualità di appaltatore e sub committente della realizzazione e ampliamento della cabina elettrica n. 5 sita presso lo stabilimento della ditta "F.Spa" e in qualità di subappaltatore e datore di lavoro della vittima, G.T. operaio con mansione di elettricista, nelle qualità sopra evidenziate in relazione alla natura dell'attività oggetto di appalto e sub appalto non effettuavano, ognuno per la parte di propria competenza, una mirata e completa analisi e valutazione del rischio elettrico connesso che tenesse conto delle procedure previste per un lavoro elettrico in alta tensione, in particolare non prevedendo una programmazione del lavoro, una segnaletica che desse atto dei lavori in corso sull'impianto, una informazione degli addetti ai lavori degli eventuali rischi elettrici dell'impianto oggetto dei lavori, non prevedevano altresì la nomina di un preposto ai lavori elettrici ed infine per i lavori di manutenzione dell'impianto di ampliamento e potenziamento elettrico della cabina n. 5, non prevedevano come primaria cautela, che il collegamento alle sbarre a 15 KV venisse realizzato come ultima operazione dell'intero lavoro.
In Alfonsine (RA) il ***.

b) Per il reato. p.e. p dall'art. 7 comma 2 lett. a) e lett. b) art. 89 e 90 D.Lvo 626/94 perché, M.L. in qualità di datore di lavoro committente nonché di responsabile dell'impianto elettrico, F.L*. in qualità di appaltatore e sub committente della realizzazione e ampliamento della cabina elettrica n. 5 sita presso lo stabilimento della ditta "F.Spa" e D.R. in qualità di subappaltatore, fornitore dell'apparecchiatura elettrica su cui occorreva intervenire, e datore di lavoro della vittima, G.T. operaio con mansione di elettricista, nelle qualità sopra evidenziate omettevano di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dal rischio elettrico, cui veniva esposto la vittima G.T. durante l'espletamento dell'attività lavorativa oggetto di appalto e di sub appalto con particolare riferimento alla realizzazione e all'ampliamento della cabina elettrica n. 5 sita presso lo stabilimento della ditta "F.Spa"- non impartendo le idonee istruzioni affinché il box elettrico cui accedeva l'operaio G.T. venisse preventivamente deenergizzato, affinché la vittima venisse adeguatamente informata che l'elemento elettrico rimaneva in tensione; omettevano inoltre, nelle qualità sopradette di fornire reciproche informazioni in ordine alle attività lavorative in corso onde evitare interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte, in particolare omettevano di comunicare reciprocamente lo stato dei lavori degli impianti elettrici del cantiere temporaneo sito presso lo stabilimento "F.Spa", non avvertivano gli altri dipendenti presenti presso il cantiere che erano in corso i lavori di manutenzione dell'interruttore dell'unità funzionale IMS (Interruttore di Manovra e Sezionatore), svolti da G.T., al fine di evitare il prematuro collegamento alla rete 15.000 V dell'unità funzionale IMS presso cui stava lavorando la vittima.
In Alfonsine (RA) il ***.

c) Per il reato. p.e. p dall'art. 337 e 389 DPR 547/55 perché, L.M. in qualità di direttore dello stabilimento "F.Spa", F.L*. in qualità di sub committente ed installatore dell'apparecchiatura di MT denominata unità funzionale IMS (Interruttore di Manovra e Sezionatore) e D.R. in qualità di subappaltatore, fornitore dell'unità funzionale, nonché datore di lavoro della vittima, omettevano di esporre nella cabina elettrica oggetto dell'infortunio, uno schema elettrico dell'impianto con chiare indicazioni relative alle connessioni, omettevano altresì di segnalare, anche tramite l'esposizione di un apposito cartello, che l'apparecchiatura sulla quale si doveva intervenire era stata collegata alle sbarre a 15 KV.
In Alfonsine (RA) il ***.

d) Per il reato p.e.p. dagli artt. 21, 22 art. 89 e 90 del D.Lgs. 626/94 perché, D.R. in qualità di legale rappresentante della ditta sub appaltatrice "DD" e datore di lavoro della vittima G.T., ometteva di assicurare al lavoratore G.T., operaio con mansione di elettricista, una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riguardo alle proprie mansioni e al tipo specifico di lavoro da svolgere il giorno dell'infortunio con riferimento all'unità funzionale IMS da considerarsi lavoro elettrico complesso.
In Alfonsine (RA) il ***.

PARTE CIVILE: M.B., nata il *** a Cesena (FC), residente a Novafeltria (RN), in via ***, rappresentata e difesa dall'avv. Bianca BARBIERI del Foro di Pesaro.

CONCLUSIONI DELLE PARTI



Il Pubblico Ministero chiede la condanna per i tre imputati: L.M. alla pena di mesi 4 di reclusione, F.L*. alla pena di 4 mesi e 15 giorni di reclusione, D.R. alla pena di 5 mesi di reclusione, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante.
Il difensore della parte civile chiede che il Giudice adito, ad esito dell'udienza odierna, voglia dichiarare la penale responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti e condannarli alle pena che riterrà di giustizia, nonché al risarcimento dei danni tutti subiti dalla costituita parte civile, che si indicano in complessivi € 700.000, di cui € 300.000 per danni patrimoniali ed € 400.000 per danni non patrimoniali, o nella diversa misura che sarà ritenuta di giustizia, con la condanna degli imputati al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva, da porsi a carico di tutti gli imputati in solido tra loro, di almeno € 200.000, oltre alla refusione delle spese e competenze di parte civile, come da nota che si deposita. I difensori dell'imputato L.M. chiedono l'assoluzione, in subordine ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2°.
I difensori dell'imputato F.L*. chiedono l'assoluzione con la formula più ampia; in via di estremo subordine, laddove si pervenisse ad una sentenza di condanna, concessione attenuanti generiche prevalenti, applicazione del minimo della pena e concessione del beneficio della sospensione; chiedono che anche ai fini civilistici si tenga conto del concorso di colpa del lavoratore.
Il difensore dell'imputato D.R. chiede l'assoluzione.

FATTO E DIRITTO


1. Lo svolgimento del dibattimento
Con decreto in data 10/6/2010, emesso ex art. 429 c.p.p., il giudice dell'udienza preliminare disponeva il rinvio giudizio di L.M., F.L*. e D.R. affinché rispondessero del reato in epigrafe trascritto.
Alla prima udienza dibattimentale dell'11/2/2011 si costituivano parti civili M.B., moglie della vittima, nonché i genitori, i fratelli e le sorelle di G.T. (costituzioni queste ultime revocate all'odierna udienza).
Le prove orali ammesse venivano assunte in primo luogo con l'esame dei testi, indicati dall'Accusa, C.B. e D.A., dipendenti della ditta DD., A.G., M.S. ed O.B., dipendenti della F.s.p.a., M. R., ufficiale di P.G. del servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro dell'Azienda U.S.L. di Ravenna.
Venivano poi sentiti i consulenti nominati dalle varie parti (l'ing. M.M. per il Pubblico Ministero, l'ing. E.G. per la parte civile, l'ing. C.A.N. per *** , il perito industriale P.C. per *** e l'ing. L.R. per ***), nonché, dopo l'esame dei tre imputati, i testi indicati dalle Difese: C.M., I.G., M.G. e G.T., dipendenti della DD, M.M., dipendente della ditta F.L. , gli ingegneri S.P. e F.V., rispettivamente direttore e responsabile dei lavori e coordinatore per la sicurezza nelle fasi di progettazione ed esecuzione, nominati dalla F..
Nel corso dell'istruzione dibattimentale le parti hanno prodotto numerosi documenti e concordato, ai sensi dell'art. 493 comma 3° c.p.p., l'acquisizione di vari atti svolti nella fase delle indagini. All'odierna udienza è stato nuovamente esaminato, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., il teste A.G..
Dichiarati utilizzabili ex art. 511 c.p.p. gli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento, si è proceduto alla discussione, con l'illustrazione e formulazione delle conclusioni sopra riportate.

2. La ricostruzione del fatto: le circostanza non controverse.
Nel corso dell'ampia, anche se concentrata, istruzione dibattimentale si è dato spazio alle richieste di tutte le parti, intese ad ottenere un quadro degli accadimenti il più possibile chiaro e completo.
In questa sede, tuttavia, pare opportuno concentrare la motivazione su alcune questioni fondamentali1 , riguardanti il solo delitto di omicidio colposo, l'unico che si ritiene sia stato specificamente contestato agli imputati2.
Alla luce delle deposizioni testimoniali assunte, dei verbali di s.i.t. acquisiti su accordo delle parti, dei numerosi documenti prodotti e degli accertamenti e pareri dei consulenti tecnici, il fatto in esame può essere agevolmente ricostruito e non è nella sostanza controverso fra le parti in ordine a molteplici circostanze, delle quali soltanto si tratterà in un primo momento.
L'infortunio del quale rimase vittima G.T., a soli 37 anni, si verificò il ***, poco dopo le ore 8.30, all'interno dello stabilimento della F. (soc. coop. p.a.), sito in Alfonsine, ***, ove erano in corso lavori di ampliamento e manutenzione generale degli impianti elettrici appaltati dalla società alla ditta individuale F.L*., in forza di un contratto sottoscritto in data 16/1/20063.
In particolare l'evento si verificò nell'ambito del cantiere di lavoro relativo alle "modifiche interne a stabilimento agro-industriale per la realizzazione di un nuovo reparto per la produzione di minestroni surgelati e di una cabina MT/BT", la cabina n. 5, all'interno della quale perse la vita G.T., dipendente della ditta individuale DD, titolare della quale era ed è R.D.
Gli adempimenti relativi alla sicurezza erano stati dalla F. affidati alla Gr. s.p.a. di Ravenna, con la nomina dell'ing. S.P. a direttore e responsabile dei lavori e dell'ing. F.V. a coordinatore per la sicurezza nelle fasi di progettazione e di esecuzione.
In relazione a dette opere si tennero tre riunioni di coordinamento della sicurezza, cui parteciparono i *** professionisti nominati dalla committente e F.L*. per la ditta appaltatrice, al termine delle quali furono redatti verbali sottoscritti dai presenti.
Dal primo verbale del 23/2/20074 risulta che, in seguito al sopralluogo eseguito il giorno precedente, il coordinatore per la sicurezza dettò varie "prescrizioni operative ed esecutive", fra le quali il divieto per "tutti i lavoratori di svolgere lavorazioni su impianti elettrici in tensione e nelle vicinanze di questi" e l'obbligo per l'impresa appaltatrice di informare per tempo, almeno 15 giorni prima, lo stesso coordinatore "dell'ingresso in cantiere di eventuali subappaltatori, siano esse imprese che lavoratori autonomi, segnalando anche il tipo di lavorazione che questi andranno ad eseguire"5.
Nel secondo verbale del 27/3/2007 si attestò che i lavori riguardanti la cabina di trasformazione erano terminati, ma che la committente aveva manifestato l'intenzione di ampliare l'impianto realizzato, con la conseguente necessità di presentare al Comune di Alfonsine ed agli enti competenti un progetto di variante D.I.A. relativo all'ampliamento richiesto. Si legge nel verbale che, in attesa dell'approvazione del progetto, "le lavorazioni sono sospese e potranno riprendere soltanto all'approvazione e quindi restituzione della D.I.A. di variante da parte dello Sportello Unico del Comune di Alfonsine (RA)".
Nell'ultimo verbale del 7/6/2007 fu confermata la sospensione dei lavori, in attesa della restituzione della D.I.A., presentata il giorno precedente. I lavori sarebbero ripresi nei giorni seguenti alla "riconsegna del progetto per approvazione, previa riunione di direzione lavori e coordinamento della sicurezza appositamente convocata e dopo la consegna del progetto esecutivo dell'ampliamento di impianto".
Prima dell'inizio delle nuove lavorazioni - si legge nella parte finale del verbale - il coordinatore della sicurezza avrebbe proceduto all'aggiornamento del PSC (piano di sicurezza e coordinamento), cui sarebbe stato allegato un nuovo programma di lavori, prontamente trasmesso alla ditta appaltatrice affinché aggiornasse il proprio POS (piano operativo di sicurezza).
In data 27/6/2007 F.L*. consegnò al direttore e responsabile dei lavori ing. P. la dichiarazione di conformità parziale per la porzione dell'impianto di trasformazione MT/BT già realizzata, con la conferma che la propria ditta avrebbe atteso una comunicazione scritta che la autorizzava "a riprendere i lavori per completare l'impianto con il terzo trasformatore", il cui progetto era "in fase di approvazione da parte degli Enti preposti".
L'ampliamento dell'impianto nella cabina n. 5 consisteva, in sostanza, nella messa in opera di un nuovo modulo che sarebbe servito ad alimentare un terzo trasformatore per aumentare la potenza in bassa tensione.
I lavori di ampliamento, con i relativi costi, furono descritti nella conferma d'ordine, anch'essa in data 27/6/2007, sottoscritta dal presidente della F. e dallo stesso F.L*.
Nella cabina vi erano quattro unità funzionali6, racchiuse in distinti box, involucri metallici7: una unità comprendente l'arrivo del cavo MT, un sezionatore di linea a monte, un interruttore di MT e le messe a terra di monte e di valle; …unità funzionali con fusibili a servizio di altrettanti trasformatori; un'ultima unità - quella interessata dall'incidente - con sezionatore di linea a monte, interruttore di MT e le messe a terra di monte e di valle, ancora in fase di allestimento.
Al di sopra di queste unità si estendeva il compartimento sbarre MT, alla tensione di 15.000 V; dalle sbarre derivavano in parallelo le tre unità funzionali IMS (Interruttore di Manovra e Sezionatore) con i trasformatori, ... sole delle quali in esercizio e la terza, come detto, oggetto dell'ampliamento deciso dalla committente.
Il 1° luglio 2007, domenica, vi fu un fermo programmato dell'intero stabilimento F., finalizzato alla manutenzione di alcune cabine elettriche.
Approfittando di questo fermo, M.M. e P.F., dipendenti della ditta F.L., con l'accordo del personale F. (ed in particolare di A.G., coordinatore del reparto elettricisti), installarono il modulo, affiancandolo agli altri, ove poi sarebbe stato collocato il terzo trasformatore, non ancora presente8.
L'operazione consisteva anche nel collegamento elettrico del modulo, nella cui parte superiore dovevano essere inserite le tre sbarre in rame (collegamento in parallelo).
Durante il lavoro, nelle prove "in bianco" (senza tensione), i ... operai verificarono che meccanicamente l'interruttore automatico non chiudeva ed avvisarono il loro collega più esperto, C.B., il quale, d'accordo con G., investì del problema G.T., che si trovava casualmente in stabilimento per un'attività che interessava un'altra ditta (la "D.").
T., infatti, era dipendente della DD, che il 18/4/2007 aveva consegnato il modulo alla F.L. , ditta della quale era fornitrice da tempo.
L'operaio visionò l'apparato e capì che il problema era costituito dalla mancanza di un perno sul retro.
Il modulo, comunque, come previsto, fu collegato alla tensione di rete e fu poi messo in sicurezza da B. e G., dopo che gli stessi avevano parlato con T., e così rimase sino al giorno dell'incidente mortale.
Il collegamento era finalizzato ad evitare una nuova interruzione di corrente, per i reparti alimentati dalla cabina n. 5, al momento della installazione del terzo trasformatore9.
Tornato in sede, G.T. riferì dell'inconveniente e le ditte F.L. e DD si accordarono nel senso che, una volta arrivato il pezzo mancante, si sarebbe stabilito il giorno per l'operazione di installazione del perno, che sarebbe stata effettuata dallo stesso T..
L'intervento di riparazione consisteva, in sostanza, nel posizionare il perno, mancante nei collegamenti dei leverismi, previa estrazione dal box dell'intero corpo dell'interruttore MT. Una volta giunto il pezzo, il lavoratore provò in officina, ovviamente in carenza di tensione10, l'operazione di inserimento del perno nell'interruttore, che avrebbe dovuto effettuare nella cabina n. 5 dello stabilimento F..
Il 3/9/2007, C.B. ed I.G., dipendente della DD addetto al servizio commerciale, concordarono che T. si sarebbe recato all'indomani ad Alfonsine per eseguire il lavoro.
Il ***, poco dopo le ore 8, si verificò un abbassamento di tensione sulla linea AT dell'ENEL che fece scattare vari interruttori degli impianti, per ripristinare i quali si distribuirono nello stabilimento A.G., M.S. ed O.B., dipendenti della F., e D.A., elettricista della ditta F.L..
Intorno alle ore 8.25 A. ricevette sul cellulare una telefonata da parte di T., giunto in stabilimento per il lavoro; lo raggiunse in bicicletta presso la cabina n. 5; gli aprì con le chiavi la porta di accesso alla cabina e lo lasciò solo. Alle ore 8.45 venne a mancare completamente la tensione in tutto lo stabilimento e si accertò che vi era un guasto a terra nell'impianto F.11; pochi minuti dopo il black out, A., B. e S., successivamente raggiunti da G., entrarono nella cabina n. 5 e videro T. immobile, inginocchiato, con il busto all'interno del box MT ove stava operando. T. non rispose ai richiami degli operai, che avvertirono subito il "118"; i sanitari, estratto il corpo dalla unità funzionale, praticarono vanamente alcuni tentativi di rianimazione del lavoratore, il cui decesso fu constatato alle ore 9.1012.
La morte del lavoratore avvenne per folgorazione13 e, tecnicamente, a causa di elettrolocuzione, vale a dire del passaggio della corrente elettrica attraverso il corpo umano, quando almeno … parti di esso vengono a contatto con una differenza di potenziale (tensione di contatto).
Nel caso specifico vi fu un contatto diretto di G.T. con parti attive dei circuiti elettrici ordinariamente alla tensione di 15.000 V: ciò avvenne dopo che il lavoratore si era introdotto con il busto e gli arti superiori all'interno del box metallico che conteneva la terza unità funzionale, oggetto del previsto ampliamento, al fine di effettuare, mediante attrezzi, le sconnessioni necessarie per estrarre dal box l'interruttore di manovra asportabile, sul quale doveva intervenire installando il perno mancante.
Le circostanze sino ad ora sommariamente riportate e le valutazioni di natura tecnica, nei limiti indicati, possono dirsi pacifiche e non controverse in quanto, le prime, risultanti per tabulas o coerentemente riferite dai testimoni a conoscenza dei fatti, le seconde perché oggetto di una sostanziale convergenza fra tutti i consulenti nominati dalle parti14.

3. Le spiegazioni dell'evento: ipotesi.
Vi è stato, invece, un profondo contrasto fra gli esperti in ordine alla causa immediatamente "a monte" dell'evento, vale a dire all'"analisi critica delle sequenze incidentali possibili", come è stata definita dall'ing. M., consulente del Pubblico Ministero15.
Il contrasto è rimasto irrisolto anche ad esito dell'approfondito esame dei consulenti e di un confronto fra gli stessi16, avendo la divergenza - fra Accusa pubblica e privata da una parte e Difese dall'altra - riguardato già la decisione adottata dalla F.L. e dalla DD di operare, in data 1/7/200717, il collegamento alle sbarre a 15.000 V della unità funzionale IMS in allestimento, definito prematuro dall'ing. M., così come nella stessa imputazione, laddove è stato contestato questo specifico profilo di colpa.
Anche sulla definizione del tipo di intervento affidato a G.T. il giorno dell'infortunio - lavoro elettrico complesso o meno - vi è stata diversità di opinioni fra le parti.
Questi ... aspetti, per quanto non possano dirsi irrilevanti, non risulteranno decisivi - ritiene il giudicante - ai fini dell'accertamento delle responsabilità, cosicché di essi si tratterà oltre, peraltro solo marginalmente, dovendosi sin d'ora evidenziare, però, un tema centrale della linea difensiva degli imputati, fondata sulle deduzioni dei consulenti, avvalorata anche dalle deposizioni dei testi delle tre imprese interessate, che sul punto sono state monocordi: il lavoro demandato a T. poteva essere svolto senza pericolo, in condizioni di sicurezza, anche con l'impianto elettrico in tensione, perché riguardava un problema meccanico e non elettrico, nella zona sottostante, ben separata dalla sezione superiore, a monte.
Considerato che i consulenti degli imputati si sono misurati innanzitutto con le sequenze incidentali ipotizzate dall'ing. M.M., contestandone la verosimiglianza18, è da queste che si può prendere le mosse.
Secondo una prima ipotesi, formulata dal consulente del Pubblico Ministero, G.T. avrebbe iniziato il lavoro quando l'impianto elettrico della cabina n. 5 non era in tensione, ritenendo che tale situazione fosse stata preordinata per consentirgli di lavorare in sicurezza.
Successivamente sarebbe tornata tensione e l'operaio fatalmente sarebbe entrato in contatto con parti attive dell'impianto.
Questa è la sequenza ritenuta più verosimile dall'ing. E.G., consulente della parte civile, sulla base di alcuni dati obiettivi19, ed è anche in qualche modo suggestiva se si ha riguardo all'abbassamento di tensione che si verificò quella mattina, poco dopo le ore 8, a seguito del quale, G., S. e B. (F.), insieme ad A. (F.L.), si recarono nei vari impianti per ripristinare gli interruttori.
Il teste G., tuttavia, è stato categorico - e convincente da un punto di vista tecnico - nell'escludere che quel velocissimo calo (di 0,6 secondi, come gli fu comunicato dall'ENEL) avesse tolto tensione alle cabine, oltre che agli impianti produttivi20.
Lo stesso ing. M., esaminando l'ipotesi in questione, ha delineato un diverso scenario: A. potrebbe aver tolto tensione alla sezione di impianto alla cabina n. 5, dopo avere lasciato T. sul posto, mentre S. o B., all'oscuro della presenza nello stabilimento dell'operaio della DD, avrebbe ridato tensione alla cabina.
Ovviamente nessuna evidenza di questa ipotesi è emersa dalle deposizioni assunte, pur essendo apparsa sospetta una divergenza fra le dichiarazioni rese da A. agli ispettori dell'U.S.L. il giorno dell'infortunio e quelle fatte nel corso dell'esame dibattimentale21.
Inoltre - secondo lo stesso consulente del Pubblico Ministero -... considerazioni rendono "poco credibile l'ipotesi"22 in esame: A. si sarebbe assunto la responsabilità in proprio di fermare l'impianto produttivo senza preavviso; la disattivazione e nuova attivazione, poi, sarebbe avvenuta da una cabina a monte (la n. 1), distante da quella n. 5, quando "per mettere fuori tensione la sezione di impianto sulla quale si stava lavorando si sarebbe potuto intervenire più direttamente e più opportunamente sull'interruttore generale di cabina n. 5, senza far ricorso ad un interruttore di manovra remoto e più difficilmente controllabile"23. Vi è, infine, un'ulteriore fondamentale circostanza: come si vedrà più nel dettaglio fra breve, trattando dell'ultima sequenza, dall'istruttoria è emerso che G.T. sapeva che il collegamento con le sbarre era stato fatto, che pertanto la sezione di impianto elettrico a monte era in tensione e che in tali condizioni egli avrebbe effettuato l'intervento.

In una seconda ipotesi, T., a conoscenza del collegamento alle sbarre, sarebbe stato costretto a forzare gli interblocchi, in quanto l'interruttore di manovra, privo di perno nei suoi leverismi, durante la prova dell'1/7/2007 era rimasto in posizione di chiuso (e quindi si sarebbe aperto in occasione ed a causa dell'incidente): ciò significa che da tale giorno la unità funzionale sarebbe rimasta aperta e pericolosamente in tensione, al pari delle sezioni terminali dei cavi in partenza verso il trasformatore (non ancora presente), quantunque fossero non protette e facilmente accessibili.
Detta ipotesi, non ritenuta la più verosimile dallo stesso ing. M., è stata radicalmente contestata dagli esperti nominati dagli imputati ... e ... , i quali hanno sostenuto la impossibilità tecnica di un'apertura dell'interruttore a causa dell'incidente. A prescindere da questo aspetto, la sequenza si scontra con le dichiarazioni rese da C.B. (DD) e da A.G. (F.), i più esperti fra gli elettricisti delle ... ditte, i quali, sentiti dagli operanti del Servizio Prevenzione e Sicurezza a soli tre giorni dal fatto, spiegarono - il primo con ampi dettagli24 - che il modulo fu messo in sicurezza, mediante l'azionamento del sezionatore a vuoto posto a monte dell'interruttore automatico ed il suo posizionamento nella posizione di "aperto" (interruttore MT fuori tensione) e con il dispositivo sezionatore di terra in posizione di "chiuso"25.
In dibattimento i ... testi hanno ribadito la circostanza26, confermata anche da M.M., uno dei ... dipendenti della F.L. che l'1/7/2007, in occasione del fermo programmato, installarono il modulo per il terzo trasformatore nella cabina n. 5 e poi chiamarono B., una volta resisi conto del problema27.
B. e G., se così non avessero fatto (ma non si vede davvero perché ... persone molto esperte avrebbero dovuto lasciare la cabina in una situazione di pericolo), si sarebbero potuti sentire in parte responsabili dell'evento, ma ciò non basta per ritenere le loro dichiarazioni inattendibili, specie laddove furono rese a tre soli giorni dal fatto, quando ben lontana era la ricostruzione della dinamica del tragico incidente.

A conferma dell'attendibilità dei ... testimoni, va ora evidenziata un'altra circostanza dagli stessi riferita e confermata in numerose altre deposizioni, sicché la stessa può dirsi processualmente dimostrata: trattasi della consapevolezza in capo a G.T. del fatto che il collegamento alle sbarre era stato eseguito e che pertanto egli avrebbe effettuato il lavoro di inserimento del perno sapendo che la sezione di impianto elettrico a monte era in tensione.
Questa circostanza non consente di ritenere la terza ipotesi come "la più credibile fra tutte", come invece affermato dall'ing. M. nella propria consulenza, redatta nella fase delle indagini28.
B., infatti, dichiarò - ancora una volta a distanza di soli tre giorni dal fatto - di avere avvisato T., dopo che questi aveva constatato il difetto dell'interruttore per la mancanza del perno, "che il modulo era stato collegato alla tensione di rete e l'intervento da programmare con la cabina in servizio".
In dibattimento l'esperto operaio specializzato ha confermato la circostanza, ricordando che T. "disse che era una operazione di normale routine dove si poteva intervenire senza pericolo, perché in effetti quella parte si trovava in una zona sezionata meccanicamente e fisicamente, come tutti gli altri quadri della media tensione"29.
Anche il coordinatore degli elettricisti della F. si è detto certo nel ricordare che T. aveva visto il collegamento già effettuato.
G. ha ricordato che fu anche chiesto al dipendente della DD "se doveva portare via il box"30 .
Il testimone M.M., già citato dipendente della F.L. , era uno dei lavoratori che assistettero al colloquio con T., il quale fu ben informato - a suo dire - che, quando avrebbe fatto l'intervento, vi sarebbe stata tensione31.
I testi I.G., impiegato commerciale della DD dal 1994, e G.T*., tecnico della stessa ditta dal 1987, che effettuò la simulazione dell'operazione con T. in officina, hanno anch'essi affermato, senza alcuna incertezza, che sin dal 1° luglio, quando in stabilimento il loro collega verificò il tipo di problema che presentava l'interruttore, egli ben sapeva che al momento del lavoro in F. avrebbe trovato la parte superiore in tensione32.

Gli stessi ... colleghi della vittima non sono stati in grado di fornire una giustificazione di quanto accaduto la mattina del *** a G.T., da loro definito, come dall'impiegata amministrativa C.M. e dall'elettricista M.G., "una persona molto meticolosa equilibrata, piuttosto pignola...molto precisa", quella "in grado di meglio valutare le situazioni"33.
Neppure il datore di lavoro della vittima, R.D., si è saputo spiegare la dinamica dell'evento34, sulla quale occorre indagare ulteriormente, anche se - come si vedrà - la ricostruzione completa e sicura dei brevi momenti che precedettero la folgorazione di T., durante il suo lavoro, non è condizione indispensabile per esprimere una valutazione sulla responsabilità degli imputati.
Anche se non si tratta di consulenti, è opportuno richiamare quanto affermato da C.B. e da A.G., gli esperti "elettricisti-capo" delle ditte DD e F., testi particolarmente qualificati, che l'1/7/2007 parlarono con T. del problema verificatosi all'interruttore, programmarono in sostanza la riparazione e lasciarono poi la cabina in sicurezza, a collegamento delle sbarre avvenuto.
B., dopo aver ribadito di avere "lasciato un quadro senza tensione", nella parte di sotto, separata, ha dichiarato che T. avrebbe dovuto avvisare se si fosse verificato un non meglio ipotizzabile inconveniente; ciò non accadde ed il teste non ha "capito perché sia successo il fatto"35 .
G. si è spinto un po' oltre, pur non spiegandosi neppure lui, da un punto di vista tecnico, la ragione per la quale T., "facendo delle operazioni, ha messo in collegamento la parte disopra con la parte di sotto". Il teste, infatti, ha ipotizzato che la vittima cercò, "per sistemare quello che doveva mettere a posto, di affrettarsi nella sua operazione, di affrettare il suo lavoro"; verosimilmente si comportò in quel modo "per accelerare"36.
I consulenti dei tre imputati, nei loro elaborati e nel corso dell'approfondito confronto svoltosi in dibattimento, hanno concluso affermando, in sostanza, che T. operò forzando gli interblocchi, i meccanismi di sicurezza.
In particolare, secondo gli ing. C.A.N. e M.P., consulenti di L.M., ciò fu fatto dal lavoratore "verosimilmente nell'intenzione di rendere più agevoli le operazioni di manutenzione, nella convinzione che il sistema elettrico non fosse in tensione o semplicemente sottovalutando (o malauguratamente ignorando, per fatale distrazione) il grave rischio a cui tale forzatura avrebbe portato, rischio cui a volte finisce con l'esporsi chi è del mestiere"37.
Anche l'ing. L.R., consulente di R.D. già nella fase delle indagini38, sostenne che "la configurazione del sinistro era ottenibile solo mediante l'effettuazione di manovre illegali di aggiramento dei blocchi".
Il perito industriale P.C., consulente di F.L*., ha ricostruito i momenti precedenti il tragico evento, sostenendo anch'egli che T. volontariamente disattivò i dispositivi di sicurezza: ciò egli avrebbe fatto "in conseguenza delle ripetute manovre di apertura e chiusura dell'interruttore", che gli fecero commettere l'"errore". Ha scritto il consulente che "purtroppo anche uomini di grande esperienza possono commettere errori"; nell'occasione accadde che il lavoratore si apprestò allo smontaggio dei cavi di uscita dell'interruttore, "molto probabilmente dimenticando il sezionatore di linea in posizione di chiuso"39.
Valutati i complessi aspetti tecnici della vicenda e valorizzate le descritte emergenze processuali, costituite in sostanza da numerose deposizioni testimoniali (con le quali contrastano -come si è visto - le ipotesi di ricostruzione del fatto prospettate dal consulente del Pubblico Ministero), ritiene il giudicante che le conclusioni degli esperti nominati dagli imputati siano quelle che fotografano con maggiore verosimiglianza le fasi precedenti l'evento40.
In ogni caso, anche diversamente opinando, l'ipotesi nella ricostruzione della causalità dell'evento formulata dalle Difese degli imputati, qualora anche fosse ritenuta meno affidabile di quelle offerte dall'Accusa pubblica e privata, non potrebbe essere certamente esclusa in termini di elevata credibilità razionale41.

4. Le gravi condotte colpose degli imputati.
Sulla scorta delle conclusioni dei propri consulenti, i difensori, nel corso della discussione, hanno nella sostanza invocato un unico principio giuridico sul quale fondare la richiesta di assoluzione: ricostruita la condotta della vittima nei termini indicati dagli esperti nominati dagli imputati, questi ultimi sarebbero esenti da responsabilità, atteso che G.T. tenne un comportamento assolutamente eccezionale, anomalo, imprevedibile.
Sarebbe dunque applicabile nella fattispecie il disposto dell'art. 41 comma 2° c.p., dovendosi ravvisare nella condotta del lavoratore deceduto una causa sopravvenuta idonea ad interrompere il nesso di causalità.
Questo è certamente un punto centrale ai fini della decisione; tuttavia, non si possono dare per scontati i passaggi precedenti, essendo evidente, in particolare, che di interruzione di nesso causale fra condotta colposa ed evento si possa parlare nel momento in cui detta condotta sia individuata: la colpa del datore di lavoro "è pur sempre (come ovvio) il presupposto dell'addebito, anche nella concorrente presenza della colpa del lavoratore infortunato"42.

Invero, in tema di reato colposo, di regola occorre43:
accertare la causa materiale dell'evento, indipendentemente dalla condotta dell'uomo che può avervi dato luogo (causalità materiale);
verificare l'interferenza dell'attività umana sulla produzione dell'evento, accertando in particolare se la condotta degli imputati abbia avuto efficienza causale sul verificarsi dell'evento (causalità della condotta), questione che - nel reato omissivo - interferisce significativamente con il problema delle posizioni di garanzia, dovendosi considerare se l'obbligo di tenere le condotte omesse incombesse sugli imputati (obbligo di garanzia);
valutare se il comportamento umano, rilevante nel determinismo dell'accaduto, sia stato posto in essere in violazione di regole cautelari, generiche o specifiche (elemento soggettivo della colpa), preordinate ad evitare proprio quell'evento o un evento "tipo" ("concretizzazione del rischio"), potendo poi l'agente prevedere che la sua condotta omissiva avrebbe avuto quella o analoghe conseguenze (prevedibilità dell'evento), provocate invece dalla violazione della regola cautelare "preordinata" (causalità della colpa);
esaminare se l'evento non si sarebbe in concreto verificato ponendo in essere la condotta colposamente omessa (il "comportamento alternativo lecito") e, quindi, se lo stesso era evitabile: trattasi del giudizio controfattuale ("contro i fatti") necessario per accertare il nesso di condizionamento (se l'intervento omesso fosse stato adottato si sarebbe evitato il prodursi dell'evento?).
Alcuni passaggi, invero, nei termini ora indicati, sono riferibili alla sola ipotesi del reato omissivo (improprio), essendo importante distinguere la causalità commissiva da quella omissiva, distinzione in astratto chiara (nella prima viene violato un divieto, nella seconda un comando), ma non sempre semplice nell'applicazione concreta, come anche di recente sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità44.
Dalla ricostruzione del fatto in termini di causalità commissiva od omissiva discendono importanti conseguenze pratiche: solo nel secondo caso, infatti, assume rilievo, ex art. 40 comma 2° c.p., la tematica dell'obbligo giuridico di impedire l'evento e, quindi, l'individuazione della posizione di garanzia. Inoltre, in termini diversi, evidentemente, va compiuto il giudizio controfattuale, rilevante ai fini dell'accertamento del nesso di causalità: nella causalità commissiva, infatti, ci si deve chiedere se, ipotizzando come non avvenuta la condotta commissiva descritta, l'evento si sarebbe ugualmente verificato, mentre nella causalità omissiva, detto giudizio va compiuto dando per avvenuta una condotta impeditiva che non c'è stata e chiedendosi se, posta in essere la medesima, l'evento sarebbe ugualmente avvenuto in termini di elevata credibilità razionale.

Nel caso di specie le condotte colpose poste in essere dagli imputati hanno avuto qualcuna carattere omissivo, qualcun'altra carattere commissivo.
Proprio di questa seconda natura è stata la colpa più macroscopica, ascrivibile a L.M. e F.L*., così fragorosamente e limpidamente entrata nelle risultanze processuali, da avere condotto - così è parso - i loro attenti e scrupolosi difensori, al pari del patrono di D., a concentrarsi sul profilo dell'interruzione del nesso causale, essendo quasi nulle le possibilità di contestare la sussistenza di un grave profilo di colpa in capo agli imputati, che ha palesemente avuto efficacia causale sull'evento mortale.
Ci si riferisce, evidentemente - come già si poteva cogliere dall'iniziale esposizione in ordine alle circostanze pacifiche, risultanti documentalmente e non contestate da alcuna parte - alle violazioni delle prescrizioni dell'ing. F.V., nominata dalla F. coordinatore della sicurezza nelle fasi della progettazione e dell'esecuzione dei lavori in questione45, dettate in accordo con la stessa società committente e con la ditta appaltatrice, chiaramente indicate nei ... verbali redatti dopo le riunioni di coordinamento della sicurezza del 27/3/2007 e del 7/6/2007, ulteriormente recepite da F.L*., pure presente a dette riunioni46, nella dichiarazione consegnata al responsabile e direttore dei lavori ing. S.P., con la quale egli confermò che la propria ditta avrebbe atteso una comunicazione scritta che la autorizzava "a riprendere i lavori per completare l'impianto con il terzo trasformatore", il cui progetto era "in fase di approvazione da parte degli Enti preposti".
Si è visto in precedenza, infatti, che i lavori nella cabina n. 5, volendo la committente procedere ad un ampliamento con la messa in opera di un nuovo modulo per alimentare un terzo trasformatore, erano stati sospesi e sarebbero potuti riprendere solo ad esito dell'approvazione da parte del Comune di Alfonsine della D.I.A., presentata dalla committente il 6/6/2007.
Non solo: prima dell'inizio delle nuove lavorazioni, quelle relative all'ampliamento, il coordinatore della sicurezza avrebbe convocato una nuova riunione ed avrebbe proceduto all'aggiornamento del piano di sicurezza e coordinamento, allegando un nuovo programma di lavori, trasmesso alla ditta appaltatrice affinché aggiornasse il proprio piano operativo di sicurezza47.
L'infortunio a G.T. avvenne, pacificamente, nel corso dell'esecuzione dei suddetti lavori di ampliamento, in quanto l'operazione demandata al lavoratore dipendente della DD, che aveva fornito il quadro alla ditta F.L. , consisteva nella installazione di un perno di un interruttore nella unità funzionale installata a servizio del terzo trasformatore, ancora mancante.
Detti lavori non erano previsti nel progetto iniziale, come chiaramente spiegato in dibattimento dal responsabile e direttore dei lavori ing. P.48, il quale ha ben precisato che "per mettere il terzo trasformatore occorreva un nuovo progetto e bisognava depositare presso gli organi competenti quelli che sono i nuovi schemi elettrici, in sostanza fare una nuova pratica autorizzativa di variante". Il teste ha altresì evidenziato che spesso, "quando si presenta una D.I.A., erroneamente si pensa che sia solo l'aspetto urbanistico, ma c'è l'aspetto dei Vigili del Fuoco, l'aspetto dell'A.S.L.", tant'è che nel caso specifico "di urbanistico non c'era niente, perché la cabina 5 era già nata per tre trasformatori in previsione di uno sviluppo futuro. Quindi la D.I.A. riguardava gli aspetti impiantistici"49.
Lo stesso concetto è stato ribadito dall'ing. F.V., la quale ha precisato che, prima dell'inizio dei lavori di ampliamento, si sarebbe dovuto redigere "un progetto che presentasse il terzo trasformatore"50.
Gli stessi ... testimoni, indicati dalla difesa ... , hanno dichiarato di essere stati del tutto all'oscuro degli interventi eseguiti l'1/7/2007 (installazione del nuovo box nella cabina n. 5 con collegamento alle sbarre; verifica del guasto meccanico all'interruttore) ed il *** (intervento di riparazione di T.) e che avrebbero dovuto essere messi al corrente di ogni intervento in quello che era un cantiere fermo, che per il responsabile dei lavori "non esisteva"51, stante la sospensione concordata con la ... e con ...52.
È del tutto pacifico, dunque, che quei lavori eseguiti nelle giornate dell'1/7/2007 e del 4/9/2007, funzionali alla futura installazione del terzo trasformatore, e quindi certamente inerenti la fase di ampliamento della cabina, furono effettuati in regime di sospensione, concordata dalla committente con le ... figure professionali dalla stessa incaricate, tenute completamente all'oscuro; tale sospensione era ben nota ed era stata "accettata" dalla ditta appaltatrice, in persona di F.L*.
L'ing. V., coordinatore della sicurezza sulla quale gravavano precise responsabilità in forza dell'incarico conferitole da F., seppe dei suddetti interventi, così come l'ing. P., solo dopo l'infortunio mortale.
La teste della difesa, particolarmente qualificata ed esperta53, ha affermato che, in regime di sospensione lavori, "l'intervento del T. non doveva essere effettuato, non doveva essere installato l'ampliamento del quadro, non doveva essere fatto niente dentro quella cabina"54.
Il lavoratore della DD, senza l'autorizzazione del coordinatore della sicurezza, non sarebbe potuto neppure entrare nella cabina55.
Oltre all'approvazione della D.I.A. ed alla redazione di un nuovo progetto per il terzo trasformatore, la ripresa dei lavori presupponeva anche una nuova riunione di coordinamento della sicurezza, con l'aggiornamento - come espressamente previsto nel verbale del 7/6/2007 - del PSC da parte dello stesso ing. V. e la redazione da parte della ditta ... del POS, che sui lavori di ampliamento non esisteva56.
Ciò che più rileva è che la testimone ha dichiarato57 che, se informata del fermo programmato del 1° luglio, seguendo un ordine logico, come se fossero prescrizioni subordinate:
non avrebbe consentito l'installazione del nuovo box all'interno della cabina;
non avrebbe in ogni caso autorizzato il collegamento alle sbarre della unità funzionale in allestimento, con la messa in tensione della parte superiore;
avrebbe preteso che il lavoro sull'impianto in quelle condizioni, "sicuramente un lavoro elettrico complesso", fosse eseguito da una persona esperta e formata, con la qualifica di PES richiesta dalla normativa;
certamente avrebbe richiesto la presenza di un secondo lavoratore.
Poco importa, a questo punto, disquisire in ordine al fatto che quello demandato a T., in quell'ambiente (con la tensione nella parte sovrastante del modulo), fosse effettivamente un lavoro elettrico complesso e, prima ancora, se fosse stato un errore effettuare quel collegamento alle sbarre, al fine di evitare un altro fermo degli impianti produttivi58: anche su questi aspetti vi è stato dissenso fra i consulenti di Accusa pubblica e privata e quelli delle Difese59.
Ciò che conta è che, in modo del tutto ragionevole, la persona sulla quale gravava la responsabilità di adottare le decisioni in tema di sicurezza, così avrebbe fatto.
Invero, sarebbe sufficiente fermarsi al primo gradino: i lavori nella cabina n. 5 erano sospesi, "non doveva essere fatto niente dentro quella cabina"; il cantiere "non esisteva".
Comunque sia, in assenza di collegamento alle sbarre e di tensione, non sarebbe ovviamente successo alcunché. Se si fosse richiesto un PES per l'esecuzione del lavoro, T. non sarebbe potuto andare.
Se fosse stato presente un secondo lavoratore, verosimilmente lo stesso avrebbe impedito al collega di commettere un errore così evidente, come sostenuto dai consulenti degli imputati. Sarebbe bastata una sola di queste condizioni - ma soprattutto la prima, la più esigibile in quanto chiarissima ed inequivocabile - per evitare il tragico evento.

Cosa successe nella realtà, invece, in spregio alle prescrizioni del coordinatore della sicurezza, concordate con la committente e ben note all'appaltatrice, lo si è nella sostanza già visto, potendosi ora limitare a richiamare od evidenziare poche altre circostanze sintomatiche della totale assenza di analisi, valutazione, pianificazione e programmazione del lavoro elettrico svolto da G.T., nell'ambito degli adempimenti previsti dalla normativa cantieri, conseguente innanzitutto alla omessa informazione della persona - l'ing. V. - nominata coordinatore nelle fasi della progettazione e della esecuzione, figura centrale in tema di sicurezza60.
A proposito dei lavori sospesi, della cabina chiusa e del cantiere che non doveva esistere, significativa è stata l'affermazione di A.G., quando ha spiegato il motivo dell'installazione, l'1/7/2007, del nuovo modulo per alimentare il terzo trasformatore: "era un cantiere aperto, quindi andava terminato in poco tempo"61.
G., così come C. B., elettricista della DD , ha candidamente riferito che lo stesso giorno, a seguito della individuazione da parte di T., presente casualmente in stabilimento, del difetto dell'interruttore, fu "lasciato a lui decidere come procedere"62, dopo che comunque era stato avvertito che la parte superiore sarebbe stata in tensione.
D.A., poi, ha dichiarato di avere accompagnato T. alla cabina n. 5 la mattina del *** e di avergli chiesto "se aveva bisogno"; ottenuta risposta negativa, se ne andò negli altri reparti. Si è visto che non si è ben capito, stante la contraddittorietà della dichiarazioni del teste, se egli fosse a conoscenza del lavoro che si apprestava a compiere la vittima; certamente nulla sapeva, né in un senso né nell'altro, del quadro in sicurezza e del collegamento alle sbarre63.
M.S. ed O.B., elettricisti della F. che quella mattina si erano recati nei reparti per ripristinare gli interruttori dopo il calo di tensione, neppure erano a conoscenza della presenza nello stabilimento di T., che poi, unitamente ad A., rinvennero esanime nella cabina n. 5, non potendo ormai più fare alcunché per salvare la vita al giovane lavoratore.
In conclusione, un quadro desolante, in presenza del quale mai così inappropriato come nella vicenda in esame sarebbe l'utilizzo del termine: "fatalità"64.

5. Le singole responsabilità.
Occorre a questo punto procedere alla individuazione dei soggetti responsabili delle descritte condotte colpose, anche se, alla luce delle circostanze di fatto in precedenza descritte, alcune conclusioni sono intuitive.
La posizione di F.L*. è la più agevole da esaminare.
Si è visto che egli partecipò alle riunioni del coordinamento di sicurezza nelle quali fu deciso di sospendere i lavori nella cabina n. 5, non dando corso ai lavori di ampliamento prima dell'approvazione della D.I.A. e degli adempimenti anche in tema di sicurezza di cui più volte si è detto.
Egli recepì formalmente la disposizione nella dichiarazione consegnata al direttore dei lavori il 27/6/2007, anch'essa già richiamata65.
Lo stesso imputato, a conferma di quanto riferito dai suoi dipendenti, ha ammesso di avere seguito passo dopo passo, venendo informato su tutto, le fasi relative alla installazione del nuovo modulo l'1/7/2007, al suo collegamento alle sbarre, al difetto riscontrato nell'interruttore da parte di T., all'intervento programmato con la DD66.
T. ha avuto un ruolo di primo piano, una parte attiva in tutto ciò che venne - e non doveva essere - fatto, a lavori sospesi67: una condotta colposa macroscopica, di natura commissiva, con una altrettanto evidente efficacia causale sull'incidente mortale.
L'imputato, nel corso dell'esame, ha mostrato una estrema superficialità, evidenziando - ovvero fingendo - di non avere capito neppure ora il senso delle prescrizioni del responsabile dei lavori e del coordinatore della sicurezza, il senso della dichiarazione che lui stesso firmò, il senso delle regole violate. Non è affatto vero - come visto - che la D.I.A. fosse "riferita a delle strutture che era roba da muratore".
Ciò nonostante - ha ammesso - lui sapeva che in assenza di D.I.A. non si poteva intervenire nella cabina (era detto nel verbale e l'aveva scritto lui nella sua dichiarazione!); "però...mettere su un box ed allacciarlo agli altri non era mica....": davvero disarmante68.
La prima più significativa regola cautelare violata (con l'esecuzione di lavori in regime di sospensione, senza avvertire responsabile dei lavori e coordinatore della sicurezza e senza la conseguente predisposizione di un piano di sicurezza) mirava evidentemente a scongiurare proprio un evento quale quello verificatosi, del tutto prevedibile ed evitabile, e che in concreto, come visto, non sarebbe accaduto, se detta regola (l'osservanza di una prescrizione dei ... massimi responsabili nominati dalla committente, chiara, messa per iscritto, concordata e comunque recepita), fosse stata rispettata.

Le medesime conclusioni finali vanno tratte per L.M., responsabile dell'impianto elettrico di Alfonsine e nel contempo datore di lavoro per la F., in forza di valida delega conferitagli dal presidente della cooperativa E.C.69, costante e principale referente dell'ing. P. e dell'ing. V. per la committenza70 e di A.G., coordinatore degli elettricisti71.
L'imputato ha dichiarato che il 1° luglio 2007 si trovava in licenza matrimoniale, ma che era ben a conoscenza del fermo programmato dello stabilimento previsto per quella domenica.
Egli non avrebbe saputo, però, che quel giorno avvenne il collegamento della nuova unità funzionale alle sbarre, del difetto riscontrato72, degli accordi successivi per la riparazione e dell'intervento di T. il giorno dell'incidente.
A.G., all'epoca e tuttora coordinatore degli elettricisti della F.73, ha dichiarato74 di non ricordare se l'Ing. ... o qualcun altro fosse stato preventivamene informato dell'arrivo del lavoratore della DD il 4/9/2007, per l'intervento sull'interruttore.
Il teste, però, ha affermato con certezza che la decisione di approfittare del fermo dell'1/7/2007 per installare il nuovo box e fare il collegamento alle sbarre fu presa con la ditta DD , dopo avere "parlato con la F".; del resto era una decisione che egli non poteva assumere da solo75.
G. non ha ricordato chi fosse stato in quella occasione il dirigente della ditta con cui parlò; considerato, però, che ... era il suo "referente principale" e che fu quest'ultimo, insieme al presidente, al direttore operativo ed allo stesso G., responsabile dell'officina elettrica, ad assumere la decisione del fermo dell'1/7/200776, pare ovvio pensare che essa fu dallo stesso teste concordata proprio con l'imputato.
M. , dunque, al pari di F. , avrebbe consentito - ed anzi programmato - un lavoro nella cabina n. 5, quando le attività erano sospese, fatto che gli era assolutamente noto, come ricordato dall'ing. V.77 ed ammesso dallo stesso imputato78: pur non essendo presente, egli fu informato degli "esiti delle riunioni' del coordinamento di sicurezza; egli ben sapeva, dunque, che i lavori di ampliamento della cabina n. 5 erano sospesi "in attesa di ricevere la D.I.A.", potendosi solo eseguire alcuni adeguamenti architettonici (demolizione di una parete e installazione di alcuni condizionatori).
Proprio questa circostanza consente di individuare un profilo di grave colpa in capo al responsabile dell'impianto, anche qualora non si ritenesse dimostrato con certezza che la decisione di installare il nuovo modulo e di collegarlo alle sbarre MT fosse stata adottata da G. insieme a ... (e non invece dallo stesso G. da solo o con altro non meglio individuato dirigente della F.).
Proprio all'odierna udienza, infatti, è emerso che a G., coordinatore degli elettricisti, responsabile dell'officina elettrica, quello che più di ogni altro aveva la responsabilità operativa in cantiere, nessuno aveva detto che era stata presentata una D.I.A. per i lavori di ampliamento della cabina79, nessuno aveva comunicato che i lavori erano stati sospesi.
È evidente che detto onere di informazione gravasse proprio su L.M., responsabile dell'impianto, in chiara posizione di garanzia, anche quale referente principale del responsabile e direttore dei lavori e del coordinatore della sicurezza da una parte e del capo degli elettricisti dall'altra, loro trait d'union.
Detta gravissima omissione ha comportato che fosse effettuato quell'intervento sulla cabina, all'oscuro dell'ing. P. e dell'ing. V., con l'installazione del box ed il collegamento alle sbarre e che venisse poi "programmato"80 l'intervento di riparazione dell'interruttore.
In sostanza: ... , con un comportamento commissivo ovvero omissivo, si è reso responsabile della medesima condotta colposa ascrivibile a ... , violando lui direttamente o consentendo che si violasse il divieto di effettuare operazioni comunque rientranti nei lavori di ampliamento della cabina, anche se solo prodromiche e funzionali all'installazione del terzo trasformatore, e ciò in assenza di qualsiasi misura di sicurezza che sarebbe stata adottata, in condizioni normali, secondo il percorso ricordato dall'ing. V., peraltro specificamente indicato nel verbale redatto ad esito dell'ultima riunione di coordinamento della sicurezza.

Considerato che detto profilo di colpa è di per sé assorbente e che comunque a L.M. e L*.F. è direttamente ascrivibile - per il secondo con l'ipotesi alternativa ora formulata - anche l'ulteriore scelta di procedere al collegamento della nuova unità alle sbarre (al solo fine di evitare in futuro un fermo degli impianti produttivi alimentati dalla cabina n. 5), ritiene altresì il giudicante81 che gli stessi imputati non siano esenti da colpa neppure nel momento in cui non si accertarono che l'operazione nella cabina n. 5 - che comunque non doveva essere fatta - fosse eseguita da una persona esperta (PES), come richiesto dalla norma CEI 11-27, riguardante i lavori su impianti elettrici. Si è visto che l'ing. V. ha definito il lavoro in esame - e tale lo avrebbe considerato, se avvertita - un lavoro elettrico complesso, che avrebbe richiesto l'intervento di un PES e la presenza di un secondo lavoratore durante l'operazione.
Tanto è sufficiente per affermare, ad esito del giudizio controfattuale, che l'evento non si sarebbe verificato anche se, violate le più importanti e logicamente precedenti prescrizioni (cantiere chiuso: nessun lavoro e comunque sbarre non collegate), si fosse seguito quanto sarebbe stato indispensabile ad avviso del massimo responsabile della sicurezza nel cantiere, all'uopo nominato dalla committente.
Non si tratta, invero, di un parere dell'ing. V., bensì di una coerente interpretazione della citata norma, applicabile "alle operazioni ed attività di lavoro sugli impianti elettrici, ad essi connesse e vicino ad essi", laddove "per lavoro elettrico si intende un intervento su impianti o apparecchi elettrici con accesso alle parti attive (sotto tensione o fuori tensione) nell'ambito del quale se non si adottano misure di sicurezza si è in presenza di rischio elettrico".
Le parti attive, dunque, possono essere fuori tensione ed anche in questo caso vanno adottate misure di sicurezza, seguendo precise procedure nella ipotesi in cui - come nella fattispecie - si tratti di lavoro elettrico complesso, in presenza di impianti a media tensione.
L'argomentazione delle difese secondo la quale si trattava di un intervento solo di tipo meccanico sarebbe stata condivisibile se T. avesse eseguito il lavoro nella sua officina, come fece in occasione della simulazione.
Ma così non fu: nel momento in cui gli imputati ed i loro consulenti e difensori, i testi G. e B. ed altri ancora hanno con insistenza evidenziato che, dopo il collegamento alle sbarre della nuova unità funzionale, la tensione (a 15.000 V) era comunque solo nella parte superiore; che non vi era pericolo ad operare nella parte inferiore; che di questo fatto il lavoratore era stato avvertito; che dopo il collegamento del 1° luglio il modulo era stato messo in sicurezza; ecco che - appare chiaro - sono già state evocate procedure e condotte inerenti proprio la sicurezza.
Altro discorso, poi, è ritenere - come pure è stato ritenuto - che procedure e condotte adottate prima dell'intervento della vittima fossero idonee; ciò di cui non pare si possa con fondamento dubitare è che comunque, per l'ambiente in cui veniva eseguito (una cabina con un impianto a MT, ove vi era tensione in una parte vicina a quella ove andava svolta l'attività da parte di T.), il lavoro durante il quale avvenne l'incidente era definibile, secondo la normativa, elettrico (complesso)82.

Ne consegue che quel tipo di lavoro non poteva essere affidato a G.T., che la qualifica di PES non aveva.
Erroneamente nell'imputazione si è definita la ditta DD subappaltatrice: è pacifico che la stessa si limitò a vendere a F.L. (anche) quel modulo e che proprio quale ditta fornitrice del box difettoso aveva assunto l'impegno di eliminare il difetto riscontrato nell'interruttore.
Il problema sta proprio qui: una ditta che aveva consegnato un box, con un problema meccanico, venne chiamata ad eseguire "a casa d'altri", in un impianto complesso, un lavoro elettrico.
A questo punto entra in scena prepotentemente la responsabilità di R.D., datore di lavoro della vittima.
L'imputato ha dichiarato83 di essere stato informato del problema riscontrato all'interruttore e del programmato intervento di T., pur avendo ignorato che lo stesso sarebbe stato eseguito dopo che il collegamento alla sbarre a 15.000 V era già stato effettuato.
La circostanza, se vera, non attenua certo la responsabilità del datore di lavoro, che non si curò di verificare l'ambiente in cui il proprio dipendente sarebbe andato ad operare, il rispetto delle procedure, le condizioni di sicurezza.
Come poteva il datore di lavoro non capire che un conto era simulare con una "prova su banco", in officina, l'installazione del perno e ben altra era fare l'operazione su un modulo ove vi era tensione a 15.000 V, sia pure in una parte separata?
Inoltre, ancora più a monte, vi è il fatto che per quel tipo di lavoro G.T. - come detto - non aveva la qualifica necessaria.
La vittima, che era anche rappresentante della sicurezza per i lavoratori, era persona "precisa, scrupolosa", tale ritenuta dal suo datore di lavoro84 e, come visto, da tutti i suoi colleghi; aveva anche effettuato alcuni interventi esterni85, ma era un elettricista cablatore, un operaio di terzo livello, laddove le operazioni di cablaggio avvengono normalmente su dispositivi senza le connessioni elettriche all'impianto e si differenziano dagli interventi su cabine elettriche a media e bassa tensione.
La norma CEI 11-27 prevede particolari requisiti, relativi soprattutto alla formazione ed all'esperienza, per l'attribuzione della qualifica di PES, che evidentemente ... non aveva, non solo perché non vi sono evidenze documentali sul punto, ma soprattutto perché è pacifico che lo stesso datore di lavoro non gli aveva attribuito detta qualifica, con la necessaria dichiarazione scritta86.
R.D., in dibattimento87, ha affermato che "la dichiarazione non c'era", ma che lui aveva stabilito che T. avesse "le caratteristiche per farlo" (il PES), una "intima convinzione" espressa dopo il fatto priva del benché minimo valore.
L'imputato, poi, non si curò neppure di verificare che fosse stata prevista la presenza di una seconda persona che affiancasse T., richiesta dalla stessa norma non solo in caso di complessità del lavoro, ma anche di grave difficoltà per un singolo operatore di chiedere aiuto se necessario. Il tecnico commerciale della DD, I.G., ha confermato che gli accordi con la F. erano in quel senso, dandolo quasi per scontato e riferendolo in modo un po' ambiguo88; fatto sta che - come visto – A. se ne andò quando T. gli disse che non aveva bisogno.
Al pur bravo, preciso e coscienzioso operaio di terzo livello della ditta fornitrice del quadro fu lasciata anche questa scelta (quella di operare da solo), dopo quella, assai più importante, di svolgere la propria operazione con la tensione nella parte sovrastante del modulo, pure separata e segregata quanto si vuole.

Sussistono, dunque, con evidenza, le condotte colpose contestate ai tre imputati, in buona parte espressione di generica negligenza, imprudenza ed imperizia.
Anche alcuni profili di colpa specifica, in fatto, sono stati correttamente contestati nell'imputazione, avuto riguardo alla omessa valutazione del rischio elettrico, al prematuro collegamento della nuova unità funzionale alle sbarre MT, alla mancata programmazione del lavoro demandato a G.T. in quel contesto, alla omessa cooperazione fra le imprese coinvolte, alla insufficiente ed inadeguata formazione della stessa vittima in relazione all'operazione da compiere.
Si è visto che, più radicalmente, il lavoro non poteva essere eseguito, essendo il cantiere chiuso e, in quelle (errate) condizioni, non poteva essere affidato ad una persona priva della qualifica di PES, peraltro neppure supportata da alcun altro lavoratore.
È del tutto pacifico che nel caso di specie fosse applicabile la normativa antinfortunistica relativa ai cantieri temporanei e mobili, introdotta dal D. L.vo. 14/8/1996 n. 494, che subì consistenti modifiche a seguito dell'approvazione del D. L.vo 19/11/1999 n. 528 e che è stata poi trasposta in termini coincidenti nel titolo IV del D. L.vo 9/4/2008 n. 81, poi modificato (ma non su aspetti che rilevano nel caso di specie) dal D. L.vo 3/8/2009 n. 106, che ha mantenuto l'impostazione del sistema prevenzionistico nella materia in questione, pur manifestando la tendenza a limitare e separare le sfere di responsabilità dei diversi soggetti.
L'omesso richiamo nell'imputazione di tale normativa, con la quale di fatto tutte le parti si sono misurate, non ha alcun rilievo, nel momento in cui, in particolare, si è a lungo trattato del "cantiere", delle figure professionali nominate dalla committenza, con l'assunzione, sul punto specifico, di ampie prove orali, l'acquisizione di prove documentali e lo stesso esame degli imputati.
In sostanza, mai si potrebbe con fondamento ipotizzare89 una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, essendo la stessa configurabile solo quando il giudice abbia proceduto ad un vero e proprio stravolgimento dell'imputazione originaria, ovvero ad una variazione dei contenuti essenziali dell'addebito, sicché l'imputato, trovatosi di fronte ad un fatto del tutto nuovo ed eterogeneo, sia stato posto nella pratica impossibilità di difendersi.
Anche di recente la Suprema Corte ha ribadito che "ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione"90.

6. La inapplicabilità dell’art. 41 comma 2° codice penale.
Occorre ora trattare dell'aspetto sul quale si sono concentrati i difensori degli imputati per sostenere l'assenza di responsabilità in capo a L.M., F.L*. e R.D. vale a dire - come si è anticipato - della asserita configurabilità nel caso di specie di una condotta della vittima talmente abnorme da spezzare il nesso di causalità fra le condotte colpose poste in essere, a vario titolo, dai tre imputati e l'evento mortale.
Detta caratteristica della condotta - secondo questa prospettazione - sarebbe stata idonea ad interrompere il nesso di condizionamento quale causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento, ai sensi dell'art. 41 comma 2° codice penale.
In generale, è del tutto pacifico che la norma invocata sia applicabile "anche nel caso di un processo non completamente avulso dall'antecedente, ma caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente autonomo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta"91.
In particolare, vi è diritto vivente proprio in ordine all'applicazione di detto principio nel settore della prevenzione degli infortuni sul lavoro, in relazione alla condotta posta in essere dal lavoratore vittima dell'incidente.
Le statuizioni dei giudici di legittimità sono costanti nel tempo e sulla loro validità ed interpretazione, nel corso della proficua discussione, non è emersa alcuna divergenza fra le parti, le quali - Accusa pubblica e privata da una parte, Difese dall'altra - si sono contrapposte, invece, quando si è trattato di dare concreta applicazione ai principi così chiaramente affermati dalla Suprema Corte, che in questa sede pare sufficiente richiamare in sintesi.
I giudici di legittimità hanno più volte statuito che, "poiché le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o opinabile"92.
Anche di recente la Suprema Corte ha ribadito che l'addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non è escluso dai comportamenti negligenti od imperiti del lavoratore che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio, giacché al datore di lavoro, che è garante anche della correttezza dell'agire del lavoratore, è imposto pure di esigere da quest'ultimo il rispetto delle regole di cautela.
L'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica.
A tale regola si fa eccezione, in coerente applicazione dei principi in tema di interruzione causale, unicamente in presenza di un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile del lavoratore, che può verificarsi solo a fronte di condotte abnormi dello stesso, come tali non suscettibili di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni.
In questa ottica si esclude che presenti le "caratteristiche di abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore, che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto. Anche quando la condotta del lavoratore sia stata contraria ad una norma di prevenzione, ciò non sarebbe sufficiente a ritenere la sua condotta connotata da abnormità, essendo l'osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore"93.

Applicando questi principi al caso di specie, va ribadito innanzitutto che G.T. non era persona sufficientemente esperta, formata ed informata per effettuare quella operazione, quel lavoro elettrico in quel contesto, la cui portata egli, evidentemente, sottovalutò, forse per eccesso di sicurezza: con gli elettricisti della F. e della ... parlò di un lavoro di "normale routine" e addirittura di una "manovra stupida", un "intervento banalissimo"94.
Senza addentrarsi nei particolari tecnici e nella sequenza delle operazioni compiute dalla vittima nella decina di minuti in cui lavorò prima di venire a contatto diretto con le parti attive del circuito elettrico, alla tensione di 15.000 V, ed essere folgorato, pare sufficiente richiamare le conclusioni dei consulenti tecnici degli stessi imputati, secondo i quali la manovra di forzatura degli interblocchi fu effettuata da G.T. a causa di un errore.
L'errore fu commesso dal giovane lavoratore forse per eccesso di sicurezza95, ovvero per dimenticanza96 od ancora perché T. fu tratto in inganno dalle ripetute manovre di apertura e chiusura dell'interruttore97.
Forse detta operazione fu effettuata con l'intenzione di "rendere più agevoli le operazioni"98 od invece perché T. voleva "mettersi nelle condizioni di lavorare più velocemente"99, di "affrettare il suo lavoro"100.
Vi sono delle incertezze, dunque, in ordine alla sicura ragione per la quale il dipendente della DD (elettricista cablatore della ditta che aveva semplicemente fornito il quadro) ad un certo punto effettuò (verosimilmente101) quella manovra di forzatura: certo è, invece, che egli commise un tragico errore, ma ciò fece svolgendo, in solitudine, il lavoro che gli era stato affidato, cercando magari di farlo nel più breve tempo possibile.
Lo fece per inesperienza, eccesso di sicurezza, disattenzione, trovandosi magari - ipotesi del tutto teorica - in un momento della vita non sereno102, ma ciò egli fece durante e per svolgere il suo lavoro, retribuito con circa 1.500 euro al mese.
Nessuna esorbitanza rispetto alle sue mansioni, nessuna abnormità nella sua condotta: G.T. è morto perché, a monte, vi erano state le gravi e plurime condotte colpose ascrivibili agli imputati, in assenza delle quali - anche solo di una di esse - l'evento non si sarebbe verificato.
Sugli imputati, datori di lavoro e titolari di un preciso obbligo di garanzia, gravava l'onere di adottare le idonee misure di prevenzione (e di rispettare le prescrizioni dettate dal coordinatore in materia di sicurezza), la cui funzione non è "solo quella di evitare condizioni e modalità produttive pericolose per la salute del lavoratore ma anche quella di evitare le conseguenze degli errori commessi dai lavoratori e dovuti alle più svariate ragioni (inesperienza, negligenza, eccessiva sicurezza, disattenzione ecc)".
Ne consegue che anche ai fini civilistici, per ciò che concerne, dunque, il profilo risarcitorio, "il concorso di colpa del lavoratore non è ipotizzabile in ogni caso in cui egli abbia tenuto, nell'esecuzione dei suoi compiti assegnatigli, una condotta colposa che abbia avuto efficienza causale sull'evento dannoso"103.

7. Il trattamento sanzionatorio e le statuizioni civili.
Va affermata, dunque, la responsabilità di L.M., F.L*. e di R.D. per il reato di omicidio colposo loro ascritto, aggravato in quanto il fatto è stato commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
A tutti gli imputati possono essere concesse le attenuanti generiche, soprattutto in virtù della loro completa incensuratezza104.
Ad esito della comparazione fra le suddette attenuanti e l'aggravante prevista dall'art. 589 comma 2° c.p., viene espresso un giudizio di equivalenza, posto che la finalità del giudizio previsto dall'art. 69 c.p. è quella di apprezzare la personalità del colpevole e la vera entità del fatto, onde conseguire l'adeguatezza della pena al caso concreto105.
Considerata la gravità del reato, desunta dagli elementi di cui all'art. 133 c.p., valutati altresì gli aspetti soggettivi richiamati nella stessa norma, ritiene il giudicante che la pena non possa essere contenuta nel minimo edittale previsto dalla fattispecie base dell'art. 589 c.p. (sei mesi di reclusione).
Infatti, quanto alla gravità del reato, oltre alla massima entità del danno, in re ipsa, va evidenziato l'elevato grado della colpa, manifestatosi - come si è visto - sotto molteplici profili.
In ordine all'aspetto soggettivo, la condotta successiva al reato posta in essere dagli imputati non è stata certamente sintomatica - come si è visto - di resipiscenza e comprensione delle proprie colpe, fossero state o meno determinanti dell'evento.
La pena, comunque, viene contenuta in dieci mesi di reclusione per ciascuno degli imputati106, ai quali può essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, unitamente a quello della non menzione, stante il favorevole giudizio prognostico.
Gli imputati vanno condannati in solido al risarcimento dei danni patiti dall'unica parte civile rimasta nel processo, la giovane moglie con la quale G.T. viveva, che verosimilmente provvedeva al sostentamento suo e del figlio.
La circostanza è stata dedotta da M.B. già nell'atto di costituzione, ma sul punto non è stata acquisita alcuna evidenza processuale, cosicché per la liquidazione del danno complessivo occorre necessariamente rimettere le parti davanti al giudice civile.
Solo alla fine le parti hanno illustrato al giudice che, pacificamente, la costituzione della moglie è avvenuta e la richiesta risarcitoria è stata formulata dalla stessa in proprio, quale "vedova di T.G."107 e non anche a nome e per conto del figlio minore S..
In questa sede, dunque, secondo il disposto dell'art. 539 comma 2° c.p.p., può essere assegnata una provvisionale, immediatamente esecutiva ex lege, nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova.
La provvisionale può essere assegnata in quanto é stata richiesta dalla parte civile, sia pure erroneamente in unione con la richiesta di liquidazione dell'intero danno in questa sede: infatti, dal sistema delineato dagli artt. 538-540 c.p.p. si evince chiaramente che o l'intero danno, in presenza di prove complete sul punto, viene liquidato in sede penale (e a richiesta, sussistendo giustificati motivi, la condanna può essere dichiarata provvisoriamente esecutiva) ovvero, se la liquidazione viene rimessa al giudice civile e si pronuncia condanna generica, può essere assegnata, sempre su richiesta della parte civile, una provvisionale, immediatamente esecutiva, nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova.
Ritiene il giudicante, considerato il rapporto di coniugio che legava da oltre sei anni G.T. e M.B., valutati i criteri di liquidazione adottati dai maggiori Tribunali italiani108, che il solo danno non patrimoniale patito dalla moglie (in tale sua esclusiva veste), non sia stato inferiore alla somma di 200.000 euro richiesta dalla difesa della stessa parte civile.

P.Q.M.

Visti gli 533 e 535 c.p.p.,
dichiara L.M. , F.L*. e R.D. colpevoli del reato di omicidio colposo loro ascritto e per l'effetto, concesse a tutti le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla contestata aggravante, li condanna alla pena di dieci mesi di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali.
Visti gli artt. 163 e 175 c.p.,
concede a tutti gli imputati i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.
Visti gli artt. 538 e ss. c.p.p.,
condanna L.M. , F.L*. e R.D. in solido al risarcimento del danno patito da M.B., in proprio e quale genitore esercente la potestà sul figlio minore S., e rimette all'uopo le parti davanti al giudice civile. Condanna gli stessi imputati al pagamento in favore di M.B. di una provvisionale, immediatamente esecutiva ex lege, che liquida in 200.000 euro (alla moglie della vittima in proprio), nonché al pagamento delle spese processuali in favore della stessa parte civile, liquidate in complessivi € 10.000, oltre Cassa e IVA come per legge.
Visto l'art. 544 comma 3° c.p.p.,
indica il termine di giorni 60 per il deposito della motivazione.

Ravenna, 28 giugno 2011.

Il giudice
(dott. Piero Messini D'Agostini)

 


INDICE DELLA PARTE MOTIVA

1. Lo svolgimento del dibattimento.
2. La ricostruzione del fatto: le circostanze non controverse.
3. Le spiegazioni dell'evento: ipotesi.
4. Le gravi condotte colpose degli imputati.
5. Le singole responsabilità.
6. La inapplicabilità dell'art. 41 comma 2° codice penale.
7. Il trattamento sanzionatorio e le statuizioni civili.


1 anche per rispettare il disposto dell’art. 546 comma 1° lett. e) c.p.p. (secondo il quale la sentenza deve contenere una "concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata"), con uno sguardo nel contempo rivolto al verosimile giudizio di appello.
2 a seguito dell’ambigua formulazione del capo d’imputazione, che non consentiva di cogliere se le violazioni previste dalla normativa antinfortunistica fossero state contestate anche come autonomi reati, il Pubblico Ministero, all’udienza del 4/5/2011, si era riservato di precisare la circostanza, non essendo in grado di documentare se per le contravvenzioni si fosse proceduto separatamente ovvero se le stesse, almeno in parte, fossero state estinte (v. pg. 10 e 134 delle trascrizioni). La riserva non è mai stata sciolta, ma il P.M. ha concluso solo in ordine al delitto.
Occorre prendere atto altresì che, né con la richiesta di rinvio a giudizio né in udienza preliminare né nel corso del dibattimento, il Pubblico Ministero ha provveduto a richiamare anche le norme del D. L.vo 9/4/2008 n. 81, in ipotesi violate, che hanno sostituito quelle in vigore all’epoca dell’infortunio, omissione questa che non inficia, ovviamente, la validità delle contestazioni, in fatto, anche dei profili di colpa specifica.
3 allegato alla consulenza dell’ing. M..
4 prodotto (anche) dalla difesa ... all’udienza del 9/6/2011, unitamente agli altri ... verbali ed alla dichiarazione di L*.F. in data 27/6/2007, di cui si dirà fra breve.
5 punti 6) e 7) del verbale.
6 intendendosi per unità funzionale "l’insieme dei componenti dei circuiti principali e ausiliari di un quadro MT che concorrono ad espletare una specifica funzione" (così la consulenza dell’ing. M., pg. 21).
7 le fotografie scattate dai Carabinieri del N.O.R. di Ravenna la mattina dell’incidente (v. fascicolo prodotto dal P.M. all’udienza del 10/2/2011) e soprattutto quelle allegate ad alcune consulenze agevolano la comprensione dei luoghi e delle cose di cui si tratta.
8 il terzo trasformatore sarebbe stato installato solo nel febbraio 2008, come riferito dall’ing. V. (pg. 9 trascrizioni dell’odierna udienza).
9 "scollegarlo comportava di dover mettere fuori servizio tutto lo stabilimento, almeno quella parte che la cabina fornisce l’energia ai vari reparti, quindi in casa nostra vuol dire praticamente tutto lo stabilimento….se fosse stato scollegato dopo, nel ricollegamento, serviva a fermare tutto l’impianto, tutto il reparto. È stato lasciato collegato perché era già collegato, quindi era una cosa abbastanza complicata scollegarlo e via discorrendo": così il teste G. (pg. 39 e 44 trascrizioni udienza 11/2/2011), con italiano non impeccabile nella forma, ma chiaro nella sostanza.
10 "è una prova su banco. La prova era solo sull’interruttore e la fattibilità dell’inserimento del perno" (così il teste I.G., pg. 74 trascrizioni udienza 9/6/2011).
11 causato, come poco dopo si apprese, dalla folgorazione di T..
12 come risulta dal relativo verbale.
13 nella consulenza del prof. Z., inserita fra gli atti originariamente presenti nel fascicolo del dibattimento, si legge che "le lesioni rilevate sul corpo di T. non lasciano dubbio alcuno circa la conclusione che la morte si sia verificata per folgorazione, in conseguenza di uno o più contatti del corpo con conduttori di elettricità ad alto voltaggio. Le lesioni…avevano tutte le ben note caratteristiche macroscopiche ed istologiche delle ustioni elettriche, ossia di lesioni da elettrolocuzione per contatto del corpo con conduttori ad elevata tensione".
14 per tale ragione si è omesso, per ora, di fare riferimento ai punti delle numerose deposizioni (ovvero dei verbali delle s.i.t. rese dai dipendenti delle ditte ... e ... , acquisiti su accordo delle parti all’udienza dell’11/2/2011) ed ai vari elaborati degli esperti.
15 pg. 51-6 dell’elaborato.
16 v. trascrizioni udienza 4/5/2011 (pg. 13-134).
17 per il motivo di cui si è detto: evitare un nuovo fermo, sia pure parziale, riferito ai reparti alimentati dalla cabina n. 5, in occasione dell’installazione del terzo trasformatore.
18 per una puntuale disamina critica si vedano, in particolare, gli elaborati scritti redatti dai consulenti degli imputati ... (pg. 10-13) e ... (pg. 19-22), prodotti all’udienza del 4/5/2011.
19 ha scritto la consulente che "per scollegare l’interruttore HD4 il sig. T. si è trovato a dover operare all’interno del box con spazi estremamente ristretti e per portare a termine l’operazione doveva agire su parti attive. Riuscì a scollegare il primo cavo e porre saldamente le chiavi Beta sui bulloni che fissavano il secondo cavo e così sono rimaste nonostante l’incidente e l’accasciamento della vittima all’interno del box. Pertanto è presumibile che l’impianto in questa fase non fosse in tensione ma che sia andato in tensione successivamente". L’opinione è stata ribadita in dibattimento (pg. 41-43 trascrizioni udienza 4/5/2011).
20 il teste è stato interrogato ... volte su questo aspetto (v. pg. 40 trascrizioni 11/2/2011 e pg. 41-44 trascrizioni dell’odierna udienza).
21 il dipendente della F.L. dichiarò all’epoca che T. gli disse "che doveva cambiare un perno difettoso all’interno dell’interruttore BOX3", mentre in dibattimento ha affermato che ignorava il tipo di lavoro che si apprestava a fare il dipendente della DD ("No, non lo sapevo", pg. 27 trascrizioni 11/2/2011): la difformità, però, emersa nel corso dell’esame del Pubblico Ministero, non è stata contestata al teste.
22 v. pg. 53-4 dell’elaborato.
23 ibidem.
24 "ciò è stato realizzato togliendo la doppia chiave dalla serratura dell’interruttore automatico, inserendole poi nella serratura del sezionatore di linea, quindi ho aperto il sezionatore di linea ed ho chiuso il sezionatore di terra. Il sezionatore di terra non si chiude se il sezionatore di linea è inserito, per azione di un interblocco. È stato chiuso il portello del modulo e l’interruttore automatico aveva la carcassa in lamiera che lo racchiude inserita. Dopo quel giorno, da parte della ditta DD, non è stato fatto nessun intervento sul modulo e nemmeno negli impianti che il modulo doveva asservire" (così nelle dichiarazioni del 7/9/2007, inserite fra gli atti acquisiti con l’accordo delle parti all’udienza dell’11/2/2011).
25 più in sintesi: sezionatore di linea aperto e sezionatore di terra chiuso.
26 pg. 10-11 (B.) e 42 (G.) trascrizioni 10/2/2011.
27 "il box sarebbe stato in sicurezza" (pg. 117 trascrizioni 9/6/2011).
28 ed anzi detta ipotesi va nella sostanza scartata.
29 pg. 7 trascrizioni udienza 10/2/2011.
30 pg. 41 stesse trascrizioni: "…di questo sono sicuro, lo garantisco perché eravamo lì, eravamo lì in tre o quattro: io, alcuni colleghi".
31 pg. 117 trascrizioni 9/6/2011.
32 pg. 73-5 (G.) e 90-1 (T.) stesse trascrizioni.
33 pg. 68, 70-1, 84, 88 stesse trascrizioni.
34 "ho pensato e ripensato e per me non c’è una spiegazione. Non riesco a trovare una spiegazione a quello che è successo, perché lui aveva l’esperienza, ma non solo, anche la pignoleria perché questa cosa non potesse succedere. Eppure è successa" (pg. 64 dell’esame, trascrizioni 9/6/2011).
35 pg. 22 trascrizioni 10/2/2011.
36 pg. 40-2 stesse trascrizioni.
37 così la consulenza – pg. 23 – prodotta all’udienza del 4/5/2011.
38 cfr. la memoria 21/12/2007, allegata alla consulenza dell’ing. M..
39 cfr. l’elaborato del p.i. C. (pg, 24), prodotto anch’esso all’udienza del 4/5/2011, che così prosegue nell’ipotizzare le successive sequenze: "L’interruttore di manovra è in posizione di aperto, pertanto lo smontaggio del primo cavo riesce senza inconvenienti in quanto il morsetto di valle, in considerazione del fatto che l’interruttore è aperto, risulta fuori tensione. L’incidente mortale accade perché il sig. T., mentre smonta il 2° cavo di valle dall’interruttore, urta con la spalla sinistra il morsetto di monte determinando il contatto diretto verso terra attraverso il proprio corpo e la successiva morte pressoché istantanea per effetto dell’elettrolocuzione aggravata dalla postura della situazione".
40 la conclusione così "secca" è il frutto delle valutazioni in precedenza espresse in ordine ai forti dubbi che suscitano tutte le ipotesi formulate dall’ing. M.. La sintesi è comunque consentita in quanto si vedrà che, pur ricostruendo l’accaduto nei termini più favorevoli agli imputati, non per questo gli stessi saranno ritenuti esenti da responsabilità.
41 la tematica, evidentemente, è quella dell’accertamento del nesso di condizionamento e delle spiegazioni causali alternative, sulla quale una pagina decisiva è stata scritta dalle Sezioni Unite nella ben nota sentenza "Franzese", con un orientamento diventato diritto vivente (ex plurimis cfr. Cass. 17/9/2002, Marinari; Cass. 3/10/2002, Abissini; Cass. 21/1/2003, Da Paula; Cass. 28/5/2003, Palladino; Cass. 5/7/2004, Verde; Cass. 16/9/2004, D’Amico e altro; Cass. 25/11/2004, Nobili; Cass. 25/5/2005, Lucarelli; Cass. 8/6/2005, Migliori e altri; Cass. 15/12/2005, Mastropasqua; Cass. 9/2/2006, Vescio; Cass. 19/4/2006, Rinzivillo; Cass. 6/6/2006 Giacomini; Cass. 14/12/2006, Guarneri; Cass. 11/4/2007, Morami; Cass. 3/10/2007, Zubiena; Cass. 6/11/2007, Brignoli; Cass. 11/12/2007, Panico; Cass. 13/2/2008, Maggini, RV 239809; Cass. 26/3/2008, Franchi, RV 239542; Cass. 11/4/2008, Mascarin e altri, RV 240517; Cass. 22/5/2008, Ottonello e altro, RV 240859; Cass. 22/12/2009, Manera, RV 246531; da ultimo v. Cass. 11/2/2010, Truzzi e altro, RV 246423, nonché Cass. 10/6/2010, Quaglieri e altri).
42 così Cass. 21/10/2008, Petrillo.
43 sostanzialmente questi i passaggi evocati anche da ultimo (Cass. 16/2/2011 n. 13775) dalla Suprema Corte.
44 "è necessario evitare la confusione tra il reato omissivo e le componenti omissive della colpa: i casi dell’agente che pone in essere una condotta attiva colposa omettendo di adottare quella diligente (per es. il medico che adotta una terapia errata e quindi omette di somministrare quella corretta o che dimette anticipatamente il paziente e quindi omette di continuare a curarlo in ambito ospedaliero) non rientrano nella causalità omissiva ma in quella attiva": così Cass. 29/4/2009, Cipiccia e altri, RV 243931. In tema cfr. anche, ad es., Cass. 18/9/2008, Spoldi, RV 241475, e Cass. 23/9/2009, Tonti, RV 245459.
45 avendo la stessa cumulato le funzioni previste dall’art. 2 del d. l.vo n. 494/1996 (trasfuso poi nell’art. 89 del d. l.vo n. 81/2008): si tratta, per l’esattezza, delle figure del coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera (denominato coordinatore per la progettazione) e del coordinatore in materia di sicurezza e salute durante la realizzazione dell'opera (denominato coordinatore per l'esecuzione dei lavori).
46 come risulta dai verbali dallo stesso sottoscritti e dalle sue esplicite ammissioni in dibattimento (pg. 29 trascrizioni 9/6/2011).
47 nella conferma d’ordine del 27/6/2007, sottoscritta dalla F.L. e dalla F. (allegata alla consulenza dell’ing. M.), vi era una mera descrizione dei lavori, con i relativi costi, ma nessuna prescrizione – come era normale che fosse, visto il tipo di documento – in tema di sicurezza.
48 "il progetto nacque con ... trasformatori….poi la cabina, dal punto di vista opere civili, fu predisposta per un eventuale e futuro ampliamento. Strada facendo, ... si accorse che erano già maturati i tempi per installare l’eventuale terzo trasformatore" (pg. 103-4 trascrizioni 9/6/2011).
49 ha poi ribadito il teste: "quando si fa un progetto di costruzione si deposita un progetto elettrico. Nel momento in cui c’è il terzo trasformatore è evidente che il progetto elettrico cambia e questo va depositato agli organi competenti" (pg. 115 stesse trascrizioni).
50 pg. 19 trascrizioni odierna udienza. Ha precisato altresì la teste, confermando quanto già riferito dall’ing. P., che non si trattava di una "mera pratica edilizia" e che nella D.I.A. si fece "riferimento al progetto precedente per accelerare i tempi dell’approvazione. Però si sarebbe dovuto presentare quello di massima aggiornato per poi eseguire i lavori" (pg. 17).
51 pg. 104, 113-4 trascrizioni 9/6/2011.
52 "la decisione era condivisa, quindi prima di accordarci per la sospensione comunque avevamo già preso accordi con il nostro committente" (pg. 8-9 trascrizioni dell’odierna udienza).
53 laureata in ingegneria chimica, con specializzazione in biotecnologie, la teste ha conseguito varie abilitazioni professionali, fra le quali, nel 2003, quella di coordinatore della sicurezza.
54 pg. 11 trascrizioni odierna udienza. Ed ancora: "non si poteva fare niente, no" (pg. 24); nella cabina "non doveva esserci nessuno" (pg. 30).
55 "dentro il cantiere lui non doveva operare perché io non l’avevo autorizzato. Se il quadro si trovava in un altro posto, era scollegato e si limitava…ad un pezzo di ferro…probabilmente lui dentro F., in un ambiente che non era quello, forse in base alle regole di ... poteva andare" (pg. 15 stesse trascrizioni).
56 v. pg. 12 e 22 delle trascrizioni: la teste ha precisato che il POS della ditta appaltatrice riguardava solo i precedenti lavori.
57 pg. 24-7 stesse trascrizioni.
58 di cui l’imputato ... ha cercato di ridimensionare la portata (v. pg. 16 trascrizioni 9/6/2011), scontrandosi però con quanto riferito da G., "suo" coordinatore degli elettricisti ("scollegarlo comportava di dover mettere fuori servizio tutto lo stabilimento, almeno quella parte che la cabina fornisce l’energia ai vari reparti, quindi in casa nostra vuol dire praticamente tutto lo stabilimento F.": pg. 39 trascrizioni udienza 11/2/2011).
59 e su questi punti assai più convincenti ed ancorate alle normative vigenti sono state le conclusioni dei primi, come si vedrà brevemente oltre.
60 anche da ultimo (Cass. 21/4/2010, Cellie e altro), la Suprema Corte ha ricordato che il decreto n. 494/1996 "coglie ... momenti afferenti alle opere di cui si discute: quello progettuale e quello esecutivo. Ciascuno di tali ambiti implica conoscenze tecniche elevate. È quindi naturale che il committente, o il responsabile dei lavori in sua vece, si avvalga della cooperazione di soggetti qualificati, che sono espressamente individuati dall'art. 2: si tratta delle figure del coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera (denominato coordinatore per la progettazione) e del coordinatore in materia di sicurezza e salute durante la realizzazione dell'opera (denominato coordinatore per l'esecuzione dei lavori) [nel caso di specie si è visto che l’ing. V. cumulò le ... figure]. Tali figure professionali devono essere dotate di particolari requisiti (art. 10) ed assolvono compiti delicati, come redigere il piano di sicurezza e di coordinamento ed il fascicolo delle informazioni per la prevenzione e la protezione dai rischi (art. 4); coordinare e controllare l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza redatto dal datore di lavoro dell'impresa esecutrice; organizzare la cooperazione ed il coordinamento delle attività all'interno del cantiere; infine segnalare al committente o al responsabile dei lavori le inosservanze delle disposizioni di legge riferite ai datori di lavoro o ai lavoratori autonomi, previa contestazione scritta alle imprese ed ai lavoratori autonomi interessati (art. 5). La presenza dei ... coordinatori di cui si parla è obbligatoria nei cantieri con più imprese di maggiori dimensioni o con rischi più elevati (art. 3). Il committente o il responsabile dei lavori possono assumere su di sé le funzioni di coordinatore per la progettazione o per l'esecuzione dei lavori, purché in possesso dei requisiti professionali previsti dalla legge (art. 3)". Peraltro, "la posizione di queste figure non si sovrappone a quella degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza del lavoro, ma ad essi si affianca per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia della incolumità dei lavoratori" (così Cass. 4/3/2008, Bongiascia). Sulla posizione di garanzia di contenuto ampio in capo al coordinatore per l’esecuzione dei lavori cfr., di recente, Cass. 10/3/2009, Gonnet; Cass. 9/10/2008, Neulichedl; Cass. 9/7/2008, Abbate; Cass. 13/3/2008, Manco.
61 pg. 33 trascrizioni 10/2/2011.
62 pg. 9 e 41 delle trascrizioni.
63 pg. 26 stesse trascrizioni.: "No. Non so niente, ecco".
64 invero non di questo hanno parlato le difese, ma – come si è anticipato – di esclusiva colpa del lavoratore per l’accaduto.
65 "In attesa di ricevere la Vs comunicazione scritta che ci autorizza a riprendere i lavori per completare l’impianto con il terzo trasformatore, il cui progetto è in fase di approvazione da parte degli Enti preposti, porgiamo cordiali saluti".
66 v. pg. 28-32 trascrizioni udienza 9/6/2011 ("Ero a conoscenza praticamente di tutto").
67 in dibattimento l’imputato ha cercato una improbabile giustificazione ("non devono essere installati quelli che sono i trasformatori, tutte le parti…Infatti quelle non c’erano, ma il box faceva parte di un progetto che era antecedente a quella data lì, perché quando facemmo la cabina numero 5, che era dotata di ... trasformatori, era già in progetto il terzo" - pg. 32), peraltro smentendosi subito dopo, come si dirà ora. Si è visto comunque che l’ing. P. ha riferito che, pur essendo la cabina predisposta per un eventuale, futuro ampliamento, il progetto iniziale prevedeva ... trasformatori e che "per mettere il terzo trasformatore occorreva un nuovo progetto", come confermato anche dall’ing. V..
68 pg. 40-1 dell’esame.
69 con procura allegata alla consulenza dell’ing. M.. La circostanza è pacifica (v. anche l’esame di ... , pg. 5 trascrizioni 9/6/2011).
70 v. pg. 20 trascrizioni odierna udienza (deposizione V.).
71 v. pg. 37 stesse trascrizioni (deposizione G.).
72 invero l’imputato è stato più ambiguo: "posso non ricordare, però non in modo ufficiale, nel senso che per me quella cabina era un cantiere" (pg. 10 stesse trascrizioni).
73 naturalmente propenso – pare legittimo dirlo – a non danneggiare il proprio dirigente.
74 all’odierna udienza, sentito – davvero opportunamente – ex art. 507 c.p.p. (v. pg. 36-41 trascrizioni).
75 "No, il lavoro…Assunto io, piano! Il lavoro era di installazione di questo quadro qui ed il collegamento. Cioè, non è che ho assunto io di dire: Il lavoro era quello lì! Quindi è stato fatto il montaggio ed il collegamento"(pg. 40).
76 così ha riferito lo stesso imputato (pg. 8 trascrizioni 9/6/2011).
77 "la decisione era condivisa, quindi prima di accordarci per la sospensione comunque avevamo già preso degli accordi con il nostro committente" (pg. 9 trascrizioni odierna udienza).
78 pg. 23-6 trascrizioni 9/6/2011.
79 "non sapevo che ci fosse, non sapevo. Pensavo non servisse neanche, penso che non serva neanche…Nella mia ignoranza, ecco" (pg. 36 trascrizioni).
80 termine davvero forte per l’approssimazione con la quale fu gestito l’intervento della vittima.
81 scendendo figurativamente il terzo ed il quarto "scalino" del percorso segnato da ciò che – come visto in precedenza – il coordinatore della sicurezza, se avvisato, avrebbe o non avrebbe fatto.
82 ha evidenziato il consulente della parte civile (pg. 7 dell’elaborato) che dalla norma CEI 11-27 si evince che l’installazione di un componente comincia ad esistere come impianto elettrico nel momento in cui – come nel caso di specie – è installato il tratto di circuito che lo collega ad un impianto esistente in esercizio.
83 pg. 53 trascrizioni 9/6/2011.
84 pg. 61 trascrizioni.
85 v. i documenti prodotti dalla difesa ... all’udienza del 9/6/2011.
86 come ricordato anche dall’ing. V. (pg. 28 delle trascrizioni dell’odierna udienza: "per iscritto, sì, sì!").
87 pg. 62 trascrizioni 9/6/2011.
88 "era in automatico che un tecnico di ... doveva essere presente lì…A volte può essere che uno sta lì solo a guardare, a volte può essere che deve dare una mano…Lui deve essere presente durante il lavoro, poi è l’operatore che decide lì per lì se ha necessità oppure no" (pg. 82 stesse trascrizioni).
89 né, invero, le difese lo hanno fatto.
90 così Cass. 29/10/2008, Smaldore, in conformità alla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte: cfr., fra le più recenti, Cass. 27/2/2008, Fontanesi; Cass. 14/2/2008, Benedetti e altro; Cass. 16/10/2007, Cuccia e altri; da ultimo v. Cass. SS.UU. 15/7/2010, Carelli.
Proprio in tema di reati colposi, la Corte di Cassazione è costante nel ritenere che la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, rispetto agli elementi generici o specifici di colpa originariamente contestati, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all’art. 516 c.p.p. e dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, ai sensi dell’art. 521 c.p.p., qualora l’imputato abbia avuto modo, in concreto, di apprestare in modo completo le sue difese in relazione ad ogni possibile profilo dell’addebito, fermo restando il fatto storico, sicché è consentito al giudice aggiungere agli elementi di fatto contestati altri elementi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa, a tutela del quale la normativa è dettata (cfr., ex plurimis, Cass. 10/11/2005; Cass. 4/7/2006, Civelli; Cass. 3/5/2007, Bico; Cass. 26/4/2007, Guarducci e altro; Cass. 17/1/2008, Romano e altro; Cass. 16/4/2008, Pirrello; Cass. 15/4/2009, Florio e altro; da ultimo v. Cass. 8/4/2010, Minardi).
91 così Cass. 15/11/2007, Magnarelli, in conformità ad un principio costantemente affermato in giurisprudenza: di recente v., ad es., Cass. 24/11/2009, Antonelli e altri, RV 246640, nonché Cass. 26/3/2010, Cellamare, RV 247333.
92 così Cass. 12/2/2008, Trivisonno; limitandosi alle pronunzie più recenti cfr., ad es., fra le precedenti: Cass. 4/2/2004, Calabrese; Cass. 5/7/2004, Grandi; Cass. 4/10/2004, Albrizzi; Cass. 3/11/2004, Volpi; Cass. 14/1/2005, Schifilliti a altro; Cass. 19/4/2005, Spinosa e altro; Cass. 7/6/2005, Pistoleri, Cass. 22/6/2005, Ioriatti; Cass. 23/6/2005, Minotti e altro; Cass. 16/5/2006, Lorenzoni e altro; Cass. 29/1/2007, Di Vincenzo; fra le successive: Cass. 29/2/2008, Radrizzani; Cass. 13/3/2008, Reduzzi e altro; Cass. 8/4/2008, De Santis e altri; Cass 5/6/2008, Stefanacci e altri; Cass. 30/9/2008, Garo; Cass. 1/10/2008, Bersaglio; Cass. 21/10/2008, Petrillo.
93 così Cass. 5/3/2009, Ferraro e altri, RV 243881; successivamente, in senso conforme, cfr. Cass. 29/4/2009, Cipiccia e altri, RV 243931; Cass. 10/11/2009, Iglina e altri, RV 246695; da ultimo v. Cass. 8/4/2010, Cusmano e altri, RV 247033; Cass. 8/6/2010, Rigotti, RV 248113; Cass. 12/8/2010, Mazzei, RV 247996.
94 così il teste M. (pg. 117-8 trascrizioni 9/6/2011). Si è più volte evidenziato come non spettasse certo a T. programmare le modalità del lavoro.
95 "nella convinzione che il sistema elettrico non fosse in tensione o semplicemente sottovalutando (o malauguratamente ignorando, per fatale distrazione) il grave rischio a cui tale forzatura avrebbe portato, rischio cui a volte finisce con l’esporsi chi è del mestiere" (così gli ing. N. e P., consulenti di ... , a pg. 23 dell’elaborato prodotto all’udienza del 4/5/2011).
96 "purtroppo anche uomini di grande esperienza possono commettere errori"; nell’occasione accadde che il lavoratore si apprestò allo smontaggio dei cavi di uscita dell’interruttore, "molto probabilmente dimenticando il sezionatore di linea in posizione di chiuso" (così, a pg. 24, la consulenza del p.i. C., esperto nominato da ... , prodotta anch’essa all’udienza del 4/5/2011).
97 questa l’ipotesi formulata dallo stesso consulente C., anche nel corso dell’esame dibattimentale ("manovra , manovra , manovra , manovra …potrebbe essersi ingenerato l’errore… È che lui ha fatto proprio un errore…lui voleva lavorare ad interruttore aperto, in realtà si è sbagliato "– pg. 116 trascrizioni 4/5/2011). Detta ipotesi, invero, è stata ripresa anche dalla difesa ... nel corso della discussione.
98 come ipotizzato dai consulenti di ... (pg. 23 dell’elaborato).
99 così lo stesso prof. N., uno dei consulenti di ... , nel corso dell’esame dibattimentale (pg. 113).
100 questa la spiegazione data da A.G., responsabile della officina elettrica F. (pg. 40-2 trascrizioni udienza 10/2/2011).
101 si è visto in precedenza che, per quanto concerne la dinamica dell’incidente, questa, ricostruita dai consulenti degli imputati, appare la ipotesi più probabile, anche se non l’unica.
102 ci si riferisce ad una circostanza dedotta per la prima volta, nel corso della discussione, dal difensore dell’imputato ..., priva del benché minimo aggancio probatorio, mai allegata prima di quel momento. È ben noto che quod non est in actis non est in hoc mundo e che il riferimento a fatti od atti processualmente inesistenti appare di dubbia correttezza (ed in proposito legittime sono state le doglianze della difesa di parte civile).
Solo per completezza – e perché la circostanza nulla sposta in ordine alle valutazioni espresse – si dà atto che, secondo quanto esposto dal difensore, G.T., da qualche tempo, si trovava in uno stato di depressione per un non meglio precisato problema personale.
103 così Cass. 5/3/2009, Ferraro e altri, RV 243881, già citata. Va quindi disattesa anche la richiesta subordinata, in tema di risarcimento del danno, proposta dalla difesa ... .
104 la modifica all’art. 62 bis c.p. operata dalla legge 24/7/2008 n. 125, attesa la natura sostanziale della norma, può trovare applicazione solo per i fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della legge. Non una grande valenza positiva può essere attribuita al fatto che, a distanza di quasi quattro anni dall’infortunio, ... giorni prima dell’odierna udienza, i genitori, i ... fratelli e le ... sorelle della vittima siano stati risarciti del danno da parte delle compagnie assicuratrici delle tre imprese. Si consideri che la moglie ed il figlio, oggi di 36 e 8 anni, non hanno ancora avuto un euro di risarcimento.
105 in questo senso cfr., ad es., Cass. 8/7/2009, Abruzzese e altri; Cass. 21/5/2008, Frazzitta; Cass. 8/4/2008, Brunelli e altri; Cass. 18/1/2008, Bonassi e altro; Cass. 23/5/2007, Montanino; Cass. 8/5/2007, Alia.
106 secondo la costante giurisprudenza di legittimità (cfr., ad es., Cass. 8/10/2009, Esposito; Cass. 23/10/2009, Vitale; Cass. 5/11/2009, Cacioppo e altro; Cass. 3/2/2010, Carlostella), la determinazione della misura della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che assolve il proprio compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi di cui all’art. 133 c.p., non essendo neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta risulti contenuta in una fascia medio-bassa rispetto alla pena edittale.
107 come scritto nelle conclusioni dell’atto di costituzione. Il dubbio era sorto nel giudicante perché, nel corpo dell’atto, si leggeva che "la costituzione di parte civile viene effettuata dall’istante quale vedova di T.G., come da stato di famiglia che si produce – rappresentante del figlio minore T.S. – al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni…". Inoltre, in tante analoghe situazioni, si è sempre visto il genitore costituirsi ed agire anche per il figlio od i figli minori.
108 ci si riferisce alle tabelle 2011 elaborate dai Tribunali di Milano e Roma, in sostanza recepite dal Tribunale civile di Ravenna.