Categoria: Giurisprudenza penale di merito
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d'Appello di Trieste, I Sezione penale, composta dai Magistrati:

1. dr.ssa Francesca Morelli - Presidente
2. dr.ssa Donatella Solinas - Consigliere
3. dr.ssa Angela Gianelli - Consigliere

Udita la relazione della causa fatta alla pubblica udienza il dott.ssa Francesca Morelli sentiti il Pubblico Ministero, il difensore dell’imputato presente, ha pronunciato il 3 marzo 2010 la seguente

sentenza

nella causa penale contro

F.F. nato *** dom. el. c/o soc. I. s.p.a. di Maniago ***
- libero presente -
IMPUTATO

del delitto p. e p. dagli artt. 590 co. 2 e 3, 583 co. 1 e 2 c.p., per aver in qualità di Direttore di Stabilimento e delegato in materia di sicurezza e igiene del lavoro della ditta "I.F.A.M. spa" di Maniago, per negligenza, imperizia, imprudenza, nonché in violazione alle norme di prevenzione degli infortuni e in particolare dell'art. 2087 c.c., e l'art. 35 co. 2 del D.Lgs. 626/94 ometteva di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori infatti non organizzava il lavoro in modo da ridurre i rischi derivanti dall'uso delle attrezzature e in particolare non predisponeva che la lavorazione potesse essere svolta ad almeno due metri dal contenitore di materiale incandescente, così per colpa, cagionava la lesione: "causticazione chimica corneo-congiuntivale profonda occhio sinistro", dalla quale derivava una malattia ed una incapacità di attendere alle proprie ordinarie occupazioni di durata complessiva di gg. 170 e un'invalidità permanente riconosciuta del 16%, al lavoratore L.I., il quale, mentre tentava di inserire un'asta all'interno di un contenitore (lingotto) di materiale incandescente era costretto ad avvicinarsi troppo al contenitore stesso, venendo colpito da uno schizzo di materiale ustionante contro il quale non risultavano sufficienti gli occhiali protettivi messi a disposizione.

APPELLANTE: l'imputato, avverso la sentenza del Tribunale di Pordenone del 05.02.2009 con la quale visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiarava l'imputato responsabile del reato ascritto e lo condannava alla pena di Euro 500,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali. Pena interamente condonata ai sensi della legge 241/2006.

CONCLUSIONI DEL P.M.: conferma sentenza impugnata.

CONCLUSIONI DELLA DIFESA: si richiama ai motivi d'appello.

Svolgimento del processo

Con sentenza di data 5.2.09 il Tribunale di Pordenone, in composizione monocratica, riconosceva la penale responsabilità di F.F. in ordine al reato di lesioni colpose gravi e aggravate in danno di L.I., evento occorso a seguito di un infortunio sul lavoro verificatosi il 22.7.03, e lo condannava alla pena di 500 Euro di multa interamente condonata.

Al F., all'epoca del fatto direttore di stabilimento e delegato in materia di sicurezza e igiene del lavoro della ditta "I.F.A.M. s.p.a.", viene fatto carico di non avere organizzato il lavoro all'interno dello stabilimento in modo da ridurre i rischi derivanti dall'uso delle attrezzature e di non avere predisposto che la lavorazione a cui era addetto il L. potesse essere svolta ad almeno due metri di distanza dal contenitore del materiale incandescente, così consentendo che lo stesso, il quale tentava di inserire un'asta all'interno del contenitore, si avvicinasse troppo e venisse colpito da uno schizzo di materiale incandescente.

La sentenza del Tribunale ripercorre con attenzione tutte le fasi dell'istruttoria dibattimentale, ricostruendo l'infortunio nei seguenti termini, sostanzialmente non contestati dalla difesa.

L. era dipendente della I. dal 1991 ed era addetto alla colata da un lungo periodo di tempo; il giorno dell'infortunio, nell'immettere un'asta all'interno del lingotto contenente l'acciaio fuso, faceva schizzare verso l'alto delle gocce di materiale incandescente, una delle quali lo colpiva all'occhio sinistro cagionandogli le lesioni indicate nell'imputazione.

L'infortunato indossava la visiera antischegge regolamentare e l'operazione da lui compiuta consisteva nel infilare il gancio nella colata al fine di poterla sollevare una volta che si fosse solidificata; egli aveva in dotazione un'asta che gli consentiva di effettuare l'operazione in sicurezza, mantenendo una distanza di circa due metri dal lingotto contenente il materiale incandescente.

In occasione dell'infortunio, poiché L. era di bassa statura e, in quel frangente, il lingotto non conteneva una grande quantità di materiale fuso, egli si era avvicinato al contenitore per controllare di avere effettuato l'aggancio e non aveva utilizzato la solita asta della lunghezza di due metri ma una verga di ferro con la quale aveva sfondato lo strato superficiale della colata d'acciaio che si era quasi solidificato; a quel punto, dal varco praticato, si era sprigionata una goccia di metallo fuso che lo aveva colpito all'occhio penetrando da sotto la visiera.

L'infortunato, nel corso della deposizione dibattimentale, ammetteva che la manovra da lui compiuta non era conforme alle istruzioni impartitegli ma dichiarava di averla eseguita anche in altre occasioni.

Ciò premesso, il Tribunale rileva che l'infortunio è ascrivibile a colpa del datore di lavoro sotto un duplice profilo:

- la scorretta manovra eseguita dal L. in occasione dell'infortunio, seppure effettuata in modo non rispondente alla procedura prevista dall'azienda, era stata eseguita dal lavoratore svariate volte senza che gli organi di vigilanza facessero alcuna osservazione in merito;

- sebbene l'azienda avesse standardizzato le procedure di lavorazione prima della data dell'infortunio, dette procedure erano state illustrate al lavoratore solo in un periodo successivo all'infortunio.

Ritiene il Tribunale che, pur volendo sostenere che abbia concorso al verificarsi dell'infortunio una momentanea disattenzione del lavoratore, la responsabilità preponderante ed assorbente sia da imputarsi alla mancata vigilanza in ordine all'utilizzo dei sistemi di protezione individuale (vale a dire, se la visiera fosse correttamente indossata) nonché in ordine all'osservanza della corretta procedura d lavoro (con particolare riguardo alla distanza che l'operaio avrebbe dovuto tenere dalla lingottiera).

Avverso tale sentenza formula rituale e tempestivo appello il difensore dell'imputato sostenendo, in via preliminare, la nullità della sentenza per violazione dell'art. 521 c.p.p., in quanto la pronuncia di responsabilità sarebbe fondata su un profilo di colpa specifica diverso da quello contestato nell'imputazione.

Il difensore sostiene che la colpa è stata individuata in una omissione di vigilanza sul corretto impiego dei DPI e sulle procedure di lavoro, mentre nell'imputazione si fa carico all'imputato di non avere adottato misure organizzative e procedurali e di non avere disposto affinché la lavorazione avvenisse a distanza di sicurezza dal contenitore.

Si osserva, inoltre, che i profili di colpa enucleati in sentenza sono tipici dei preposti e non potrebbero essere ascritti all'organo di vertice, soprattutto in una realtà aziendale complessa quale quella di cui si tratta.

Il F. avrebbe esaurito gli obblighi connessi alla propria posizione di garanzia mettendo a disposizione del personale idonei DPI e standardizzando le procedure per l'effettuazione delle operazioni lavorative; l'infortunato aveva a disposizione la visiera regolamentare e, fra l'altro, non vi è prova che non l'avesse correttamente indossata, aveva pure a disposizione l'attrezzo con cui compiere l'operazione in sicurezza ed era informato della corretta procedura di esecuzione del lavoro.

L'occasionale svolgimento delle operazioni con modalità diverse costituirebbe un evento eccezionale ed imprevedibile valido a interrompere il nesso causale e il difetto di vigilanza non sarebbe ascrivibile all'appellante.

Si chiede che venga dichiarata la nullità della sentenza impugnata, in subordine l'assoluzione del F., previa eventualmente rinnovazione dibattimentale con l'audizione del teste B.I. e l'acquisizione del manuale del sistema di qualità allegato all'atto di appello.

Motivi della decisione

La difesa ha correttamente rilevato, nei motivi di appello, che l'affermazione di responsabilità del F. si fonda su profili di colpa specifici diversi da quelli indicati nell'imputazione.

Si tratta, in ogni caso, di profili di colpa riconducibili, nell'ipotesi accusatoria, alla violazione del generico obbligo di garanzia che incombe al datore di lavoro con riferimento alla tutela della salute e della sicurezza dei dipendenti.

Il F., per la sua qualifica di direttore di stabilimento e delegato alla sicurezza nell'ambito di quella unità produttiva, è in posizione assolutamente equiparabile a quella del datore di lavoro.

Ha osservato il PG, nel corso della requisitoria, che l'appellante ha avuto modo, nel corso del giudizio di primo grado, di difendersi "a tutto campo" quindi anche con particolare riferimento alle omissioni agli obblighi di vigilanza e informazione ritenuti poi, dal Tribunale, essenziali ai fini della pronuncia di condanna.

In proposito "nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione fra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521 c.p.p." Cass. sez. IV 17.11.05, T.

Superato il primo motivo di doglianza, va tuttavia rilevato che i profili di colpa individuati dal Tribunale, se sussistenti, non possono essere riferiti all'appellante.

L'infortunio si è verificato, a parere del primo giudice, in quanto L. impiegò un'asta diversa da quella in dotazione per eseguire l'operazione e la scheggia di materiale fuso penetrò sotto la visiera non indossata correttamente.

La visiera era regolamentare e l'infortunato aveva in dotazione un attrezzo ritenuto idoneo a eseguire l'operazione in condizioni di sicurezza.

Quand'anche fosse dimostrato che la visiera non era indossata correttamente, sarebbe necessario accertare che tale circostanza avrebbe dovuto e potuto essere notata dal preposto, addetto alla vigilanza del regolare impiego dei DPI.

Analogamente quanto all'impiego di un attrezzo diverso da quello in dotazione.

Il testimoniale non ha dato conto con certezza del fatto che il L. fosse solito impiegare, per l'esecuzione di quel tipo di operazione, un'asta diversa da quella in dotazione.

Il teste B. lo ha escluso; affermando che la procedura per l'esecuzione di quel tipo di operazione era invariata dal 2000, era stata divulgata oralmente fra i dipendenti e l'infortunato ne era perfettamente a conoscenza e ad essa si era sempre attenuto (f. 12 - 13 - 14).

La parte lesa ha escluso di avere indossato la visiera in modo errato, precisando che la goccia di metallo incandescente era penetrata sotto la visiera in quanto, impaurito dal piccolo scoppio che aveva determinato la fuoriuscita di materiale incandescente, aveva sollevato il capo all’indietro.

Egli ha anche confermato di essere perfettamente al corrente delle procedure per l'effettuazione dell'operazione in condizioni di sicurezza; in particolare, ha riferito che, prima dell'infortunio, era informato delle procedure che, in epoca successiva, erano state inserite in un testo scritto (f. 8) e che le aveva seguite fin dal 1991.

Verso il termine della sua deposizione il teste ha riferito che occasionalmente aveva anche impiegato il ferro più corto (come era accaduto al momento dell'infortunio) e che non era mai successo nulla.

Pur volendo ammettere che dal 1991 il F. avesse occasionalmente compiuto l'operazione in modo difforme dalle procedure che egli ben conosceva, difficilmente la responsabilità in ordine all'omessa vigilanza può essere fatta risalire al direttore di stabilimento.

Al F. potevano essere legittimamente ricondotte omissioni in tema di fornitura di idonei DPI, di carenza di misure organizzative o di omessa divulgazione delle stesse ma nessuno di tali profili di colpa è sussistente e causalmente legato all'evento.

In particolare, la procedura per la corretta esecuzione di quel tipo di operazione era stata indicata ai dipendenti, seppure verbalmente, il L. ne era perfettamente a conoscenza e l'aveva sempre applicata.

Si trattava, inoltre, di una procedura corretta (come riconosciuto dall'organo di vigilanza) e idonea ad evitare infortuni del tipo di quello occorso al L.

All'appellante, data la sua posizione di vertice nell'ambito di una struttura produttiva complessa, non può essere ricondotto alcun profilo di colpa.

P.Q.M.

Visto l'art. 605 c.p.p.,

in riforma della sentenza del Tribunale di Pordenone di data 5.2.09, appellata da F.F., lo assolve dall'imputazione ascritta perché il fatto non costituisce reato.

Così deciso in Trieste, il 3 marzo 2010.

Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2010.