• Datore di Lavoro
  • Delega di Funzione
  • Dirigente e Preposto
  • Infortunio sul Lavoro
  • Lavoratore
  • Piano Operativo di Sicurezza
  • Servizio di Prevenzione e Protezione

 

Responsabilità del legale rappresentante di una società, e quindi datore di lavoro, per lesioni personali cagionate a suo dipendente: nell'ambito di lavori aventi ad oggetto l'installazione di impianti di riscaldamenti, infatti, metteva a disposizione del proprio dipendente Be.Gi. un piano di lavoro, costituito da assi e cavalletti, privo di precauzioni idonee a prevenire il rischio di caduta dall'alto, cosicché il medesimo Be., mentre, in piedi sul predetto piano di lavoro, era intento ad isolare dei tubi con delle guaine, si sbilanciava, perdendo l'equilibrio e cadendo al suolo.

 

Condannato in primo grado, propone Appello - Accolto.

 
Ritiene il collegio che la sentenza di primo grado debba essere riformata e che l'imputato debba essere assolto per non aver commesso il fatto.

 

"Occorre evidenziare che in base a costante orientamento giurisprudenziale, l'altezza superiore a 2 metri di cui all'art. 16 D.P.R. 7.1.1956, n. 164 in tema di precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e cose, va calcolata dal piano terra al punto in cui vengono eseguiti i lavori e non al piano di calpestio; "di conseguenza poiché il Be. svolgeva dei lavori di ricopertura con guaina di tubi ad altezza superiore a due metri anche se il piano di lavoro si cui egli poggiava era inferiore a due metri, sicuramente v'è stata violazione del predetto art. 16 D.P.R. 164/56."
D'altra parte deve escludersi che al caso in esame debba applicarsi esclusivamente l'art. 51 del D.P.R. appena citato in base al quale i ponti su cavalletti, salvo il caso che siano muniti di normale parapetto, possono essere usati solo per lavori da eseguirsi al suolo o all'interno degli edifici, non devono avere altezza superiore a due metri e non devono essere montati sugli impalcati dei ponteggi.
Il Be. lavorava su un ponte a cavalletto all'interno di un edificio e detto ponte non aveva altezza superiore a due metri; peraltro l'art. 51 D.P.R. 7.1.1956, n. 164 è compreso nel capo VI riguardante ponteggio movibili, mentre l'art. 16 del medesimo D.P.R. rientra nel capo IV riguardante i ponteggi e le impalcature in legname che comprende disposizioni di carattere più generale applicabili anche ai ponteggi movibili; del resto, come esattamente osservato dal giudice d prime cure nella motivazione della sentenza di primo grado, la giurisprudenza di legittimità ritiene che l'art. 51 D.P.R. 164/56 non debba essere letto in via alternativa rispetto all'art. 16 D.P.R. 164/58, bensì in via cumulativa qualora il lavoro sia da eseguire ad altezza superiore a 2 metri dal suolo".

 

Pertanto non può venire accolta la richiesta della difesa di assoluzione perché il fatto non sussiste.

 

Per quanto concerne invece la richiesta della difesa di assoluzione per non aver commesso il fatto il discorso è diverso:

 

"l'esame degli atti evidenzia che certamente l'imputato ebbe ad effettuare la previsione e la valutazione dei rischi connessi all'attività lavorativa; infatti in atti v'è il Piano Operativo d Sicurezza in cui, fra l'altro, al punto 3 n. 7 con riferimento alla Protezione contro le cadute dall'alto si legge testualmente "nell'esecuzione di operazioni a livello dal suolo superiore a 2 metri verranno realizzate impalcature da terra od adatti ponti di servizio"."

 
"Detto Piano Operativo di Sicurezza indica chiaramente una ripartizione intersoggettiva del debito prevenzionistico, desumibile anche dalla deposizione del Ga., Responsabile del Servizio prevenzione e Protezione nonché del capo cantiere Ma.; inoltre poiché si tratta certamente di una impresa di ampie dimensioni come si desume dalle già citate testimonianze in base alle quali all'epoca dei fatti erano aperti cinque o sei cantieri se non sette o otto, sembrano ricorrere i presupposti per il riconoscimento della delega tacita dei compiti antinfortunistici, secondo l'orientamento della Suprema Corte di Cassazione.
Invero la Corte di Cassazione sez. IV con sentenza in data 3.3.1998, n. 548 ha statuito che è necessario superare il dato formale della rappresentanza o dell'assenza di delega per individuare se vi siano altri soggetti che con riferimento ai compiti attribuiti ed alle concrete mansioni svolte potessero avere assunto obblighi di salvaguardia dell'incolumità dei lavoratori, essendo tenuti ad attuare e sorvegliare l'attuazione delle norme di sicurezza.
Ancora la Cassazione Sez. I con sentenza in data 19.1.1994 ha affermato che, per l'identificazione dei responsabili delle infrazioni delle norme in materia di prevenzione e di infortuni sul lavoro, occorre far riferimento, nelle ipotesi di società ad organizzazione complessa, alla ripartizione interna delle singole competenze e all'effettività delle funzioni esercitate nei diversi rami di attività sicché la responsabilità non può essere accollata puramente e semplicemente agli amministratori o ai titolari di impresa ma va riferita alle persone preposte concretamente alla direzione dello specifico settore.
Non sembra dubbio, nel caso di specie, che i compiti attinenti all'attuazione delle misure di sicurezza fossero attribuiti al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e ai preposti ai cantieri come si desume al Piano Operativo di Sicurezza e che fossero effettivamente svolti dai medesimi come si desume dalle dichiarazioni del Ga. e del Ma.; quindi considerata l'effettività delle mansioni svolte sembra si sia in presenza di una delega tacita dei compiti di sicurezza e di prevenzione infortuni e che l'organizzazione della sicurezza fosse tale da liberare il datore di lavoro dai compiti assegnati ai soggetti preposto alla sicurezza come il Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione e i capo cantieri."
 
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D'APPELLO DI MILANO

SECONDA SEZIONE PENALE

Composta dai Signori:

1. Dott. Calogera Todaro - Presidente -

2. Dott. Erminia La Bruna - Consigliere -

3. Dott. Fabio Paparella - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

nella causa del Pubblico Ministero

contro

Me.Am. nato a Arcore (MI) il (...)

Appellante - Libero presente

residente a Usmate - Velate - (...)

domicilio eletto Arcore - (...) c/o ditta omonima

domiciliato a

Imputato di: art. 590 co. 1 - 2 e 3 in relazione agli artt. 4 co. 5 d.lvo 626/94 e 16 d.p.r. 164/56 commesso in Binasco in data (...)

Difeso da: Avv. Pa.De. Foro di Milano

APPELLANTE

avverso la sentenza del Tribunale Monocratico di Pavia n. Reg. Gen. 847/2005 dell'8.2.2007 con la quale veniva condannato, alla pena di:

mesi 2 di reclusione sostituiti con Euro 1400 di multa;

per il reato di lesioni personali colpose con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

per i reati:

Me.Am. art. 590 co. 1 - 2 e 3 in relazione agli artt. 4 co. 5 d.lvo 626/94 e 16 d.p.r. 164/56 commesso in Binasco in data (...).

IMPUTATO

del reato p. e p. dall'art. 590 commi 1,2 e 3 (in relazione agli artt. 4 co. 5 d.lvo 626/94 e 16 d.p.r. 164/56 per avere, in qualità di legale rappresentante della società "Me.Im. s.r.l." e quindi di datore di lavoro, cagionato al lavoratore Be.Gi., dipendente della medesima società, lesioni personali consistita in "frattura pilone tibiale gamba destra" da cui derivava una malattia con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo di tempo superiore a 120 giorni, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle sopraindicate norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro nonché ometteva di adottare le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori e, in particolare, nell'ambito di lavori aventi ad oggetto l'installazione di impianti di riscaldamenti, nel corso di operazioni da eseguirsi ad un'altezza superiore a metri due dal suolo, ometteva di adottare adeguate impalcature o idonee opera provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta delle persone, mettendo a disposizione del proprio dipendente Be.Gi. un piano di lavoro, costituito da assi e cavalletti, privo di precauzioni idonee a prevenire il rischio di caduta dall'alto, cosicché il medesimo Be., mentre, in piedi sul predetto piano di lavoro, era intento ad isolare dei tubi con delle guaine, si sbilanciava, perdendo l'equilibrio e cadendo al suolo, cagionandogli in tal modo le gravi lesioni personali sopra meglio specificate.

Con le circostanze aggravanti della lesione grave per durata della malattia superiore ai quaranta giorni e della violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

In Binasco il (...).


FattoDiritto
Con sentenza del Tribunale di Pavia in data 8.2.2007 Me.Am. veniva dichiarato colpevole del reato di lesioni colpose subite da Be.Gi. a seguito di infortunio sul lavoro e condannato alla pena di mesi 2 di reclusione sostituita in base alla legge 689/01 con la pena di Euro 2400 di multa.
Dalla motivazione della sentenza e dalla lettura degli atti si desume quanto segue.

Il 12.10.2004 Be.Gi., dipendente della Me.Im. s.r.l., mentre stava isolando dei tubi con le guaine perdeva l'equilibrio e rovinava al suolo, cadendo dal piano di lavoro costituito da assi e cavalletti riportando lesioni che gli impedivano di riprendere il lavoro per circa 4 mesi.
La persona offesa, sentita nel corso del dibattimento, dichiarava che il piano di lavoro era posto a 80 centimetri da terra e che i tubi da isolare erano posti a circa m. 2,40 dal suolo, ossia in prossimità del tetto; il teste, alto al massimo 1,60 ha mimato il gesto in udienza, evidenziando che lavorava in piedi sul piano di lavoro, a testa in su e che con le mani in alto avvolgeva la guaina sul tubo che gli passava sopra la testa.
Si trattava di lavoro, afferma il giudice di primo grado, che si svolgeva ad altezza superiore a 2 metri e risulta applicabile l'art. 16 D.P.R. 164/56 il quale, secondo la Cassazione, va interpretato nel senso che l'altezza di cui si parla va intesa con riferimento all'altezza alla quale il lavoro viene eseguito e non a quella alla quale si trovava il lavoratore (Cass. Pen. Sez. IV 20.5.1997).

Quindi secondo il giudice di primo grado non va condiviso l'assunto difensivo in base al quale non andrebbe applicato l'art. 16 D.P.R. 164/56 il quale prescrive che nei lavori eseguiti ad un'altezza superiore a 2 metri devono essere adottate adeguate impalcature e ponteggi e idonee opere provvisionali e comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose, bensì l'art. 51 D.P.R. 164/56 in base al quale i ponti su cavalletti, salvo che nel caso in cui siano muniti di normale parapetto, possono essere usati solo per lavori da eseguirsi al suolo o all'interno degli edifici e che non devono avere altezza superiore a m. 2 e non devono essere montati sugli impalcati dei ponteggi.

Il giudice di primo grado afferma che i due articoli debbono essere letti non già in via alternativa ma in via cumulativa, qualora il lavoro sia da eseguire ad altezza superiore a 2 metri dal suolo.

Secondo il giudice di primo grado, il Me. rivestiva la qualifica di datore di lavoro ai sensi e per gli effetti delle norme antinfortunistiche, non risultavano deleghe espresse in materia di misure di sicurezza cosicché l'imputato non poteva esimersi da responsabilità; invero il datore di lavoro è obbligato sia a prevedere e valutare il rischio sia a controllare che le misure prevenzionali siano adeguatamente rispettate così come si desume dall'art. 4 D.Lgs. 626/94; il giudice di primo grado afferma che il datore di lavoro ha solo formalmente preveduto e valutato il rischio; invero il teste Ga. Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione della ditta ha dichiarato che la disposizione in base alla quale nell'esecuzione di operazioni a livello superiore ai 2 metri verranno realizzate impalcature da terra o adatti ponti di servizio(ad esempio ponti mobili con accorgimenti tecnici tesi ad impedire la caduta dall'alto come parapetti o tavole fermapiede) erano intese dall'azienda come riferite a lavori in cui il piano di lavoro era posto a 2 metri dal suolo e non già a lavori effettuati a 2 metri dal suolo; quindi, afferma il giudice di primo grado, il disposto dell'art. 16 D.P.R.164/56 era rimasto lettera morta già in fase di previsione del rischio e la violazione delle regole precauzionali di condotta costituisce inosservanza di legge e grave negligenza agli effetti dell'art. 43 c.p.p., in quanto il datore di lavoro non aveva ancora previsto né valutato il rischio e non aveva dato al lavoratore la possibilità di allestire un piano di lavoro conforme alle regole precauzionali, il che avrebbe evitato la caduta dall'alto.

Quindi veniva affermata la penale responsabilità dell'imputato, venivano concesse all'imputato le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e gli veniva irrogata la pena di anni 2 di reclusione convertita nella pena pecuniaria di Euro 2.400,00 di multa.

Avverso detta sentenza interponeva appello la difesa dell'imputato in data 28.3.2007 chiedendo l'assoluzione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato.
Afferma la difesa che nel caso si specie non sarebbe stato applicabile l'art. 16 D.P.R. 156/64 bensì l'art. 51 del medesimo D.P.R. in quanto il Be., nel momento dell'infortunio era su un piano di lavoro posto all'altezza di 80 centimetri e inoltre, come dichiarato dallo stesso Be., questi lavorava su "un piano composto da cavalletti ed assi", esattamente da due cavalletti in ferro, sovrastati da due pannelli.
L'art. 51 si riferisce esplicitamente a lavori da eseguirsi tramite l'utilizzo di ponti su cavalletti i quali "salvo il caso che siano muniti di regolare parapetto possono essere usati solo per lavori da eseguirsi al suolo o all'interno degli edifici; essi non devono avere altezza superiore a 2 metri e non devono essere montati sugli impalcati dei ponteggi esterni"; quindi, secondo la difesa, non sussisterebbe, al fine di utilizzare in sicurezza tali strutture alcun obbligo per il datore di lavoro o di diverso soggetto di approntare parapetti o altre opere provvisionali quando queste strutture risultino utilizzate all'interno di edifici e per un'altezza inferiore a metri due.
Secondo la difesa nel caso di specie si trattava di ausilio alla lavorazione effettuata, appunto, mediante l'utilizzo di un ponte su un cavalletto e risultavano soddisfatte le condizioni di applicazione dell'art. 51 D.P.R. 164/56 giacché il Be. si trovava a lavorare all'interno dell'edificio e su un piano di lavoro poggiato al suolo dell'altezza di 80 centimetri (certo inferiore a 2 metri).

Assume la difesa che sarebbe errata l'interpretazione data dal Tribunale all'art. 16 in base alla quale il datore di lavoro sarebbe obbligato a predisporre adeguate cautele antinfortunistiche per il rischio di caduta dall'alto laddove il lavoro sia compiuto ad altezza superiore a due metri rispetto al suolo anche quando il lavoratore si trovi in una posizione di altezza ben inferiore a metri due rispetto al livello del suolo; secondo la difesa, interpretando così la norma in questione, anche quando il lavoratore operi su un piano di lavoro di 20 centimetri d'altezza, essendo alto m. 1,80, il datore di lavoro dovrebbe assicurarsi che tale piano di lavoro sia dotato delle precauzioni di cui all'art. 16 D.P.R. 164/56.

Di conseguenza nel caso di specie, sarebbe applicabile l'art. 51 D.P.R. 164/56 che non obbliga il responsabile per la sicurezza all'adozione di simili cautele nel caso di lavorazioni edili da effettuarsi con l'ausilio di piani di lavoro che non superino l'altezza di due metri rispetto al livello del suolo e sarebbe privo di fondamento il rimprovero, mosso dal Giudice di primo grado nei confronti del Me. che, nella sua qualità di datore di lavoro, avrebbe omesso di vigilare sul rispetto delle norme precauzionali, in quanto il caso in esame sarebbe riconducibile alla sfera di applicazione dell'art. 51 e il datore di lavoro non avrebbe negligentemente mancato di controllare il rispetto di norme precauzionali che avrebbero dovuto rispettarsi nel caso di specie.

In subordine la difesa chiedeva l'assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto.

A tal riguardo la difesa evidenzia che occorre stabilire quale possa essere la responsabilità del legale rappresentante in ordine alla sicurezza in un'azienda caratterizzata da un'organizzazione del lavoro complessa com'era la Me. su Impianti Termotecnici e che occorre accertare se vi fosse stato il ricorso alla delega delle funzioni in ambito antinfortunistico.

Il teste Ga. Rspp ha affermato che nell'ottobre 2004 vi erano almeno 5 o 6 cantieri aperti e il teste Ma. Rsl ha riferito che all'epoca vi erano 7 o 8 cantieri aperti.

Quindi, assume la difesa, la Me. su era una realtà aziendale molto complessa e si era così resa necessaria l'organizzazione della gestione della sicurezza all'interno dell'impresa.

Secondo la difesa il Me. avrebbe assolto gli obblighi di individuazione e valutazione de rischi connessi alla lavorazione, come emerge dalla disamina dell'organigramma aziendale del POS (Piano Operativo di Sicurezza) e dei manuali aventi ad oggetto la enunciazione dei pericoli per la sicurezza presenti in azienda; invero dall'organigramma si desume che Ga. e Ma. ricoprivano i ruoli, rispettivamente, di Rspp e Rsl e i manuali prevedevano la enunciazione dei fattori di pericolo connessi alla lavorazione edile oggetto dell'attività svolta dalla società (individuazione dei rischi connessi all'attività produttiva) e l'individuazione delle misure di sicurezza da adottare per far fronte e per ridurre al minimo rischio tecnicamente possibile l'attività produttiva.

Quindi non vi sarebbe stata violazione dell'art. 4 comma V Decreto Legislativo 626/94.

Uno dei manuali posto a disposizione dei lavoratori recante "informazioni sui rischi in cantiere" individua inizialmente le figure previste nell'organizzazione per il rispetto della sicurezza definendo attribuzioni e responsabilità; in particolare, tra i compiti di cui è assegnatario il Rspp vi sono quello di impartire specifiche disposizioni per attuare le necessarie misure di sicurezza e quello di controllare ed obbligare e far si che tutti gli impianti, le attrezzature e gli indumenti antinfortunistici individuali siano conformi alle leggio vigenti.

Tale circostanza è stata confermata da Ga. che ha descritto le modalità operative di gestione della sicurezza esistente tra il Rspp e i capi cantiere, precisando la circostanza che il collegamento per l'approvvigionamento anche in materia di disposizioni sulla prevenzione infortuni avviene tra capocantiere e Rspp e che, non potendo questi essere in tutti i cantieri, la sicurezza veniva seguita dal capo cantiere come riportato nel Pos; il Be. ha affermato che suo referente per la sicurezza nel cantiere all'epoca dei fatti era il capocantiere Ca.Fa..
Anche il Ma.,responsabile sicurezza cantiere, assume la difesa, ha affermato che la sicurezza capillare nei cantieri era affidata principalmente ai capicantiere; il Ma. ha confermato che esistevano ed esistono in azienda protocolli firmati da tutti i dipendenti che esiste un POS per ogni tipologia di lavoro e ogni tipo di cantiere e che i capi cantiere operavano avendo come riferimento il Rspp inoltre, assume la difesa, i capi cantiere sono destinatari di un rilevante insieme di obblighi e prerogative in ordine alla gestione della sicurezza, come quella di controllare e obbligare e far si che nella realizzazione degli impianti il proprio personale applichi le misure di sicurezza impartite dal Responsabile Sicurezza Lavoro.

Secondo la difesa la ripartizione del debito prevenzionistico in azienda è da mettere in relazione con la possibilità di delega di compiti in ambito antinfortunistico.
La difesa evidenzia poi come la Corte di Cassazione in recenti pronunce abbia riconosciuto la validità del criterio delle effettive funzioni svolte al fine di ricostruire la ripartizione intersoggettiva del debito prevenzionistico e conseguentemente, utilizzando il criterio della effettività delle mansioni svolte al fine di individuare ì soggetti responsabili per la sicurezza, abbia riconosciuto la validità della delega tacita in ambito antinfortunistico.

Tale ripartizione intersoggettiva, secondo la difesa, costituirebbe un'organizzazione della sicurezza in grado di liberare il datore di lavoro dei compiti assegnati ai preposti alla sicurezza nei luoghi di lavoro.

All'esito dell'odierna udienza il P.G. e la difesa concludevano come da verbale.
Ritiene il collegio che la sentenza di primo grado debba essere riformata e che l'imputato debba essere assolto per non aver commesso il fatto.
Occorre evidenziare che in base a costante orientamento giurisprudenziale, l'altezza superiore a 2 metri di cui all'art. 16 D.P.R. 7.1.1956, n. 164 in tema di precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e cose, va calcolata dal piano terra al punto in cui vengono eseguiti i lavori e non al piano di calpestio (Cass. pen. Sez. IV 7.6.1983, n. 5461 - Cass. Pen. Sez. IV 25.1.1982, n. 741); di conseguenza poiché il Be. svolgeva dei lavori di ricopertura con guaina di tubi ad altezza superiore a due metri anche se il piano di lavoro si cui egli poggiava era inferiore a due metri, sicuramente v'è stata violazione del predetto art. 16 D.P.R. 164/56.
D'altra parte deve escludersi che al caso in esame debba applicarsi esclusivamente l'art. 51 del D.P.R. appena citato in base al quale i ponti su cavalletti, salvo il caso che siano muniti di normale parapetto, possono essere usati solo per lavori da eseguirsi al suolo o all'interno degli edifici, non devono avere altezza superiore a due metri e non devono essere montati sugli impalcati dei ponteggi. Il Be. lavorava su un ponte a cavalletto all'interno di un edificio e detto ponte non aveva altezza superiore a due metri; peraltro l'art. 51 D.P.R. 7.1.1956, n. 164 è compreso nel capo VI riguardante ponteggio movibili, mentre l'art. 16 del medesimo D.P.R. rientra nel capo IV riguardante i ponteggi e le impalcature in legname che comprende disposizioni di carattere più generale applicabili anche ai ponteggi movibili; del resto, come esattamente osservato dal giudice d prime cure nella motivazione della sentenza di primo grado, la giurisprudenza di legittimità ritiene che l'art. 51 D.P.R. 164/56 non debba essere letto in via alternativa rispetto all'art. 16 D.P.R. 164/58, bensì in via cumulativa qualora il lavoro sia da eseguire ad altezza superiore a 2 metri dal suolo (Cass. pen. sez. VI 6.7.1979, n. 10883 ).

Quindi non può dubitarsi che vi sia stata violazione dell'art. 16 D.P.R. 164/56 e che da tale violazione sia derivato l'infortunio al Be.Gi. anche perché lo stesso lavorava isolato, lontano da pareti e la sua attività richiedeva il movimento delle braccia con conseguente facilità di perdere l'equilibrio e di cadere a terra in mancanza di adeguate opere provvisionali e di adeguate protezioni.

Pertanto non può venire accolta la richiesta della difesa di assoluzione perché il fatto non sussiste.

A diverse conclusioni occorre invece giungere per quanto attiene alla richiesta della difesa di assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto. Invero la sentenza di primo grado nell'affermare la penale responsabilità del Me. evidenzia che egli rivestiva la qualifica di datore di lavoro e che non esistono in atto deleghe espresse in materie di sicurezza, con la conseguenza che i medesimo Me. sarebbe stato tenuto non solo a prevedere e valutare il rischio ma anche a controllare che le misure prevenzionali siano adeguatamente rispettate.

L'esame degli atti evidenzia che certamente l'imputato ebbe ad effettuare la previsione e la valutazione dei rischi connessi all'attività lavorativa; infatti in atti v'è il Piano Operativo d Sicurezza in cui, fra l'altro, al punto 3 n. 7 con riferimento alla Protezione contro le cadute dall'alto si legge testualmente "nell'esecuzione di operazioni a livello dal suolo superiore a 2 metri verranno realizzate impalcature da terra od adatti ponti di servizio".
Ancora nel medesimo Piano Operativo di Sicurezza si dispone che per i lavori in posizione pericolosa e nei lavori eseguiti ad un'altezza superiore ai due metri, debbono essere utilizzati, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate attrezzature, ponti impalcature, cinture di sicurezza, scale. Quindi il piano operativo di sicurezza prevedeva il rispetto dell'art. 16 D.P.R. 164/56 in base al quale, per i lavori effettuati ad altezza superiore a 2 metri e cioè quando il lavoratore operi ad un altezza maggiore di due metri e non già soltanto quando il piano di calpestio sia ad un'altezza superiore a due metri, occorrono adeguate opere provvisionali come parapetto o tavole fermapiede.

Inoltre il medesimo Piano Operativo di Sicurezza indica fra le figure previste nell'organizzazione per il rispetto della sicurezza il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione, cui spetta fra l'altro impartire specifiche disposizioni per attuare le necessarie misure di sicurezza, controllare e obbligare a far si che tutti gli impianti, le attrezzature, gli indumenti antinfortunistici individuali siano sufficienti ed in conformità alle leggi vigenti, nonché il Responsabile di Cantiere cui spetta fra l'altro controllare ed obbligare a far si che nella realizzazione degli impianti il proprio personale applichi le misure di sicurezza impartite dal Responsabile della Sicurezza.
Detto Piano Operativo di Sicurezza indica chiaramente una ripartizione intersoggettiva del debito prevenzionistico, desumibile anche dalla deposizione del Ga., Responsabile del Servizio prevenzione e Protezione nonché del capo cantiere Ma.; inoltre poiché si tratta certamente di una impresa di ampie dimensioni come si desume dalle già citate testimonianze in base alle quali all'epoca dei fatti erano aperti cinque o sei cantieri se non sette o otto, sembrano ricorrere i presupposti per il riconoscimento della delega tacita dei compiti antinfortunistici, secondo l'orientamento della Suprema Corte di Cassazione.
Invero la Corte di Cassazione sez. IV con sentenza in data 3.3.1998, n. 548 ha statuito che è necessario superare il dato formale della rappresentanza o dell'assenza di delega per individuare se vi siano altri soggetti che con riferimento ai compiti attribuiti ed alle concrete mansioni svolte potessero avere assunto obblighi di salvaguardia dell'incolumità dei lavoratori, essendo tenuti ad attuare e sorvegliare l'attuazione delle norme di sicurezza.
Ancora la Cassazione Sez. I con sentenza in data 19.1.1994 ha affermato che, per l'identificazione dei responsabili delle infrazioni delle norme in materia di prevenzione e di infortuni sul lavoro, occorre far riferimento, nelle ipotesi di società ad organizzazione complessa, alla ripartizione interna delle singole competenze e all'effettività delle funzioni esercitate nei diversi rami di attività sicché la responsabilità non può essere accollata puramente e semplicemente agli amministratori o ai titolari di impresa ma va riferita alle persone preposte concretamente alla direzione dello specifico settore.

Non sembra dubbio nel caso di specie che i compiti attinenti all'attuazione delle misure di sicurezza fossero attribuiti al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e ai preposti ai cantieri come si desume al Piano Operativo di Sicurezza e che fossero effettivamente svolti dai medesimi come si desume dalle dichiarazioni del Ga. e del Ma.; quindi considerata l'effettività delle mansioni svolte sembra si sia in presenza di una delega tacita dei compiti di sicurezza e di prevenzione infortuni e che l'organizzazione della sicurezza fosse tale da liberare il datore di lavoro dai compiti assegnati ai soggetti preposto alla sicurezza come il Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione e i capo cantieri.
L'imputato deve essere pertanto assolto per non aver commesso il fatto.

P.Q.M.
Visto l'art. 605 c.p.p.

In riforma

della sentenza del Tribunale di Pavia in data 8.2.07 appellata da Me.Am.

Assolve

il medesimo Me.Am. per non aver commesso il fatto.

Si riserva il termine di giorni 30 per la redazione della motivazione della sentenza.

Così deciso in Milano, il 18 gennaio 2010.

Depositata in Cancelleria il 17 febbraio 2010.