An.Ma., in rappresentanza dei figli minori, conveniva
in giudizio una spa, il suo amministratore e il direttore di stabilimento per
sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti per la morte del coniuge,
dipendente della società, avvenuta per lo schiacciamento della testa mentre
eseguiva lavori di riparazione all'interno di un impianto.
Riferì l'attrice che la morte si era verificata per la messa in moto
dell'impianto da parte di altro dipendente.
La società dedusse l'infondatezza della domanda sul presupposto di non essere in
alcun modo responsabile dell'incidente, giacché la vittima stessa, terminato il
lavoro di manutenzione della macchina, nel frattempo rimessa in moto, si era di
nuovo introdotta in essa senza prima fermarla, così ponendo in essere una
condotta gravemente imprudente
Il Tribunale dichiarò il difetto di legittimazione passiva dell'amministratore e
del direttore di stabilimento, rigettò le domande nei confronti della società e
compensò le spese tra tutte le parti del giudizio.
Propone appello An.Ma. - Respinto
L'appellante si duole che "il Tribunale non abbia tenuto conto dell'art. 2087
c.c. - "l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le
misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono
necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori
di lavoro" - norma che implicherebbe "la responsabilità del datore di lavoro
ogni volta che un danno si sia verificato allorquando l'evento sia pur sempre
riferibile a colpa per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme
di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati" (atto
di appello, pag. 5).
Ma nel caso in esame l'appellante non ha concretamente individuato, né suggerito
nell'atto di gravame, quali obblighi di comportamento siano stati violati in
occasione dell'incidente mortale occorso a Ri.Pi."
"La colpa dell'ignoto che azionò l'interruttore è stata motivatamente esclusa
dal Tribunale senza che l'appellante abbia speso una sola parola a confutazione
di tale motivazione.
Prosegue l'atto di appello (pag. 5) spiegando che "in caso di infortunio occorso
in occasione di lavoro, la responsabilità del datore di lavoro (è) esclusa solo
quando la condotta del dipendente abbia caratteri dell'abnormità o
dell'imprevedibilità".
Questa Corte è d'accordo; ma, secondo la ricostruzione del Tribunale - non
contestata specificamente dall'appellante - la condotta del povero Ri.Pi. -
comunicare che aveva finito il lavoro e la macchina poteva essere accesa, per
poi subito dopo rientrare nella macchina - fu proprio abnorme e imprevedibile."
"La morte di Ri.Pi. fu determinata da un tragico errore umano: errore dello
stesso Pi., secondo la motivata ricostruzione del Tribunale".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI CAMPOBASSO
in persona dei magistrati
dr. Alfonso Bosco presidente
dr. Vincenzo Pupilella consigliere
dr. Massimo Sensale - consigliere est.
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 241/2007 RG, in materia di risarcimento danni
(appello contro Tribunale di Isernia 21 luglio 2006 n. 448), vertente tra
Ma.An., quale genitore esercente la potestà parentale sui minori Pi.Ma. e
Pi.No., rappresentata e difesa dall'avv. Ch.Ca. e con lei elettivamente
domiciliata a Campobasso, via (omissis), presso lo studio dell'avv. An.Bi.,
giusta procura in calce all'atto di appello,
appellante
e
Ma.St. spa, in persona del legale rappresentante pro tempore Sa.Lo.,
rappresentata e difesa dall'avv. St.Ca. giusta procura a margine della comparsa
di risposta in appello ed elettivamente domiciliata a Campobasso, via (omissis)
(studio avv. To.Da.),
appellata
nonché
Ge.-Ko.Al.Ve. Ak., rappresentanza generale per l'Italia, in persona del vice
direttore generale e procuratore dr. Ri.Ta., e Zu.In.It. spa, in persona del
direttore centrale e legale rappresentante rag. An.Ca., elettivamente
domiciliate a Campobasso, via (omissis) (studio avv. Ri.Me.), rappresentate e
difese dagli avv.ti Gi.Ca. e Do.Va. giusta procura rilasciata nel primo grado di
giudizio,
appellate
Conclusioni
All'udienza del 14.1.09 i procuratori delle parti hanno concluso come da
verbale.
FattoDiritto
1 - Si legge nella sentenza impugnata (Tribunale di Isernia 21 luglio 2006 n.
448) che:
- con atto di citazione del 19.12.00 An.Ma., in rappresentanza dei figli minori
Ma. e No.Pi., convenne in giudizio Ma.St.In. spa (già Pe. srl), Gi.Br.
(amministratore) e Ma.Bo. (direttore di stabilimento) per sentirli condannare al
risarcimento dei danni (nella misura di Lire 1.345.000.000 o altra ritenuta di
giustizia) subiti per la morte del coniuge Ri.Pi., dipendente della Pe.,
avvenuta il (omissis) per lo schiacciamento della testa mentre eseguiva lavori
di riparazione all'interno dell'impianto (omissis). Riferì l'attrice che la
morte si era verificata per la messa in moto dell'impianto da parte di altro
dipendente della società, il quale aveva azionato il relativo comando senza
attendere che Pi. terminasse il proprio lavoro;
- nel costituirsi in giudizio, la Ma. dedusse l'infondatezza della domanda sul
presupposto di non essere in alcun modo responsabile dell'incidente, giacché
Pi., terminato il lavoro di manutenzione della macchina, nel frattempo rimessa
in moto, si era di nuovo introdotto in essa senza prima fermarla, così ponendo
in essere una condotta gravemente imprudente;
- nel costituirsi separatamente in giudizio, Br. e Bo. eccepirono il proprio
difetto di legittimazione passiva, non essendo ad essi riferibile, dati i
rispettivi ruoli rivestiti in azienda, la responsabilità ex art. 2049 c.c.;
- chiamate in giudizio dalla Ma., si costituirono le compagnie assicuratici
Ge.-Ko.Al.Ve. Ak. e Zu.In.It. spa, per eccepire l'infondatezza della domanda e
comunque il limite della eventuale responsabilità per la sola parte eccedente le
indennità liquidate dall'INAIL;
- intervenne in giudizio Lo.Pi., fratello del defunto Ri.Pi., per chiedere il
risarcimento del danno alla vita di relazione conseguito alla morte del
congiunto nella misura di Lire 300.000.000;
- vennero svolte CTU e prova testimoniale.
2 - Il Tribunale dichiarò il difetto di legittimazione passiva dei convenuti
Gi.Br. e Ma.Bo., rigettò le domande nei confronti della Ma. e compensò le spese
tra tutte le parti del giudizio.
In particolare, il Tribunale osservò che:
- né l'attrice Ma., né l'intervenuto Pi. prospettano la violazione di norme
antinfortunistiche, ma la mera condotta colposa di un dipendente (non indicato,
né individuato nel corso del giudizio), il quale avrebbe rimesso in moto la
macchina senza attendere che l'intervento di manutenzione fosse terminato, donde
la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2049 c.c.;
- è pacifico che Ri.Pi. è deceduto per schiacciamento della testa, prodotto da
un elemento del complesso meccanismo della macchina industriale, al cui interno
si era introdotto per eseguire un intervento di manutenzione;
- la macchina, denominata "(omissis)", è rivestita di una struttura continua di
acciaio, sì che tutte le parti interessate dalla presenza di organi in movimento
risultano delimitate da cancelli metallici muniti di chiavi (cfr. CTU);
- deve escludersi che la macchina possa essersi messa in moto accidentalmente
mentre Pi. si trovava al suo interno, così come deve escludersi che egli l'abbia
azionata mentre stava eseguendo l'intervento di manutenzione, potendo la
macchina essere messa in moto soltanto tramite una consolle di comando posta a
distanza (cfr. CTU);
- deve escludersi che Ri.Pi. possa essersi introdotto nella macchina mentre
questa era in movimento, impedendolo la struttura e il movimento dei meccanismi
(cfr. CTU);
- deve pertanto ritenersi che, mentre Ri.Pi. si trovava all'interno della
macchina, altri (ragionevolmente un dipendente della Ma.) azionò il comando di
messa in moto, sicché risulta provato l'elemento oggettivo della fattispecie di
cui all'art. 2049 c.c, cioè la condotta dannosa del dipendente;
- non è invece ravvisabile, nella condotta dell'ignoto dipendente che mise in
moto la macchina, alcuna connotazione di colpa, giacché i testi Ma.D.Lu. e
Mi.An. hanno riferito: a) di aver sentito Ri.Pi. comunicare di aver finito il
lavoro e che dunque la macchina poteva essere rimessa in moto (An. aggiunge di
aver visto Pi. rimettere a posto i suoi attrezzi su un carrello); b) di essersi
allontanati; c) di aver sentito delle grida;
- sicché l'incidente può essere così ricostruito: "Pi. esce dalla macchina e
comunica di aver terminato l'intervento. Rientra tuttavia nella macchina, senza
che gli altri se ne avvedano, evidentemente per fare qualcosa che aveva
dimenticato di fare; nel frattempo la macchina viene azionata";
- la ricostruzione dei fatti risulta confermata dalla circostanza, rilevata dal
CTU, che le viti di serraggio di un meccanismo della macchina non erano ben
avvitate, onde, secondo ragionevolezza, può ritenersi che Pi., ricordatosi che
non aveva serrato le viti, sia rientrato nella macchina per eseguire tale
operazione.
3 An.Ma., quale rappresentante dei figli minori, ha proposto appello con atto
notificato il 4.9.07, rassegnando le seguenti conclusioni (richiamate poi
all'udienza del 14.1.09): "(...) accogliere, in riforma della predetta sentenza,
la domanda e per l'effetto dichiarare la Ma.St.In. spa responsabile
dell'infortunio occorso al lavoratore Pi.Ri., e per l'effetto condannarla al
risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non mediante corresponsione della
somma che risulterà di giustizia in corso di causa, oltre gli interessi legali
con vittoria di spese, diritti ed onorari".
Si è costituita la Ma.St. spa, chiedendo il rigetto dell'appello.
Si sono costituite anche Ge.-Ko.Al.Ve. A. e Zu.In.It. spa, chiedendo il
rigetto dell'appello, con vittoria di spese.
4 - All'udienza del 14.1.09 la Corte ha riservato la decisione con termine di
sessanta giorni per le comparse conclusionali e di ulteriori venti giorni per le
memorie di replica, scaduto il 6.4.09.
5 - Sostiene l'appellante Ma. (pag. 2 dell'appello) che "è del tutto erronea la
ricostruzione dell'incidente operata dal Tribunale il quale sostiene che il sig.
Pi. dopo aver riavviato la macchina, si poneva, senza fermarla, al di sotto del
gruppo di cambio del rullo di raccolta, probabilmente nell'intento di completare
e/o perfezionare il suo intervento".
La deduzione è palesemente infondata, perché non è questa la ricostruzione
operata dal Tribunale, il quale non afferma affatto, ma - al contrario -
espressamente esclude che Pi. abbia riavviato la macchina e, senza fermarla, sia
entrato al suo interno.
La ricostruzione dell'incidente operata dal Tribunale coincide invece con le
seguenti affermazioni contenute alle pagg. 2-4 dell'atto di appello:
"l'operazione di manutenzione è avvenuta ad impianto fermo"; "sarebbe stato
impossibile eseguire la manutenzione richiesta al Pi. con gli organi della
macchina in movimento"; "il comando di avvio degli organi che hanno attinto il
Pi. è stato dato dall'armadio quadri oppure (...) dalla consolle commander,
distanti dalla posizione del Pi. rispettivamente di oltre 5 metri e 3 metri;
distanze che escludono di fatto l'intervento del Pi. su uno dei comandi"; "la
vittima non poteva provocare direttamente, operando da sola nella parte bassa
del gruppo avvolgitore, l'avvio di quel particolare meccanismo"; "l'evento si è
verificato in conseguenza di una errata manovra dell'operatore addetto
all'azionamento dei comandi elettrici"; "il meccanismo rotante non può muoversi
da solo, in quanto per il movimento è sempre necessario uno specifico comando
elettrico"; "l'unica possibilità logicamente configurabile è quella secondo cui
un altro soggetto, mentre il Pi. si trovava all'interno della macchina, l'abbia
messa in movimento azionando il relativo interruttore".
Dunque, la ricostruzione dell'incidente come operata dall'appellante e come
operata dal Tribunale coincide sui fatti salienti: Pi. entrò nella macchina
quand'era ferma; altri (verosimilmente un ignoto dipendente della Ma.) mise in
moto la macchina mentre Pi. era al suo interno.
La ricostruzione dell'incidente contenuta nelle pagg.2-4 dell'atto di appello
differisce da quella del Tribunale: a) nella parte in cui si attarda a
ipotizzare il mancato funzionamento della lampadina "che si accende quando il
cancello viene aperto con la macchina in movimento": deduzione del tutto
irrilevante, dal momento che Pi. aveva aperto il cancello (ed era entrato) a
macchina ferma; b) nella parte in cui ignora la circostanza (ritenuta invece dal
Tribunale) che Pi. fosse rientrato nella macchina (ancora ferma) subito dopo
aver comunicato ai colleghi che il suo lavoro era finito e dunque si poteva
accendere; c) nella parte in cui imputa all'ignoto, che alla consolle commander
azionò l'interruttore e accese la macchina, negligenza e/o imperizia.
Prima di esaminare i punti b) e c) testé evidenziati e prima di proseguire;
nell'analisi dell'atto di appello (pagg. 5-6), è opportuno ricordare che, ai
fini della validità dell'appello, non è sufficiente che l'atto di gravame
consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti
dell'impugnazione, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo
grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si
fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da
correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata, con la
conseguenza che, se da un lato il grado di specificità dei motivi non può essere
stabilito in via generale ed assoluta, dall'altro lato esso esige pur sempre che
alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata siano contrapposte quelle
dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime
(Cass., SS.UU., 20 settembre 1993 n. 9628).
Nel caso in esame, l'appellante non muove alcuna censura, non spende alcuna
argomentazione, contro quella parte della sentenza impugnata nella quale si
riportano le deposizioni di Ma.D.Lu. e Mi.An., i quali affermano di aver sentito
Ri.Pi. comunicare ad alta voce di aver finito il lavoro e che dunque la macchina
poteva essere rimessa in moto; e di avere An. perfino visto Pi. rimettere a
posto i suoi attrezzi su un carrello.
Nessun accenno l'appellante fa alle due deposizioni testimoniali, nessuna
argomentazione l'appellante sviluppa per confutare quella che il Tribunale ha
ritenuto essere l'unica ricostruzione dei fatti compatibile con le deposizioni
di D.Lu. e An.: "Pi. esce dalla macchina e comunica di aver terminato
l'intervento. Rientra tuttavia nella macchina, senza che gli altri se ne
avvedano, evidentemente per fare qualcosa che aveva dimenticato di fare; nel
frattempo la macchina viene azionata".
Da questa ricostruzione il Tribunale desume la nessuna colpa, la nessuna
negligenza o imperizia dell'ignoto operaio che, alla consolle commander, avviò
la macchina dopo aver sentito Pi. dire che la macchina poteva essere avviata.
L'esigenza di specificità dei motivi di appello (art. 342 c.p.c.) avrebbe
imposto all'appellante di spiegare: perché le deposizioni di D.Lu. e An. siano
false o inattendibili o irrilevanti; in che cosa sia consistita la negligenza o
imperizia dell'ignoto che, su conformi istruzioni dello stesso Pi., avviò la
macchina.
Ma su questo, nell'atto di appello, non c'è neppure una parola.
Qualcosa viene detto, invece, sulle viti (atto di appello, pag. 6), dal momento
che il Tribunale ipotizza che l'incauto rientro di Pi. nel macchinario sia stato
determinato dall'improvviso ricordo di non aver ben serrato alcune viti. Dice
l'appellante che ciò non è possibile perché le viti (ritratte in fotografie
allegate alla CTP Pi., ma non rinvenute in atti al momento della decisione) non
erano state neppure posizionate.
Sta di fatto che il CTU, a pag. 7 della sua relazione, parla di "bulloni ancora
lenti", sicché non è detto che le viti di cui parla l'appellante siano quelle di
cui parlano il CTU e il Tribunale.
L'appellante si duole poi che il Tribunale non abbia tenuto conto dell'art. 2087
c.c. - "l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le
misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono
necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori
di lavoro" - norma che implicherebbe "la responsabilità del datore di lavoro
ogni volta che un danno si sia verificato allorquando l'evento sia pur sempre
riferibile a colpa per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme
di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati" (atto
di appello, pag. 5).
Ma nel caso in esame l'appellante non ha concretamente individuato, né suggerito
nell'atto di gravame, quali obblighi di comportamento siano stati violati in
occasione dell'incidente mortale occorso a Ri.Pi. Della questione della
lampadina (e della sua irrilevanza rispetto all'evento) si è già detto. La colpa
dell'ignoto che azionò l'interruttore è stata motivatamente esclusa dal
Tribunale senza che l'appellante abbia speso una sola parola a confutazione di
tale motivazione.
Prosegue l'atto di appello (pag. 5) spiegando che "in caso di infortunio occorso
in occasione di lavoro, la responsabilità del datore di lavoro (è) esclusa solo
quando la condotta del dipendente abbia caratteri dell'abnormità o
dell'imprevedibilità".
Questa Corte è d'accordo; ma, secondo la ricostruzione del Tribunale - non
contestata specificamente dall'appellante - la condotta del povero Ri.Pi. -
comunicare che aveva finito il lavoro e la macchina poteva essere accesa, per
poi subito dopo rientrare nella macchina - fu proprio abnorme e imprevedibile.
Sostiene ancora l'appellante che, "quando il lavoratore attribuisca al datore di
lavoro una responsabilità ex art. 2087 c.c., egli non è gravato dell'onere di
provare le specifiche responsabilità del datore di lavoro in relazione alle
norme antinfortunistiche, essendo soltanto tenuto a fornire prova del danno che
ne è conseguito, del nesso eziologico e della nocività dell'ambiente di lavoro,
dovendo il datore di lavoro dimostrare di aver adottato tutte le cautele atte ad
evitare esperti o inesperti che siano, restino coinvolti in lavorazioni
pericolose".
La deduzione non è pertinente.
Una cosa è l'onere della prova, altra cosa è l'onere di allegazione: neppure
nell'atto di gravame l'appellante spiega quali violazioni di norme o di regole
(scritte o non scritte) il datore di lavoro abbia violato. Del resto,
l'appellante non ha allegato né provato la "nocività dell'ambiente di lavoro" e
non ha provato il nesso di causalità che riconduca il tragico evento a
violazioni di regole (quali?).
In ogni caso, l'istruttoria svolta in primo grado ha consentito di acquisire una
valutazione tecnica secondo la quale "l'insieme della linea (omissis) in cui è
inserito l'impianto terminale, c.d. cambio o traino avvolgitore", non presentava
"carenze normative circa la segnaletica, protezione o altre prescrizioni
generali per la prevenzione e sicurezza sul lavoro" (relazione CTU, pag. 7).
L'affermazione del CTU è dettagliatamente illustrata nel punto 8 della sua
relazione (pag. 7) e non è minimamente contraddetta dall'atto di gravame
(avendone l'appellante l'onere ai sensi dell'art. 342 c.p.c.).
La morte di Ri.Pi. fu determinata da un tragico errore umano: errore dello
stesso Pi., secondo la motivata ricostruzione del Tribunale.
L'appellante non ha neppure tentato di confutare tale ricostruzione, né ha
offerto una ragionevole e argomentata ricostruzione alternativa.
Ne consegue che l'appello va respinto.
Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente grado.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente decidendo sull'appello proposto da An.Ma., quale
rappresentante dei figli minori Ma. e No.Pi., nei confronti della Ma.St. spa e
in contraddittorio con la Ge.-Ko.Al.Ve. Ak. e la Zu.In.It. spa, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti, contro la sentenza del Tribunale di Isernia 21
luglio 2006 n. 448, così provvede:
a) rigetta l'appello;
b) compensa le spese di lite del presente grado.
Così deciso in Campobasso, il 30 giugno 2009.
Depositata in Cancelleria il 5 agosto 2009.