TRIBUNALE DI URBINO

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Urbino

in composizione monocratica

in persona del Giudice dr. Paolo Spaziani

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

Nel procedimento penale

CONTRO

C. N. , nato a (omissis)

Libero – Contumace

Difeso dall'Avv. Lucio Monaco, difensore di fiducia

I M P U T A TO

a) del delitto p. e p. dall'art. 589 I e II comma c.p. perché, in qualità di legale rappresentante della ditta “A.E. s.r.l.”, per colpa cagionava la morte del dipendente C. F. il quale, mentre stava effettuando lavori volti alla costruzione di una macchina complessa denominata “magazzino per tondini e greche”, rimaneva schiacciato con il corpo tra la struttura fissa e quella mobile del macchinario.

Con colpa generica consistita in imprudenza, imperizia, negligenza e colpa specifica consistita nella violazione dell'art. 2087 c.c. (in quanto, quale imprenditore, era tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa ogni misura idonea a tutela dell'integrità fisica dei prestatori di lavoro) nonché nelle violazioni delle norme di prevenzione infortuni sul lavoro previste dagli artt. 41 D.P.R. 547/55, 4 n. 2 D. L.vo 626/94, art. 35 nn. 1 e 2 D. L.vo 626/94 come indicate ai capi b) c) d) e).

b) della contravvenzione p. e p. dagli artt. 41 e 389 lett. c) D.P.R. 27.04.1955 n. 547 per avere, in qualità di legale rappresentante della ditta “A. E. s.r.l.”, omesso di proteggere gli elementi della macchina denominata “magazzino per tondini e greche” mediante l'adozione di misure di sicurezza;

c) della contravvenzione p. e p. dagli artt. 4 n. 2 e 89 n. 1 D.L.vo 19.09.1994 n. 626 per avere, in qualità di legale rappresentante della ditta “A. E. s.r.l.” omesso di effettuare e formalizzare in apposita relazione la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei dipendenti nel luogo di lavoro ed in particolare dello stabilimento di Canavaccio all'interno del quale operava C. F..

d) della contravvenzione p. e p. dagli artt. 35 n. 1 e 89 n. 2 lett. a) D. L.vo 19.09.1994 n. 626 per avere, in qualità di legale rappresentante della ditta “A. E. s.r.l.”, omesso di mettere a disposizione del lavoratore C. F., addetto all'allestimento e costruzione della macchina complessa denominata “magazzino per tondini e greche” attrezzature adeguate al lavoro da svolgere. In particolare l'attrezzatura necessaria al fine di consentire al dipendente l'effettuazione in sicurezza del montaggio dei cilindri pneumatici orizzontali, nella parte superiore della macchina.

e) della contravvenzione p. e p. dagli artt. 35 n. 2 89 n. 2 lett. a) D. L.vo 19.09.1994 n. 626 per avere, in qualità di legale rappresentante della ditta “A. E. s.r.l.”, omesso di organizzare l'intervento per la costruzione della macchina denominata “magazzino per tondini e greche” in maniera tale che lo stesso si svolgesse in sicurezza e senza pericolo per l'incolumità dei lavoratori dipendenti.

In Urbino il 3 settembre 1999.

Vi è costituzione di parte civile di C.P., C. S. e C. M., tutti rappresentati dall'Avv. Luigi Giglioni.

 

Vi è inoltre la costituzione del responsabile civile “A. E.” s.r.l., con il difensore, Avv. Maria Rosaria Panesi.

 

Con l'intervento del pubblico ministero (nella persona del Sost. Comm. P.S., Mario Baldari), del difensore delle parti civili costituite (nella persona dell'Avv. Luigi Giglioni), del difensore del responsabile civile (nella persona dell'Avv. Maria Rosaria Panesi) e del difensore dell'imputato (nella persona dell'Avv. Lucio Monaco).

CONCLUSIONI DELLE PARTI

Le parti hanno concluso nel seguente modo: il pubblico ministero chiede dichiararsi la responsabilità penale dell'imputato per il reato ascrittogli al capo a) della rubrica, con condanna dello stesso alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione.

Chiede emettersi pronuncia di non doversi procedere in ordine alle contravvenzioni di cui ai capi b) , c) , d) ed e) della rubrica, per essere le stesse estinte per prescrizione.

Chiede infine che venga disposta la trasmissione degli atti al suo ufficio per le determinazioni di competenza in ordine alle dichiarazioni rese dal teste R. G..

Il difensore delle parti civili conclude come da richieste scritte che deposita unitamente alla nota spese.

Il difensore del responsabile civile invoca l'assoluzione dell'imputato e il conseguente rigetto della domanda di risarcimento del danno formulata dalle parti civili.

Il difensore dell'imputato ne chiede l'assoluzione.

ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DELLA DECISIONE

N. C. è stato tratto a giudizio dinanzi a questo Giudice per rispondere del delitto e delle contravvenzioni indicati in rubrica.

All'esito dell'istruttoria dibattimentale, l'imputato deve essere assolto dal delitto di cui al capo a) dell'imputazione perché il fatto non costituisce reato e dalle contravvenzioni di cui ai capi b) , c) , d) ed e) dell'imputazione perché i fatti non sussistono.

Il teste C.P., ispettore della ASL di Urbino, ha dichiarato che, in data 3 settembre 1999, aveva effettuato un intervento presso lo stabilimento di Canavaccio della “A. E.” s.r.l. (società legalmente rappresentata da N. C. ed avente ad oggetto la costruzione di prototipi per la movimentazione di tondini di ferro), ove F. C. , dipendente della società e fratello dell'imputato, aveva subìto in occasione di lavoro un infortunio mortale.

Il teste, che aveva personalmente veduto il corpo di F. C. riverso a terra e ormai privo di vita, ha al riguardo spiegato che quest'ultimo, al momento dell'infortunio, stava provvedendo all'assemblaggio di una macchina denominata “magazzino per tondini e greche” (la quale era ancora in fase di montaggio), e che, durante lo svolgimento di questa attività, era rimasto schiacciato tra la parte fissa della macchina ed una sbarra mobile orizzontale (cfr. ff. 1-32 del verbale d'udienza del 25 febbraio 2003).

Il teste C. B., che aveva svolto l'ufficio di ausiliario di Polizia Giudiziaria su incarico del P., ha riferito con maggiore chiarezza sia sulla funzione della macchina in corso di allestimento, sia sullo stato di realizzazione della medesima, sia, infine, sulla dinamica dell'infortunio.

Con riguardo alla funzione della macchina, il B. ha riferito che si trattava di un macchinario per lo spostamento dei tondini, composto da una struttura mobile orizzontale e da una struttura mobile verticale, entrambi scorrevoli su guide meccaniche e dotate di pinze pneumatiche.

Attraverso queste pinze avrebbero dovuto essere prelevati i tondini, i quali, dopo essere stati trasportati, dapprima in orizzontale e poi in verticale, avrebbero dovuto essere lasciati cadere su una rulliera che li avrebbe condotti ad altre macchine.

Con riguardo allo stato di realizzazione del macchinario, il B., dopo aver premesso che le strutture mobili erano azionate da cilindri pneumatici (contenenti steli montati sulla testata anteriore) comandati con elettrovalvole, ha chiarito che il montaggio della macchina non era stato ancora terminato al momento dell'infortunio, in quanto, se da un lato era stato compiutamente realizzato il circuito pneumatico, dall'altro risultava completamente mancante l'impianto elettrico, e lo stesso assemblaggio della struttura orizzontale non era stato completato, atteso che non era stato ancora effettuato il collegamento dei cinque cilindri alla sbarra traslante.

La mancanza dell'impianto elettrico – ha ulteriormente spiegato il B. – comportava che le elettrovalvole non avrebbero potuto essere comandate elettricamente, ma soltanto manualmente, e cioè girando con un apposito cacciavite a lama piatta la relativa vite, provocando l'immissione di aria nel circuito, e determinando in tal modo l'apertura dei cilindri e lo scorrimento degli steli in essi contenuti.

Con riguardo, infine, alla dinamica dell'infortunio, il B. ha dichiarato che F. C. , al momento dell'incidente, era verosimilmente impegnato o in una prova del funzionamento della macchina o nel completamento del montaggio della struttura mobile orizzontale, attraverso il collegamento dei cilindri alla sbarra traslante.

Poiché i cinque cilindri e la sbarra si trovavano ad un'altezza di oltre due metri da terra, il C. si era avvalso dell'ausilio di una scala a libretto, che aveva posizionato sotto il macchinario.

Salendo sui primi gradini di questa scala, egli si era posizionato tra la struttura fissa della machina e i cilindri medesimi, in modo da potere facilmente attingere gli stessi e fissarli alla sbarra traslante.

Al momento dell'incidente – ha spiegato l'ausiliario di PG – il C. aveva già avvitato i dati di riscontro meccanico sugli steli dei cilindri, ed era in procinto di inserire gli steli medesimi negli appositi fori posti lungo la superficie della sbarra traslante (operazione alla quale avrebbe dovuto seguire quella di avvitamento sulla struttura filettata degli steli dei corrispondenti dadi di bloccaggio, che avrebbero impedito agli steli medesimi di fuoriuscire dai fori, e che erano già stati preparati sopra la struttura).

In mancanza dell'impianto elettrico (e nella conseguente impossibilità di comandare le elettrovalvole a distanza) il lavoratore avrebbe dovuto intervenire manualmente su ogni singolo stelo, sbloccandolo dal corrispondente cilindro ed allungandolo fino a consentirne l'entrata con la struttura filettata negli appositi fori ricavati lungo la sbarra orizzontale.

Anziché operare manualmente su ogni singolo stelo – ha concluso l'ausiliario di PG – , il C. aveva invece deciso di provocarne lo scorrimento mediante l'immissione di aria nel circuito pneumatico (immissione che aveva ottenuto attraverso il provvisorio collegamento al macchinario di un compressore presente nei locali dell'azienda) e mediante l'azionamento manuale dell'elettrovalvola.

Nel momento in cui, operando dai gradini della scala (e trovandosi, come detto, in posizione intermedia tra i cilindri e la struttura fissa della macchina), aveva girato con il cacciavite la vite posta sull'elettrovalvola, si era però verificato, a causa dell'aria immessa nel circuito, un repentino e veloce allungamento degli steli contenuti nei cilindri, i quali avevano spinto di colpo e con forte violenza la sbarra orizzontale in avanti, determinando il mortale schiacciamento dell'operaio tra la sbarra medesima e la struttura fissa del macchinario (cfr. ff. 33-58 del verbale di udienza del 25 febbraio 2003; v. anche la relazione tecnica a firma di C. B., depositata alla medesima udienza).

Con particolare riferimento alla posizione assunta dal lavoratore, il B. ha poi aggiunto che, ai fini di mettere in azione l'elettrovalvola operando sulla vite, non era necessario che il lavoratore si ponesse all'interno della struttura del macchinario, potendo posizionare la scala anche in modo da rimanere all'esterno della stessa.

In tal modo – ha chiarito l'ausiliario di PG – l'operaio avrebbe certamente raggiunto in modo più disagevole l'elettrovalvola, ma avrebbe ugualmente potuto svolgere l'operazione di girane la vite, senza correre il rischio di rimanere incastrato nella macchina (cfr., su tale punto, in particolare, i ff. 38 e 39 del verbale d'udienza del 25 febbraio 2003).

Il teste C.P. ha dichiarato che la “A. E.” s.r.l. aveva due stabilimenti, l'uno situato a Fossombrone e l'altro situato a Canavaccio.

In quest'ultimo stabilimento – ha chiarito il teste – non si svolgevano, tuttavia, lavorazioni particolari rispetto a quelle effettuate nella sede di Fossombrone, e la ragione della sussistenza di due distinte unità produttive era dovuta unicamente a ragioni di spazio, in quanto le limitate dimensioni del capannone di Fossombrone non consentivano di procedere all'allestimento di macchinari di rilevanti dimensioni, sicché la società aveva deciso di aprirne uno più grande a Canavaccio.

In occasione dell'apertura di tale nuova unità produttiva, non era stata peraltro aggiornata la relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, la quale era stata elaborata esclusivamente in relazione allo stabilimento di Fossombrone (ff.4-5 verbale d'udienza del 25 febbraio 2003).

Il teste R. G., dipendente della “A. E.” s.r.l., ha dichiarato che la realizzazione di prototipi del genere di quello presso il quale F. C. aveva subìto l'infortunio (e sia pure aventi tra loro caratteristiche di volta in volta differenti in ragione delle diverse esigenze delle imprese committenti) rientrava nella normale attività produttiva della società (f.5 verbale d'udienza del 29 aprile 2003); che tali prototipi erano di massima progettati da lui personalmente, mentre il C. si occupava da solo, sia pure sotto le sue direttive, di assemblare i vari pezzi dopo che erano arrivarti dai fornitori (ff.6-9 e 47-48 verbale d'udienza del 29 aprile 2003); e che in precedenza il C. aveva già montato circa una dozzina di macchinari dotati di elettrovalvole (ff.11-12 verbale d'udienza del 29 aprile 2003).

Dalla documentazione fotografica e dalle copie delle fatture depositate all'udienza del 29 aprile 2003 risulta poi che la A. E. usava costruire e vendere macchinari forniti di impianto pneumatico e di elettrovalvole sin dagli anni 1994–1995, mentre dalla copia del libretto di lavoro della vittima (acquisita alla precedente udienza del 25 febbraio 2003) risulta che F. C. era dipendente della società sin dal 22 maggio 1992.

Alla luce di tali riscontri istruttori deve anzitutto avanzarsi quanto meno il dubbio sulla sussistenza delle contravvenzioni ipotizzate ai capi b) , c) , d) ed e) dell'imputazione, contestate all'imputato, nella sua qualità di legale rappresentante della “A. E.” s.r.l., non solo quali autonomi illeciti, ma anche quali distinti profili di colpa specifica in relazione al delitto di cui al capo a) .

La disposizione contenuta nell'art.41 DPR 27 aprile 1955 n.547 (la cui violazione è punita ai sensi dell'art. 389, lett. c , del DPR medesimo), richiede che gli elementi delle macchine, quando costituiscono un pericolo, devono essere protetti o segregati o provvisti di dispositivi di sicurezza.

Da un lato, dunque, essa disposizione fa riferimento alle macchine che vengono utilizzate nello svolgimento dell'attività produttiva dell'impresa e che costituiscono pertanto lo strumento di cui si avvale il dipendente nello svolgimento della sua attività lavorativa.

Dall'altro lato, essa trova applicazione in relazione agli elementi delle macchine che, per il movimento svolto durante la lavorazione, possono costituire una fonte di pericolo per il lavoratore addetto alla macchina medesima.

Appare dunque quanto meno dubbia l'applicabilità della predetta disposizione al caso di specie, sia perché la macchina al cui assemblaggio era addetto F. C. non costituiva lo strumento ma il prodotto della sua lavorazione (prodotto, tra l'altro, che era ancora in fase di realizzazione e che dunque ben poteva ancora risultare mancante di tutti i dispositivi, ivi compresi gli eventuali dispositivi di sicurezza, che avrebbe invece dovuto avere nel momento in cui fosse stata utilizzata nel processo produttivo), sia perché gli organi della stessa, e segnatamente quelli sui quali la vittima era intervenuta al momento dell'infortunio, erano allo stato organi inerti (per la cui movimentazione era necessario un apposito intervento manuale del lavoratore addetto al montaggio) e non costituivano ex se una fonte di pericolo per il lavoratore medesimo.

Dubbia è anche la sussistenza della violazione della disposizione contenuta nell'art.4, co.2, D.Lgs. 19 settembre 1994 n.626 (sanzionata dall'art.89, co.1, stesso decreto legislativo), la quale impone al datore di lavoro di effettuare una formale relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro.

Benvero, infatti, una tale relazione era stata debitamente effettuata dalla “A. E.”, per il tramite dell'Istituto di Ricerche Agrindustria sr.l., in data 8 aprile 1997 (cfr. la copia della relazione medesima depositata all'udienza del 25 febbraio 2003), e la circostanza che in essa non si facesse menzione dello stabilimento di Canavaccio (ma soltanto di quello di Fossombrone) deve essere ridimensionata alla luce dell'identità dei processi produttivi svolti nelle due diverse sedi.

Senz'altro insussistenti devono poi ritenersi le contravvenzioni previste dall'art.35, commi 1 e 2, D.Lgs. 19 settembre 1994 n.626 (e punite dall'art.89, co.2, lett. a , stesso decreto legislativo).

Benvero, una volta accertato che F. C. svolgeva le mansioni di operaio addetto al montaggio delle macchine prodotte dalla “A. E.” s.r.l., non può sostenersi né che il datore di lavoro avesse omesso di mettergli a disposizione attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ed idonee ai fini della sicurezza e della salute, né che avesse omesso di attuare le misure tecniche ed organizzative adeguate perché la costruzione delle macchine si svolgesse senza pericolo per l'incolumità del lavoratore.

Sotto il primo profilo va infatti evidenziato che la presunta inadeguatezza della scala a libretto utilizzata dall'operaio (a tale specifico utensile, pur nella genericità della contestazione, sembra aver fatto concreto riferimento la pubblica accusa, nel momento in cui, in sede di esame del consulente tecnico della difesa, ha sostenuto la necessità che il C. fosse dotato di una apposita impalcatura che gli consentisse di attingere la vite dell'ellettrovalvola senza porsi in posizione intermedia tra la struttura mobile e quella fissa del macchinario, e senza dunque correre il rischio di rimanere schiacciato: cfr. ff. 9-11 verbale d'udienza del 28 settembre 2004) risulta smentita sia dalle dichiarazioni specificamente rilasciate sul punto dall'ausiliario di PG C. B. (che ha invece evidenziato come, anche operando dalla scala, il lavoratore avrebbe potuto, ancorché in modo meno agevole, raggiungere dall'esterno la vite dell'elettrovalvola), sia dal complesso dei riscontri istruttori relativi alla struttura del macchinario (dai quali può desumersi che il maggiore disagio connesso con il compimento dall'esterno dell'operazione volta a girare la vite, era dovuto alla conformazione della macchina e non avrebbe potuto essere ovviato dall'utilizzo di un utensile diverso dalla scala a libretto concretamente adoperata).

Sotto entrambi i profili, va inoltre evidenziato che le mansioni svolte dal C. non ne richiedevano un intervento diretto sulla vite dell'elettrovalvola, per modo che non può rimproverarsi al datore di lavoro di non aver attuato misure tecniche ed organizzative (e di non aver messo a disposizione attrezzature) adeguate ad un simile intervento.

Il dubbio circa la sussistenza delle contravvenzioni contestate ai capi b) , c) , d) ed e) dell'imputazione imporrebbe già di per sé di pervenire ad una pronuncia assolutoria, sia con riguardo alle contravvenzioni medesime (per la materiale insussistenza delle condotte omissive rimproverate all'imputato), sia con riguardo al delitto di omicidio colposo (per mancanza degli specifici profili di colpa specifica ipotizzati nell'imputazione).

Quand'anche tuttavia si volesse ammettere la sussistenza delle predette condotte omissive del datore di lavoro, dovrebbe comunque escludersi la sussistenza del necessario nesso causale tra le stesse e la morte del lavoratore.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza lavoristica di legittimità (maturato in sede di interpretazione dell'art.2087 c.c.), l'imprenditore è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'esorbitanza, atipicità od eccezionalità (da valutare anche in considerazione dell'esperienza lavorativa del dipendente medesimo) rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, o comunque si concretizzi nell'inosservanza di precisi ordini esecutivi o di disposizioni di sicurezza, così da porsi come causa esclusiva dell'evento (cfr. già Cass., Sez. lav., 11 ottobre 1979 n.5315; più recentemente, Cass., Sez. lav., 17 febbraio 1998 n.1687; Cass., Sez. lav., 17 febbraio 1999 n.1331; Cass., Sez. lav., 13 ottobre 2000 n.13690; Cass., Sez. lav., 21 maggio 2002 n.7454).

Tale orientamento, sebbene maturato nell'ambito dell'elaborazione giurisprudenziale della teoria della responsabilità civile ( sub specie di responsabilità contrattuale) del datore di lavoro, deve essere seguito anche ai fini della formulazione del giudizio circa la responsabilità penale per i reati di lesioni od omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, sia perché l'indagine circa la sussistenza del nesso di causalità in sede penale deve essere necessariamente più rigorosa di quanto non lo sia in sede civile, sia perché esso trova fondamento proprio nella trasposizione, in sede civile (sede nella quale non si rinviene una disciplina specifica del rapporto di causalità: cfr. gli artt.1223 e 2056 c.c.), della disposizione penalistica contenuta nell'art.41, 2° comma, c.p., individuandosi nel “rischio elettivo” arbitrariamente assunto dal lavoratore infortunato una causa sopravvenuta efficiente esclusiva dell'evento.

Applicando allora queste considerazioni di carattere generale al caso di specie, e tenendo conto dei suesposti riscontri istruttori, deve ritenersi che F. C. , nello svolgimento delle mansioni di montaggio della macchina per tondini e greche cui era stato adibito, avrebbe dovuto limitarsi, per provvedere al collegamento dei cilindri alla sbarra traslante, ad intervenire manualmente su ogni singolo stelo, sbloccandolo dal corrispondente cilindro, allungandolo fino a consentirne l'entrata nell'apposito foro, ed infine bloccandolo con l'apposito dado di fissaggio già preparato.

Il diverso contegno volto a provocare lo scorrimento degli steli mediante l'immissione di aria nel circuito pneumatico e mediante l'azionamento manuale dell'elettrovalvola da una posizione di pericolo (contegno non richiesto dal normale svolgimento delle mansioni affidategli e non reso necessario dalle concrete circostanze della lavorazione), va pertanto qualificato (specie se si tenga conto della particolare esperienza del lavoratore, che era in forze presso l'azienda sin dal 1992 ed aveva già provveduto, in qualità di unico addetto al montaggio, alla costruzione di numerose macchine dello stesso genere, e nel quale deve quindi presumersi una adeguata conoscenza del funzionamento dei dispositivi impiegati, ed in particolare delle elettrovalvole) alla stregua di un comportamento non solo colposo, ma inopinato e imprevedibile, e tale dunque da escludere il nesso causale tra l'eventuale omissione del datore di lavoro e l'evento dannoso subito dal lavoratore.

N. C. , nella sua qualità di rappresentate legale della “A. E.” s.r.l. deve dunque essere assolto dal delitto ascrittogli perché il fatto non costituisce reato, mentre non sussistono, per quanto si è sopra rilevato, le fattispecie contravvenzionali contestategli.

Alla luce di tale giudizio, infine, non sussistono i presupposti per disporre la richiesta trasmissione degli atti all'ufficio del pubblico ministero (invocata in funzione di valutare l'eventuale responsabilità penale del teste R. G., dopo che lo stesso aveva dichiarato di essere un superiore gerarchico di F. C. e di impartirgli ordini e direttive sul lavoro da svolgere), ferma restando, ovviamente, la possibilità per il pubblico ministero medesimo (cui sarà comunicata la presente sentenza) di procedere autonomamente all'esercizio dell'azione penale ove ne ritenga sussistenti i presupposti.

P.Q.M.

Visto l'art. 530 c.p.p.,

assolve N. C. dal delitto di cui al capo a) dell'imputazione perché il fatto non costituisce reato e dalle contravvenzioni di cui ai capi b) , c) , d) ed e) dell'imputazione perché i fatti non sussistono.

Visto l'art.544, comma 3, c.p.p.,

indica in giorni 60 il termine per il deposito della motivazione della presente sentenza.

Urbino 5 ottobre 2004

IL GIUDICE

Paolo Spaziani