Cassazione Penale, Sez. 7, 22 settembre 2016, n. 39420 - Reati in materia di sicurezza: violazioni eliminate ma pagamento non avvenuto. Ricorso inammissibile


Presidente: GRILLO RENATO Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA Data Udienza: 06/06/2016

Fatto
 

1. - Il Tribunale ha condannato l'imputato alla pena dell'ammenda, per una serie contravvenzioni alla normativa sulla sicurezza sul lavoro (fatti accertati il 5 marzo 2010).
2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo: 1) vizi della motivazione in relazione alla responsabilità penale, che sarebbe stata ritenuta sussistente sulla base di una consulenza tecnica redatta nell'ambito di un altro procedimento, relativo a fatti antecedenti a quelli oggetto del presente procedimento; consulenza tecnica che sarebbe stata presa quale base per gli accertamenti dei funzionari della Asl competente; 2) l'intervenuta prescrizione dei reati, alcuni dei quali commessi nel 2009.
Con memoria depositata il 31 maggio 2016, la difesa ha proposto motivi aggiunti, con i quali sostiene l'identità dell'oggetto del presente procedimento con un procedimento definito con sentenza del Tribunale di Benevento del 23 maggio 2016, con cui l'imputato era stato assolto "perché il fatto non sussiste".
 

Diritto


3. - Il ricorso è inammissibile.
Quanto alla prova della responsabilità penale, è sufficiente qui rilevare che la stessa è rappresentata da quanto direttamente accertato dal funzionario della Asl che ha proceduto alla verifica dello stato dei luoghi, riscontrando violazioni della normativa in materia di sicurezza sul lavoro ed emettendo il relativo verbale di prescrizioni. Tali accertamenti trovano conferma anche nelle deposizioni dei testimoni escussi. La relazione di consulenza tecnica redatta dall'ing. P. risulta, pertanto, solo uno degli elementi di prova a carico, e costituisce la mera conferma di quanto già aliunde accertato. Nel caso in esame, peraltro, l'imputato aveva integralmente eliminato le violazioni riscontrate, pur non avendo poi proceduto al pagamento della somma a cui era stato ammesso in via amministrativa.
Quanto alla dedotta prescrizione del reato, è sufficiente qui rilevare che la difesa ha genericamente richiamato, quale tempus commissi delicti di alcune delle contravvenzioni contestate, il 27 maggio 2009, ma non ha considerato la sospensione del termine di prescrizione nella pendenza del termine di 90 giorni per l'adempimento delle prescrizioni imposte dalla Asl, ai sensi dell'art. 23 del d.lgs. n. 758 del 1994. Considerando tale periodo di sospensione, la sentenza impugnata, pronunciata il 2 luglio 2014, risulta ampiamente successiva alla decorrenza del termine di cinque anni per i reati contravvenzionali più risalenti, commessi, appunto, il 27 maggio 2009. In presenza di un ricorso inammissibile, quale quello in esame, trova dunque applicazione il principio, costantemente enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione, è preclusa dall'Inammissibilità del ricorso per cassazione, anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi, che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione (ex plurimis, sez. 3, 8 ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n. 4).
L'inammissibilità della doglianza proposta con il ricorso principale si estende ai motivi nuovi, ai sensi dell'art. 585, comma 4, cod. proc. pen. Né questa Corte potrebbe procedere, in ogni caso, alla valutazione della pretesa identità dell'oggetto del presente procedimento con quello di altro procedimento - asseritamente conclusosi con sentenza di assoluzione - trattandosi di valutazioni di fatto precluse in sede di legittimità.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00.
 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2016.