Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 31 agosto 2016, n. 17457 - Rivalutazione contributiva dei periodi di esposizione ad amianto


Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: ARIENZO ROSA Data pubblicazione: 31/08/2016

 

FattoDiritto


La causa è stata chiamata all'adunanza in camera di consiglio del 23 giugno 2016, ai sensi dell'art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell'art. 380 bis c.p.c.:
“La Corte di appello di Perugia respingeva il gravame proposto da G.C. avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile, per intervenuta decadenza, il ricorso proposto dal predetto inteso ad ottenere il diritto alla rivalutazione contributiva dei periodi di esposizione ad amianto.
Rilevava la Corte che era incontroverso che nel caso esaminato il ricorrente aveva proposto domanda amministrativa l’8.6.2005 e che il procedimento amministrativo avrebbe dovuto concludersi entro il 4.4.2006, da tale data decorrendo il termine di tre anni per la proposizione della domanda giudiziale. Essendo stato il ricorso proposto il 14.9.2009, la stessa era stata correttamente ritenuta tardiva. Per la cassazione di tale decisione ricorre il G.C. affidando l'impugnazione ad unico motivo, cui resiste, con controricorso, l’INPS. E l’inail ha depositato procura speciale in calce al ricorso notificato. Deduce il ricorrente violazione dell’art. 13, comma 8, della legge 257/92 e dell’art. 47 DPR 639/70 e ss. modificazioni ed interpretazioni, sostenendo l’erroneità della decisione che aveva ritenuto rivalutabile non già l’ammontare dei singoli ratei , ma i contributi necessari al calcolo della pensione. Rileva che il ricalcolo della prestazione pensionistica di cui si domanda la rideterminazione, nella diversa ipotesi di mancato od omesso riconoscimento del proprio diritto a detta prestazione, non può essere soggetto alla decadenza ex art. 47 dpr 639/70, sussistendo un termine autonomo di decadenza previsto dall’art. 47 comma 5 del DL 269/2003.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Questa Corte, decidendo numerose analoghe controversie (cfr., in particolare, Cass. sent. n. 12685 del 2008 e nn. 3605, 4695 c 6382 del 2012; ord. nn. 7138, 8926, 12052 del 2011, n. 1629 del 2012) si è espressa affermando il principio che la decadenza dall'azione giudiziaria prevista dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 (convertito nella L. n. 438 del 1992) trova applicazione anche per le controversie aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all'amianto, siano esse promosse da pensionati ovvero da soggetti non titolari di alcuna pensione.
Alla tesi dell'attuale ricorrente - che vorrebbe escluse dall'applicazione delle disposizioni legislative sulla decadenza le domande giudiziarie dei già pensionati, giusta i principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 12720/2009, in quanto finalizzate non al conseguimento del trattamento di pensione, bensì all'incremento di quello già liquidato - può obiettarsi che, con la domanda per cui è causa, non si fa valere il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica, ovvero alla rivalutazione dell'ammontare dei singoli ratei, in quanto erroneamente (o ingiustamente) liquidati in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto a un beneficio che, seppure previsto dalla legge "ai fini pensionistici" e ad essi, quindi, strumentale, è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli in presenza dei quali era sorto (o sarebbe sorto) - in base ai criteri ordinari - il diritto al trattamento pensionistico (basti pensare che l'esposizione all'amianto e la sua durata sono "fatti" la cui esistenza è conosciuta soltanto dall'interessato, tenuto, pertanto, a portarli a conoscenza dell'ente previdenziale attraverso un' apposita domanda amministrativa e a darne dimostrazione).
Resta da aggiungere che è alla data di tale domanda - necessaria anche nel regime precedente l'entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, art. 47 (convertito nella L. n. 326 del 2003) - che deve aversi riguardo ai fini della verifica della tempestività dell'azione giudiziaria.
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, osservando che l'assicurato era decaduto dal diritto e dall'azione per avere depositato il ricorso giudiziario il 14 settembre 2009, ben oltre il decorso del termine di tre anni e trecento giorni (art. 7 legge n. 533/73 e art. 46 1. 88/1989) dalla data dì presentazione della domanda amministrativa all'INPS (8 giugno 2005).
Alla stregua di tali considerazioni, potendo il ricorso essere deciso in sede camerale, se ne propone il rigetto”. 
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.
Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sul rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio di legittimità cedono a carico del ricorrente e si liquidano, in favore della parte costituita, come da dispositivo.
Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 qua ter del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
Il rigetto dell’impugnazione comporta che venga disposto in conformità alla richiamata previsione.
 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%. 
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater; del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, in data 23.6.2016