Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 17 novembre 2016, n. 48815 - Malattia professionale dell'operaia di una ditta di abrasivi. Omissione della predisposizione di guanti idonei ad evitare il contatto con agenti chimici


 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: GIANNITI PASQUALE Data Udienza: 19/10/2016

 

Fatto

1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza impugnata, in punto di affermazione di penale responsabilità, ha confermato la sentenza emessa in data 20/2/2015 dal Tribunale di Monza, con la quale S.L.A. era stato dichiarato colpevole del delitto di lesioni personali colpose, commesse ai danni di F.A. e aggravate dalla violazione della normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (fatto accertato il 17/11/2010), con condanna alla pena di euro 600 di multa; ma, in riforma della suddetta sentenza, ha concesso all'imputato il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale (oltre a correggere il dispositivo, mediante la eliminazione delle parole "di mesi otto").
2. Avverso la suddetta sentenza, tramite difensore di fiducia, propone ricorso l'imputato, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione di penale responsabilità, in punto di mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis c.p., nonché in punto di mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
2.1. Sotto il primo profilo, il ricorrente deduce che la Corte territoriale aveva motivato argomentando sulla sentenza del giudice del lavoro, senza considerare che la stessa non era mai stata acquisita e che non risultava acquisito agli atti alcun elemento attestante la contestata malattia professionale (al di fuori di una certificazione Inail che concedeva 3 giorni di malattia); osserva che gli atti del procedimento civile erano stati erroneamente utilizzati in appello, in quanto erano stati acquisiti (su richiesta del suo difensore) esclusivamente ai fini della valutazione della richiesta di esclusione della parte civile, e, d'altra parte, non era stata prodotta o disposta alcuna consulenza tecnica in punto di sussistenza dei disagi lamentati e di riconducibilità causale degli stessi alle mansioni svolte dalla persona offesa; aggiunge che la Corte non aveva né provveduto sulla richiesta di declaratoria di non doversi procedere per difetto di querela, previa qualificazione del fatto come violazione dell'art. 590 comma 1.
2.2. Quanto poi alla causa di non punibilità prevista dal vigente art. 131 bis c.p., il ricorrente si lamenta del fatto che la Corte, nel rigettare la richiesta formulata in tal senso, aveva sostenuto che la tolleranza mostrata a lungo nel consentire che la lavorazione avvenisse a mani nude rappresentava elemento ostativo all'applicabilità dell'istituto, senza tuttavia considerare che il beneficio previsto dalla norma in esame è applicabile anche ai reati permanenti o ad efficacia permanente.
2.3. Infine, quanto alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, il ricorrente si lamenta che la Corte non aveva tenuto presente il suo stato di incensuratezza, l'assoluta episodicità del fatto, l'avvenuto integrale risarcimento del danno stabilito in sede civile. In maniera incomprensibile la Corte avrebbe ritenuto nel suo la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, atteso che si tratta di beneficio di cui avrebbe potuto usufruire anche un'altra volta.
 

Diritto


1. Il primo motivo di ricorso, concernente l'affermazione di penale responsabilità, è infondato.
1.1.Il Tribunale di Monza - dopo aver richiamato gli esiti della ispezione effettuata in data 17/11/2010 presso la sede operativa della società SLF Abrasivi di Paderno Dugnano (di cui l'odierno imputato era amministratore unico e che aveva per oggetto sociale l'attività di produzione e vendita di abrasivi di ogni genere) - ha puntualmente riportato le dichiarazioni rese da F.A. (dipendente della suddetta società, in qualità di operaia) in punto di: a) mansioni svolte (dapprima, nel 1991, come addetta allo smontaggio/scarico dei carrelli; e poi, sino al 2010, come addetta alla produzione di dischi lamellari); b) protezioni di cui disponeva (soli guanti in gomma, in lattice, fragili, in quanto si rompevano con l'abrasivo, ragion per cui lei stessa si era comprata dei guanti di cotone in modo da proteggersi le mani da arrossamenti e sanguinamenti).
Quindi, il Giudice di primo grado ha osservato che le dichiarazioni rese dalla persona offesa avevano ricevuto sostanziale conferma dalla deposizione resa dalla dott.ssa S., medico del lavoro, all'epoca dei fatti dipendente Asl, che aveva effettuato l'ispezione. Quest'ultima aveva riferito che i problemi subiti dalla F.A. derivavano essenzialmente dall'utilizzo di guanti inadeguati in alcune fasi della lavorazione (e precisamente in quella dello sostituzione del fusto, che conteneva la resina), che la esponevano a contatto cutaneo diretto non occasionale con resine epossidiche; aveva aggiunto che nel documento aziendale di valutazione del rischio era stata forse presa in considerazione la possibilità di inalazione di resine epossidiche ma non era stata certo presa in considerazione la possibilità di contatto con la suddetta sostanza e inoltre non erano state analizzate tutte le fasi del ciclo produttivo; aveva precisato che, per quanto verificato nel corso dell'ispezione, alla F.A. non erano state impartite informazioni sufficienti in ordine ai rischi delle lavorazioni di cui si occupava e neppure le era stata impartita una formazione adeguata al riguardo. Infine, secondo il Giudice di primo grado, anche la teste M., medico del lavoro, all'epoca ancora in servizio presso il Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro dell'ASL di Milano, aveva confermato che l'odierno imputato, a seguito delle contestazioni che gli erano state mosse, aveva ottemperato alle prescrizioni che gli erano state impartite.
1.2. E la Corte territoriale ha preliminarmente dato atto che già con sentenza 17/11/2012 del giudice del lavoro del Tribunale di Monza era stato accertato il nesso eziologico tra la patologia contratta da F.A. e l'attività lavorativa dalla stessa svolta. Detta sentenza è stata correttamente utilizzata dalla Corte di merito per la decisione in considerazione del fatto che, in virtù del generale principio di acquisizione processuale, ogni singolo elemento, una volta acquisito al processo, può essere utilizzato dal giudice per la decisione (ovviamente, salvo preclusione di legge). D'altra parte, dal verbale dell'udienza, svoltasi in data 4 luglio 2013 davanti al Tribunale di Monza - verbale che la Corte esamina a motivo della natura processuale del rilievo svolto - risulta soltanto che il difensore aveva chiesto l'esclusione della parte civile ed aveva prodotto documentazione a sostegno della propria richiesta, ma non risulta affatto che il difensore avesse inteso (illegittimamente) limitare l'utilizzo dell'atto prodotto.
Inoltre, la Corte di merito ha rilevato che le risultanze del procedimento civile accedevano ad un elemento probatorio del tutto coerente, costituito dalla deposizione del medico del lavoro dott.ssa S., e comportavano l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato per il reato ascrittogli, essendo lo stesso venuto meno all'obbligo di protezione dell'Incolumità del lavoratore e all'obbligo di controllo delle fonti di pericolo con cui il lavoratore poteva venire a contatto nell'espletamento della propria attività.
Infine, in punto di procedibilità del reato, la Corte distrettuale ha anche osservato che, proprio come risultava dalla sentenza del giudice del lavoro, il consulente d'ufficio aveva accertato una riduzione della capacità lavorativa generica nella misura del 4-5%, cioè in misura modesta ma tale da superare la soglia temporale di 40 giorni (al di sotto della quale le lesioni sono procedibili d'ufficio).
1.3. In definitiva, in presenza di una duplice motivazione di merito, convergente ed ampiamente motivata, la doglianza proposta dal ricorrente lambisce la soglia della inammissibilità: la natura professionale della malattia, la quotidianità dell'esposizione della lavoratrice alle resine epossidiche, la tolleranza a lungo mostrata dal ricorrente (dapprima, nel mancato uso da parte della lavoratrice di guanti durante la lavorazione; e, poi, nell'uso di guanti non idonei) - con motivazione ineccepibile, da un punto di vista logico e giuridico - sono stati ritenuti indicativi del fatto l'imputato, nell'esercizio della sua attività di impresa, era venuto meno alla sua posizione di garanzia, sia rispetto al l'obbligo di protezione dell'incolumità della lavoratrice, sia rispetto all'obbligo, concorrente e complementare, di controllo delle fonti di pericolo, con le quali la lavoratrice poteva venire a contatto nell'espletamento della propria attività.
2. Infondato è anche il secondo motivo, concernente il mancato riconoscimento della ipotesi di lieve entità.
Come è noto, i presupposti applicativi dell'istituto, soltanto di recente introdotto nel nostro ordinamento (è stato introdotto con l'art. 1, comma 2, d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28), sono due: la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. Si tratta di requisiti - il primo (di natura oggettiva) riguardante il fatto di reato e il secondo (di natura più soggettiva) inerente all'autore - che devono necessariamente sussistere congiuntamente. In tale ambito, come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266591), il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l'esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza. L'art. 131-bis non definisce il concetto di abitualità, ma le Sezioni Unite di questa Corte nella citata sentenza hanno anche chiarito che la norma intende escludere dall'ambito della particolare tenuità del fatto comportamenti "seriali".
Orbene la sentenza impugnata si rivela del tutto conforme ai principi affermati delle Sezioni Unite laddove si consideri che la Corte di merito - dopo aver rilevato che nel caso di specie il grado della colpa era stato ancora più elevato, in quanto, per evitare l'eccessiva esposizione agli agenti chimici pericolosi, sarebbe stato sufficiente individuare guanti di protezione idonei a curarne l'utilizzo - ha indicato come elemento ostativo al riconoscimento richiesto proprio la consuetudine con la fonte del rischio, la tolleranza a lungo mostrata dal ricorrente (nella contestata qualità di amministratore unico della società per la quale lavorava la F.A.) nel consentire che la lavorazione avvenisse a mani nude e l'accettazione dell'utilizzo di guanti non idonei.
3. Fondato è, invece, il terzo motivo, concernente la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Invero - premesso che la Corte di merito ha motivato il diniego del beneficio sul presupposto che era interesse dell'imputato (condannato a sola pena pecuniaria, peraltro modesta) non avvalersi del beneficio della sospensione condizionale della pena, in modo da poter usufruire del beneficio in altre occasioni - proprio questa Sezione ha avuto modo di precisare di recente che, in tema di sospensione condizionale della pena, è illegittima la decisione con la quale il beneficio, richiesto dal difensore, sia negato dal giudice sulla base di una valutazione di non convenienza per l'imputato, essendo tale valutazione di pertinenza esclusiva di quest'ultimo (sent. n. 9204 del 12/02/2014, Barletta, Rv. 259291).
Ne consegue che sul punto la sentenza deve essere annullata.
L'annullamento può essere senza rinvio, con disposizione del beneficio, in quanto, da un lato, già il giudice di primo aveva messo in evidenza l'assenza di precedenti (in considerazione della quale ha ritenuto di dover concedere le attenuanti generiche) e il non elevato allarme sociale del fatto (in considerazione del quale ha ritenuto di limitare la pena alla sola multa); e, d'altra parte, il giudice di secondo grado, come sopra rilevato, ha escluso la concedibilità del beneficio sul solo (errato) presupposto di cui sopra.
 

P.Q.M.
 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla omessa sospensione dell'esecuzione della pena, sospensione che dispone.
Rigetta nel resto il ricorso.