Cassazione Penale, Sez. 7, 16 dicembre 2016, n. 53600 - Violazioni contravvenzionali in materia di prevenzione infortuni. Impugnazione


 

Presidente: AMORESANO SILVIO Relatore: SCARCELLA ALESSIO Data Udienza: 07/10/2016

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. T.F. ha proposto appello personalmente avverso la sentenza del tribunale di Tivoli, emessa in data 25/11/2014, con cui questi era stato condannato alla pena di € 4500,00 di ammenda per i reati di cui ai capi da a) a g) della rubrica, tutti relativi a violazioni contravvenzionali in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro ex d. Lgs. n. 81 del 2008, in relazione a fatti commessi in data 26/09/2008, ritenuta la continuazione tra gli stessi.
2. Con l'originario atto di appello, l'imputato ha dedotto un unico motivo, chiedendo l'assoluzione per non essere il fatto previsto dalla legge come reato o perché il fatto non sussiste; in subordine, ha chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche e il minimo della pena.
3. Con memoria pervenuta in data 23/09/2016 il difensore di fiducia successivamente nominato ha chiesto che la memoria difensiva depositata, relativa ad altro procedimento che sarebbe pendente davanti a questa Corte e relativo all'impugnazione dell'ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Roma del 13/056/2016, non venga presa in considerazione in relazione al presente procedimento.
 

 

Diritto

 


4. Il ricorso è inammissibile.
5. Ed infatti, premesso che si tratta di sentenza inappellabile e ricorribile unicamente per cassazione ex art. 593, comma terzo, c.p.p., dall'illustrazione dei motivi come proposti nell'atto di appello, emerge all'evidenza come, con gli stessi, l'imputato avesse sollevato censure di merito, che, proprio perché tali, sfuggono al sindacato di questa Corte.
Già emerge all'evidenza dalle conclusioni contenute nell'atto di appello, ove l'imputato formula richieste tipicamente di merito, rivolte al giudice di appello, in particolare avendo concluso per l'assoluzione per non essere il fatto previsto dalla legge come reato o perché il fatto non sussiste o in subordine, per il riconoscimento delle attenuanti generiche e del minimo della pena.
6. Si è autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte che, in tema di impugnazioni, il precetto di cui al quinto comma dell’art. 568 cod. proc. pen., secondo cui l’impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l'ha proposta, deve essere inteso nel senso che solo l'erronea attribuzione del "nomen juris" non può pregiudicare l'ammissibilità di quel mezzo di impugnazione di cui l'interessato, ad onta dell'inesatta "etichetta", abbia effettivamente inteso avvalersi: ciò significa che il giudice ha il potere-dovere di provvedere all'appropriata qualificazione del gravame, privilegiando rispetto alla formale apparenza la volontà della parte di attivare il rimedio all'uopo predisposto dall'ordinamento giuridico. Ma proprio perché la disposizione indicata è finalizzata alla salvezza e non alla modifica della volontà reale dell'interessato, al giudice non è consentito sostituire il mezzo d'impugnazione effettivamente voluto e propriamente denominato ma inammissibilmente proposto dalla parte, con quello, diverso, che sarebbe stato astrattamente ammissibile: in tale ipotesi, infatti, non può parlarsi di inesatta qualificazione giuridica del gravame, come tale suscettibile di rettifica "ope iudicis", ma di una infondata pretesa da sanzionare con l'inammissibilità (v., per tutte: Sez. U, n. 16 del 26/11/1997 - dep. 26/01/1998, Nexhi, Rv. 209336 ).
7. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima equo fissare in euro 2000,00 (duemila/00).
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 7 ottobre 2016