Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 dicembre 2016, n. 26158 - Infortunio mortale di un lavoratore rumeno. Assenza di una valida procura per i familiari


 

 

Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: BRONZINI GIUSEPPE Data pubblicazione: 19/12/2016

 

 

 

Fatto

 


Con sentenza del 20.11.2007 il Tribunale del lavoro di Udine dichiarava la nullità della domanda diretta al risarcimento del danno patito non patrimoniale proposta da D.D. e D.M. quali genitori di D.V.S. deceduto il 5.1.2007 a seguito di infortunio occorsogli presso lo stabilimento di C. s.rl. alle cui dipendenze lavorava, domanda proposta nei confronti della detta società di T.R. legale rapp.te e della terza chiamata in causa Vittoria Assicurazioni s.p.s. assicuratrice della responsabilità civile in forza di polizza stipulata con la C.; parzialmente accoglieva la domanda di D.V. (fratello del defunto) condannando la C. (con manleva a carico della Vittoria Assicurazioni) al pagamento delle spese sostenute per il funerale del D.V.S.. Il Tribunale rilevava che mancava una valida procura per il D.D. e la D.M. che avevano conferito la procura solo per le azioni iure haereditario a e non per la domanda concretamente proposta di risarcimento del danno morale iure proprio; per il D.V. si osservava che questo si era costituito parte civile nei confronti del T.R. nel corso del quale le domande risarcitorie erano state respinte senza che lo stesso avesse impugnato la relativa statuizione. Nei confronti della C. la domanda era infondata nel merito non avendo il ricorrente offerto elementi circa l'esistenza di un danno non patrimoniale posto che era emerso che da molto tempo non esistevano rapporti con la vittima che da adolescente si era recato in Italia e qui era stato a lungo ospitato, mantenuto ed istruito. La Corte di appello di Trieste con sentenza del 6.7.2010 confermava quella di primo grado ed osservava che per i genitori del defunto la procura non era idonea per legittimare pretese iure proprio e che comunque non era stata offerta la dimostrazione dalla condizione di reciprocità di cui all'art. 16 disp, att. del c.p.c. Per il fratello del defunto occorreva verificare l'attualità di un legame affettivo, nel caso in esame risultata non provata.
Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso i tre ricorrenti indicate in epigrafe articolando quattro motivi; resistono le parti intimate con controricorso.
 

 

Diritto

 


Con il primo motivo si allega l'illegittimità della sentenza impugnata per violazione /falsa applicazione di norme di diritto avuto riguardo agli artt. 1367 e 83 c.p.c. Dal tenore complessivo della procura emergeva, anche in relazione all'art. 83 c.p.c, che la stessa era stata rilasciata per intentare qualsiasi tipo di controversia e non solo quelle rivendicabili quali eredi del defunto D.V.S.. 
Il motivo appare infondato in quanto dal tenore letterale della procura di cui si discute, così come riprodotta nello stesso motivo, emerge chiaramente ed univocamente che il mandato è conferito "in qualità di eredi del defunto...." ( pag. 3 del ricorso). Pertanto non sussistono elementi di sorta, stante la premessa inequivoca della procura, per ritenere che si sia conferito un mandato anche per rivendicare danni subiti in proprio dal decesso ricordato.
Con il secondo motivo si allega l'illegittimità della sentenza impugnata per violazione/falsa applicazione di norme di diritto avuto riguardo alla violazione e falsa applicazione dell'art. 16 disp. preleggi al c.c. e dell'art. 14 L. n. 218/1995. Era compito del Giudice accertare la legge straniera in ordine alla condizione di reciprocità come da giurisprudenza di legittimità.
Con il terzo motivo si allega l'illegittimità della sentenza impugnata per omessa/errata valutazione di una prova decisiva per il giudizio. Non era stato considerato il Documento prodotto dalla parte appellante e proveniente dal Consolato Onorario di Romania a Treviso dal quale risultava che nel 1972 era entrata in vigore una Convenzione tra Italia e Romania per cui ciascuno dei cittadini dei due paesi godeva nel territorio dell'altro paese di uguale trattamento nella protezione giuridica dei proprio diritti dei cittadini di quest'ultimo paese.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente ed appaiono inammissibili per difetto di interesse. Infatti, anche ammesso che sussista la dedotta condizione di reciprocità per quanto sopra indicato, il mandato conferito è, per quanto già detto, riferito ai soli diritti vantati come eredi e non in proprio. In ogni caso la dedotta Convenzione dimostra solo che i cittadini rumeni e quelli italiani godono di parità di trattamento nelle controversie che vengono attivate nell'altro paese rispetto ai cittadini di quel paese ma certamente non dimostra che in Romania i cittadini italiani possano richiedere, in relazione ad un ipotetico infortunio sul lavoro, danni non patrimoniali iure proprio con modalità simili a quelle godute nel nostro paese. Rimane quindi, persino oggi, inevasa persino la mera deduzione sull'esistenza della condizione di reciprocità, presupposto per l'ammissibilità della domanda formulata dagli odierni ricorrenti.
Con il quarto motivo si allega l'illegittimità della sentenza impugnata con riferimento all'art. 360 n. 5 c.p.c. per violazione dell'art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. del c.p.c.. Circa i danni vantati dal fratello del defunto la Corte di appello aveva genericamente richiamato la sentenza di primo grado violando i doveri di adeguata motivazione.
Il motivo appare infondato in quanto è chiarissima la ragione del rigetto nel merito della domanda del D.V. posto che è stato sottolineato la mancanza di prova una relazione economica ed affettiva tra i fratelli, del resto neppure contestata al motivo. Risulta dal complesso della sentenza peraltro che il defunto si era recato da molto tempo in Italia e che qui era stato assistito ed istruito; sicché la motivazione appare, ancorché sintetica, sufficiente facendo riferimento a concreti e razionali elementi.
Si deve quindi rigettare il ricorso. Le spese di lite - liquidate come al dispositivo in favore di ciascuna parte costituita- seguono la soccombenza.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte:
rigetta il ricorso. Condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore delle parti costituite che si liquidano per ciascuna parte in euro 100,00 per esborsi nonché in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge. Nulla nei confronti delle parti non costituite.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 20.9.2016