Cassazione Penale, Sez. 4, 21 dicembre 2016, n. 54492 - Mobbing. Provvedimento abnorme


 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 29/11/2016

 

Fatto

 

1. Con ordinanza resa all'udienza del 28 ottobre 2015, il Tribunale di Busto Arsizio in composizione monocratica dichiarava la nullità del decreto di citazione a giudizio emesso nei confronti di P.C., L.F., F.C., A.L. e A.D., nelle rispettive qualità, in relazione al reato p. e p. dagli artt. 2087 cod.civ., 113 e 590, commi 1 e 3, cod.pen., commesso dal gennaio 2012 ed in permanenza, all'interno dell'istituto geriatrico e di riabilitazione denominato Fondazione R.F. in danno di C.B., dipendente del detto Istituto. Nell'editto imputativo si legge che, a cagione di provvedimenti aventi un contenuto di sostanziale declassamento e demansionamento del C.B., qualificati come mobbing, si determinava a carico del medesimo l'insorgenza di un "disturbo dell'adattamento cronico con reazione mista ansioso-depressiva e disturbi somatomorfi, per costrittività organizzativa".
1.1. Secondo il Tribunale, pur descrivendo l'imputazione in modo compiuto le condotte contestate ai singoli imputati e i ruoli da essi ricoperti nella vicenda oggetto del processo, siffatta descrizione palesa ugualmente manchevolezze tali da potersi qualificare come violazione del principio di cui all'art. 552, comma 1, lettera c) cod.proc.pen. (secondo il quale l'enunciazione del fatto nel decreto di citazione a giudizio deve avvenire in forma chiara e precisa): manchevolezze che sarebbero consistite nell'omessa indicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro che, nella specie, sarebbero state violate dagli imputati, a ciò non bastando il richiamo alla previsione di cui all'art. 2087 cod.civ..
2. Avverso il prefato provvedimento ricorre il Procuratore della Repubblica di Busto Arsizio, con atto contenente un unico motivo di ricorso. Il Pubblico ministero ricorrente, denunciando violazione di legge processuale, si duole dell'abnormità del provvedimento de quo, reso in palese contrasto con la costante giurisprudenza circa i requisiti dell'enunciato imputativo (ampiamente citata a corredo del ricorso): requisiti che non richiedono la puntuale citazione delle norme che si assumono violate, ma la compiuta descrizione del fatto oggetto di addebito; ciò vale anche per quanto concerne il riferimento all'aggravante di cui al comma 3 dell'art. 590 cod.pen., in relazione alla quale in più occasioni la giurisprudenza di legittimità, ribadendo il principio suesposto, ha ritenuto sufficiente il richiamo alla violazione dell'art. 2087 cod.civ..
3. Nella sua requisitoria scritta, il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, condividendo l'assunto sostenuto nel ricorso, ha ravvisato gli estremi dell'abnormità dell'ordinanza impugnata e ne ha chiesto l'annullamento senza rinvio.
4. Con memoria depositata presso la Cancelleria dì questa Corte il 10 novembre 2016, il difensore dell'imputato P.C. ha chiesto il rigetto del ricorso.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso merita accoglimento.
1.1. E' innanzitutto corretto il principio, evocato nella requisitoria scritta del Procuratore generale presso la Corte, stabilito da Sez. 5, n. 182 del 13/01/1994, Marino ed altro, Rv. 197091, secondo cui é abnorme non solo il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell'ambito dell'ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. Detto principio (che all'epoca qualificava come abnorme l’ordinanza con la quale il pretore dichiari la nullità del decreto di citazione, ritenendo insufficiente l'enunciazione del fatto e trasmetta nel contempo gli atti al pubblico ministero, affinché specifichi la condotta di ciascuno dei concorrenti nel reato e precisi il contributo causale recato da ognuno di essi alla realizzazione dell'illecito) é stato sostanzialmente ribadito in numerosi interventi della Corte regolatrice in subiecta materia, laddove si é avuta cura di osservare che é abnorme, per la sua attitudine a determinare una indebita regressione del procedimento, l'ordinanza del giudice del dibattimento che, nell'ipotesi di genericità o indeterminatezza dell'imputazione, restituisca gli atti al pubblico ministero senza averlo preventivamente sollecitato ad integrare o precisare la contestazione (ex multis, fra le più recenti, vds. Sez. 1, Sentenza n. 39234 del 14/03/2014, Afrah, Rv. 260512; Sez. 6, Sentenza n. 27961 del 31/05/2016, D'Andrea, Rv. 267388).
1.2. Tale orientamento, sebbene non unanime, deve ritenersi da un lato meglio aderente al principio costituzionale di ragionevole durata del processo, atteso che si versa nella specie in un'ipotesi di indebita regressione del procedimento; e dall'altro non integra alcuna concreta lesione dell'esercizio del diritto di difesa.
Invero, come a più riprese affermato dalla Corte regolatrice in tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui, ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata individuazione degli articoli di legge violati é irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa (si veda fra le tante Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258920; Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013, Nappello, Rv. 255772; e, con specifico riguardo alla materia oggetto dell'ordinanza impugnata, Sez. 4, n. 28780 del 19/05/2011, Tessari e altro, Rv. 250761).
2. Da quanto precede discende che l'ordinanza impugnata va qualificata come abnorme e annullata senza rinvio, con restituzione degli atti al Tribunale di Busto Arsizio, per l'ulteriore corso.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Busto Arsizio, per l'ulteriore corso.
Così deciso in Roma, il 29 novembre 2016.