Cassazione Penale, Sez. 4, 21 dicembre 2016, n. 54480 - Infortunio mortale con la macchina raccoglitrice dotata di dispositivo di sicurezza deteriorato. Quando la marcatura CE non basta


 

 

 

"Secondo il consolidato insegnamento della Corte di legittimità, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso a un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità CE o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore, valgano a esonerarlo dalla sua responsabilità (Cass., Sez. 4, n. 37060/2008, Rv. 241020). In proposito, va anche ribadito che la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori. A detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza (Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Rv. 256948Sez. 4, n.22249 del 14/03/2014 Rv. 259229)."


 

Presidente: D'ISA CLAUDIO Relatore: MICCICHE' LOREDANA Data Udienza: 10/11/2016

 

Fatto

 

 

 

1. La Corte di Appello di Perugia, con sentenza emessa il 10 luglio 2015, ha parzialmente riformato la sentenza di condanna emessa il 22 novembre 2014 dal Tribunale di Perugia in danno di P.G., riducendo la pena inflitta ad anni uno di reclusione in forza della concessione delle attenuanti generiche equivalenti, riconoscendo, conformemente alla sentenza di primo grado, il predetto P.G. colpevole del reato di cui all'art. 589, comma 2, cp in quanto, in violazione degli artt. 70, 71 e 72 d.lgs, n.81/2008 aveva cagionato per colpa la morte di R.S., rimasto schiacciato tra i rulli di una macchina raccoglitrice semovente per tabacco non provvista di efficiente sistema di sicurezza, tale da bloccare il funzionamento in assenza del conducente sul sedile di guida. In particolare il R.S., operante all'interno dell'azienda agricola dell'imputato, sceso dalla macchina raccoglitrice di tabacco che conduceva, era rimasto incastrato nei rulli della predetta raccoglitrice restandone poi schiacciato, a causa della mancata attivazione del meccanismo di spegnimento automatico, ossia di un interruttore posto al di sotto del sedile di guida, che avrebbe dovuto attivarsi allorquando l'operatore fosse sceso dal mezzo.
2. Nella sentenza impugnata, la Corte d'Appello, disattendendo i motivi di gravame, aveva confermato l'accertamento della penale responsabilità del P.G., rilevando come: 1) dalla relazione del 25/10/2010 dell'lspesl, acquisita nel corso del dibattimento, era emerso che la macchina raccoglitrice era dotata di un dispositivo posto all'interno del sedile di guida per rilevare la presenza dell'operatore; che detto dispositivo era costituito da un interruttore i cui elementi principali erano rappresentati da due lamine conduttrici di rame separate da una imbottitura di spugna; che, deteriorandosi l'imbottitura, le lamine restavano in contatto, impedendo lo spegnimento della macchina al momento della discesa del conducente del mezzo; 2) in ragione delle disposizioni di legge richiamate nel capo di imputazione, il P.G. avrebbe dovuto assicurarsi della conformità del mezzo alle norme di sicurezza, soprattutto in ragione del protratto utilizzo negli anni che ne aveva certamente determinato l'usura; essendo peraltro agevole, nella specie, il controllo del dispositivo posto sotto il sedile di guida ed essendo emerso che il mancato funzionamento del meccanismo di spegnimento era dovuto al deterioramento dell'imbottitura posta a copertura delle lamine; 3) era da escludersi che il sistema non avesse funzionato per ragioni imprevedibili, come adombrato dal consulente della difesa ing. V., che aveva prospettato che l'imbottitura si fosse intrisa di acqua a causa dell'umidità nel giorno dell'utilizzo, essendo invece emerso che il giorno del sinistro il tempo era soleggiato e che pertanto il sedile non si era certamente bagnato; 4) in ogni caso, rientrava sempre nei doveri dell'imprenditore salvaguardare la sicurezza dei mezzi affidati ai lavoratori scongiurando fattori di rischio del tutto prevedibili, quali quello dell'umidità, proteggendo adeguatamente l'interruttore "salvavita" dai fattori predetti; 5) non aveva condotto a risultati convincenti la prova circa il perfetto funzionamento della macchina raccoglitrice al momento della consegna al R.S. per la lavorazione né la circostanza circa l'avvenuto espletamento degli adeguati controlli, da parte dell'imputato, sulla macchina raccoglitrice; 6) infine, non era stato provato che il P.G. avesse impartito alla vittima adeguata formazione sull'uso del mezzo.
Sussistevano dunque pienamente i profili della colpa per inosservanza delle specifiche cautele, consistenti nella mancata vigilanza sulla idoneità originaria e persistente delle misure di sicurezza del mezzo.
3. Ha proposto ricorso per Cassazione P.G., a mezzo del proprio difensore di fiducia.
4. Lamenta il ricorrente, con il primo motivo, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, lett. e), cpp, in relazione all'art. 45 cp, per avere la Corte territoriale, con motivazione illogica, escluso l'ascrivibilità del sinistro a caso fortuito, essendo emerso dal compendio probatorio esaminato l'impossibilità, in capo all'imputato, di avvedersi del vizio che aveva determinato il malfunzionamento del dispositivo di sicurezza, sito all'interno di un macchinario dotato di adeguata marcatura CE, e ciò dal momento che gli stessi funzionari ASL, intervenuti nell'immediatezza del fatto, non erano riusciti ad individuare la causa del sinistro, affidando l'esame del macchinario all'ISPESL. Inoltre, la pronuncia impugnata aveva attribuito al P.G. la responsabilità dell'accaduto anche sulla base della mancata osservanza dell'obbligo di informazione, quando invece era chiaramente emerso dalla prova testimoniale espletata che la vittima era un operaio esperto, che utilizzava detto macchinario da oltre 10 anni.
4. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 70, 71 e 73 del d.lgs n.81/2008, nonché della contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per avere la Corte d'Appello formulato un giudizio di colpevolezza nonostante fosse emerso dalla relazione del CT di parte ing. V. che il dispositivo "presenza uomo" posto sotto il sedile non era previsto tra i requisiti essenziali di sicurezza di cui alle norme UNI EN 1553 del settembre 2001. Peraltro, era stato accertato che la macchina raccoglitrice era dotata di un tasto rosso "a fungo" idoneo di arrestare il motore con una semplice pressione: pertanto, ove la vittima avesse usato la minima diligenza, avrebbe dovuto e potuto attivare il tasto al momento di discendere dal mezzo, così evitando il sinistro mortale occorsogli.
5. Le parti civili costituite hanno depositato memoria insistendo per il rigetto del ricorso.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato.
2. Quanto al primo motivo, deve premettersi che la rilevanza giuridica del caso fortuito è inesorabilmente legata ad una azione umana, come riconosciuto dalla dottrina assolutamente prevalente, e come rilevabile dalla stessa formulazione dell'art. 45 cod. pen che, adoperando l'espressione "commettere", suppone la presenza di un comportamento umano, attivo o negativo. Dall'incrocio di questo con l'avvenimento causale deriva la produzione dell'evento che, secondo il principio della equivalenza causale, è eziologicamente riconducibile alla condotta dell'uomo, il quale, tuttavia, non ne risponde per l'intervento del fattore causale imprevedibile. Dunque, il caso fortuito presuppone l'integrità del rapporto di causalità materiale tra la condotta e l'evento, collocandosi come causa (soggettiva) di esclusione della punibilità. Questa concezione è contrastata da quella - oggettiva - secondo cui il fortuito escluderebbe il rapporto materiale. In linea di principio, questa Corte ritiene che la concezione soggettiva risponda compiutamente alla logica del sistema normativo, sia perchè l'art. 45, pur non definendo il fortuito, si riferisce a questo come a un evento ( imprevedibile) che si inserisce nel corso di una azione umana, sia perchè, affermando il contrario, l'art. 45 finirebbe con l'essere un duplicato dell'alt. 41 cod pen, il che sembra inammissibile, per la presunzione di coordinata razionalità che deve pur assistere la redazione di un testo normativo improntato a sistematicità. D'altro canto, questa medesima teoria finisce per ammettere che il caso fortuito esclude la colpevolezza, sia pure come conseguenza riflessa del rapporto di causalità materiale (SU 14/6/1980, Felloni; sez.4 30/10/1990, Lo Nigro; Rv 186075).
Dunque, l'accadimento fortuito, per produrre il suo effetto ed escludere la punibilità dell'agente - sul comportamento del quale viene ad incidere - deve risultare totalmente svincolato sia dalla condotta, sia dalla colpa del medesimo. Ne consegue che in tutti i casi in cui l'agente abbia materialmente dato causa al fenomeno - solo, dunque, apparentemente fortuito - ovvero nei casi in cui, comunque, è possibile rinvenire un qualche legame di tipo psicologico tra il fortuito e il soggetto agente (nel senso che l'accadimento, pure eccezionale, poteva in concreto essere previsto o evitato se l'agente non fosse stato imprudentemente negligente o imperito) non è possibile parlare propriamente di fortuito in senso giuridico (sez4, 9 dicembre 1988, Savelli, Rv 180850).
2.1 Nel caso di specie, il ricorrente sostiene la riconducibilità del sinistro al caso fortuito in quanto egli, fidando sulla omologazione CE del dispositivo acquistato, non avrebbe potuto neppure con la massima diligenza richiesta avvedersi della difettosità del macchinario, che solo l'esame dei tecnici dell'lspesl aveva accertato.
3. Detta tesi è stata correttamente esclusa dalla Corte territoriale.
3.1. Secondo il consolidato insegnamento della Corte di legittimità, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso a un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità CE o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore, valgano a esonerarlo dalla sua responsabilità (Cass., Sez. 4, n. 37060/2008, Rv. 241020). In proposito, va anche ribadito che la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori. A detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza (Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Rv. 256948Sez. 4, n.22249 del 14/03/2014 Rv. 259229).
3.2. La sentenza impugnata ha ben evidenziato come la relazione Ispesl, confermata in dibattimento dal funzionario S., ha acclarato che la macchina raccoglitrice era dotata del dispositivo di sicurezza "interruttore presenza uomo" , posto al di sotto del sedile di guida, costituito da lamine conduttrici di rame separate da una imbottitura di spugna: alla discesa dell'operatore, il contatto tra le lamine avrebbe dovuto provocare il blocco del mezzo, ma al momento del sinistro il contatto non era avvenuto a causa del deterioramento della guaina di spugna dell'interruttore.
3.3. Ne discende che era proprio il datore di lavoro a dover assicurare la efficiente manutenzione del mezzo, salvaguardando il corretto e perdurante funzionamento del dispositivo di sicurezza. Né può ascriversi ad evento imprevedibile la paventata umidità che avrebbe impedito l'azionarsi del dispositivo (secondo l'alternativa ricostruzione del consulente di parte) avendo correttamente ritenuto la Corte territoriale che, da un lato, la circostanza fosse da escludere in considerazione delle condizioni metereologiche del giorno del sinistro e, dall'altro, che comunque il fattore umidità fosse certamente prevedibile da parte del P.G., costituendo causa di deterioramento evitabile attraverso l'ordinaria manutenzione.
Si trattava, invero, di un macchinario in uso da oltre sei anni, adoperato nei campi per la raccolta del tabacco e quindi costantemente esposto da agenti esterni: sono dunque sufficienti tali dati di fatto per ritenere che erano del tutto prevedibili sia il deterioramento della imbottitura di spugna dell'interruttore, sia la penetrazione di umidità all'interno del dispositivo; elementi che avrebbero dovuto essere monitorati attraverso l'ordinaria manutenzione del mezzo la quale, ove eseguita, avrebbe certamente evitato il sinistro mortale occorso al lavoratore.
Non può, quindi, affermarsi la sussistenza di un vizio di progettazione e nemmeno che l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina fosse impossibile: al contrario, è indiscutibile che il P.G., che aveva acquistato il mezzo, era a conoscenza dell'esistenza dell'interruttore "presenza uomo" posto sotto il sedile (il quale dunque non può considerarsi dispositivo occulto) e conseguentemente restava pienamente responsabile del relativo funzionamento.
Il macchinario, invece, non era mai stato oggetto di adeguata manutenzione, essendo risultato dal compendio probatorio adeguatamente valutato dalla Corte d'Appello che il P.G. si limitava al rifornimento di gasolio, senza aver mai provveduto ad una adeguata revisione tecnica del mezzo in questione.
3.4 Né è ravvisabile alcun errore motivazionale della sentenza impugnata laddove si fa discendere la responsabilità datoriale anche dalla inosservanza dell'obbligo di corretta informazione sull'uso del mezzo, sul presupposto, asseritamente trascurato dalla Corte territoriale, della esperienza della vittima nelle operazioni di raccolta del tabacco. Al riguardo, è stato più più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità che l’adempimento degli obblighi di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso nè è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa (Sez. 4, n.22147 del 11/02/2016; Rv. 266860 Sez. 4, n. 21242 del 12/02/2014, Rv. 259219).
4. E' infondato anche il secondo motivo, con il quale il ricorrente lamenta l'erronea applicazione della normativa antinfortunistica poiché il dispositivo "interruttore presenza uomo" non rientrava tra i dispositivi obbligatori secondo le norme UNI En del settembre 2001, vigenti al momento della commercializzazione del prodotto. Detta circostanza non influisce di certo sulla perdurante sussistenza degli obblighi di manutenzione in capo all'imprenditore (che, si è detto, era a conoscenza delle dotazioni del mezzo, da lui acquistato); obblighi sanciti dall'art. 71 del d.lgs n. 81/2008, correttamente applicato dai giudici di merito, secondo cui" il datore di lavoro, secondo le indicazioni fornite dai fabbricanti ovvero, in assenza di queste, dalle pertinenti norme tecniche o dalle buone prassi o da linee guida, provvede affinché le attrezzature soggette a influssi che possono provocare deterioramenti suscettibili di dare origine a situazioni pericolose siano sottoposte: 1. ad interventi di controllo periodici, secondo frequenze stabilite in base alle indicazioni fornite dai fabbricanti, ovvero dalle norme di buona tecnica, o in assenza di queste ultime, desumibili dai codici di buona prassi; 2. ad interventi di controllo straordinari al fine di garantire il mantenimento di buone condizioni di sicurezza, ogni volta che intervengano eventi eccezionali che possano avere conseguenze pregiudizievoli per la sicurezza delle attrezzature di lavoro, quali riparazioni, trasformazioni, incidenti, fenomeni naturali o periodi prolungati di inattività".
4.1. Infine, non vale invocare l'errore motivazionale della sentenza impugnata in ordine alla asserita abnormità del comportamento del lavoratore, che avrebbe imprudentemente agito scendendo dal mezzo senza azionare il tasto rosso a fungo che avrebbe provocato lo spegnimento del motore. Costituisce principio costantemente affermato dalla corte di
legittimità che, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento. (Sez. 4, n. 36339 del 07/06/2005; Rv. 232227; Sez. 4, n. 16890 del 14/03/2012 Rv. 252544). Ed è quanto è avvenuto nel caso di specie, a prescindere sulla valutazione di abnormità del comportamento del lavoratore.
5. Al riscontro dell'infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dal P.G. segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre al rimborso delle spese in favore della parte civile costituita, che si liquidano come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili che liquida in complessivi €.4000,00 oltre accessori come per legge.
Roma, 10 novembre 2016