Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 gennaio 2017, n. 995 - Caduta dall'impalcatura. Sentenza penale di assoluzione del datore di lavoro passata in giudicato e azione civile


 

 

 

Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: LORITO MATILDE Data pubblicazione: 17/01/2017

 

 

 

Fatto

 


Con ricorso depositato in data 6/11/07 C.F. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Arezzo, M. o DI.D. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni risentiti a seguito dell'infortunio sul lavoro occorsogli in data 30/4/2001 allorquando, nell'esecuzione di lavori edili, era caduto da un'impalcatura riportando grave pregiudizio alla integrità psico-fisica. Ritualmente instaurato il contraddittorio, con sentenza in data 22/12/2009 il giudice adito rigettava il ricorso.
La Corte d'Appello di Firenze, adita dal C.F., respingeva il gravame proposto avverso tale decisione, sull'essenziale rilievo che in data 11/5/2007 il Tribunale della stessa sede aveva emesso sentenza penale di assoluzione del datore di lavoro dal reato di lesioni colpose per non aver commesso il fatto, e che detta pronuncia, non impugnata, era ormai passata in giudicato. Ne conseguiva che l'azione successivamente intrapresa in sede civile dal lavoratore, rimaneva preclusa, secondo i dettami di cui all'art.652 c.p.p..
La cassazione di tale decisione è domandata dal C.F. sulla base di un motivo.
Resiste con controricorso l'intimato.
 

 

Diritto

 


l. Con unico motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 652 c.p.p. e 530 comma 2 c.p.p.
Deduce, in sintesi, che ai sensi dell'art.652 c.p.p. il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza del fatto o della partecipazione dell'imputato, e non quando l'assoluzione sia determinata dall'accertamento della insussistenza di sufficienti elementi di prova in ordine alla commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato,- cioè quando l'assoluzione sia stata pronunciata ai sensi dell'art. 530 comma 2° c.p.p..
Nello specifico, la motivazione della sentenza di assoluzione del datore di lavoro resa dal Tribunale di Firenze in data 11/5/2007, era modulata sull'accertamento della insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato, di guisa che non poteva ritenersi esplicata la valenza espansiva del giudicato penale nel giudizio civile, posta a fondamento della pronuncia impugnata.
2. Il motivo, pur muovendo da corretti presupposti in diritto in ordine alla efficacia preclusiva nel giudizio civile del giudicato di assoluzione in sede penale, non è suscettibile di scrutinio in questa sede di legittimità, per i motivi di seguito esposti.
Il ricorrente, a fondamento della doglianza, ha richiamato il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ai sensi dell'art. 652 (nell'ambito del giudizio civile di danni) e dell'art. 654 (nell'ambito di altri giudizi civili) c.p.p., il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato, e non anche quando l'assoluzione sia determinata dall'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato, e cioè quando l'assoluzione sia stata pronunziata a norma dell'art. 530, comma 2, c.p.p.. Parimenti, l'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata perché il fatto non costituisce reato non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate dall'esito del processo penale (vedi ex plurimis, Cass. 11/03/2016 n.4764).
3. Il C.F. ha quindi dedotto che la sentenza penale di assoluzione del datore di lavoro, in quanto pronunciata ai sensi dell'art.530 comma 2 c.p.p., non costituiva ostacolo al pieno accertamento dei fatti costitutivi del diritto azionato in sede civile, secondo una prospettiva che è stata oggetto di contestazione da parte del controricorrente il quale, dal canto suo, ha rimarcato come il richiamo recato nella sentenza penale al comma secondo della citata disposizione, fosse frutto di un mero errore materiale, giacché il contenuto motivazionale della pronuncia de qua, deponeva inequivocabilmente nel senso della "carenza di elementi idonei a sostenere un giudizio di responsabilità penale del M.".
4. Ciò premesso si osserva che la tesi accreditata dal lavoratore a sostegno della critica, si presenta evidentemente carente sotto il profilo della autosufficienza, giacché omette di riportare integralmente il tenore della sentenza penale n.1798 resa inter partes dal Tribunale di Firenze in data 11/5/2007 e posta dalla Corte distrettuale a fondamento della decisione oggetto di censura in questa sede di legittimità.
La giurisprudenza di questa Corte, da tempo, ha infatti posto in evidenza il necessario coordinamento tra il principio secondo cui l'interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata direttamente dalla Corte di Cassazione con cognizione piena, e il principio della necessaria autosufficienza del ricorso. Ha, infatti, affermato che "L'interpretazione di un giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l'interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale", (vedi in motivazione Cass. 31/7/2012 n.13658, Cass. 15/10/2012 n.17649, cui adde Cass. 13/12/2006, n. 26627, Cass. Sez. Un. 27/1/2004 n.1416).
Tale orientamento ha rimarcato come i motivi di ricorso per cassazione fondati su giudicato esterno, debbano rispondere ai dettami di cui all'art.366 n.6 c.p.c., che del principio di autosufficienza rappresenta il precipitato normativo (cfr. Cass. 18/10/2011 n. 21560, Cass. 30/4/2010 n.10537, Cass.13/3/2009 n. 6184); tanto sia sotto il profilo nella riproduzione del testo della sentenza passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa (cfr. Cass. 11/02/2015 n.2617), sia sotto il profilo della specifica indicazione della sede in cui essa sarebbe rinvenibile ed esaminabile in questo giudizio di legittimità (vedi Cass. cit. n.21560/2011).
5. Alle suesposte argomentazioni, può aggiungersi l'ulteriore considerazione che la tecnica redazionale adottata nella stesura del presente ricorso, e risoltasi nella mera riproduzione solo di taluni stralci della pronuncia emessa in sede penale e divenuta res iudicata, ridonda in termini di genericità del ricorso medesimo, palesandosi del tutto inidonea ad enucleare le effettive carenze motivazionali che connotano la pronuncia impugnata, in quanto il suo vaglio richiede l'esame di atti processuali ultronei rispetto allo stesso ricorso.
Non è dato riscontrare, invero, nella fattispecie scrutinata, il requisito della specificità, della completezza e riferibilità alla decisione impugnata che consentono di assicurare al ricorso l'autonomia necessaria ad individuare, senza il sussidio di altre fonti, l'immediata e pronta risoluzione delle questioni da risolvere, non essendo la Corte di cassazione tenuta a ricercare, al di fuori del contesto del ricorso, le ragioni che dovrebbero sostenerlo.
6. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.
Così deciso in Roma il 27 ottobre 2016.