Cassazione Penale, Sez. 5, 20 febbraio 2017, n. 8056 - Certificati medici falsi e mobbing. Archiviazione


 

Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO Relatore: SCORDAMAGLIA IRENE Data Udienza: 20/01/2017

 

 

 

Fatto

 

1. Con decreto del 11 gennaio 2016 il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Parma disponeva de plano l'archiviazione del procedimento penale a carico di F.C., indagato per il delitto di cui all'art. 481 cod. pen., per avere rilasciato, nelle date del 12 dicembre 2005 e del 31 marzo 2006, due certificati medici attestanti falsamente la non idoneità di B.C. a svolgere le mansioni cui era stato addetto dal datore di lavoro, ed a carico di S.E., quale legale rappresentante della B., per cui aveva lavorato B.C. sino al giugno 2008, indagato per il delitto di maltrattamenti nei confronti di persona a lui affidata per l'esercizio di una professione, ai sensi dell'art. 572 cod. pen., cui era astrattamente riconducibile l'ipotizzato reato di 'mobbing', sul rilievo che i fatti denunciati dovessero ritenersi estinti per prescrizione, nel giugno 2013 e nel settembre 2014, quanto al reato ascritto al F.C., e nel giugno 2014, quanto al reato ascritto allo S.E.: e ciò nonostante che la parte offesa avesse proposto opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dal P. M..
2. Contro il detto decreto ricorre la persona offesa, a mezzo del suo difensore, Avv. OMISSIS, lamentando vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), cod, proc. pen. in relazioni agli artt. 409 e 410 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., poiché il GIP, a fronte della richiesta di archiviazione del PM e dell'opposizione ad essa proposta dalla parte offesa, con l'indicazione dell'oggetto delle investigazioni suppletive e dei mezzi di prova, aveva de plano disposto l'archiviazione, senza previamente fissare l'udienza camerale. Segnatamente denunciava che, per effetto delle violazioni della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro nonché di ulteriori condotte illecite poste in essere dal datore di lavoro egli aveva subito gravi lesioni personali, integranti esse stesse reato [quantomeno ai sensi dell'art. 590 cod.pen.], in riferimento al quale il dies a quo, ai fini della decorrenza del termine prescrizionale, doveva essere individuato non nel momento di cessazione dell'attività lavorativa presso l'azienda ove le condotte illecite si sarebbero verificate - vale a dire nel giugno 2008 -, ma nel momento di insorgenza della malattia, datata nel luglio 2012, allorché aveva avuto luogo il riscontro medico di esse. Di talché il Giudice, in contraddittorio delle parti, avrebbe dovuto provvedere a delibare in ordine all'effettiva rilevanza e pertinenza delle indagini suppletive e dei mezzi di prova indicati dall'opponente.
 

 

Diritto

 


1. In punto di diritto deve essere osservato che per consolidata giurisprudenza di questa Corte esiste un diritto d'intervento della parte offesa, che abbia adempiuto l'onere di dichiarazione di cui all'art. 408, comma 2, cod. proc. pen. a prendere visione degli atti, ad interloquire nel procedimento con la forma specifica dell'opposizione, a fornire materiale probatorio da sottoporre al giudice e a partecipare all'udienza camerale fissata a norma degli artt. 409 e 410 cod.proc.pen., sempre che l'opposizione sia ammissibile (Sez. 3, n. 5202 del 11/12/2003 - dep. 10/02/2004, Sparviero, Rv. 2281540; Sez. 5, n. 1206 del 12/03/1996 - dep. 01/04/1996, Aponte, Rv. 2042411; Sez. 6, n. 2715 del 07/06/1994 - dep. 13/09/1994, Ferretti, Rv. 199444).
In proposito va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che l'inammissibilità dell'opposizione della persona offesa dal reato alla richiesta di archiviazione può derivare esclusivamente dalla mancanza delle condizioni tassativamente previste dall'art. 410, comma 1, cod. proc. pen., le quali, in quanto costituenti un limite al diritto dell'interessato all'attivazione del contraddittorio, non sono suscettibili di discrezionali estensioni né possono consistere in valutazioni anticipate di merito ovvero in prognosi di fondatezza da parte del giudice. Da tale proposizione di principio si è tratta la conseguenza che eventuali ragioni di infondatezza dei temi indicati nell'atto di opposizione non possono costituire motivo legittimo di inammissibilità, neppure ove attengano ad una valutazione prognostica dell'esito della "investigazione suppletiva" e delle relative fonti di prova indicate dalla parte offesa (Sez. U, n. 2 del 14/02/1996 - dep. 15/03/1996, Testa e altri, Rv. 204134): diversamente verrebbe a determinarsi una violazione del contraddittorio.
Nel caso di specie, tuttavia, il Giudice delle indagini preliminari legittimamente ha ritenuto l'opposizione inammissibile, sul presupposto della superfluità di ogni ulteriore attività istruttoria essendo maturata la prescrizione per tutti i reati in contestazione: segnatamente per il delitto di cui all'art. 481 cod. pen. e per il delitto di cui all'art. 572 cod. pen.. Non v'è dubbio, infatti, che la prescrizione impedisce ogni ulteriore attività di indagine, facendo venir meno la possibilità per la parte offesa di indicare l'oggetto della investigazione suppletiva, presupposto imprescindibile per l'ammissibilità dell'opposizione.
2. Con riguardo al profilo del motivo di ricorso, attinente alla commissione, da parte del datore di lavoro e/o di altre figure inserite nell'organigramma aziendale, di condotte suscettibili di integrare quantomeno il delitto di lesioni personali colpose, ritenuto dal ricorrente non estinto per effetto del decorso del termine di prescrizione, dovendosi individuare il relativo dies a quo non nel momento di cessazione dell'attività lavorativa, vale a dire nel giugno 2008, ma nel momento di insorgenza della malattia, datata nel luglio 2012, e coincidente con il riscontro diagnostico di esse, stima il Collegio che esso non meriti accoglimento.
In effetti, a parte la considerazione che il Pubblico Ministero aveva ritenuto le ulteriori condotte denunciate dal B.C., nell'integrazione di denuncia presentata il 24 maggio 2015, non integranti alcuna fattispecie penalmente illecita tanto da non contestare agli indagati il delitto di lesioni personali, tale ultimo reato, quand'anche esistente, dovrebbe in ogni caso ritenersi prescritto, atteso che nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che, in tema di danno permanente a carico di un organo o di una funzione e in genere, di malattia professionale, causato da, o contratta per, carenza di presidi idonei a scongiurare un tale evento, il tempus commissi delicti non si identifica con quello dell'accertamento che, successivo al verificarsi dell'evento, nulla dice in ordine alla individuazione del momento consumativo del reato (Sez. 4, n. 9114 del 14/05/1988 - dep. 27/08/1988, Pedrocchi Gian, Rv. 17913401). In proposito si è precisato che, in materia di malattia professionale eziologicamente connessa a fattori determinanti una evoluzione nel tempo, il momento consumativo del reato non è quello in cui viene meno il comportamento del responsabile bensì quello dell'insorgenza della malattia prodotta dalle lesioni, sicché ai fini della prescrizione il dies commissi delieti deve essere retrodatato al momento in cui risulti la malattia in fieri, anche se non stabilizzata (Sez. 4, n. 2522 del 08/01/1998 - dep. 27/02/1998, Croci, Rv. 21017301). Con il che si è voluto chiarire, diversamente da come opinato dal ricorrente, che, in ossequio al principio dei favor rei, in ipotesi di esposizione a fattori potenzialmente vulneranti per l'incolumità e la salute del lavoratore che si sia dispiegata nel tempo, l'epoca di verificazione della malattia, anch'essa suscettibile di evoluzione nel tempo, e, quindi, dell'evento del delitto di lesioni personali, deve essere collocata nel momento in cui se ne sono evidenziati i sintomi non in quella, successiva, in cui l'esposizione ai fattori determinanti la malattia - ormai eventualmente conclamata - è cessata per il venir meno del comportamento illecito del datore di lavoro.
Da ciò deriva che, nel caso sottoposto a sindacato, deve logicamente inferirsi che l'epoca di insorgenza della malattia, asserita ma non meglio precisata, dal ricorrente deve collocarsi in epoca anteriore al giugno 2008, che segna oggettivamente il momento del venir meno dell'eventuale comportamento illecito del datore di lavoro per effetto della cessazione del rapporto di subordinazione, con la conseguente estinzione del delitto di lesioni personali colpose per il decorso del termine di prescrizione.
Ne consegue, anche in riferimento a tale questione, la correttezza della decisione impugnata.
3. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato perché infondato, con le conseguenze di cui al dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20/01/2017.