Cassazione Penale, Sez. 4, 10 marzo 2017, n. 11693 - Macchina non sicura e amputazione del polpastrello dell'operaio. Responsabilità di un dirigente con delega in materia di sicurezza


 

 

 

 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 15/04/2016

 

Fatto

 

1. Il 20 febbraio 2015 la Corte di appello di Trento ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale di Rovereto del 15 ottobre 2013 con la quale M.C. è stato ritenuto colpevole del reato di lesioni colpose gravi nei confronti di S.T., con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni, fatto contestato come commesso il 6 ottobre 2010.
2. I giudici di merito hanno ritenuto che l'imputato, dirigente con delega per la gestione della sicurezza e della salute negli ambienti di lavoro della ditta "S. Trent Italia S.p.a", avendo messo a disposizione del lavorare dipendente della ditta S.T. un macchinario di essiccazione dei fanghi, al servizio di depuratore, che non era sicuro, in quanto i relativi comandi erano posti in posizione tale da non consentire all'operatore di controllare l'assenza di persone in prossimità di zone pericolose ed anche in quanto era possibile accedere alle pale della retrovalvole con gli sportelli di ispezione aperti, causava al dipendente lesioni consistite nell'amputazione del polpastrello del primo dito della mano destra: in particolare, S.T., che era intento ad eseguire sul motore dell'impianto la pulizie del ciclone, delle pale della retrovalvola, inseriva nel macchinario la mano destra che impugnava una pistola ad aria compressa, per effettuare la rimozione del fango incrostato nell'impianto di essiccazione dei fanghi e, urtando contro la fotovalvola, che, contrariamente alle istruzioni operative, era in movimento, aveva subito, appunto, l'imputazione traumatica del primo polpastrello della mano destra.
3. Ricorre per la cassazione della sentenza impugnata M.C., che si affida a due motivi con i quali deduce violazione di legge e difetto motivazionale.
3.1. Denunzia, in primo luogo, che la condanna sarebbe intervenuta per un fatto diverso da quello contestato, in quanto, mentre nel capo di accusa si legge che i comandi erano posti in posizione tale da non consentire all'operatore di controllare l'assenza di persone in prossimità di zone pericolose ed era possibile accedere alle pale della retrovalvole con gli sportelli di ispezione aperti, invece l'affermazione di penale responsabilità sarebbe fondata sulla mancanza di un sistema che impedisse l'apertura dello sportello per la manutenzione durante il funzionamento dell'impianto e che non consentisse l'avvio degli organi meccanici interni se non dopo la chiusura dello sportello.
3.2. Censura inoltre mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, evidenziando che la Corte territoriale ha ritenuto che è pur vero che il POS prevedeva il divieto espresso di accesso alle parti in movimento senza avere prima spento il macchinario ma che la mancanza di un sistema di sicurezza di tipo oggettivo consentì che si potesse, comunque, agire disattendendo la regola: in ciò consisterebbe, ad avviso del ricorrente, contraddittorietà tra premessa e conclusione del ragionamento giudiziale.
Si evidenzia, in ogni caso, che la vittima era dipendente formato ed esperto, a conoscenza del POS aziendale, addetto alle mansioni da due anni, e che il corretto svolgimento da parte dello stesso dell'operazione, mediante impiego di pistola ad aria con beccuccio, di cui era munito, avrebbe evitata l'infortunio.
Si sottolinea che l'esistenza di una prassi di tolleranza aziendale di comportamenti scorretti deriverebbe da una mera supposizione, sfornita di elementi oggettivi di riscontro, dell'ispettore del lavoro escusso come teste.
Erroneo sarebbe, poi, attribuire complessiva credibilità alla versione del lavoratore infortunato, espressamente ritenuto (alla p. 7 della sentenza impugnata) dalla stessa Corte territoriale poco credibile.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1.1.Quanto alla denunziata violazione di legge, infatti, è ben noto che «L'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza è violato non da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato: la nozione strutturale di "fatto" va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto dei potere del giudice) risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi» (v. Sez. 1, n. 35574 del 18/05/2013, Crescoli, Rv. 257015; nello stesso cfr. altresì, ex plurimis, Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di Guglielmi e altro, Rv. 257278; Sez. 6, n. 10140 del 18/02/2015, Bossi ed altro, Rv. 252802; Sez. 4, n. 10103 del 15/01/2007, Granata e altri, Rv. 236099).
Inoltre, «In tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa» (così Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro e altro, Rv. 250161; in senso conforme, v. Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013, Minscalco e altro, Rv. 257902; Sez. 4, n. 35666 del 19/06/2007, Lanzellotti, Rv. 237469).
1.2. Quanto alla censura incentrata su di un ritenuto vizio motivazionale, si osserva che, a ben vedere, il ricorrente non si confronta con la sentenza impugnata, in quanto gli aspetti oggetto di doglianza sono stati tutti già adeguatamente presi in considerazione e disattesi nella motivazione della sentenza di appello e, inoltre, che nell'impugnazione si vorrebbe attribuire alle risultanze dell'istruttoria un significato diverso, auspicabilmente più favorevole, di quello delineato, con doppia valutazione conforme, dai giudici di merito.
In ogni caso, quanto alla procedura corretta prevista nel POS, se ne è evidenziata da parte della Corte territoriale la macchinosità (p. 5 della sentenza impugnata) e, comunque, la mancanza di sicurezza di tipo oggettivo, in quanto era possibile avere accesso alle parti della macchina in movimento (pp. 6-8 della decisione di appello; p. 4 di quella del Tribunale); e la tolleranza di prassi aziendali scorrette non è stata desunta, contrariamente a quanto asserito nel ricorso, soltanto da un'ipotesi dell'ispettore del lavoro ma anche, e soprattutto, dalle dichiarazioni della persona offesa (p. 6 della sentenza impugnata), della cui solo parziale attendibilità ricostruttiva la Corte territoriale (p. 7 della sentenza) si mostra ben consapevole, al riguardo rifacendosi - legittimamente - in buona sostanza al tradizionale, sempre valido, criterio della scindibilità della valutazione del contenuto della deposizione (Sez. 6, n. 7900 del 22/04/1998, Martello, Rv. 211376; Sez. 6, n. 10625 del 16/10/1992, Palmucci, RV. 192149; Sez. 1, n. 8123 del 09/04/1991, Belfiore, Rv. 188046), nel contesto di una prova, complessivamente, di tipo logico (p. 3 della sentenza del Tribunale).
2. Al rigetto del ricorso consegue, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/04/2016.