Cassazione Civile, Sez. 6, 15 marzo 2017, n. 6815 - Domanda ai fini del riconoscimento della rendita da malattia professionale


 

 

 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: MAROTTA CATERINA Data pubblicazione: 15/03/2017

 

 

 

Rilevato che:
- la Corte di appello di Messina, in accoglimento dell’impugnazione dell’I.N.A.I.L. ed in riforma della decisione del Tribunale di Patti, rigettava la domanda proposta da A.F. intesa ad ottenere il riconoscimento della rendita da malattia professionale in quanto affetto da ‘pregresso I.M.A. non Q, insufficienza mitralica, extrasistolia ventricolare, cefalea, vertigini, affanno da sforzo breve, sindrome ansiosa’, affezioni che si assumeva fossero state determinate dal lavoro svolto (operaio Telecom addetto alla palificazione). La Corte territoriale, sulla base della disposta consulenza tecnica d’ufficio, escludeva qualunque nesso di derivazione causale tra le malattie denunciate e l’attività lavorativa;
- A.F. propone incorso per cassazione affidato ad un motivo;
- l’I.N.A.I.L. resiste con controricorso;
- la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ., è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
- il ricorrente ha depositato memoria;
- il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
 

 

Considerato che: 
- con l'unico motivo il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta in particolare che il c.t.u. di secondo grado abbia ‘omesso di esaminare e operare una valutazione della prova testimoniale espletata nel giudizio di primo grado’ dalla quale sarebbe emersa la sussistenza, nelle mansioni svolte dal A.F., di elementi concausali (lavori intensi, sforzi particolari, esposizioni ad intemperie, stress derivante da condizioni di lavoro disagiate) che avevano determinato la denunciata malattia professionale;
- il motivo è inammissibile;
- nell’insieme, le censure consistono in un’argomentata rilettura dei fatti di causa, all’esito della quale si sostiene che le affermazioni contenute nella sentenza impugnata (nella parte in cui questa fa proprio il giudizio e le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio) sarebbero smentite da quanto rinvenibile negli atti, e che la Corte di appello non avrebbe considerato o rettamente considerato determinate risultanze di causa;
- è di tutta evidenza che, pur con una intitolazione del motivo conforme al testo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione disposta dall’art. 54, co. 1, lett. b) d.l. n. 83/2012, convertito nella 1. n. 134/2012, la parte, in realtà, critica la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale. In quanto tale, esso non è più censurabile ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nel testo attualmente vigente, interpretato dal noto arresto n. 8053/14 delle S.U. di questa Corte secondo il quale il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., configurabile solo nel caso di ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, di ‘motivazione apparente’, di ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e di ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione;
- l’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria). Tuttavia il riferimento al fatto secondario non implica - e la citata sentenza n. 8053 delle S.U. lo precisa chiaramente - che possa denunciarsi ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti;
- nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale (la quale ha espressamente evidenziato che le conclusioni dell’ausiliare officiato in grado di appello ‘appaiono fondate su elementi oggettivi e su un’accurata valutazione delle concrete modalità di espletamento del lavoro di operaio addetto alla palificazione’); sicché non può certo trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dal ricorrente;
- peraltro, i rilievi sono basati su risultanze di atti di causa (prove testimoniali, consulenze) senza che di tali atti, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, sia trascritto il contenuto completo con riferimento alle parti oggetto di doglianza e senza che gli stessi siano stati individuati con riferimento alla sequenza di documentazione dello svolgimento del processo nel suo complesso, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (cfr. ex nmltis Cass., 6 novembre 2012, n. 19157; id. 23 marzo 2010, n. 6937; 30 luglio 2010, n. 17915; 12 giugno 2008, n. 15808; 25 maggio 2007, n. 12239). Al suddetto fine e, nel caso di specie, del tutto insufficiente l’aver riportato in ricorso una sintesi di alcune deposizioni testimoniali ovvero taluni stralci della consulenza tecnica di secondo grado, inidonei a dare contezza del complessivo quadro probatorio (legittimamente formato) che la Corte territoriale ha avuto a disposizione per la propria decisione;
- in conclusione, la proposta va condivisa e il ricorso va rigettato;
- nulla va disposto per le spese processuali, ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, prima delle modifiche di cui all’art. 42, co. 11, del d.l. n. 326/2003 convertito nella l. n. 326/2003 (ndr: d.l. n. 269/2003 convertito nella 1. n. 326/2003), trattandosi di giudizio il cui ricorso introduttivo di primo grado è stato depositato anteriormente al 2 ottobre 2003.
- va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater; d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’alt. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 in quanto l’obbligo del previsto pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione m rito, negativa per l’impugnante, del ricorso (così Cass. Sez. un. n. 22035/2014).
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi dell’alt. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, l’8 febbraio 2017