Cassazione Civile, Sez. 6, 14 marzo 2017, n. 6633 - Domanda per il riconoscimento dell'origine professionale della sclerodermia. Assenza di nesso e di prova dell'esposizione al rischio


 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: MAROTTA CATERINA Data pubblicazione: 14/03/2017

 

 

 

Rilevato che:
- la Corte di appello di Perugia, decidendo sull’impugnazione proposta dall’I.N.A.I.L., in riforma della pronuncia del Tribunale di Terni, rigettava la domanda proposta da A.A. intesa ad ottenere il riconoscimento dell’origine professionale della ‘sclerodermia’ da cui era affetto. Riteneva la Corte territoriale, sulla base della rinnovata c.t.u., che fosse da escludere la natura professionale della malattia (non tabellata) atteso che, se pure tra le cause della stessa poteva essere individuata l’esposizione a polvere di silice cristallina, nella fattispecie in esame non erano stati riscontrati il caratteristico aspetto fìbrotico interstiziale tipico della localizzazione polmonare sclerodermica ovvero alterazioni di tipo silicotico né comunque era stata provata l’esposizione dell’A.A. alla silice nello svolgimento delle sue mansioni (difettando così del tutto sia il nesso di causalità sia la prova dell’esposizione al fattore di rischio);
- per la cassazione di tale sentenza A.A. propone ricorso affidato ad un motivo;
- l’I.N.A.I.L. resiste con controricorso;
- la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ., è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
- non sono state depositate memorie; 
- il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

 

Considerato che:
- con l’unico motivo il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e violazione e/o erronea applicazione dell’art. 194 cod. proc. civ.. Si duole del fatto che la Corte territoriale abbia respinto la domanda sul rilievo della mancanza di prova in ordine all’esposizione al rischio ad al nesso causale tra la malattia di cui era lamentata l’insorgenza e l’attività lavorativa. Rileva che la motivazione della decisione, sul punto, è limitata alla sintetica argomentazione secondo cui ‘nulla è specificato sulle modalità di esecuzione della sabbiatura’; aggiunge che il passaggio in cui è precisato che ‘si deve escludere che nei documenti indicati dal primo giudice si trovi la prova dell’esposizione del ricorrente’ al fattore di rischio è del tutto incongruente sotto il profilo della valutazione delle risultanze della consulenza di primo grado;
- il motivo è inammissibile;
- è di tutta evidenza che, pur con una intitolazione del motivo conforme all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione disposta dall’art. 54, co. 1, lett. b) d.l. n. 83/2012, convertito nella l. n. 134/2012 e pur con una formale denuncia di violazione di legge, la parte, in realtà, critica la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale (tanto si rileva chiaramente dall’essere i rilievi incentrati sulla sinteticità ed incongruenza della motivazione). Detto vizio, in quanto tale, non è più censurabile ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nel testo attualmente vigente, interpretato dal noto arresto n. 8053/14 delle S.U. di questa Corte secondo il quale il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all'art. 132, n. 4, cod. proc. civ., configurabile solo nel caso di ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, di ‘motivazione apparente’, di ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e di ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione;
- l’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (c quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria). Tuttavia il riferimento al fatto secondano non implica - e la citata sentenza n. 8053 delle S.U. lo precisa chiaramente - che possa denunciarsi ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti;
- nel caso in questione i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale (la quale ha espressamente evidenziato che le conclusioni dell’ausiliare officiato in grado di appello non potevano essere messe in discussione dal contenuto degli atti di causa atteso che dagli stessi documenti invocati dal ricorrente a fondamento dei propri assunti era solo dato evincere che le mansioni del ricorrente erano state quelle di ‘capocantiere verniciatura industriale’ senza alcun accenno all'impiego di sabbia silicea); sicché non può certo trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dal ricorrente;
- peraltro, il ricorrente fonda i rilievi su risultanze di atti di causa (documenti, consulenze) senza che di tali atti, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, sia trascritto il contenuto completo con riferimento alle parti oggetto di doglianza e senza che gli stessi siano stati individuati con riferimento alla sequenza di documentazione dello svolgimento del processo nel suo complesso, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile Tesarne (cfr. ex multis Cass., 6 novembre 2012, n. 19157; id. 23 marzo 2010, n. 6937; 30 luglio 2010, n. 17915; 12 giugno 2008, n. 15808; 25 maggio 2007, n. 12239). Al suddetto scopo è, nel caso di specie, del tutto insufficiente l'aver indicato in ricorso la numerazione (doc. 7, doc. 9) di alcuni documenti o l'aver riportato, per sintesi, taluni passaggi delle consulenze di primo e di secondo grado, inidonei a dare contezza del complessivo quadro probatorio (legittimamente formato) che la Corte territoriale ha avuto a disposizione per la propria decisione;
- in conclusione, la proposta va condivisa e il ricorso va dichiarato inammissibile;
- la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
- va dato atto dell’applicabilità dell'art. 13, comma 1 quater., d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell'I.N.A.I.L., delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, l’8 febbraio 2017