Cassazione Penale, Sez. 4, 14 marzo 2017, n. 12178 - Infortunio mortale per folgorazione di un elettricista: tensione nell'armadio elettrico. Nessun comportamento abnorme del lavoratore che ha confidato sulla messa in sicurezza


 

 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: DI SALVO EMANUELE Data Udienza: 02/12/2016

 

 

 

Fatto

 


1. DP.E. e M.M. ricorrono per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al delitto di cui all'art. 589 cod. pen. perché, il DP.E. in qualità di datore di lavoro, in cooperazione colposa con C.A. e M.M., per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e in violazione della normativa antinfortunistica, omettendo di impedire che la porta di accesso al quadro elettrico dove si verificò l'infortunio non fosse bloccata, con ciò consentendo l'accesso agli elementi in tensione all'interno dell'armadio; omettendo,inoltre, di sottoporre a idonea manutenzione la porta di accesso all'armadio ovvero il dispositivo di sicurezza a serraggio meccanico della porta, in modo tale che la stessa non potesse essere aperta se non al termine della procedura di messa fuori servizio; omettendo,infine, di impedire, seppure a conoscenza della fallita procedura di messa fuori servizio della linea elettrica, che il M.M. e il personale ABB (C.A. e B.) operassero sul quadro, pur non avendone titolo, con porta aperta, anziché richiedere a "Ferriere Nord" spa il sezionamento della linea a monte della cabina elettrica, stante la situazione di fermo produzione, nonché l'intervento di personale specializzato;
il M.M. in qualità di tecnico conduttore dell'impianto, intervenendo sui componenti del quadro, nonostante fosse a conoscenza della fallita procedura di messa fuori servizio della linea elettrica, con porta del quadro aperta, mettendo così a rischio la sicurezza propria e degli altri lavoratori,tra cui B.P., cagionavano la morte di quest'ultimo, il quale rimaneva folgorato entrando con il capo nell'armadio contenente il quadro.
2. DP.E. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché la dinamica dell'evento non è stata ricostruita dai giudici di merito e, d'altronde, non può essere valutata a sfavore dell'imputato la scelta di avvalersi della facoltà di non rispondere. L'organo di vigilanza ha semplicemente constatato l'evento terminativo- e cioè la folgorazione- ma non ha accertato la sequenza eziologica che lo ha cagionato. La consulenza del pubblico ministero è risultata del tutto inconsistente. Non si sa nemmeno se la porta dell'armadio elettrico fosse già aperta quando è arrivato il B. o se sia stato quest'ultimo ad aprirla. In ogni caso, il soggetto passivo, che era un elettricista, abilitato a intervenire su impianti elettrici, non poteva non rendersi conto che l'armadio elettrico era ancora sotto tensione, condizione questa che lo obbligava a rinunciare a qualsiasi intervento. L'abnormità del comportamento del soggetto passivo, quindi, non consiste nel fatto di essersi esposto al rischio elettrico ma nella decisione di intervenire pur sapendo che vi era tensione all'interno dell'armadio elettrico, poiché quest'ultimo non era stato messo fuori servizio. Viceversa, il DP.E., del quale non è stata neanche accertata la presenza nel locale in cui erano ubicati gli impianti elettrici ed addirittura sul luogo di lavoro, al momento in cui si svolsero i fatti, è totalmente inesperto in ordine a questioni di elettricità. I giudici di merito hanno dunque fatto ricorso a una regola di prudenza postuma, non contestata nell'imputazione e che si colloca al di fuori del sistema di gestione vigente all'interno dell'impresa, secondo cui l'imputato avrebbe dovuto impedire all'infortunato e al C.A. di accedere alla zona degli armadi elettrici, ritenendo erroneamente irrilevante che la vittima, in ragione della propria qualifica professionale, potesse rendersi conto che il flusso della corrente all'interno dell'armadio elettrico non era stato interrotto.
3. Anche M.M. deduce, in un ordine di idee assai simile a quello del ricorso presentato dal coimputato, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'abnormità del comportamento della vittima e alla mancata ricostruzione della dinamica del fatto e, in particolare, del ruolo esplicato dal ricorrente, in quanto la Corte d'appello, senza alcun riscontro probatorio, ha ritenuto che il M.M. abbia chiamato il B. e il C.A. per cercare di capire insieme a loro quale potesse essere l'inconveniente o abbia accettato l'aiuto da loro offerto. Ingiustificatamente viene addebitato al M.M. di non aver impedito ai due dipendenti l'accesso nel locale dove si trovavano gli armadi elettrici, di non aver chiesto l'intervento di personale specializzato e di non aver interrotto la linea elettrica a monte dell'armadio interessato: misure, queste, non codificate all'interno del sistema di gestione della sicurezza predisposto dal datore di lavoro e, per di più, incompatibili con il ruolo di preposto rivestito dal M.M., che la Corte territoriale stessa definisce persona non esperta e non formata, che non poteva comprendere le problematiche relative ad apparecchiature così complesse e pericolose. Non sono stati nemmeno acquisiti elementi di prova sul fatto che il M.M. fosse stato investito della sicurezza del personale ABB.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 


l. Le doglianze formulate da DP.E. sono parzialmente fondate.
In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dai giudici di merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U.,13-12-1995, Clarke, Rv. 203428). Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve pertanto essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da antinomie e da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo", indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente, nei motivi posti a sostegno del ricorso, in misura tale da risultare radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516).
2. Nel caso in disamina, l'apparato logico posto a base della sentenza di secondo grado non è esente da vizi, non evincendosi con chiarezza sulla base di quali argomentazioni i giudici di merito siano pervenuti all'asserto relativo alla sussistenza di un sostrato probatorio idoneo a valicare la soglia del ragionevole dubbio e a supportare adeguatamente la declaratoria di responsabilità. La declaratoria di responsabilità a carico del DP.E. si fonda, nell'impianto argomentativo della sentenza impugnata, su un triplice asserto: 1) l'imputato non aveva previsto una procedura di sicurezza da seguire in caso di malfunzionamento di quella ordinaria, volta ad ottenere la messa in sicurezza degli armadi elettrici, non potendosi legittimamente fare affidamento sull'assoluta e totale assenza di rischio delle operazioni, così come codificate in azienda; 2) le regole cautelari, di comune prudenza, che avrebbero dovuto essere seguite da M.M. avrebbero dovuto essere normate dal datore di lavoro, DP.E., non potendo egli farà affidamento sull'incrollabile solidità e perfezione degli armadi elettrici e dei meccanismi interni, considerata anche la particolare significatività del rischio elettrico; 3) l'imputato non ha fornito chiare direttive nel senso di un divieto assoluto di accesso nei locali interessati all'infortunio, da parte di personale non autorizzato. Tutti e tre questi asserti sono stati però formulati dalla Corte territoriale in modo apodittico, senza chiarire da quali risultanze probatorie essi siano stati enucleati e senza procedere ad una approfondita disamina della condotta del DP.E.. Il giudice di secondo grado avrebbe infatti dovuto chiarire, in primo luogo, se il datore di lavoro avesse o meno proceduto ad un'adeguata analisi e valutazione dei rischi nonché alla elaborazione del documento di cui all'art. 28 d. Lgs. 9-4-2008, n. 81; e, in secondo luogo, se avesse adeguatamente formato e informato i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni aziendali, con particolare riguardo ai pericoli inerenti all'operatività degli impianti elettrici.
Del tutto estranea al tessuto argomentativo della pronuncia impugnata risulta poi la tematizzazione del profilo inerente alle cause dell'apertura della porta. La Corte territoriale liquida la problematica, bollando come "irrilevanti" i motivi per cui la porta dell'armadio si aprì, nonostante non fosse stata interrotta la corrente. Viceversa, all'accertamento se eventuali difetti di funzionamento - e quindi di manutenzione- possano aver esplicato un ruolo nella sequenza eziologica sfociata nell'infortunio non può non ascriversi importanza focale, ai fini dell' attribuzione di profili di responsabilità al DP.E., così come, del resto, si prefigura nell'imputazione, che contesta al DP.E. di aver omesso di sottoporre l'impianto ad idonea manutenzione. Infatti, ove sia riscontrabile un difetto di funzionamento dell'impianto, occorrerebbe accertare se e quanto tempo prima dell'infortunio vi fossero stati interventi manutentivi, di quale specie, ad opera di chi, se essi fossero stati adeguati ed ogni altra circostanza idonea a chiarire l'eziologia dell'evento. Mentre se a quest'ultima dovesse risultare estraneo ogni difetto di funzionamento dell'impianto, occorrerebbe chiarire le ragioni per le quali sia stata possibile l'apertura della porta.
In ordine poi alla mancata previsione di una procedura di sicurezza da seguire in caso di malfunzionamento di quella ordinaria, occorre osservare come risulti dall'imputazione formulata a carico del DP.E. che a quest'ultimo viene addebitato di aver omesso, nonostante fosse a conoscenza del fallimento della procedura di messa fuori servizio della linea elettrica, di impedire che M.M., C.A. e B. operassero sul quadro con la porta aperta, anziché richiedere a " Ferriere Nord spa" il sezionamento della linea a monte della cabina elettrica e chiedere l'intervento di personale qualificato e specializzato, capace di intervenire sul quadro. Da ciò sembra doversi inferire che delle direttive, al riguardo, erano state emanate, nel senso che, per l'appunto, gli operatori, nei casi come quello in esame, dovevano richiedere ad una impresa specificamente indicata ("Ferriere Nord" spa) un ben preciso adempimento e dovevano poi interpellare personale qualificato e specializzato, ai fini di un apposito intervento sul quadro. Ciò si pone in antitesi con la prospettazione inerente alla mancata emanazione di specifiche disposizioni di sicurezza. La Corte d'appello tace sul punto. Così come tace sul problema, specificamente focalizzato nell'imputazione, della conoscenza, da parte del DP.E., del fallimento della procedura di messa fuori servizio della linea elettrica, limitandosi anche in questo caso a definire irrilevante la circostanza che egli fosse o meno al corrente della mancata ultimazione della procedura di messa in sicurezza, senza neanche spiegare le ragioni di tale irrilevanza.
In relazione a tali lacune motivazionali, è ravvisabile il vizio di mancanza di motivazione, riscontrabile non solo quando quest'ultima venga completamente omessa ma anche quando sia priva di singoli momenti esplicativi in ordine ai temi sui quali deve vertere il giudizio (Cass., Sez. 6, n. 27151 del 27-6-2011; Sez. 6, n. 35918 del 17-6-2009, Rv. 244763). I giudici di merito avrebbero infatti dovuto ricostruire, con precisione, lo snodarsi della sequenza fattuale e l'eziologia dell'evento, in stretta aderenza alle risultanze processuali, e verificare se queste ultime, valutate non in modo parcellizzato ma in una prospettiva unitaria e globale, potessero essere ordinate in una costruzione razionale e coerente, di spessore tale da prevalere sulla versione difensiva e da approdare sul solido terreno della verità processuale (Cass., 25-6-1996, Cotoli, Rv. 206131), attraverso un'adeguata elaborazione logica del materiale probatorio disponibile, sì da dare puntuale risposta alle argomentazioni difensive ( Sez. 6 ,n. 34042 del 11-2-2008, Napolitano), nell'ottica del principio dell'"oltre il ragionevole dubbio". Quest'ultimo impone infatti al giudicante l'adozione di un metodo dialettico di verifica dell'ipotesi accusatoria, volto a superare l'eventuale sussistenza di dubbi intrinseci a quest'ultima, derivanti, ad esempio, da autocontraddittorietà o da incapacità esplicativa, o estrinseci, in quanto connessi all'esistenza di ipotesi alternative dotate di apprezzabile verosimiglianza e razionalità (Cass., Sez 1,n.4111 del 24-10-2011, Rv. 251507). Può infatti addivenirsi a declaratoria di responsabilità, in conformità al canone dell'« oltre il ragionevole dubbio», soltanto qualora la ricostruzione fattuale a fondamento della pronuncia giudiziale espunga dallo spettro valutativo soltanto eventualità remote, astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle risultanze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e dell'ordinaria razionalità umana (Sez. 1 n. 17921 del 3-3-2010, Rv. 247449 ; Sez. 1 n. 23813 del 8-5-2009, Rv. 243801; Sez. 1, n. 31456 del 21-5-2008, Rv. 240763). La condanna al di là di ogni ragionevole dubbio implica che, laddove vengano prefigurate ipotesi alternative, siano individuati gli elementi di conferma della prospettazione fattuale accolta , in modo che risulti l'irrazionalità del dubbio derivante dalla sussistenza dell'ipotesi alternativa (Cass., Sez. 4, n.30862 del 17-6-2011, Rv. 250903 ; Sez 4, n. 48320 del 12-11-2009, Rv. 245879). Obbligo che, nel caso 
sub iudice, non può dirsi adempiuto dalla Corte d'appello, non potendo affermarsi, sulla base delle considerazioni appena esposte, che i giudici di secondo grado abbiano preso adeguatamente in esame tutte le deduzioni difensive né che siano pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto esenti da connotati di contraddittorietà o di manifesta illogicità e di un apparato logico coerente con una esauriente analisi delle risultanze agli atti ( Sez. U., 25-11-1995, Facchini, Rv. 203767). Ciò che impone un pronunciamento rescindente.
3. Le doglianze formulate da M.M. sono infondate. Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, che, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attenga pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta" sotto il profilo logico-argomentativo e quindi l'accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37006 del 27 -9-2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazi, Rv. 234155). Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l'art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicità della motivazione (cfr , ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 8570 del 14-1¬2003, Rv. 223469; Sez. fer. , n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi; Sez . 5, n. 32688 del 5-7-2004, Scancella; Sez. 5, n.22771 del 15-4-2004, Antonelli).
4. Nel caso in disamina, l'impianto argomentativo a sostegno del decisum è puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Dirimenti, al riguardo, le considerazioni formulate alle pagine 7 e 8 della sentenza impugnata, laddove il giudice a quo ha posto in rilievo che, quali che siano state le cause che hanno determinato l'apertura della porta, nonostante la corrente non fosse stata interrotta, la semplice constatazione, da parte del M.M., che non si era riusciti a concludere la procedura di messa in sicurezza dell'armadio, per l'insorgenza di qualche problema, avrebbe dovuto indurre il M.M., in primo luogo, a impedire a chiunque di avvicinarsi all'armadio stesso e di entrare nel locale e, in secondo luogo, ad attivare procedure di sicurezza alternative e cioè il sezionamento a monte della linea elettrica e la richiesta di intervento di personale qualificato. Si tratta di regole cautelari di comune prudenza, che potevano senz'altro essere seguite da M.M., il quale non avrebbe dovuto far altro che uscire dal locale, chiuderlo o comunque vietarne l'accesso a chiunque e chiedere l'intervento di personale specializzato o interrompere la linea elettrica a monte dell'armadio interessato al guasto: cautele elementari che avrebbero certamente evitato l'evento.
4.1.Per quanto poi attiene alla tesi, prospettata dal ricorrente, secondo cui la condotta della persona offesa è da qualificarsi abnorme e tale da interrompere il nesso eziologico, occorre sottolineare, sotto il profilo giuridico, che l'interruzione del nesso causale tra condotta ed evento è configurabile allorché la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo, del tutto eccentrico o comunque esorbitante rispetto a quello originario, attivato dalla prima condotta (ex plurimis, di recente, Sez. 4, n. 15493 del 10-3-2016, Pietramala, Rv. 266786; Cass., Sez. 4, n. 25689 del 3-5-2016, Rv. 267374; n. 43168 del 2013, Rv. 258085; n. 17804 del 2015, Rv. 263581). Non può, comunque, ritenersi causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, il comportamento negligente di un soggetto, come il lavoratore,vittima dell'infortunio, che si riconnetta ad una condotta colposa altrui (Cass., Sez. 4, n. 18800 del 13-4¬2016, Rv. 267255; n. 17804 del 2015, Rv. 263581; n. 10626 del 2013, Rv.256391). Al riguardo, la Corte d'appello, richiamando la motivazione della sentenza di primo grado, ha evidenziato che, da parte del B., l'aver visto la porta dell'armadio elettrico aperta poteva far sorgere un legittimo affidamento sul fatto che la messa in sicurezza fosse stata completata. Dunque il comportamento del lavoratore consistente nell' accedere alla struttura per espletare gli incombenti tecnici del caso non può essere qualificato come abnorme, nel senso dianzi precisato.
5. La sentenza impugnata va dunque annullata nei confronti di DP.E., con rinvio alla Corte d'appello di Trieste, per nuovo giudizio. Il ricorso di M.M. va invece rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata nei confronti di DP.E., con rinvio alla Corte d'appello di Trieste. Rigetta il ricorso di M.M., che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 2-12-2016.