Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 27 marzo 2017, n. 15124 - Lavori in ambienti confinati: azoto presente nel serbatoio e morte di un operaio. Appalto e responsabilità


 

 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO M.E. Relatore: DOVERE SALVATORE Data Udienza: 13/12/2016

 

 

 

 

 

Fatto

 


1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano ha parzialmente riformato la pronuncia emessa dal Tribunale di Vigevano nei confronti di G.G., G.M.E., G.G.F., G.M.A., T.A., T.G., V.A.  e Z.R., chiamati a rispondere in diverse qualità della morte di P.A. e delle lesioni personali patite da T.  in occasione e a causa dell'attività lavorativa dai medesimi espletata.
Il Tribunale aveva condannato tutti gli imputati per il reato di omicidio colposo e lo Z.R. ed il V.A. anche per alcune contravvenzioni, infliggendo ai medesimi la pena ritenuta equa, condizionalmente sospesa; li aveva poi condannati al pagamento delle spese processuali. A riguardo delle lesioni personali, il primo giudice aveva dichiarato la improcedibilità dell'azione per mancanza di querela.
La Corte di Appello, dal canto suo, ha dichiarato estinte per prescrizione le contravvenzioni menzionate, eliminando la relativa sanzione, ed ha confermato ogni altra statuizione.
2. Pertanto, all'esito dei giudizi di merito la ricostruzione processuale della vicenda sottesa alle menzionate statuizioni risulta delineata nel modo che segue.
2.1. La IVM Chemicals srl, con stabilimento in Parona diretto da Z.R., produttrice di resine, vernici e diluenti per l’industria del legno, il 24.4.2008 aveva affidato alla Vibro-Mac s.r.l. (che aveva nei G.G. i propri amministratori delegati) la fornitura di alcuni serbatoi e dei relativi sistemi di agitazione (apparati costituenti i sistemi di miscelazione utilizzati nel ciclo produttivo), nonché la "modifica serbatoio esistente denominato B4Dx01 ai fine di montare la sella di supporto della LAN 3 di cui ai punto L. La modifica è realizzabile presso il vs. stabilimento con serbatoio messo in sicurezza" (così l'ordine all'impresa esecutrice).
Sulla scorta di un accordo intervenuto nel maggio 2008 la IVM aveva assegnato alla Italwisad s.r.l. il compito di eseguire la "sostituzione motoriduttore, inserimento nuova sella motore mescolatore Vibromac". Era stato concordato che la prestazione sarebbe consistita nello scollegamento dell’albero dal motoriduttore "previa bonifica da parte vostra"- nella fornitura di una piastra destinata a fungere da supporto del motore; nel montaggio del nuovo motore.
In effetti, nel luglio la Italwisad aveva provveduto ad eseguire l'installazione della piastra, con opere compiute esclusivamente all'esterno del serbatoi.
Da quel momento il serbatoio, dopo essere stato lavato con acqua e solvente per eliminare i residui delle lavorazioni, rimaneva inattivo ed escluso dal sistema informatico di automazione.
In data 7 ottobre 2008 la Vibro-Mac veniva autorizzata ad affidare alla partecipata CML s.r.l. (avente quali consiglieri delegati del C.d.A. T.A. e T.G.), il subappalto dei lavori, ed il giorno successivo il P.A. (dipendente della prima) ed il T. (dipendente della seconda) si presentavano presso lo stabilimento della IVM.
I due lavoratori venivano accolti in azienda dal V.A. (responsabile progetti e dirigente in staff all'interno dello stabilimento della IVM), in compagnia del quale e del G.G.F. (responsabile della manutenzione dello stabilimento) aprivano il boccaporto del serbatoio B4DX01, dal quale fuoriusciva un forte odore di solvente. Si decideva pertanto di differire al giorno successivo la lavorazione; e veniva inserito all'interno del serbatoio un tubo di gomma volante, collegato all'impianto di aria compressa, in modo da far fuoriuscire i vapori dei solventi.
Il 9 ottobre 2008 il P.A. ed il T. facevano ingresso in azienda verso le ore 9 e si portavano direttamente al serbatoio B4DX01. Dopo aver depositato nei pressi l'imbracatura e gli altri sussidi di sicurezza in dotazione si calavano all'interno del serbatoio utilizzando una scala. Ma la presenza di una insufficiente quantità di ossigeno, dovuta all'insufflazione di azoto, determinava la morte del P.A. per asfissia acuta con insufficienza cardiaca terminale e la perdita di coscienza da ipossia del T..
2.2. L'affermazione di responsabilità per lo Z.R. ed il V.A. veniva derivata dal non aver essi fornito alla Vibro-Mac e alla CML dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui i relativi addetti si sarebbero trovati ad operare e dall'aver omesso l'opera di coordinamento prevista dall'art. 26 d.lgs. n. 81/2008, ravvisandosi un rischio interferenziale in corrispondenza delle operazioni di modifica del serbatoio B4DX01; per il G.G.F. veniva fondata sulla omessa organizzazione dell'intervento di modifica, sulla mancata informazione in ordine ai rischi connessi all'operazione di manutenzione e nell'omesso controllo della rispondenza delle attrezzature di lavoro della ditta appaltatrice alla normativa antinfortunistica (ovvero la dotazione di imbracature e di maschere per la respirazione); per il G.M.A., responsabile del reparto B4 nel quale era installato il serbatoio che avrebbe dovuto essere modificato, per aver omesso di esercitare i compiti di autorizzazione e di vigilanza delle attività del personale esterno e per non aver informato i responsabili delle ditte appaltatrici dei rischi presenti nella zona di lavoro dando le necessarie istruzioni.
Quanto ai G., ad essi veniva ascritto di non aver cooperato all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi connessi all'attività lavorativa oggetto di appalto e di non aver svolto il coordinamento degli interventi, omettendo anche di valutare i rischi conseguenti all'ingresso dei lavoratori in ambienti o recipienti ad alto rischio per la presenza di gas pericolosi e conseguentemente di adottare le idonee misure antinfortunistiche.
Ai T., infine, veniva ascritto egualmente di non aver provveduto all'attività di cooperazione e di coordinamento ed altresì di non aver attuato quanto previsto nel documento di valutazione dei rischi pur predisposto, in relazione ai rischi conseguenti all'ingresso dei lavoratori in ambienti ad alto rischio per la presenza di gas pericolosi.
3. Ricorrono per la cassazione della sentenza di secondo grado tutti gli imputati.
G.G., G.M.E., T.A. e T.G. affidano le proprie censure a tre motivi.
I primi due, che evocano l'errata applicazione dell'art. 26, co. 1 lett. ) e, co. 2, lett. a) e b), e co. 3, nonché dell'art. 19, co. 1 lett. a) d.lgs. n. 81/2008 e infine dell'art. 589 cod. pen. (motivo sub a) e il vizio motivazionale, propongono dalle convergenti prospettive dei vizi denunciati il medesimo assunto: nel caso di specie era mancata da parte del committente l'informazione del rischio specifico costituito dalla presenza di azoto all'interno del serbatoio sul quale doveva essere eseguita l'attività degli appaltatori, sicché non poteva ritenersi che questi ultimi fossero tenuti all'attività di cooperazione e di coordinamento prevista dall'art. 26 d.lgs. n. 81/2008.
Più specificamente, si denuncia l'errore giuridico nel quale è incorso il giudice di secondo grado, giacché l'art. 26 citato impone alla committente di segnalare rischi specifici ed è da tale informazione che discende l'obbligo di coordinamento a carico dell'appaltatore; senza il corretto adempimento della prescrizione di cui al comma 1 della lettera b) dell'art. 26 non opera a carico dell'appaltatore l'obbligo di coordinamento e di cooperazione, residuando unicamente gli obblighi prevenzionistici connessi ai rischi della propria attività. Nel caso che occupa, osserva l'esponente, la committente non segnalò il rischio specifico rappresentato dalla presenza in ambiente confinato (il serbatoio B4DX01) di una miscela di gas irrespirabile per la ridotta percentuale di ossigeno (10%), derivante dall'insufflaggio di azoto operato per evitare esplosioni.
Quanto al vizio motivazionale, esso viene rinvenuto - nella forma della illogicità - laddove la Corte di Appello afferma che "Vibromac e CML non avevano bisogno di una comunicazione ufficiale, scritta o comunque formale relativa atta presenza di azoto nei serbatoio perché ne avevano perfetta ed assoluta conoscenza" - perché non considera la differenza corrente tra uno stabilimento in costanza di ciclo produttivo, richiedente insufflaggio di azoto, e una cisterna 'staccata' perché in manutenzione, e quindi non bisognevole di insufflaggio. La circostanza viene rimarcata anche in relazione alle premesse fattuali dalle quali può correttamente farsi derivare l'obbligo di cooperazione e di coordinamento degli appaltatori, i quali sapendo di trovarsi di fronte ad un serbatoio 'staccato' e, per indicazione della committente, lavato e bonificato, ben potevano ritenere che non fosse in essere l'insufflaggio di azoto.
Ancora contraddittorietà e illogicità si rinviene nella deduzione, dalla circostanza che il P.A. ed il T. si erano presentati nello stabilimento con la dotazione necessaria a scendere nel serbatoio, del fatto che essi erano stati inviati a lavorare all'interno del medesimo; e nell'affermazione per la quale, nonostante le inequivoche indicazioni dell'appaltante, i titolari della Vibromac avrebbero dovuto prevedere che il serbatoio era ancora sotto azoto perché in passato avevano fornito i serbatoi dell'impianto.
Viene altresì censurata la contraddittorietà della motivazione laddove si rammenta che il contratto di appalto prevedeva ben undici voci e poi si ritiene che le maestranze della CLM fossero in loco proprio per svolgere l'intervento sul serbatoio B4DX01; laddove afferma la responsabilità dei ruoli apicali dell'IVM per non aver segnalato lo specifico rischio azoto e contestualmente afferma la responsabilità dell'appaltatore e del subappalatore per aver cagionato la morte del P.A..
Viene asserito che l'obbligo di cooperazione e di coordinamento venne adempiuto con l'incontro che si ebbe presso la IVM prima della sottoscrizione del contratto; si rimarca che la Vibromac e la CLM si occupavano esclusivamente di sviluppare impianti nuovi, mentre era Italwisad che si occupava di interventi di manutenzione; e che G.G. non venne informato degli accordi presi in loco dai lavoratori con il V.A. ed il G.G.F..
Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell'art. 62 n. 6 cod. pen. e dell'art. 62-bis cod. pen. per aver omesso la Corte di Appello di replicare alla richiesta di riconoscimento delle menzionate circostanze attenuanti.
4. G.G.F., G.M.A., Z.R. e V.A.  chiedono la cassazione della sentenza impugnata.
4.1. Essi lamentano in primo luogo il vizio motivazionale nel quale sarebbe incorsa la Corte di Appello nel giustificare il ricorso alla motivazione per relationem, risultandone assenti i presupposti; rinvengono poi il travisamento della prova in corrispondenza dell'affermazione della sentenza della insussistenza di un appalto pieno (con persistente ingerenza, quindi, della committente) e citano per il riscontro il contratto di appalto tra IVM Chemicals s.r.l. e Vibro-Mac s.r.l. (segnatamente il punto M) nonché le dichiarazioni P., B., P..
L'esponente sostiene che l'affermazione di una mancata valutazione del rischio rappresentato dalla presenza di azoto riposa sulla mancata valutazione di una prova decisiva, facendo richiamo alla consulenza F., comprensiva di relazione, note integrative e deposizione dibattimentale, e alle dichiarazioni P., Z.R., Di., G.G.F.. Ripete che dal contratto di appalto risultava esclusa qualsiasi ingerenza della IVM nei lavori dell'appaltatore, con ciò rimanendo esclusa la responsabilità della committente, e richiama alcuni contributi dichiarativi per ribadire la tesi che la committente aveva eliminato qualsiasi rischio interferenziale sicché non aveva necessità di redigere il DUVRI.
4.2. Con un secondo motivo i ricorrenti denunciano l'erronea applicazione degli arti. 40 e 41, co. 2 cod. pen. e ancora il vizio motivazionale, in relazione al mancato riconoscimento nel comportamento dei lavoratori vittima del sinistro del carattere di abnormità, ritenendo che la decisione dei due operai di introdursi all'interno del serbatoio senza attendere l'arrivo del responsabile della manutenzione e senza utilizzare alcun dispositivo di protezione sia stata scelta imprevedibile e non giustificata dalla loro consapevolezza, risalente al giorno prima, della inagibilità del serbatoio.
4.3. Il terzo motivo rinviene il vizio motivazionale, sub specie di travisamento della prova, per aver la Corte di Appello ritenuto che lo Z.R. avesse omesso la redazione del DUVRI nonostante fosse emerso dal materiale di prova che ciò era dipeso dall'assenza di rischi da interferenze, essendo sussistenti unicamente rischi specifici della ditta appaltatrice.
Quanto al V.A., la Corte di Appello ha errato nell'attribuire al medesimo il ruolo di dirigente anziché quello di preposto, emergente dalla documentazione che viene indicata e dalle dichiarazioni B. e D.; l'assunto è che la decisione concernente la bonifica del serbatoio e la sospensione dei lavori sino al giorno successivo erano di esclusiva competenza del G.G.F..
Quanto a quest'ultimo, si asserisce che la sentenza non ha replicato alle doglianze avanzate con l'appello e che ha travisato la prova avuto riguardo alle dichiarazioni B., D., F..
L'affermazione di responsabilità del capo reparto G.M.A., per contro, urta con la circostanza che questi aveva adeguatamente informato i due lavoratori dei rischi della zona e delimitato l'area circostante al serbatoio, mentre non gli competeva il controllo del personale esterno.
4.4. Con il quarto motivo si lamenta l'erronea applicazione dell'art. 62-bis cod. pen. e dell'art. 125, co. 3 cod. proc. pen. avendo la Corte di Appello mancato di replicare al motivo di impugnazione che denunciava la mancata valutazione come prevalenti delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante.
4.5. Con 'Motivi nuovi' depositati il 24.11.2016 i ricorrenti articolano ulteriori argomentazioni a riguardo della censura già posta con il secondo motivo dei ricorsi, imperniate su una giurisprudenza più recente ritenuta maggiormente incline a valorizzare il principio di auto-responsabilità dei lavoratori; nonché in ordine al quarto motivo, affermando che il corretto bilanciamento delle circostanze del reato avrebbe dovuto condurre a ritenere le attenuanti prevalenti sulla concorrente aggravante.
 

 

Diritto

 


5. Giova alla maggiore sintesi prendere le mosse dai ricorsi proposti nell'interesse del G.G.F., del G.M.A., dello Z.R. e del V.A..
5.1. A riguardo dei quali occorre rilevare che grande parte dell'articolazione non soddisfa i requisiti di ammissibilità del ricorso per cassazione.
Con siffatto mezzo di impugnazione, infatti, non è possibile formulare censure che non attengano a taluno dei vizi indicati dall'art. 606 cod. proc. pen. In particolare, non è sufficiente evocare il vizio della motivazione se poi l'articolazione della censura evidenzia un diretto colloquio dell'esponente con i materiali di prova. In tali casi è evidente che in realtà si giustappone a quella formulata dai giudici di merito una valutazione della prova diversa e che si vorrebbe accreditata dall'adesione del giudice di legittimità. Ma, ben diversamente, compito di questa Corte non è quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata, oppure dall'aver assunto dati inconciliabili con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989). 
Un errore di valutazione della prova non può quindi essere denunciato in quanto tale ma solo se e quando si manifesta con il vizio della motivazione. Nell'ambito del quale si rinviene anche il travisamento della prova, al quale ripetutamente fanno riferimento anche i ricorrenti in parola. Ma patrocinando una nozione di 'travisamento della prova' del tutto difforme da quella rinvenibile nella disciplina processuale, cosi come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità. Infatti, tale vizio si apprezza in presenza dell'errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell'utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall'atto istruttorio (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011 - dep. 11/05/2011, Carone, Rv. 250158). Concorre a definire ancor più nitidamente il concetto in esame la precisazione per la quale il vizio di travisamento della prova dichiarativa, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto; sicché è da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (in tal senso Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 - dep. 27/02/2013, Maggio, Rv. 255087). Deve comunque trattarsi di un errore idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007 - dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207).
Può aggiungersi che non si verte in tema di travisamento della prova quando, trattandosi di prova dichiarativa, l'eventuale errore sul significante non abbia inciso sul significato della prova.
Nel caso in esame la deduzione del vizio non soddisfa i requisiti appena rammentati (e ciò si osserva prescindendo dalla considerazione della mancata dimostrazione della ricorrenza delle rigorose condizioni per la denuncia del vizio in parola in presenza di cd. 'doppia conforme': cfr. Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 - dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007 - dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207; Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007 - dep. 07/02/2007, Medina ed altri, Rv. 236130; Sez. 4, n. 44756 del 22.10.2013, Buonfine ed altri, n.m.). Infatti non viene in nessun caso indicato il significante che sarebbe stato erroneamente percepito dai giudici del merito; né viene indicato lo specifico elemento di prova che non sarebbe stato considerato.
5.2. Ciò premesso in via generale, con il primo motivo i ricorrenti lamentano che sia stato fatto ricorso alla motivazione per relationem senza che ne sussistano le condizioni; tuttavia la censura è del tutto generica. Si sostiene che l'appello era fondato su censure 'precipue ed articolate' che meritavano una precisa risposta, senza però indicare quali di esse non abbiano trovato trattazione nel provvedimento qui all'esame.
Si afferma ricorrente un travisamento della prova, che però si vorrebbe dimostrare con il generico richiamo al contratto di appalto tra IVM Chemicals e VibroMac, alle dichiarazioni del P., del B. e del P..
Il motivo contesta, poi, che i ricorrenti abbiano omesso la valutazione del rischio azoto e ciò perché l'azoto era assente una volta completate le operazioni di bonifica; che non sia stato colto che la disabilitazione delle funzioni di automazione del serbatoio era stata disposta per motivi di sicurezza; che non sussistevano obblighi in capo alla committente perché si era trattato di 'appalto pieno' e non vi era stata ingerenza nell'attività della ditta affidataria.
Si tratta di una critica frammentaria dei singoli punti della decisione impugnata, come tale non in grado di dare dimostrazione del vizio di motivazione, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, per cui, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito (Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012 - dep. 29/01/2013, Pg in proc. Spezzacatena e altri, Rv. 255096). Peraltro, talune affermazioni sono fatte in forma di mera contrapposizione a quanto ritenuto dai giudici di merito.
Merita di essere specificamente considerato l'assunto principale dei ricorrenti, ovvero che non ricorrevano nella fattispecie i presupposti dell'obbligo di valutare il rischio azoto e di promuovere il coordinamento con le imprese affidatarie.
Come è noto l'art. 26 d.lgs. n. 81/2008, già solo per l'esistenza dell'affidamento a terzi di lavori nell'ambito dell'azienda (e non ha rilevanza la forma giuridica che il rapporto assume: Sez. 4, n. 44792 del 17/06/2015 - dep. 09/11/2015, Mancini e altro, Rv. 264957), pone in capo al committente l'obbligo di verificare l'idoneità professionale delle ditte affidatarie (lett. a), e quello di fornire ai datori di lavori esecutori "dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività" (lett. b).
Ben si comprende l'obiettivo perseguito dal legislatore; si tratta di rendere edotti i soggetti estranei all'organizzazione del committente dei rischi dell'ambiente in cui si troveranno ad operare. Rischi, quindi, che provengono dalla sfera del committente, esistenti prima e a prescindere dall'intervento dell'impresa affidataria. Specifici dell'organizzazione produttiva facente capo al datore di lavoro-committente. Non siamo ancora, quindi, in presenza del rischio interferenziale - ovvero di quel rischio "che nasce proprio per il coinvolgimento nelle procedure di lavoro di diversi plessi organizzativi" - né si tratta del rischio specifico dell'attività dell'impresa affidataria.
Nel caso che occupa, il rischio specifico dell'ambiente di lavoro rappresentato dal serbatoio era costituito - per tutti e non certo solo per i lavoratori dipendenti dall'affidataria - da quello derivante dalle procedure di inertizzazione, poiché questa veniva eseguita mediante l'immissione di azoto, con l'effetto di ridurre la percentuale di ossigeno. Sicché il rischio era quello derivante dalla presenza nel serbatoio di una miscela con una percentuale insufficiente di ossigeno, come tale possibile causa di anossia.
Che tale rischio debba ritenersi insussistente perché la committente avrebbe provveduto a rendere l'aria respirabile prima di consegnare il serbatoio agli affidatari è tesi che riposa sull'evidente inversione logica: gli obblighi previsti dalla legge - e tra questi, l'obbligo di informazione - sussistono perché le lavorazioni della committente presentano un determinato rischio e non perché tale rischio non è 'trattato' e risolto dal committente. L'opera informativa, come la valutazione dei rischi, attiene ai rischi insiti nelle attività; non ai rischi che permangono nonostante la loro valutazione e l'adozione delle connesse misure.
Sicché i committenti erano senz'altro tenuti ad informare gli affidatari del rischio rappresentato dalle modalità di inertizzazione dei serbatoi, e nella specie di quello PD4X01.
Già il Tribunale, ricostruendo le cause delle omissioni commesse da soggetti professionalmente attrezzati, ha ipotizzato che i committenti avessero ritenuto - errando - che dopo la chiusura della immissione di azoto per consentire i lavori della Italwisad il condotto dell'azoto fosse rimasto chiuso; e che essi non fossero stati sottratti all'errore dal sistema di automazione perché il serbatoio, dopo quei lavori, non era stato più monitorato informaticamente. Ma una simile condizione - alla quale i committenti si rifanno quando affermano che non esisteva rischio specifico del quale si sarebbe dovuto informare le affidatarie - non rappresenta un presupposto che legittimi la mancata informazione; la quale, lo si ripete, prescinde dalla contingenza e fa riferimento ai rischi strutturalmente insiti. Conclusivamente, anche se convinti che il rischio era 'sotto controllo' perché cessata l'immissione di azoto nel serbatoio, i committenti avrebbero dovuto informare gli affidatari che in quel serbatoio veniva immesso azoto. Incidentalmente, ma non inutilmente, può osservarsi che in tal caso si sarebbe portata l'attenzione sulla possibile presenza del gas inodore; e ciò, verosimilmente, avrebbe condotto a constatare la perdurante immissione del gas nel serbatoio PD4X01.
5.3. Il secondo motivo è infondato. L'accento posto dai ricorrenti sulla imprevedibilità del comportamento dei lavoratori non considera che il comportamento del dipendente è imprevedibile quando non è preventivamente immaginabile, e non già quando l'irrazionalità della condotta del dipendente sia controllabile, pensabile in anticipo, risolvendosi nel fare l'esatto contrario di quel che si dovrebbe fare per non incorrere in infortuni (cfr. Sez. 4, n. 37001 del 07/07/2003 - dep. 26/09/2003, Masotti, Rv. 225957). Orbene, se è vero che sul lavoratore medesimo incombe l'obbligo di osservare le prescrizioni cautelari che a lui si indirizzano, va però puntualizzato che il piano della rimproverabilità del lavoratore per la violazione commessa e quello della causalità (tra la condotta trasgressiva del datore di lavoro e le lesioni subite dal quel lavoratore) non coincidono, come dimostra il semplice rilievo che la violazione prevenzionistica del lavoratore, osservata sotto la diversa prospettiva, può risultare esito proprio di quella imprudenza, imperizia o imperizia che il sistema di tutela prevenzionistica incorpora come un 'ordinario' fattore di rischio da considerare, valutare e neutralizzare o attenuare.
Ma, soprattutto, va osservato come la più recente giurisprudenza suggerisca di abbandonare il criterio della imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo ed evento, perché ciò che davvero rileva è che tale comportamento attivi un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l'evento (per tutte si veda, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261106, in motivazione).
Nel caso che occupa non vi è alcun dubbio che i due lavoratori si calarono all'interno del serbatoio per svolgervi le attività per le quali erano stati inviati presso la IVM Chemiclas.
5.4. Il terzo motivo ripropone l'assunto della insussistenza del dovere di elaborare la valutazione del rischio interferenziale perché in concreto assenti rischi da interferenza. Sul punto ci si è già intrattenuti.
Quanto al ruolo dei ricorrenti, l'esponente si pone a diretto colloquio con gli elementi di prova dai quali a suo dire emergerebbe che il V.A. non aveva dato ordini al G.G.F., che per quest'ultimo sarebbe ravvisabile un deficit motivazionale non meglio precisato e operato un travisamento della prova per il quale si nominano intere deposizioni e altri mezzi di prova; che il G.M.A. aveva fatto quanto la Corte di Appello gli imputa di aver omesso. Si tratta quindi di un motivo non consentito in sede di legittimità, per le ragioni già esposte al paragrafo 6.1.
Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, lo Z.R. è la persona fisica nella quale si identifica nella vicenda in esame il datore di lavoro-committente, in quanto direttore dello stabilimento di Parona. Su tale aspetto non vi è alcuna contestazione alla motivazione resa dalla Corte di Appello.
Il V.A., al quale compete la qualifica di dirigente, ai sensi e per gli effetti del d.lgs. n. 81/2008, esercitò in concreto i poteri correlati al ruolo, avendo l'8.10.2008 controllato e organizzato l'intervento nel serbatoio.
A riguardo del V.A. risulta opportuna una precisazione. L'art. 26 del d.lgs. n. 81/2008 fa riferimento unicamente al datore di lavoro-committente; l'art. 18 del medesimo testo fa sì riferimento a questi ed al dirigente, ma richiama gli obblighi dell'art. 26 limitatamente a quello previsto dal comma 3: deve "elaborare il documento di cui all'articolo 26, comma 3 anche su supporto Informatico come previsto dall'articolo 53, comma 5, e, su richiesta di questi e per l'espletamento della sua funzione, consegnarne tempestivamente copia ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il documento è consultato esclusivamente in azienda" (lett. p).
Tuttavia, l'art. 55, al comma 5, punisce tanto il datore di lavoro che il dirigente per la violazione dell'art. 26, comma 1, lettere a) e b), con ciò elevando tanto il primo che il secondo a soggetti tenuti all'osservanza dell'obbligo di verifica della professionalità delle affidatarie e di informazione delle medesime.
Il G.G.F., dal canto suo, è stato ritenuto responsabile del sinistro in quanto responsabile della manutenzione e come tale, secondo la normativa interna all'azienda, avrebbe dovuto fornire ai dipendenti delle ditte esterne informazioni sui rischi e sui comportamenti da tenere nello stabilimento. In particolare avrebbe dovuto ordinare ai propri sottoposti di non far iniziare le lavorazioni al P.A. e al T. prima del controllo del serbatoio, avendo il G.G.F. consapevolezza della presenza di azoto all'interno. Il Tribunale non ha esplicitato quale base normativa abbia rinvenuto come fonte degli obblighi riferiti al preposto, qual è appunto il G.G.F.. Vale quindi puntualizzare che l'art. 19, lett. f), impone al preposto di "segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro ..."; la violazione di tali obblighi è sanzionata dall'art. 56, lett. a). Il G.G.F., quindi, avrebbe dovuto informare i propri dirigenti ed il datore di lavoro della presenza dell'azoto all'Interno di un serbatoio nel quale avrebbero dovuto eseguirsi delle lavorazioni. Né può avere rilievo che l'obbligo del G.G.F. si poneva a beneficio dei lavoratori della IVM medesima (con riferimento all'appalto endoaziendale non si rinvengono obblighi specifici del preposto), poiché l'adempimento di quello avrebbe comunque avuto l'effetto di impedire l'evento.
Tanto vale anche per il G.M.A., capo del reparto B4. Secondo la procedura aziendale denominata 'sicurezza ed igiene del lavoro e responsabilità dei preposti' egli avrebbe dovuto informare i dipendenti della ditta esterna dei rischi presenti nella zona di lavoro ricadente sotto la sua competenza; e avendo consapevolezza del programmato intervento sul serbatoio avrebbe dovuto accertare se il procedimento di inertizzazione era ancora in atto.
5.5. L'ultimo motivo è aspecifico. L'esponente ripete che la Corte di Appello non ha reso motivazione in ordine al diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche non replicando ai rilievi formulati con l'atto di impugnazione; ma in nessun caso indica quali fossero stati quei rilievi. Ciò determina la violazione dell'art. 581, lett. c) cod. proc. pen., per il quale l'impugnazione deve enunciare, tra gli altri, "i motivi, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta". Infatti, non può essere lasciata all'indagine del giudice di legittimità la identificazione, nell'ambito dell'atto di appello, di quelle censure che il ricorrente ritiene non valutate. Dimostrazione ne sia - nella vicenda in esame - che l'accenno che nei ricorsi si opera al buon comportamento processuale e alla incensuratezza degli imputati (come agli elementi che fonderebbero un giudizio di prevalenza) cade su fattori che il Tribunale aveva già indicato come causali del giudizio di equivalenza.
5.6. In conclusione, i ricorsi vanno rigettati ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.
6. I ricorsi dei G.G. e dei T. sono infondati.
6.1. In via preliminare pare opportuno rammentare che il Tribunale ha addensato in cinque punti il compendio probatorio che permette di ritenere accertato che era stato assegnato alla Vibro-Mac e non alla Italwisad il compito di intervenire sul serbatoio per eseguire operazioni che implicavano l'introduzione degli operatori all'interno dello stesso, risolvendo il dubbio prospettato proprio dalla difesa dei G.G. e dei T..
La prova dell'affidamento del lavoro di modifica sul serbatoio è stata tratta dalla dichiarazione di W.Z., legale rappresentante della Italwisad; dalla circostanza che questa impresa era intervenuta già nel luglio 2008; dal fatto che il 7.10.2008 la Vibro-Mac aveva chiesto l'autorizzazione ad avvalersi della CML, tra le cui competenze rientrava anche l'esecuzione di lavori in ambiente confinato; dal fatto che lo stesso G.G. aveva dichiarato di aver in precedenza, sia pure sporadicamente, operato su serbatoi già in attività; dalla circostanza che il giorno dell'infortunio i due lavoratori si erano presentati in azienda dotati del necessario per calarsi all'interno del serbatoio.
La riproposizione di una diversa sequenza fattuale nell'articolazione del ricorso non si poggia su rinvenuti vizi motivazionali o in diritto ma si concreta nella mera asserzione di una tesi alternativa, che si vorrebbe veder avallata dal giudice di legittimità.
Pertanto, il dato fattuale dal quale occorre necessariamente prendere le mosse è che i lavori di modifica del serbatoio erano stati commissionati a Vibra- Mac e da questi subappaltati a CLM; con il che risulta esclusa la rilevanza ai fini che occupano di quanto fatto dalla Italwisad.
6.2. Ciò posto, va chiarita la portata delle previsioni dell'art. 26, considerato che le tesi difensive si richiamano ad esso per fondare conclusioni favorevoli.
I ricorrenti asseriscono che non essendo stato correttamente adempiuto l'obbligo di informazione da parte dei committenti, su di essi non gravava alcun obbligo di coordinamento e di cooperazione.
La tesi è destituita di fondamento.
Il secondo comma dell'art. 26 dispone che "Nell'ipotesi di cui ai comma 1, i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori:
a) cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto;
b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva".
Dalla disposizione emerge con chiarezza che l'obbligo di cooperazione posto in capo agli affidatari attiene a tutti i rischi incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto. Può agevolmente notarsi che l'enfasi non è posta sul rischio specifico dell'attività della ditta affidataria-esecutrice ma sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto, con l'effetto di porre in campo la pretesa che siano considerati i rischi a questa connessa, quale che sia la fonte. Nella sequenza prefigurata dal legislatore la cooperazione dell'affidataria si produce quindi anche rispetto al rischio derivante dell'ambiente di lavoro, del quale ha normalmente conoscenza grazie all'informazione datagli dal committente. Tuttavia, la norma non pone quale condizione per il dispiegarsi dell'obbligo cooperativo che l'informazione provenga dal datore di lavoro-committente. Il che significa che la previa informazione è sì presupposto (in primo luogo logico) della cooperazione, ma anche che non è necessario per rendere attuale l'obbligo di cooperazione che tale informazione provenga dal datore di lavoro-committente: quando l'affidataria abbia comunque notizia del rischio dell'ambiente di lavoro, pur nell'inadempimento da parte del committente dell'obbligo informativo, essa è tenuto in ogni caso a farsene carico, dispiegando l'intervento cooperativo previsto dalla legge.
E' quindi destituita di fondamento la tesi degli affidatari, della 'attivazione' dell'obbligo di cooperazione solo a condizione della previa informazione data dal committente.
Quel che davvero rileva, nel caso che occupa, è che gli affidatari fossero a conoscenza delle modalità di inertizzazione del serbatoio mediante insuflaggio di azoto, perché da questa sola notizia già emergeva l'esistenza del rischio connesso all'attività lavorativa oggetto di appalto.
Orbene, il Tribunale - e con esso la Corte di Appello - ha accertato che la ditta facente capo ai G.G. aveva in precedenza operato su serbatoi "con le medesime problematiche di quello di cui è processo"; inoltre ha rimarcato - proprio rispondendo al rilievo che i ricorrenti hanno proposto anche in questa sede - che la Vibro-Mac aveva costruito ed installato tutti i serbatoi presenti all'interno dello stabilimento della IVM Chemical, sicché era "necessariamente al corrente sia dei fatto che i serbatoi erano dotati di sistema di inertizzazione sia delle conseguenze che l'azoto poteva produrre in ambiente confinato". Sicché del tutto correttamente il Tribunale ha concluso che gli affidatari non potevano limitarsi a pretendere che il serbatoio fosse messo in sicurezza ma dovevano interessarsi attivamente, adempiendo all'obbligo di cooperazione, del rischio rappresentato dall'uso di azoto.
Va anche aggiunto che del tutto correttamente il Tribunale ha affermato che la valutazione del rischio connesso all'attività all'interno del serbatoio costituiva obbligo precipuo delle imprese affidatarie anche al di là della ricorrenza di un appalto endoaziendale; sicché i G.G. ed i T. avrebbero dovuto analizzare i rischi connessi all'attività da svolgere nel serbatoio e quindi anche quello determinato dall'immissione di azoto. Si tratta di un obbligo che grava sempre sul datore di lavoro e che nel caso specifico trova una particolarità solo nel fatto che il luogo ove occorreva operare era nella disponibilità giuridica del committente.
6.3. Le censure che si indirizzano alla ricostruzione dei fatti non possono essere ricevute in questa sede perché esse, pur evocando il vizio della motivazione, in realtà mirano a veder avallata da questa Corte quella ricostruzione. Infatti, i ricorsi non riescono ad evidenziare reali manifeste illogicità della motivazione o discrepanze decisive tra quanto in esso ritenuto ed i materiali processuali.
6.4. Il motivo concernente il giudizio di bilanciamento delle concorrenti circostanze del reato risulta aspecifico in relazione al coinvolgimento dell'art. 62 n. 6 cod. pen. Invero, siffatta circostanza attenuante non risulta riconosciuta dai giudici di merito; il rilievo dei ricorrenti al riguardo si concreta nell'affermazione che essa avrebbe dovuto essere riconosciuta perché risultante 'per tabulas'. 
Quanto al resto, va rammentato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010 - dep. 18/03/2010, Contaldo, Rv. 245931). Si è già rammentato che il Tribunale, al cui giudizio la Corte di Appello ha ritenuto di aderire, ha indicato il buon comportamento processuale degli imputati e lo stato di incensuratezza come causali del rinvenuto bilanciamento.
6.5. In conclusione, i ricorsi vanno rigettati ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13/12/2016.