SENATO DELLA REPUBBLICA
XVII LEGISLATURA
Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico
 

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro


Seduta n. 49a, martedì 20 settembre 2016
 

Audizione del dottor Fabrizio Gatti in merito ai profili inerenti alla tutela della sicurezza e della salute sul lavoro, con riferimento ai fenomeni di caporalato emersi in relazione al CARA di Foggia
 

Presidenza della presidente FABBRI

Audizione del dottor Fabrizio Gatti in merito ai profili inerenti alla tutela della sicurezza e della salute sul lavoro, con riferimento ai fenomeni di caporalato emersi in relazione al CARA di Foggia

Intervengono il dottor Fabrizio Gatti, giornalista dell'espresso, nonché i collaboratori dottor Bruno Giordano, dottor Raimondo Morichi, dottoressa Marzia Bonacci, dottor Francesco Gagliardi, dottor Marco Accorinti, Maresciallo Capo Massimo Tolomeo e Maresciallo Aiutante Claudio Vuolo.

SULLA PUBBLICITÀ DEI LAVORI
PRESIDENTE
Avverto che della seduta odierna verrà redatto il resoconto sommario ed il resoconto stenografico e che ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo.
Comunico inoltre all'audito che ha la possibilità di chiedere in qualsiasi momento la chiusura della trasmissione audio-video e la secretazione della seduta, o di parte di essa, qualora ritenga di intervenire su fatti o circostanze che non possono essere divulgati.
Poiché non si fanno osservazioni, così resta stabilito.

PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione del dottor Fabrizio Gatti in merito ai profili inerenti alla tutela della sicurezza e della salute sul lavoro, con riferimento ai fenomeni di caporalato emersi in relazione al CARA di Foggia

PRESIDENTE
L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Fabrizio Gatti in merito ai profili inerenti alla tutela della sicurezza e della salute sul lavoro, con riferimento ai fenomeni di caporalato emersi in relazione al CARA di Foggia. Lo ringrazio per essere qui con noi e gli porgo il nostro benvenuto.
Il dottor Gatti, giornalista de «L'Espresso», una settimana fa o poco più, ha pubblicato un servizio molto puntuale - che abbiamo messo a disposizione dei colleghi commissari - sulle condizioni all'interno del CARA di Foggia.
La nostra Commissione, dottor Gatti, interviene sul tema della sicurezza sui luoghi di lavoro e ha seguito in modo puntuale anche il fenomeno del caporalato: un reato che il Senato, come lei sa, ha recentemente riconosciuto con l'approvazione di un apposito disegno di legge. La Commissione ha seguito con attenzione il caso della signora Paola Clemente, morta in Puglia nel luglio dell'anno scorso; di fatto ha aperto un fascicolo di indagine sul tema del caporalato proprio in virtù di quella vicenda. Recentemente, poi, ha condotto un blitz in un'azienda dell'Agro Pontino per la quale, tra l'altro, sono ancora in corso controlli; in quel caso, la vicenda è legata al fenomeno del caporalato e alla comunità indiana dei sikh.
Quindi, al di là del suo appello, della sua denuncia come giornalista - ripresa anche da Scalfari, che ha ribadito che questi fenomeni non possono essere sottaciuti e che la politica deve rispondere - resta tutto ciò che lei racconta in questo articolo, dove parla, appunto, di caporalato.
Data l'importanza di quanto lei ha sottolineato, in questi giorni mi sono documentata, innanzi tutto, per quanto attiene la cooperativa che gestisce in subappalto il CARA di Foggia: in particolare ho letto il bando di gara, quindi le condizioni per la partecipazione allo stesso, ma anche le clausole relative all'inadempimento.
Le lascio dunque la parola, perché possa riferirci su quello che ha scritto - e su cui avremo evidentemente una serie di domande da porle - preannunciando che nelle prossime settimane approfondiremo la questione audendo non solo la cooperativa ma anche le autorità competenti rispetto alla collocazione dei richiedenti asilo.
Nel ricordarle ancora una volta di avvisarmi qualora avesse intenzione di secretare parte del suo intervento, le cedo la parola.

GATTI
Anzitutto desidero ringraziare lei, onorevole Presidente, e la Commissione tutta per questo invito e per l'attenzione al mio lavoro e più in generale al lavoro giornalistico. Per me è un onore contribuire all'indagine che la Commissione di inchiesta sta conducendo su un tema così delicato.
Una brevissima presentazione: dal 2004 lavoro come inviato per il settimanale «L'Espresso»; precedentemente ho lavorato per quindici anni per «Il Corriere della Sera» mentre nei primi tre anni della mia attività sono stato a «Il Giornale», diretto da Indro Montanelli (ma allora ero un collaboratore esterno).
Tra gli argomenti che seguo, in particolare, dal 1992, c'è anche l'immigrazione. Ho cercato di raccontare l'impatto che l'arrivo di nuovi cittadini ha avuto sulla realtà italiana, dalla legge Martelli in poi. Questo mi ha portato, nel corso degli anni, a percorrere le rotte migratorie dall'Est dell'Europa verso l'Italia e anche, più volte, attraverso il Sahara, fino ad essere ripescato a Lampedusa (quella fu un'altra inchiesta del 2005).
Spesso il metodo di indagine più efficace su questo tema è quello «da infiltrato» perché permette un'acquisizione della realtà diretta, non mediata dall'ufficialità, per cui si diventa testimoni.
Avevo già conosciuto il CARA di Foggia nel 2006, esattamente dieci anni fa, quando, più o meno in questo periodo, mi ero fatto ingaggiare dai caporali per raccogliere pomodori e denunciammo su «L'Espresso» la realtà in continua crescita dello sfruttamento dei braccianti attraverso il caporalato in agricoltura.
Nell'estate del 2014 ero stato nuovamente in quella zona: realizzammo un lungo servizio su alcuni disoccupati italiani che andavano a cercare caporali per poter lavorare perché non vedevano alternative - al di fuori del caporalato - per racimolare qualche soldo. Anche in quel caso ero passato nella zona del CARA di Foggia e in altre zone delle Province di Foggia e di Bari per avere il polso della situazione, il quadro di ciò che avveniva rispetto all'immigrazione. Perché da lì si vede la via d'uscita dalle procedure legali: c'è chi non ha ottenuto il visto, il permesso di soggiorno o la protezione umanitaria, o chi l'ha ottenuto, ma non ha trovato un lavoro regolare, e allora riappare in alcuni luoghi che da Torino fino al Nord Est, andando verso il Sud, sono più o meno sempre gli stessi; insomma, una cartina di tornasole.
Così dal gennaio 2015, incaricato da «L'Espresso» di fare un servizio sulla situazione in tutta Italia degli immigrati regolari e irregolari che erano fuoriusciti dei percorsi ufficiali e non avevano trovato altra sistemazione, tornai a Borgo Mezzanone all'interno della Pista (che è una zona esterna al CARA costituita da casupole abbandonate da un precedente centro di accoglienza, con l'aggiunta di altre baracche) e incontrai alcuni lavoratori.
Fui sorpreso dal fatto che il numero di persone, essendo inverno (gennaio),
era particolarmente alto rispetto al passato: prima esisteva una sorta di transumanza agricola per cui i lavoratori si spostavano in base al tipo di raccolto e d'inverno, in genere, buona parte di loro andava a Rosarno in Calabria per la raccolta delle primizie o delle arance. In quel caso, invece, l'impossibilità di trovare quel tipo di lavoro li aveva costretti in quel luogo.
Credo sia importante soffermarsi sulle condizioni di vita di chi vive lì, che in media possono essere misurate attraverso l'alimentazione: nel gennaio 2015, quindi in un periodo di bassissima richiesta di manodopera da parte delle aziende locali, un abitante della Pista appena fuori dal CARA si svegliava la mattina, come colazione beveva una tazza di tè caldo e nel corso della giornata mangiava soltanto la sera una sorta di zuppa di acqua calda e farina. Questo è quello che ho visto con i miei occhi e che mi è stato raccontato da molte persone. Molti degli abitanti della Pista erano ex ospiti del CARA o venivano da altre situazioni italiane; alcuni avevano il permesso di soggiorno, per lavoro (ma avevano perso il lavoro per la crisi che stiamo attraversando) oppure per motivi umanitari, ma non erano riusciti a inserirsi in un percorso diverso.
Mi ero reso conto, poi - per la verità, già me ne ero accorto nell'estate 2014, ma mi ci ero soffermato meglio - di come la recinzione del CARA di Foggia fosse aperta. In particolare, ricordo nettamente che la stessa apertura che io ho attraversato più volte quest'anno, quella che dà attualmente sul piazzale, sotto una schiera di fari sempre accesi la notte e con le telecamere puntate su ogni palo, era già presente nel gennaio 2015. Allora, però, non mi ero soffermato sul CARA di Foggia perché il racconto che volevamo fare era diverso. Così quest'anno abbiamo deciso di tornare per raccontare un altro aspetto, trattandosi tra l'altro di una struttura statale - la terza più importante nel percorso di prima accoglienza - per analizzare da dentro quali sono i servizi resi dallo Stato ed in particolare se e quanto noi cittadini contribuenti (quindi lo Stato) paghiamo e quanto viene restituito in termini di servizi nei confronti degli ospiti. Quella che ho trovato è la realtà che ho raccontato.
Il periodo monitorato va da inizio agosto fino al 5 settembre; il servizio è stato pubblicato domenica 11 settembre. Quindi, al di là della settimana precisa che io descrivo come calendario (giorno/notte), ci sono stati diversi giorni precedenti di preparazione, anche perché rimanevo stupito dalla totale assenza di un controllo interno perimetrale lungo la struttura statale per cui volevo rendermi conto se davvero ciò fosse dovuto all'eccezione di una giornata, di un pomeriggio o di una sera, o se fosse invece una consuetudine. Nella settimana - sette giorni, sei notti - in cui sono rimasto dentro, con piccole assenze, ho constatato che in realtà era una consuetudine.
Alla fine mi ha raggiunto un fotografo, Carlos Folgoso, un collega spagnolo con cui abbiamo documentato le immagini che raccontano le cose che ho visto, anche se sul territorio io sono rimasto più a lungo. Infine, poco prima dell'uscita, siamo tornati a verificare se nel frattempo non fosse cambiato qualcosa. Quindi, il monitoraggio è stato fatto sul lungo termine.
Va detto, inoltre, ed è facilmente rintracciabile su Internet, che un'associazione (l'Osservatorio sulla detenzione amministrativa degli immigrati e l'accoglienza dei richiedenti asilo in Puglia) ha pubblicato il report di una visita al CARA di Foggia del 20 febbraio 2013 in cui il CARA viene descritto con le stesse caratteristiche che ho riscontrato io, salvo alcuni peggioramenti da me osservati.
A questo punto, se volete, posso puntualizzare meglio la parte relativa al caporalato, oppure posso soffermarmi sul CARA e sulla sua struttura.

PRESIDENTE
Chiaramente siamo interessati anche alle condizioni di lavoro dei dipendenti, in questo caso, della cooperativa che ha in subappalto la gestione del CARA.

GATTI
Il mio metodo di lavoro è stato il seguente: per prima cosa abbiamo definito il luogo e abbiamo studiato bene le vie di fuga, dato che all'interno della baraccopoli era presente anche la criminalità locale. Tale presenza riguarda da vicino le condizioni di lavoro; anni fa non esisteva e buona parte degli abitanti della Pista erano braccianti; forse qualcuno faceva da mediatore per il reperimento del lavoro e quindi, di fatto, diventava un caporale. Ma da qualche mese - così mi è stato raccontato e poi l'ho riscontrato personalmente - sono arrivate da Napoli alcune organizzazioni nigeriane che hanno in qualche modo monopolizzato sulla Pista il ruolo di intermediazione dei caporali - lo fanno loro - e anche lo sfruttamento della prostituzione. Tra l'altro, con il loro arrivo, lungo la Pista - che è piuttosto lunga trattandosi di un ex aeroporto costruito nella seconda Guerra Mondiale, che ha avuto anche un ruolo importante per la liberazione dell'Italia e che poi, fino ad anni più recenti, è stato una base - stanno crescendo e sono tuttora in costruzione, oltre alle vecchie casupole di lamiera, alcune baracche più grandi e si stanno installando alcuni negozi: ho visto una discoteca, due ristoranti e alcuni bar. Ovviamente le caratteristiche, come vedremo, sono simili a quelle di un villaggio africano, con l'energia elettrica che viene prelevata dalla linea pubblica e arriva fino alla Pista. In qualche caso ritengo venga presa anche dal CARA, perché ho trovato in mezzo ai campi - lo descrivo nell'articolo - alcuni allacciamenti volanti, molto pericolosi, fatti con del nastro adesivo in mezzo all'erba, di cavi lunghissimi che vanno verso le baracche e nei quali si può inciampare.
Sfruttando alcune di queste aperture, dunque, sono entrato e ho semplicemente registrato con i miei occhi, come farebbe un testimone, ciò che è avvenuto in quella settimana.
Non sono mai stato controllato da nessuna autorità italiana. Avevo notato la presenza di divise della Polizia e di militari dell'Esercito; non so di quale reparto ma credo fosse l'Esercito perché indossavano tute mimetiche e utilizzavano un mezzo blindato, simile a quelli che circolano nelle città italiane e che si usano per i pattugliamenti e per la sicurezza stradale, fermo all'ingresso, dalla parte opposta rispetto alla zona dove sono i varchi che sono ben quattro all'interno della recinzione. Non ho mai visto personale pattugliare a piedi o con i mezzi a qualunque ora del giorno o della notte; soltanto un giorno, il venerdì, ho visto un'auto dei carabinieri all'interno del CARA - lo racconto anche nel mio reportage - e mi hanno detto - io non mi sono ovviamente avvicinato - che erano lì per una notifica non meglio precisata.
Non mi sono avvicinato per due ragioni: la prima, perché nel CARA la maggior parte delle persone sono cittadini africani, con una minoranza di afgani, pachistani e qualche bengalese, e quindi, con la mia faccia da europeo, mi risultava difficile confondermi. Ho inventato la scusa di essere sudafricano perché questo, in qualche modo, mi permetteva di frequentare la comunità africana e aveva funzionato dieci anni fa quando ero stato a raccogliere pomodori, sempre nella Provincia di Foggia. La seconda ragione è stata l'età: avendo 50 anni ho più del doppio dell'età media delle persone detenute nel CARA, che si colloca tra i 20 e i 25 anni. Ecco perché non mi sono avvicinato molto nemmeno ai servizi resi. Però ho visto con i miei occhi personale che distribuiva la colazione e i pasti, a pranzo e a cena; e al di là degli orari che possono andare dalle 6,30 - 6,45 del mattino fino alle 9 di sera, in serata e di notte non ho mai visto alcuna presenza italiana all'interno della struttura, nonostante fosse quello il momento in cui si creava il via vai di persone, soprattutto di alcuni personaggi che mi è stato detto essere nigeriani che entravano, si recavano nella sezione femminile e uscivano andando verso quella pseudo-discoteca che ci tormentava tutta la notte con la musica. Li ho visti in più occasioni - almeno due volte - uscire con ragazze molto giovani che, se fossero state maggiorenni, avrebbero potuto avere tra i 18 e i 20 anni e che dormivano all'interno della struttura ex CIE del CARA. Non sono in grado di dire se queste ragazze fossero ospiti registrate o abusive perché non era possibile chiederglielo e nessuna delle persone con cui ero in contatto lo sapeva.
Il CARA, all'interno della base militare, è così composto: l'ingresso è presidiato e ci sono alcune casupole ad un piano in muratura che credo siano installazioni dell'aeroporto e che immagino contengano uffici o le cucine dove vengono preparati i pasti, forse anche l'ambulatorio medico. Non mi sono spinto fino a quella zona, proprio per non destare sospetti in chi avrei incontrato. Poi si arriva a due strutture in muratura che sono l'ex CIE, cioè il Centro di identificazione ed espulsione - che credo a Foggia non sia mai entrato in funzione - che sono separate da una recinzione alta cinque metri e aperte, perché va detto che comunque gli ospiti di un CARA non sono detenuti.
Negli ultimi giorni ho visitato una di queste due strutture, abitata da centinaia di persone - solo uomini - in condizioni (che descrivo nell'articolo) che sicuramente non giustificano i 22 euro al giorno a persona che vengono pagati dallo Stato per la gestione della struttura. All'interno di questi stanzoni ho trovato anche delle serpentine con allacciamenti volanti - che creano un estremo pericolo di incendio - che sono praticamente dei piani cottura, perché le persone che vanno a lavorare la mattina e si alzano alle tre del mattino si preparano la colazione o mangiano e non hanno accesso ai servizi del CARA, dove la prima colazione viene distribuita alle sette e non è ovviamente coincidente con le necessità delle persone che vanno a lavorare.
Mi sono mosso, appunto, senza nessun controllo. Soltanto la quarta notte sono stato avvicinato da alcune persone, in particolare da un ragazzo senegalese che nell'articolo chiamo «cumpà» perché lui esordiva sempre così, chiamando «cumpà» (compare in foggiano), che praticamente mi ha sottoposto ad un interrogatorio perché voleva capire chi fossi. Si era convinto che io fossi un poliziotto e ha detto espressamente: «tu passi dei guai, se ti scoprono i miei amici là fuori, tu passi dei guai». Questo vuol dire che lui era in contatto con gli amici fuori, deduco i nigeriani.
Sulla presenza della criminalità nigeriana c'è qualche elemento di riscontro importante: la squadra mobile di Foggia - sono notizie pubblicate sui giornali - in primavera aveva arrestato alcuni nigeriani di un clan che faceva riferimento ad una persona il cui cognome sarebbe Arobaga. Essi erano entrati nel CARA e prelevato una persona - tra l'altro sottoposta a tutela dato che il CARA è una struttura che dovrebbe essere protetta visto che ospita i richiedenti asilo - che è stata portata all'esterno, accecata rovesciandole addosso del gasolio da una latta e bastonata fino a farla svenire. Quindi la presenza e il controllo di queste entità esterne sull'interno si sente, tant'è vero che io stesso, alla quarta notte, sono stato - diciamo così - interrogato. La persona che mi ha avvicinato, tra l'altro, mi impediva di muovermi e voleva che rimanessi vicino a lui. La mia fortuna è stata che era estremamente ubriaco e alla fine è stato facilmente gestibile. Poi è andato a chiamare i suoi amici che però, evidentemente, erano nelle sue stesse condizioni etiliche, quindi alla fine la situazione si è risolta. Nei giorni successivi ho dovuto mantenere qualche precauzione.
Per quanto riguarda il reclutamento, avevo visto sul contratto di appalto che la struttura veniva aperta per 636 ospiti. Da notizie lette sui giornali locali dopo l'uscita del mio articolo su "L'Espresso" della scorsa settimana, e fornite dalla polizia di Foggia - la fonte non è meglio precisata - si diceva che durante la mia indagine la presenza era di 1.414 persone.

PRESIDENTE
Le posso dire che, ad oggi, sono 1.349.

GATTI
Quindi i dati sono abbastanza vicini. So che la parte relativa alle 636 persone previste dal contratto d'appalto è pagata con una cifra pari a 22 euro al giorno a persona: non so se la parte eccedente sia pagata con la cifra concordata nel contratto d'appalto ovvero, sotto forma d'urgenza, secondo una base d'asta che era pari a 30 euro al giorno a persona. Comunque, considerando una cifra pari a 22 euro al giorno a persona, quelle condizioni ci costano intorno ai 31.000 euro al giorno che vengono versati alla società di gestione. In base alla verifica che ho fatto, la società di gestione si chiama "Senis Hospes" - tra l'altro il nome era scritto sulle magliette degli operatori - e l'ho descritta nel mio servizio. Essa riforniva e distribuiva gli alimenti, che vengono distribuiti semplicemente facendo la coda, entrando e facendo passare un badge su cui c'è la fotocopia di una fotografia - quindi l'immagine è abbastanza labile - ma anche un codice a barre che credo venga riconosciuto da un lettore - io non mi sono spinto in questo passaggio - e registra la presenza della persona nel centro d'accoglienza per richiedenti asilo (CARA). Come i membri della Commissione sapranno, se si superano i tre giorni di assenza non giustificata si perde il diritto a rimanere.
Qui, a proposito della questione del lavoro, c'è un aspetto che può essere interessante; peraltro, non è stata una sorpresa, avendo già indagato sulla realtà del lavoro della zona. Dopo le nove di sera, centinaia di persone arrivano nel CARA in bicicletta; molte di esse vanno a dormire nelle casupole e altre vanno nell'ex Centro di identificazione ed espulsione (CIE), che è la situazione peggiore. Non mi sono affacciato alla sezione femminile, perché sarebbe forse stato eccessivo avvicinarmi lì di notte e di giorno era molto vicina alla zona sorvegliata; di giorno evitavo, infatti, quella zona. Vedevo delle persone arrivare e ho descritto questo aspetto: le persone ovviamente si lavano, ci sono delle docce; lavano il vestiario, lo stendono, poi cucinano e, a mezzanotte, vanno a dormire. Alle 3 del mattino le stesse persone sono già sveglie, fanno la coda alla fontanella dell'acqua, nel piazzale, per riempire le bottiglie di plastica con cui riempiono lo zaino e si riforniscono della scorta alimentare per la giornata. Tra l'altro, all'interno ci sono cinque negozi di alimentari, che occupano degli spazi di queste casupole, che sono autogestiti: ho visto che quattro sono gestiti da pachistani e da afgani e uno da due ragazzi africani; per lo meno, queste sono le persone che ho visto all'interno. Tra l'altro, i negozi sono facilmente identificabili perché la vendita avviene attraverso le finestre che sono segnalate da luminarie natalizie accese, in modo che siano individuabili nel gran numero delle casupole: i complessi prefabbricati sono infatti 18 in tutto. La presenza del commercio è anche indotta dal fatto che le persone che escono a lavorare non hanno accesso all'alimentazione interna, perché escono prima della distribuzione della colazione e ritornano dopo.
Ho cenato soltanto una volta all'interno, quando una delle persone con cui parlavo avendo scoperto che non mangiavo da due giorni mi ha portato una cena avanzata, presa da un suo amico: era della pasta, in un contenitore termosigillato - gli aspetti igienici erano dunque rispettati - della carne in scatola e del formaggio, con uno o due panini. Avendo verificato il tipo di alimentazione, non ho insistito, perché non volevo sottrarla a chi lì dentro doveva mangiare. Anche perché, oltre alle persone registrate, si fa una stima di circa 500 persone abusive all'interno del CARA o che gravitano sul CARA.
Se i membri della Commissione vi si recheranno, vedranno una grande quantità di biciclette: le biciclette sono una sorta di strumento di indipendenza per bypassare i caporali. I caporali generalmente, da quello che ho domandato, chiedono cinque euro al giorno per "esportare" i lavoratori sui campi: sono dunque 35 euro a settimana, pari a più di due giornate e mezzo di lavoro. Le persone in bicicletta partono molto presto, perché - almeno nel periodo in cui ero lì - intorno alle 5 o alle 5,30 del mattino devono essere nelle campagne per lavorare. Le campagne possono essere situate anche a 20 chilometri di distanza: mentre mi avvicinavo verso il CARA, mi è capitato di camminare ed essere fermato da due ragazzi, che arrivavano in bicicletta disperati e assetati, perché non avevano acqua, e quando ho passato loro la bottiglietta si vedeva che avevano veramente sete. La situazione è dunque quella che vi ho descritto.
Per ciò che riguarda il caporalato, vi riferisco innanzi tutto quanto ho visto vicino alla zona chiamata Pista, intorno alle 5,30 o alle 6 del mattino, a seconda del periodo: adesso l'orario si sarà spostato verso un'alba un po' più ritardata. Le persone che non vanno in bicicletta si recano alla testata della Pista, dove praticamente è stata creata una stazione, riproducendo una sorta di villaggio africano: all'ingresso del villaggio c'è sempre il meccanico che ripara le automobili, la stazione dei taxi, bus, o di chi possiede un'auto e porta gli altri facendo servizio di taxi. Di mattina ho visto delle persone - quelle che poi di sera frequentavano gli pseudoristoranti o la discoteca - caricare in auto degli ospiti del CARA e portarli verso le campagne; altri vanno, appunto, in bicicletta; e poi c'è tutta la parte degli italiani, perché ovviamente va detto che i braccianti non vanno a lavorare per i connazionali, ma rendono un servizio per l'economia che è tutta italiana. Lungo la strada che da Borgo Mezzanone va verso la strada statale n.16, che è quella più vicina e costeggia la recinzione del vecchio aeroporto, la mattina presto ci sono moltissimi italiani, in auto o furgone, che passano molto piano e avvicinano tutte le persone che camminano in bicicletta, cercando un loro contatto o offrendo lavoro. Oppure, al contrario, se un italiano, o comunque un uomo dall'aspetto italiano o europeo, si reca lì in auto la mattina presto, viene fermato da persone che chiedono se c'è la possibilità di lavorare.
La questione del lavoro, attualmente, anche per la grandissima domanda e il grandissimo numero di potenziali braccianti, rende molto più basse sia le paghe - si parla di 15 euro al giorno, quando si lavora - sia la quantità di giornate di lavoro. So di persone che in questo periodo lavorano anche tre o quattro giorni al mese e non di più; poi si scambiano quel poco che c'è da mangiare con chi sta lavorando, in una sorta di solidarietà tra vicini di baracche.
Dopo l'uscita della nostra inchiesta su "L'Espresso e l'appello del direttore Eugenio Scalfari su "La Repubblica" ho ascoltato l'annuncio dal ministro dell'interno Angelino Alfano anche su un possibile sgombero delle baraccopoli della Pista. Va tenuto conto che, oltre a questi esponenti della criminalità nigeriana che operano all'interno del CARA, la zona e le baracche sono abitate anche da un gran numero di braccianti alcuni dei quali hanno anche il permesso di soggiorno, ma che, con la situazione italiana, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista lavorativo, non trovano dove andare in alternativa.
Voglio aggiungere un'ultima cosa sulle condizioni di lavoro dei lavoratori della cooperativa: non le ho sondate, perché mi sono tenuto abbastanza alla larga da loro. Quello che ho visto, che poi potrete trovare nella documentazione e che ho riportato nell'articolo, è che la cooperativa a livello di gestione dichiara un fatturato che in due anni è aumentato del 400 per cento e un numero di dipendenti - per tutti gli appalti a livello nazionale, quindi non solo a Foggia - passato da 109 a 518 e che si è dunque quadruplicato.
Questa è la situazione: sono ora a disposizione per le loro domande.

PRESIDENTE
Desidero intanto ringraziare il nostro audito per essere stato così puntuale. Ovviamente ho letto il suo articolo più di una volta e ho avuto modo di approfondirlo. Alcune delle considerazioni che volevamo sottoporle sono già state oggetto del suo racconto. Prima di lasciare la parola ai colleghi, desidero chiedere che ruolo hanno, in quel contesto, non solo la Prefettura, ma anche le Forze di polizia. Come dicevo in apertura dei nostri lavori, recentemente abbiamo fatto un blitz nell'Agro Pontino: eseguire un blitz in uno spazio molto grande, come può essere un CARA, o in campi sterminati in cui si coltivano ortaggi o simili è difficile se non c'è un numero importante di forze a ciò dedicate. Da qui deriva quello che abbiamo scritto e sottolineato più volte nella relazione, sul tema del caporalato, a proposito dei controlli.
Ritengo dunque sia inutile che all'entrata di un luogo così vasto ci sia una camionetta dell'Esercito quando poi si ha la possibilità di entrare perché i varchi sono aperti, atteso ovviamente che non si tratta di detenuti.
Si tratta di un controllo sostanzialmente superfluo, che fa abbastanza ridere. Se per evitare problemi piuttosto che entrare dalla porta basta entrare dalla finestra perché ciò è consentito, non si è risolto il problema.
Nel corso del blitz effettuato nell'Agro Pontino, insieme ad alcuni dei colleghi commissari, abbiamo potuto verificare la presenza delle persone in bicicletta, di cui ci ha parlato il nostro audito. Immagino quindi che con un puntuale controllo del territorio si possa notare quello che ha visto il signor Gatti in una settimana: mi riferisco a camioncini che si avvicinano e caricano persone, oppure a persone che escono alle 3 o alle 4 di notte e che in bicicletta si recano sui campi, come lei ha sostenuto. Una delle questioni puntuali che la Commissione ha sottolineato con il lavoro dei commissari riguarda appunto il significato del controllo del territorio e quanto sia stato effettuato in questo caso, in una situazione così complessa come è quella di un CARA, atteso che ieri ho letto che sono stati denunciati alcuni caporali.
Il bando di gara in effetti afferma che la capienza stimata, la capienza massima di questo CARA, è di 636 persone, ma ad oggi (ho fatto la domanda puntuale per essere efficace nell'esposizione) risultano esservi 1.349 persone, per cui come Commissione avanzeremo domande per capire se, con 1.349 presenze a fronte di una capienza massima prevista di 636 unità, vengono rispettate le condizioni previste. Tra l'altro nel bando di gara è indicato quanto personale deve essere impiegato per un certo numero di richiedenti asilo per strutture che vanno da uno a 50, da 50 a 150, o per strutture come questa che hanno oltre 600 ospiti.
Ci interessa altresì capire (ed è la domanda che le ho fatto prima) in che condizioni opera chi ci lavora. Il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro riguarda sicuramente chi esce nei campi, dove è diffuso il lavoro nero, non c'è sicurezza, né sorveglianza sanitaria (mi chiedo quindi di cosa stiamo parlando), ma mi interessa anche sapere quante sono le unità, cioè i dipendenti, della cooperativa Senis Hospes che, come ricordo, ha un contratto in subappalto vinto dal consorzio Sisifo. Vorrei conoscere le loro condizioni di lavoro, innanzi tutto se sono quelle previste dal contratto d'appalto, nel capitolato, nei documenti preposti; abbiamo stampato il documento di valutazione dei rischi. Tutte queste domande ovviamente non le faremo al dottor Gatti, bensì ai soggetti interessati, ma per intenderci ho letto che da esse può dipendere la rescissione del contratto.

PAGLINI
Signora Presidente, desidero ringraziare anche a livello personale il nostro audito di oggi, il dottor Gatti, che apprezziamo da anni per il lavoro che sta facendo.
Le domande da fare sarebbero tantissime perché quella che ci sta trasmettendo è un'esperienza diretta sul campo, senza filtri, ed è ciò di cui noi abbiamo bisogno. Visto che le persone svolgono una prestazione di lavoro e comunque nei limiti vengono pagate, vorrei sapere che tipo di retribuzione percepiscono, se ricevono denaro in contanti e soprattutto dove lo mettono, a chi lo danno, come lo gestiscono. Immagino infatti che all'interno del centro, che è una sorta di jungla, se il più forte (anche a livello muscolare) è munito di attrezzi di offesa, può avere anche la libertà di gestire le piccole questioni di queste povere persone. I soldi vengono dati in mano a qualcuno della struttura? C'è un'organizzazione interna che se ne occupa? C'è qualcuno che specula su ciò? Vorrei sapere se ha informazioni di questo tipo.

D'ADDA
Signora Presidente, desidero preliminarmente ringraziare il dottor Gatti per aver svolto un lavoro veramente eccezionale, anche nella descrizione che noi abbiamo letto. Il mio timore è che rischiamo di fermarci ai particolari: secondo me, chiuso un CARA se ne riapre un altro, il problema è a monte. Chiederci dove vanno i soldi è molto importante, però se sul territorio nazionale può accadere qualcosa del genere significa che è in discussione lo Stato di diritto e questo non è possibile. Dunque, davvero un encomio per quello che ha fatto, anche perché la situazione era pericolosa.
Stavo passando sopra a un fatto, ma sono una donna: si è già sentito tutto il rumore di questi appartenenti ad un'etnia che fanno prostituire delle ragazzine nella discoteca improvvisata. Non voglio fare demagogia, ma sono rimasta basita per il fatto che alla lettura di un documento del genere un rappresentante dello Stato si chieda se magari il numero degli addetti è giusto, oppure se quelli si tirano indietro perché hanno paura, o dove vanno a finire i soldi, perché noi veniamo a sapere che lì esiste una situazione di questo tipo, leggiamo le notizie e non interveniamo. Ogni notte delle bambine, delle minorenni o anche delle donne adulte, vengono fatte prostituire; ogni giorno delle persone si ammazzano per dei caporali per cui vanno a lavorare solo per tirare a campare. All'interno di quel centro abbiamo persone che effettivamente sono dei rifugiati e altre che non lo sono e che, vista questa situazione, cercano di venire in Italia per trovare un posto di lavoro.
Il problema che io pongo alla Commissione è che andando al CARA rischiamo che ci preparino il tappeto rosso e che ci mostrino determinate cose, per cui quando si è lì non si può fare più di tanto. Quindi mi chiedo - e lo chiedo anche ai colleghi - quale può essere il modo migliore per far saltare in aria il bubbone, perché la mia preoccupazione è che una volta emersa questa diventi una situazione come tante.
Vi propongo un confronto che è difficile da fare, però la mia città è stata bloccata per tre giorni da profughi e richiedenti asilo perché volevano una carta di identità, quando in tre giorni non la rilasciano neanche a me che sono senatrice; però per tre giorni il pomeriggio le mamme non riuscivano ad andare a prendere i bambini perché c'era un blocco stradale. Si è dovuto dire di darsi una calmata, il sindaco ha detto che sarebbe intervenuto, però loro non dovevano bloccare le strade. A mio avviso occorre trovare una modalità per essere incisivi rispetto a problematiche di questo tipo, a partire anche da un'esperienza diretta di chi era sul posto e ha visto determinate cose, e non le ha sognate la notte. Altrimenti, venendo da un paese del Nord, sposo in pieno una frase che ho letto: visto anche quello che succede in Germania, ci ritroveremo con non so quante persone che decideranno di votare per movimenti populisti che secondo il mio punto di vista peggioreranno ancora la situazione. Occorre davvero trovare una modalità operativa, perché ritengo che non si dovrebbe neanche poter scrivere che c'è un ghetto di Stato, come invece è stato fatto. O meglio, lo si deve scrivere, perché questo è vero giornalismo, e gliene ne diamo atto, ma un ghetto di Stato dovrebbe essere una contraddizione in termini, salvo che in un regime nazionalsocialista. Non ci sono mezze misure: oggi veramente faccio demagogia, però non trovo mezze misure. Il ghetto di Stato esisteva nei regimi nazionalsocialisti, non può esistere in questo sistema. Mi auguro pertanto che si trovi una modalità per riuscire ad intervenire, magari insieme ad altre Commissioni. Io non credo di poter vivere a cuor leggero in un Paese in cui cose del genere vengono scritte, lette, valutate, e poi si torna tutti a cena; non è possibile. È una riflessione di carattere più generale, che non definisco etica, ma di carattere generale, e mi chiedo se è mai davvero possibile.
Il mio terrore è che, domani mattina, questa cosa non farà nient'altro che dare fiato anche a chi, dentro di sé, non è razzista nel senso vero del termine e nella sua accezione semantica, ma che lo diventa perché la sua vita è insopportabile e con tutti i problemi che ha finisce per avere una reazione di un certo tipo.
Partendo da questa relazione - si tratta, infatti, di una relazione vera, di giornalismo vero, come ce ne sono poche in Italia - cercherei allora di trovare una strada per capire come intervenire, subito. Non si tratta solo di porre domande su quante persone ci lavorano e su dove vanno i soldi. È evidente, infatti, che i soldi vanno alle cooperative. Ne abbiamo viste di tutti i colori e - ripeto - non ho bisogno di chiedere dove vanno i soldi: lo immagino. Se tutti i soldi venissero spesi in un determinato modo molto probabilmente metà di questa situazione sarebbe sanata. È chiaro che qualche cosa non funziona. Ho sempre detto una cosa sull'essere umano: Freud ha avuto sempre ragione su Marx. Questo è il problema fondamentale.
Di fronte a una situazione di questo tipo, chiedo alla Presidente se possiamo attivare una modalità, anche inconsueta, per intervenire. Così facendo, infatti, daremmo un grande segnale, valorizzando chi ancora oggi fa egregiamente il proprio mestiere.

SILVESTRO
Signora Presidente, desidero anzitutto associarmi ai ringraziamenti fatti al dottor Gatti per l'inchiesta svolta. Viviamo in un Paese in cui si verificano fatti veramente indescrivibili, ma dove, allo stesso tempo, ci sono persone come lei, dottor Gatti, e come molti di noi che vogliono in tutti i modi porvi rimedio.
Ho alcune domande da fare, sapendo che - chiaramente - il dottor Gatti non ci potrà dare una serie di risposte perché occorrerà prima fare un intenso lavoro. Evidentemente c'è una marea di omertà, e mi riferisco non solo a chi sta nei centri ma anche a chi vi gravita intorno. Se così non fosse, infatti, non si spiegherebbe come sia possibile arrivare a queste situazioni. Vorrei sapere se, per il tempo in cui lei, dottor Gatti, è stato in questo "ghetto", la sua percezione sia di omertà in chi ci lavora. Se sì, ha idea del motivo? Si tratta di omertà delle forze istituzionali? Mi sembra impossibile che nessuno avesse notizia di quello che stava succedendo lì. Ci saranno chiaramente altre risposte, ma vorrei intanto conoscere la sua percezione. Ancora: chi sta in quelle condizioni subumane lo fa per fame? Perché non sa dove andare? Per vessazioni? O perché, se si muove da lì, mette in movimento tutta una serie di cose?
Mi scusi per tutte queste domande, ma vorrei capire meglio.
Lei ha detto che si è tenuto abbastanza lontano - giustamente - dal luogo dove sono sistemate le donne. Ciò è comprensibilissimo, ma vorrei sapere se comunque si è fatto un'idea della situazione ed è riuscito a capire come vivono le persone che si trovano lì.

BAROZZINO
Dottor Gatti, noi ci conosciamo indirettamente perché - non so se lo ricorda - io sono un ex operaio dello stabilimento FIAT di Melfi e sei o sette anni fa ci siamo incontrati. Mi associo ai ringraziamenti ed ai complimenti: anche dal mio punto di vista, questo è vero giornalismo. Lei ha fatto un lavoro veramente eccezionale, che ci fa sperare nell'esistenza di persone realmente interessate a quello che sta succedendo nel Paese.
Non ho domande da farle, perché le domande le ha già poste lei nel suo articolo. È ora la politica che deve recepire ciò che lei ha scritto, per non lasciare soli i giornalisti, i lavoratori e nessun altro. Quando si devono combattere queste battaglie di civiltà - perchè queste sono battaglie di civiltà - le persone devono unirsi. Occorre quindi leggere bene l'articolo: abbiamo ascoltato con attenzione l'intervento del dottor Gatti, ma so come la Commissione lavora e, quindi, il suo articolo verrà letto e riletto.
Sulla base di quello che il dottor Gatti ha scritto e detto, noi ci dobbiamo muovere subito, perché è chiaro che qui si rischia la sconfitta dello Stato. Quando succedono queste cose - mi associo a quello che ha detto prima la senatrice D'Adda - non possiamo far finta di non sapere quello che il giornalista Fabrizio Gatti ha scritto e ci ha riferito.
Ho letto dei 31.000 euro al giorno (22 euro a persona) che, se ho capito bene, lo Stato versa. Abbiamo visto le foto e ascoltato il racconto che è stato fatto. È chiaro che, già partendo da questo dato, c'è qualcosa che non va. I soldi vanno dati, certo, ma bisogna controllare che ciò avvenga nella maniera giusta, ossia che vadano alle persone giuste e che si facciano le cose giuste.
Se vogliamo affrontare il problema e capire perché queste cose succedono, dobbiamo cominciare a parlare delle multinazionali. Come dico da molto tempo, è infatti chiaro che vi è qualche problema alla base se i pomodori vengono venduti a otto centesimi al chilo. È chiaro che se sono a loro a decidere il "mercato" (loro lo chiamano così, mentre io parlo di mondo del lavoro), lo Stato diventa ininfluente. In queste vicende c'è una mancanza delle istituzioni. Ho sentito dei racconti simili anche in Basilicata; io vivo ai confini tra Puglia e Basilicata. Vi invito a leggere il libro «Ghetto Italia», scritto da un extracomunitario di nome Yvan Sagnet, che è veramente un capolavoro e descrive, pari pari, quello che abbiamo ascoltato dal dottor Gatti poco fa.
Signora Presidente, dobbiamo far tesoro da subito di quello che ci è stato raccontato se vogliamo dare seriamente delle risposte e non deludere le attese di chi vive in uno stato di isolamento ed è disposto ad accettare qualsiasi condizione di lavoro; di chi lavora per 15 euro al giorno e si deve anche pagare il tragitto. Lo Stato è assente. Il Comune o la Regione, infatti, non dovrebbe avere problemi a mettere a disposizione due o tre piccoli pullman per accompagnare i lavoratori, così da sottrarli alle grinfie del caporale. Già da subito si possono fare delle piccole cose per lanciare a queste persone il segnale che non sono sole e che lo Stato c'è. Sono situazioni che riguardano le persone e non i lavoratori, perché chi lavora a 15 euro al giorno in queste condizioni non si può definire lavoratore. Noi dobbiamo chiamarlo con il nome giusto: si tratta non di un lavoratore, ma di uno schiavo che vive in Italia sotto i nostri occhi. Lo Stato non fa nulla per far sentire la sua vicinanza. Queste cose non devono succedere. È chiaro che chi accetta queste condizioni lo fa perché non ha alcuna alternativa: è solo, si sente umiliato e non ha alternativa. Di che cosa stiamo parlando?
Ritengo che questa Commissione dovrà muoversi subito lungo le indicazioni che ci sono state date. Non dobbiamo fare domande al giornalista - caso mai, si tratta del contrario - in quanto dobbiamo recepire ciò che ci è stato detto. Dobbiamo fare nostre le cose che ci sono state dette e da domani, signora Presidente, ci dobbiamo muovere. So come questa Commissione sta lavorando e di cosa sta dando dimostrazione. Non mi aspetto mai miracoli perché le cose si fanno un passettino alla volta, però credo che, poco alla volta, si possano raggiungere grossi risultati.
In conclusione, rinnovo i ringraziamenti al dottor Fabrizio Gatti, perché il suo è giornalismo vero.

BORIOLI
Signora Presidente, non aggiungerò altre considerazioni a quelle già svolte dai colleghi che mi hanno preceduto. Anch'io ringrazio il dottor Gatti per l'articolo che ha scritto e per aver illustrato la sua inchiesta, che ci fornisce elementi importanti. Più che fare domande, allora, proverò a evidenziare ciò che a mio parere emerge da tutta questa vicenda rispetto alle varie questioni che qui sono state sollevate, in modo particolare per quanto attiene ai compiti della Commissione relativamente al fenomeno dello sfruttamento del lavoro.
È evidente che ci troviamo di fronte a un caso che contiene in sé una molteplicità di aspetti che definirei inquietanti, in primo luogo perché tutto ciò che viene raccontato si svolge nel perimetro di una struttura pubblica, che appartiene comunque al sistema pubblico - in questo caso a quello che dovrebbe essere il sistema dell'accoglienza - e che quindi funziona attraverso meccanismi di gestione che derivano da risorse pubbliche. Tali risorse vengono investite appositamente per governare questa situazione e in quanto tali dovrebbero passare attraverso procedure trasparenti e legali di affidamento - come tutti i contratti di appalto di servizi - a loro volta controllabili nell'esito, perché ne segua una corretta attuazione. In questo caso si aggiungono fenomeni gravissimi, quali lo sfruttamento della donna e del suo corpo e il fenomeno del caporalato, che più propriamente attiene alle competenze della nostra Commissione.
Partendo dal risultato di un'inchiesta giornalistica ben fatta, che ci restituisce temi molto probabilmente riscontrabili - anche se non nella stessa misura e nella stessa composizione di ingredienti - in altre realtà, dobbiamo cercare di capire se su questo tipo di fenomeno specifico, ma in generale sulle fenomenologie che riguardano la gestione delle suddette strutture, vi sia un'adeguata attenzione per quanto riguarda le modalità di affidamento, il loro funzionamento e il controllo dei contratti che dovrebbero regolare il rapporto con la pubblica amministrazione che gestisce la struttura. È necessario capire se è in atto un adeguato approfondimento da parte di taluni soggetti che ormai un po' troppo, come il prezzemolo, sono evocati in casi come questi: penso, per esempio, all'Autorità anticorruzione. Dobbiamo vigilare affinché non si inneschino taluni meccanismi, che possono o debbono essere risolti alla radice. Ad esempio, teoricamente dovrebbe esserci un'attività di sorveglianza - che però non si capisce se venga svolta o meno - rispetto alla gestione diretta del campo, ovvero a funzioni di sicurezza che, da quello che si capisce, restano fuori dal perimetro. Questa è la prima questione.
Per quanto riguarda più specificamente il tema del caporalato, dobbiamo domandare a noi stessi se abbiamo imboccato la via giusta. A tal proposito mi viene in mente un vecchio libro, se non sbaglio dal titolo «Dove lo Stato non c'è», da cui arriva il messaggio che lo Stato non sta facendo il suo mestiere. In realtà, noi - non solo come Commissione - stiamo cercando di farlo: abbiamo da poco approvato in Senato un disegno di legge proprio sul tema del caporalato. Si tratta di un primo campo di applicazione per questo e per casi simili per capire se gli strumenti normativi che abbiamo approvato - perché questo è il compito del Parlamento - siano idonei e completi per poter affrontare fenomenologie come queste. In questo senso, magari, possiamo avvalerci dell'aiuto degli operatori di giustizia o delle Forze dell'ordine che ci diranno se i meccanismi che abbiamo previsto possono essere concretamente applicati in maniera efficace.
La nostra non è una Commissione permanente che ha il compito di produrre, nella procedura formale di determinazione delle leggi, proposte che arrivano alla valutazione e all'approvazione dell'Assemblea; tuttavia, rispetto alle Commissioni di merito possiamo eventualmente produrre tutte le integrazioni o correzioni necessarie anche sul tema del caporalato.
Prendo pertanto spunto da questa inchiesta, fatta molto bene, su un caso specifico per porci un po' di domande di carattere generale e in particolare sul tema del caporalato e delle eventuali condizioni di sfruttamento o di non adeguato rispetto dei diritti contrattuali dei lavoratori impiegati nei CARA.

FUCKSIA
Dottor Gatti, io la ringrazio e anzi la inviterei magari a portare con sé qualche collega che fa gossip, come Travaglio e altri, a fare un'inchiesta non da salotto ma sul campo; magari cambierebbero tante cose.
Credo che il problema sia da risolvere all'origine, nel senso che va inquadrato all'interno di una politica estera che non ha interlocutori, nei Paesi di origine degli immigrati, con cui coordinare patti bilaterali validi.
Altra questione importante concerne il gran flusso di denaro che gira intorno a questo tema: soldi che non vanno ai diretti interessati ma a qualcuno che evidentemente ci guadagna molto. Analogamente a quanto diceva Falcone per la mafia, ovvero che per capire la mafia bisogna seguire i soldi, il discorso della tracciabilità dei fondi è importante. Ecco che allora diventa fondamentale, per esempio, fare un'indagine apposita per capire a chi rispondono tutti gli appalti, chi gestisce l'appalto dell'appalto, come vengono gestite le convenzioni. Magari potremmo scoprire che ci sono in mezzo società ONLUS che pagano zero tasse e che si prendono anche meriti di beneficenza.
Vi sono poi alcuni elementi lampanti: si parla di un modulo con quattro abitazioni, ciascuna con tre stanze due per due. Una stanza siffatta non presenta nemmeno i requisiti minimi: una camera deve essere almeno di 12 metri quadri, 9 per una singola; neanche quelle di un carcere sono così. Eppure, ci abitano tante persone. Quindi, vi è ipocrisia, perché tutto ciò non potrebbe essere ammesso: un materasso per terra, senza niente. Mancano le condizioni minime di vita, di abitabilità e di lavoro.
Si potrebbe pensare, analogamente a quanto avviene per i cantieri, dove esiste il distintivo (il nome con la foto), di far sì che questo diventi un obbligo per una persona regolarizzata a fare un certo tipo di lavoro; come deve essere un obbligo uno stipendio minimo che sia equiparato per esempio a quello dei contratti agricoli, perché si sta al di sotto di certe soglie; ma il sospetto è che non arrivino neanche quelli.
Allora, forse, piuttosto che liberare soldi liquidi - per cifre che adesso non saprei quantificare - che non si sa come vengono impiegati, sarebbe meglio che lo Stato si impegnasse per creare strutture edilizie di tipo "alberghiero" secondo standard minimi, igienici, relativi alle camere e quant'altro.
È d'obbligo anche che ci sia la tracciabilità dei pagamenti delle persone e la tracciabilità delle persone stesse. Sarebbe necessaria, infatti, una postazione fissa di controllo per verificare le presenze, dato che stiamo parlando di più di mille persone.
Il senatore Borioli, giustamente, ricordava la legge sul caporalato. Sarebbe interessante vedere che cosa abbiamo ottenuto e se la legge si è rivelata efficace oppure, come spesso capita, se l'intenzione era buona ma l'obiettivo non è stato raggiunto.

COLLINA
Signor Presidente, ringrazio anch'io il giornalista Gatti per l'inchiesta che ha portato avanti. Vorrei proporre solo due rapide valutazioni visto che molte cose sono state dette e molte richieste sono già state formulate.
Da quanto ci è stato esposto si capisce bene che se talune problematiche non vengono affrontate in maniera corretta poi si sviluppano in modo incontrollato tutta una serie di altri problemi. Quello dell'accoglienza è un tema sicuramente difficile da affrontare, perché i numeri e i flussi hanno intensità difficili da prevedere e anche da gestire. Dall'altra parte, nel momento in cui a tali necessità non vengono date risposte adeguate, automaticamente si crea la possibilità di una proliferazione di attività sostanzialmente illegali. Questa è la problematica di fondo rispetto alla quale ci aspettiamo un'iniziativa forte, peraltro affermata nelle ultime ore da parte del Governo anche perché, indipendentemente dal fatto che tale tema venga raccolto a livello europeo e mondiale come si sta cercando di fare in questo momento, sicuramente l'Italia è chiamata ad assumere una presa di posizione concreta.
In questo caso, lo spartiacque è la legalità e rispetto a questo io credo vi sia anche uno spartiacque culturale. Oltre questa situazione, infatti, ci sono le favelas, c'è la totale impossibilità di regolamentare e controllare la vita di uno Stato, c'è l'impossibilità di farsi carico di quelli che sono sicuramente bisogni personali ma che poi diventano collettivi anche nei rapporti con un territorio più organizzato e regolato.
Dunque, in base a questa esperienza, io credo che dovremmo comprendere la necessità di fare attenzione: non possiamo lasciar andare situazioni come queste perché lasciarle andare ulteriormente significherebbe aprire a prospettive che non sono consone al nostro modo di vedere. Non possiamo non cercare di affermare, nel nostro territorio e nel nostro Stato, ma anche complessivamente in Europa, la dignità delle persone. Il nostro Paese, di fronte a simili situazioni, ha anche questa responsabilità. Prima parlavo di spartiacque: rispetto alle acque bisogna costruire dighe, bisogna costruire baluardi, bisogna riuscire a fare in modo che i principi non vengano solamente enunciati ma trovino concreta applicazione.
Sono d'accordo con il senatore Borioli sul fatto che la nostra Commissione abbia una competenza specifica; dobbiamo quindi cercare di capire che tipo di contributo possiamo dare. Ritengo, infatti, che un'inchiesta giornalistica come questa abbia sollecitato - diciamo così - varie amministrazioni dello Stato, non solamente il Parlamento e la Commissione d'inchiesta per gli infortuni sul lavoro. Tali amministrazioni devono ovviamente essere richiamate al loro ruolo e alle loro competenze in una situazione di questo tipo.
Io credo che la lotta per affermare la legalità, che diventa necessario affermare con forza di fronte a tali situazioni, sia un impegno fondamentale anche per tenere unito il Paese. Rispetto a questo tema veramente non ci sono differenze di latitudine, non ci sono differenze di colore politico e, a mio parere, anche se forse nel confronto sulle diverse soluzioni che possono essere adottate ci sarà da discutere, l'obiettivo deve essere assolutamente comune e condiviso.

PAGLINI
Signor Presidente, vedo che la cooperativa cattolica Senis Hospes in questi anni ha fatto un balzo esponenziale nel fatturato e sta toccando cifre spaventose - si parla di milioni e milioni di euro - mentre gli ospiti subiscono un trattamento veramente disumano.
Partirei dalla semplice constatazione che lo Stato potrebbe dare 660 euro al mese direttamente alla persona interessata e magari, se si tratta di una coppia, con 1.320 euro al mese potrebbero liberarsi da una situazione di schiavitù, ma questa è una mia valutazione politica.
Mi chiedo se lei, dottor Gatti, visto che sta toccando corde molto delicate, personalmente è stato minacciato o messo in condizione di non poter svolgere il suo lavoro in piena libertà da parte di qualcuno, di qualcosa, della mafia, di strutture o di chiunque può avere interesse a che lei non porti avanti il suo impegno.

PRESIDENTE
Dottor Gatti, le lascio subito la parola per la replica ma prima vorrei ringraziare i colleghi commissari. Siamo una Commissione di inchiesta, abbiamo dei compiti specifici; è chiaro, però, che ognuno di noi avverte la responsabilità per il ruolo ricoperto, al di là dell'appartenenza alla Commissione che, tra l'altro, sta lavorando alacremente.
Recentemente abbiamo approvato la relazione semestrale all'unanimità, il che non è un fatto secondario, come diceva il senatore Collina. Poi possiamo discutere su un determinato provvedimento, se riteniamo che sia utile o meno o se forse non sarebbe utile farne un altro; ma sicuramente in questa Commissione non si discute né sullo scopo, né sulle finalità, né sulla questione dei diritti, né sul senso dello Stato, né sul senso dell'istituzione, né su che cosa significhi fare i controlli, né su dove si verifichino condizioni del genere, a Nord o a Sud, perché sono situazioni - relative al tema dell'immigrazione, dei diritti e del lavoro - che fanno perdere tutti.
Tratteremo quindi la questione cercando tra l'altro di capire se il provvedimento che abbiamo appena approvato funziona. La nostra Commissione ha proposto anche alcuni emendamenti in materia e ha svolto un lavoro migliorativo perché il tema dei controlli, che nella vicenda del CARA di Foggia mi sembra sia lampante, è una delle questioni che abbiamo proposto sulla base del lavoro svolto dalla nostra Commissione. A tale proposito non potremo non chiamare gli enti preposti al controllo, perché controllare implica una serie di cose che valuteremo con gli interessati.
Siamo anche disponibili a rivedere parte del provvedimento sebbene sia ancora in discussione presso la Camera dei deputati, essendo in corso la doppia lettura del disegno di legge, e quindi non possiamo valutarne gli effetti. È chiaro che potremo però proporre ulteriori misure, anche in virtù del servizio che ha fatto il nostro audito, e ognuno di noi lo farà, nelle proprie Commissioni di competenza o tutti insieme, nel corso del lavoro parlamentare.
Dunque desideriamo ringraziarvi: l'appello che è stato lanciato non è caduto nel vuoto e posso garantirlo per ciò che riguarda il lavoro che i colleghi svolgono in questa Commissione e, in generale, in Senato. Continueremo la nostra fase di indagine, chiamando nel più breve tempo possibile - tenuto conto ovviamente dei nostri tempi - sia gli organi a cui competono i controlli, ovvero la Prefettura e le Forze dell'ordine, sia la cooperativa che ha vinto l'appalto, per rivolgere a tali soggetti tutte le domande del caso e verificare la veridicità e la congruità del loro operato.
L'appalto è infatti molto chiaro e non ci vuole una scienza particolare per leggerlo: ci sono delle condizioni minime stabilite che vanno rispettate e non si tratta certamente di quelle che molto puntualmente ha descritto nel suo dossier il nostro audito, che ringrazio ancora e a cui cedo nuovamente la parola.

GATTI
Ringrazio l'onorevole Presidente, anche per le sue espressioni d'affetto. A questo proposito voglio solo dire che ritengo di aver fatto semplicemente il lavoro del giornalista, anche se in una situazione un po' più complicata. È infatti espressione di democrazia il fatto che un giornalista e un giornale segnalino un problema e che poi le istituzioni lo facciano proprio: questo è il motivo per cui siamo qui oggi. Sono felice e mi sento soddisfatto e fiducioso proprio perché la nostra denuncia è stata ripresa, e lo stesso vale per altre denunce analoghe.
Prima è stato citato il collega Marco Travaglio: ritengo che anch'egli, nel proprio settore, abbia fatto denunce importanti ed esprimo grande stima per il lavoro che ha svolto.
Venendo al tema dell'inchiesta, desidero rispondere alle domande, partendo da una premessa. È chiaro che all'interno del mio diario di presenza di sette giorni nel CARA ho raccolto un po' di tutto, cercando dunque di contenere tutto. Vi però sono due aspetti da prendere in considerazione: da un lato c'è l'immagine che lo Stato ha offerto attraverso il malfunzionamento di una sua struttura, che è la terza più importante di questo tipo in Italia. Credo però che questo aspetto, con un maggior controllo e una maggiore attenzione, magari con un richiamo e un rimprovero a chi non ha controllato, sia più semplicemente rimediabile. Ritengo invece che l'aspetto del funzionamento del mercato del lavoro, lasciato allo stato brado, che è quello violento del caporalato, sia molto più complicato da affrontare. Da un lato abbiamo infatti il fenomeno della globalizzazione: sono gli stessi agricoltori che in qualche modo ricattano l'economia sana, dicendo che se non facessero così, arriverebbe la concorrenza dei pomodori cinesi. Occorre pensare che esistono però anche tante altre culture locali - penso all'uva e al vino oppure agli ortaggi - per il mercato italiano. Dall'altro lato ci sono i braccianti, che si trovano in una situazione tale - dovuta anch'essa agli effetti della globalizzazione delle insicurezze: insicurezza economica per gli agricoltori e insicurezza fisica per chi emigra e fugge da situazioni di guerra o anche di estrema povertà - che hanno la necessità e la speranza di trovare un caporale.
Vengo alle risposte sulla richiesta di come vengono effettuati i pagamenti. Dieci anni fa, più o meno in questo periodo, mi ero fatto ingaggiare nella zona di Stornara e Stornarella, in provincia di Foggia, per la raccolta dei pomodori. Allora chi si trovava a lavorare in quelle condizioni aveva l'ambizione di uscire da quello stato: quello era un passaggio intermedio per arrivare poi, magari, a lavorare in città, all'inizio in nero, sapendo però che, prima o poi, il meccanismo italiano delle sanatorie avrebbe sanato l'irregolarità e lo avrebbe immesso in una situazione di lavoro e di vita regolare, con i documenti. L'attuale crisi economica non permette più questa via di uscita e quindi c'è una compressione. Allora la speranza era tale che, se si chiedeva cosa sperassero quelle persone, lavorando lì, essi rispondevano che speravano di uscire da quella situazione e che, magari alla fine dell'estate, avrebbero provato a spostarsi in città e a vedere cosa sarebbe accaduto, perché le città, come Milano, Torino o Roma, potevano essere dei punti di scambio di informazioni sul lavoro. Per le persone con cui ho parlato nelle due settimane precedenti la mia permanenza in Provincia di Foggia, nel cosiddetto ghetto di Rignano Garganico, che è una baraccopoli, e nelle campagne, la speranza è solo quella di avere un caporale che trovi loro il lavoro per una giornata. Quindi c'è una sorta di deregulation, ma secondo me non dobbiamo dimenticare un aspetto, ovvero che chi utilizza il caporalato è un cittadino italiano, che quindi risponde alla legge italiana e che per produrre una certa quantità di prodotto serve una congruità di mano d'opera. Ho posto l'attenzione sul sistema complessivo, ma altre volte abbiamo denunciato anche l'attività degli italiani, perché se non ci fosse la domanda di manodopera a questi livelli - nonostante la giustificazione della concorrenza internazionale, su cui magari anche la comunità politica potrebbe essere chiamata ad intervenire - non ci sarebbe il caporalato. Il sistema del caporalato fornisce all'agricoltore italiano manodopera a basso costo e al lavoratore fornisce il pasto per quella giornata; e non è poco.
Passando alla questione dei costi, posso portare la mia esperienza diretta: da quando ho lavorato sotto il caporalato, in condizioni di schiavitù - era il 2006, un periodo in cui alcuni braccianti erano stati uccisi in provincia di Foggia - molto è stato fatto: ci sono state commissioni, studi e gli agricoltori locali si sono anche attrezzati per agire attraverso consorzi propri di autocontrollo e di controllo della filiera produttiva. Molti altri, però, non lo hanno fatto. Comunque la procedura avviene così: si viene reclutati, con uno scambio completamente verbale, e viene detto quale può essere la paga quotidiana, se si è pagati all'ora oppure a cassone, nel caso dei pomodori. Nel caso degli ospiti del CARA, gli agricoltori foggiani abbassano ulteriormente la paga, perché considerano il fatto che per loro vitto e alloggio sono già pagati dallo Stato. Le persone sfruttano questo sconto per offrirsi a livelli più bassi e quindi creano una tensione con chi è al di fuori: siamo ad un livello di contrattazione al massimo ribasso. Si viene pagati generalmente alla fine della settimana: se il caporale è fidato può succedere che paghi subito, oppure può accadere che il caporale dica di pagare lunedì, poi il termine si sposta a martedì e così via. In tal modo una persona cha ha lavorato, ad esempio, per due settimane, non andrà più via da quel caporale, perché altrimenti perderebbe il pagamento delle due settimane precedenti e non avrebbe nulla. Nel frattempo egli vive e si mantiene sfruttando la solidarietà di qualche collega, che si trova nella stessa condizione, ma ha qualche spicciolo, oppure, nel caso della raccolta di pomodori, "rubacchiando" qualche pomodoro, ovvero prendendo qualche pomodoro dalla raccolta. Chiedo scusa per il termine che ho usato, ma ricordo che a noi, allora, era vietato prendere i pomodori. Non ci fornivano l'acqua e bevevamo l'acqua del pomodoro, mentre li raccoglievamo, con una temperatura di 43 gradi. Tra l'altro, una delle cose curiose è che dopo una giornata così, mangiando pomodori crudi, verdi e bollenti, raccolti dalla pianta, col caporale che minacciava chi fosse stato scoperto, le zanzare non ci mordevano più, perché evidentemente la nostra pelle aveva assunto l'odore dell'antiparassitario.
Quindi, alla fine, c'è anche il rischio di lavorare gratis. Un'inchiesta precedente sul caporalato, sempre nella zona di Foggia, uscita circa un mese prima, agli inizi di agosto, ha raccontato di un lavoratore che aveva lavorato direttamente per un agricoltore italiano, che non era stato pagato e vantava un credito di 20.000 euro. Questa persona, un cittadino del Burkina Faso, era arrivato regolarmente in Italia e aveva detto anche che, appena avuti i soldi, sarebbe tornato dalla propria famiglia: non mi aspettavo fosse così. Ebbene, egli ha avviato una causa attraverso un sindacato, ha vinto la causa, davanti al giudice del Tribunale del lavoro di Foggia, che gli ha dato ragione e quindi ha stabilito che il datore di lavoro dovesse pagargli il lavoro svolto, ovviamente in nero e non contrattualizzato da nessuna parte. Ebbene, questa persona non riesce ad ottenere l'esecuzione della condanna e il denaro che il Tribunale ha stabilito. Quindi si tratta di un lottare continuo. A proposito della questione del denaro, quando uno riceve denaro se lo tiene, se può lo nasconde e lo manda alla famiglia - spesso c'è anche un dovere nei confronti della famiglia rimasta nella terra d'origine - oppure paga da mangiare ai compagni di baracca, ai vicini di baracca o di letto, se si tratta del CARA, perché magari ha mangiato per una settimana a loro carico e quindi deve restituire il favore, specialmente se vive nelle campagne e non all'interno del CARA.
Per quanto riguarda le minacce, in questa vicenda non ci sono state, a parte quella velata minaccia di "cumpà", questo sgherro che diceva che se mi avessero trovato i suoi amici, avrei passato dei guai. In passato, tanti anni fa, lavorando sulle infiltrazioni della 'ndrangheta a Milano, ho passato anch'io dei periodi sotto minaccia. Vorrei però portare all'attenzione della Commissione il fatto che esistono diverse forme di minaccia nel giornalismo d'inchiesta e quella più diffusa è la causa temeraria. Essa si ha nel caso di persone oggetto di inchiesta, che non hanno nessuna ragione per avviare una causa - anche se, ovviamente, ogni cittadino può farlo quando ritenga di essere stato leso - ma intentano delle cause temerarie, anche quando le inchieste sono molto documentate. Mi sono trovato di fronte a richieste di 27 milioni di euro di risarcimento del danno: ho alle spalle un gruppo editoriale molto solido, ma qualche altro collega si potrebbe trovare in difficoltà. Questa è dunque una minaccia velata, che spinge molti giornalisti ad avere paura e a doversi fermare.
Se non ci sono altre domande, concludo sulla questione che è stata posta, e che ritengo molto interessante, relativa all'omertà dei dipendenti delle istituzioni. Non saprei dare una risposta, perché non ho interrogato nessuno su questo e non ho nemmeno il potere per farlo. Quello che però ho notato lavorando - nel 2005 venni ripescato in mare e rinchiuso a Lampedusa e anche in quel caso trovai delle situazioni molto gravi che denunciammo - è secondo me l'aspetto più drammatico dell'omertà, cioè l'assuefazione: intendo dire che a un certo punto si accetta quel sistema perché non si è in grado di vedere l'uscita e alla fine ciascuno di noi rinuncia a un pezzettino. La situazione del CARA di Foggia l'ho vista funzionare in questo modo già a gennaio 2015 e nel giro di un anno e mezzo quel pezzettino è diventato una resa totale nei confronti di un comportamento civile. All'interno del CARA di Foggia possono esserci anche delle dinamiche per cui la gestione si mette a disposizione della necessità dei braccianti di uscire a lavorare, per cui sono loro stessi a voler avere la libertà di uscire, perché ciò permette magari di guadagnare qualche soldo, per chi ha tale possibilità. Chiaramente fa sorridere pensare che una struttura statale si metta a disposizione del volere degli ospiti affinché possa essere mantenuta un'economia illegale; però l'attenzione va diretta sull'economia illegale, che è degli italiani; il caporalato è costruito su quell'aspetto e forse va posta più attenzione sugli italiani.
Un'ultima notazione riguarda le donne, un tema su cui io non sono entrato; però stando nel piazzale ho visto le ragazzine che - ripeto - non so se fossero ospiti registrate o meno, ma forse al massimo potevano avere diciotto anni. Erano molto giovani e venivano prese ogni sera e portate fuori. Poi c'erano tante donne, anche eritree e somale; alcune dormivano nel capannone con altri eritrei, probabilmente dormivano con amici oppure con congiunti o famigliari, e in qualche caso ho visto anche delle signore africane uscire dalle casupole in cui vivevano, probabilmente anche in quel caso con un congiunto. Su questo aspetto non ho indagato; sicuramente è una situazione per cui dall'esterno può entrare chiunque e ciò crea anche una sensazione di massima insicurezza che in quel report del 2013 era stata denunciata dagli stessi ospiti che erano stati sentiti.
Vi ringrazio per l'attenzione prestata al lavoro che ho svolto e per le domande che sono state poste.

PRESIDENTE
Siamo noi a ringraziare lei, dottor Gatti, per la sua disponibilità. La terremo informata.
A proposito di italiani, le vorrei solo raccontare che quando abbiamo aperto il fascicolo d'indagine sul caporalato indagando sul decesso della signora Clemente, noi abbiamo parlato di una nuova forma di caporalato e abbiamo indagato sul ruolo delle agenzie di somministrazione, perché abbiamo riscontrato il fenomeno di cui parla lei, cioè il caporale che fa il contatto diretto; vi è però anche una formula apparentemente - dal nostro punto di vista - lecita e legale che non è altro che il caporale ben vestito.

GATTI
L'ho analizzato. Ad esempio, un'esperienza dell'anno scorso in Friuli Venezia Giulia, riguardava l'uso dei voucher: venivano effettuati pagamenti con voucher di 35 euro al mese (non al giorno), il resto (pochissimo) veniva pagato in nero e nel caso di un controllo (il datore di lavoro era italiano, come anche i braccianti) ovviamente l'accordo prevedeva di dire che avevano appena cominciato con voucher. Intendo dire che purtroppo a volte il voucher, fatto per snellire l'attività, viene utilizzato per coprire un aspetto illegale.

PRESIDENTE
La ringrazio nuovamente e dichiaro conclusa l'audizione odierna.


Fonte: Senato della Repubblica