Cassazione Penale, Sez. 4, 20 aprile 2017, n. 19041 - Infortunio con il tornio parallelo monopuleggia durante le operazioni di "smerigliatura/rettifica". Nessun comportamento abnorme


 

 

 

Presidente: BIANCHI LUISA Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO Data Udienza: 22/03/2017

 

Fatto

 

1. Con sentenza n. 1187/15 del 21/09/2015, il Tribunale di Como, all'esito del giudizio abbreviato, condannava S.L. e S.A. alla pena di mesi 1 e giorni 10 di reclusione (il primo) e € 120,00 di multa (il secondo) in relazione al delitto di cui all'imputazione.
1.1. Gli imputati erano stati tratti a giudizio per rispondere del delitto di cui agli artt. 113, 590, commi 1, 2 e 3, c.p., in relazione all'art. 583, comma 1, n. 1, c.p. (in relazione alle norme prevenzionali sotto specificate) poiché, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione il primo, di consigliere delegato il secondo, di s.r.l. S., con sede sociale e unità lavorativa a OMISSIS, ed in tale veste di datori di lavoro di P.A., in cooperazione tra loro, cagionavano al lavoratore in questione, lesioni personali consistite in "trauma da strappamento mano destra con lussazione del II raggio, frattura composta della I falange del IV dito e lesione 'en bouttoniere' del IV dito; trauma da strappamento mano sinistra", da cui derivava una malattia del corpo guarita in 129 giorni, con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per eguale periodo di tempo, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di norme per la prevenzione degli infortuni e segnatamente: a) per non aver proceduto alla valutazione di tutti rischi derivanti dall'uso della macchina denominata "tornio parallelo monopuleggia", costruttore Torgim, modello 300 x 3000, matricola numero 972, con riferimento alle operazioni di "smerigliatura/rettifica", delle superfici dei pezzi in lavorazione e per non aver individuato le conseguenti misure di prevenzione e protezione da adottare: in particolare, predisponendo appositi utensili e attrezzature da montare sulla macchina e vietando l'uso di utensili manuali, quali la tela smeriglio (art. 17, comma 1 D.Lgs. 81/08 in relazione all'art. 28 D.Lgs. 81/08, in relazione al punto 6 dell'allegato V D.Lgs. 81/08, in relazione al punto 6..2 della norma UNI EN 12840 - obbligo non delegabile); b) per aver messo a disposizione del lavoratore P.A. la suddetta macchina non adeguata al lavoro da svolgere e non adatta a tali scopi; in particolare per eseguire manualmente l'operazione di "smerigliatura/rettifica" della superficie di un pezzo metallico denominato "cilindro", mediante l'utilizzo di "tela abrasiva" e con la predetta macchina in moto (art. 71, comma 3 D.Lgs. 81/08 in relazione all'art. 70, comma 2 D.Lgs. 81/08, in relazione al punto 6 dell'allegato V D.Lgs. 81/08, in relazione al punto 6.2 della norma UNI EN 12840); c) per non avere adottato misure tecniche e organizzative al fine di impedire che il torchio parallelo fosse utilizzato per operazioni e secondo condizioni per il quale non era adatto; in particolare per eseguire manualmente la smerigliatura superficiale del pezzo di ferro in lavorazione (art. 71, comma 3 D.Lgs. 81/08 in relazione al punto 1.0.1 dell'allegato VI del D.Lgs. 81/08); d) per aver consentito e comunque non impedito al lavoratore P.A. l'uso della citata macchina per eseguire manualmente l'operazione di "smerigliatura/rettifica" della superficie del suddetto pezzo di ferro mediante l'utilizzo di "tela abrasiva" e con la macchina in moto (art. 71, comma 4, lett. a-1) D.Lgs. 81/08 in relazione all'art. 18, comma 1, lett. f) D.Lgs. 81/08, in relazione alla norma UNI EN 12840); e) per aver messo a disposizione del lavoratore P.A. la suddetta macchina, non idonea ai fini della sicurezza in quanto non conforme ai requisiti di cui all'allegato V D.Lgs. 81/08; in particolare, le protezioni installate sulla stessa non impedivano l'accesso alle zone pericolose generate dal pezzo in lavorazione, dalla parte sporgente dello stesso e dal mandrino, elementi mobili in moto (art.71, comma 1 D.Lgs. 81/08 in relazione all'art. 70, comma 2 D.Lgs. 81/08, in relazione al punto 6.1 dell'allegato V D.Lgs. 81/08), cosicché, mentre il lavoratore eseguiva manualmente l'operazione di "smerigliatura/rettifica" del pezzo in lavorazione, nell'atto di premere contro la superficie della stessa un pezzo di "tela/smeriglio", tenendolo con le mani, rimaneva con la mano destra intrappolato dalla predetta "tela abrasiva" la quale, arrotolandosi su se stessa, gli procurava le indicate lesioni. Fatto aggravato perché commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. In Grandate, il 27/04/2011.
1.2. Con la sentenza n. 4102/16 del 27/05/2016, la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza di primo grado appellata dagli imputati.
2. Avverso tale sentenza d'appello, propongono ricorso per cassazione S.L. e S.A., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
I) manifesta illogicità, contraddittorietà e mancanza della motivazione rispetto all'applicabilità di prove esistenti negli atti del procedimento, con conseguente inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. Deducono che la Corte non tiene in minima considerazione l'assunto in forza del quale al momento dell'infortunio il tornio utilizzato fosse in regola con le norme antinfortunistiche, come, peraltro, accertato dal Giudice di prime cure, che, basandosi sulle dichiarazioni del P.A. e del Corti, correttamente, acclara il fatto che il tornio ove è avvenuto l’incidente che ha coinvolto il P.A., non potesse avere altre protezioni di sicurezza oltre quelle già esistenti ed adeguate per l'uso del medesimo e da ciò ne fa conseguire, senza alcuna legittima motivazione, l'applicazione al caso di specie degli artt. 70 e 71 del D.L.vo 81/2008. Sostengono che la decisione è errata anche dove non viene applicata la legge, a causa dell'errata ricostruzione dei fatti effettuata dalla Corte d'Appello di Milano, fondata su assunti inesistenti; in particolare per le prove raggiunte pacifico è che la responsabilità dell'infortunio sia ascrivibile al comportamento del P.A.. Affermano che la Corte non ha valutato l'azione posta in essere dal P.A. né che il comportamento imprudente del lavoratore può considerarsi causa da sola sufficiente a causare l'infortunio; in altre parole non ha seguito il principio stabilito dalla Suprema Corte in forza del quale deve ritenersi abnorme o, comunque, eccezionale ed, in quanto tale, idoneo ad interrompere il nesso di causa tra la condotta datoriale e l'evento, il comportamento del lavoratore esorbitante dalle precise direttive impartitegli.
 

 

Diritto

 


3. I ricorsi sono del tutto sforniti di pregio (al punto da lambire l'inammissibilità) e ciò impone il rigetto dei medesimi.
3.1. Va premesso che, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
3.2. Occorre, inoltre, evidenziare che i ricorrenti ignorano le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame.
3.3. La Corte territoriale ha, in vero, fornito puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto.
3.4. Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
3.5. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché -come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). ‘
3.6. Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
3.7. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nei ricorsi in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
3.8. In realtà i ricorrenti, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione nella valutazione del materiale probatorio (nella specie le testimonianze degli operanti di polizia giudiziaria), tentano di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
4. Ciò posto, deve, per completezza, evidenziarsi che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, il primo Giudice non ha mai affermato che "al momento dell'infortunio il tornio utilizzato fosse in regola con le norme antinfortunistiche", anzi ha ritenuto che «l'indagine svolta dagli inquirenti (compendiata negli atti acquisiti) e l'istruttoria dibattimentale integrativa hanno dimostrato compiutamente la fondatezza dell'ipotesi accusatoria.[...] È stato infatti accertato che il lavoratore della S. S.r.l. si infortunava durante le mansioni professionali abitualmente svolte, utilizzando il tornio in modo pericoloso, in quanto procedeva ad una operazione di smerigliatura superficiale con la carta vetrata tenuta in mano, su una macchina che non aveva le protezioni per impedire questa modalità operativa, che tuttavia era invalsa nell'azienda».
4.1. In aggiunta, la Corte del merito ha correttamente rilevato che al momento dell'Infortunio, il tornio parallelo monopuleggia Torgim 300x3000 matr. 972 utilizzato dall'operario P.A., non era in regola con le norme antinfortunistiche esattamente riportate in imputazione, e «Acquistato negli anni '80, non era mai stato adeguato alle prescrizioni di legge, oltre che al progresso scientifico e meccanico in materia».
5. Nel caso che occupa la mancata previsione del rischio e dei mezzi per contenerlo è stata individuata, dai giudici del merito, come causa incidente sulla mancata adozione di adeguati presidi oggettivi, di adeguata informazione e in definitiva come causa efficiente nella determinazione dell'evento reato.
5.1. Quanto alla rilevanza delle eventuali condotte negligenti ovvero imprudenti riferibili al dipendente infortunato, occorre rimarcare che, nell'ambito della sicurezza sul lavoro emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l'uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie. Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il "garante è il soggetto che gestisce il rischio" e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l'illecito, qualora l'evento si sia prodotto nell'ambito della sua sfera gestoria. Proprio nell'ambito in parola (quello della sicurezza sul lavoro) il D.Lgs. n. 81 del 2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.
5.1.1. Nel caso che occupa gli imputati (nelle rispettive qualità) erano i gestori del rischio e l'evento si è verificato nell'alveo della loro sfera gestoria; la eventuale ed ipotetica condotta abnorme del lavoratore non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento poiché essa non si è collocata al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini la complessiva condotta del lavoratore non fu eccentrica rispetto al rischio lavorativo che i garanti erano chiamati a governare (cfr. Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014 Rv. 261108). Correttamente la Corte territoriale ha affermato che «P.A. si trovava nella sua azienda, al proprio posto di lavoro, nell'orario di attività, e nell'intento di svolgere le mansioni a lui demandate. E il fatto di avere avvicinato la mano al pezzo che stava lavorando sul tornio parallelo monopuleggia Torgim, mod. 300 x 3000, matr. 972, è cosa niente affatto strana, peculiare, o imprevedibile; ma al contrario, è operazione ripetuta quotidianamente molte volte, in quanto indispensabile per il cambio degli utensili del tornio, e dei pezzi da lavorare».
5.1.2. Nulla, poi, è emerso che possa lasciar presumere che il rispetto delle norme cautelari violate non fosse concretamente esigibile dagli imputati, nelle condizioni date.
5.1.3. Come ineccepibilmente valorizzato, infatti, dalla Corte del merito, gli imputati hanno «negligentemente omesso di attivarsi per impedire l'evento (mettendo a disposizione un tornio fuori norma antinfortunistica e senza i presidi richiesti dalla legge).... Quel che rileva è che gli appellanti abbiano messo a disposizione della parte lesa, una macchina di circa trent'anni, non adeguata negli accorgimenti tecnici e prevenzionali, alle norme di legge e di buona tecnica lavorativa, oltreché sicuramente pericolosa nel suo funzionamento. Hanno inoltre permesso e non impedito che gli operai, tra cui certamente P.A., ma anche altri, la utilizzassero in modo pericoloso».
6. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che i ricorsi, nel rappresentare l'inaffidabilità degli elementi posti a base della decisione di merito, pone solo questioni che esorbitano dal limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell'offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).
7. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti ai pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 22/03/2017