Cassazione Civile, Sez. 6, 02 maggio 2017, n. 10666 - Prestazioni assicurative per malattia professionale in conseguenza dell'attività lavorativa di conducente di autobus


 

 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: MANCINO ROSSANA Data pubblicazione: 02/05/2017

 

 

 

Rilevato che:

 


1. la Corte d’appello di Venezia ha rigettato il gravame svolto dall’attuale ricorrente avverso la sentenza di primo grado che, per quanto in questa sede rileva, aveva respinto la domanda volta ad ottenere il riconoscimento delle prestazioni assicurative erogate dall’INAIL assumendo di aver contratto malattia professionale in conseguenza dell’attività lavorativa di conducente di autobus;
2. la Corte territoriale, pur dando atto che della patologia gastroesofagea l’ausiliario officiato in giudizio non aveva fatto alcun cenno, riteneva che dal M. non fosse stato fornito sufficiente riscontro della patologia in nesso causale con l'attività lavorativa svolta e, in particolare, che non fosse stata fornita alcuna prova, neppure a livello indiziario, in ordine alle modalità della prestazione lavorativa, descritte come particolarmente usuranti;
3. rimarcava peraltro, la Corte veneta, che neppure era stata contestata al consulente tecnico l’omessa valutazione della predetta patologia gastroesofagea, così risultando, in definitiva, non assolto l’onere, incombente sul richiedente, di dimostrare l’esistenza della patologia predetta in collegamento con il rischio lavorativo;
4. il ricorrente affida il ricorso ad un motivo con il quale, deducendo violazione degli artt. 115 e 416 cod. proc. civ., critica la ritenuta mancata prova degli elementi di fatto posti a base della domanda; 
5. l’INAIL ha resistito con controricorso.

 


Considerato che:

 


6. il motivo presenta profili di inammissibilità non solo perché reputa erronea la consulenza tecnica alla quale la Corte territoriale ha prestato adesione, senza tuttavia indicarne il contenuto, allegarla o indicare specificamente dove risulterebbe prodotta nel fascicolo di merito (v., fra le altre, Cass. n. 9466 del 2013), ma anche perché non coglie nel segno perché contrappone alla carenza probatoria sulla sussistenza della patologia gastro-esofagea e del nesso causale o concausale tra malattia denunciata e attività lavorativa, il principio di non contestazione nei termini perentori fissati dall'art. 416 cod.proc.civ.;
7. inoltre, quanto alle contestazioni alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio non vi è chiara indicazione di quando ed in quali esatti termini le stesse siano state proposte, onde verificarne, sulla base della sola lettura del ricorso per Cassazione, la tempestività e la rilevanza;
8. le doglianze del ricorrente si risolvono in una mera difesa della propria tesi sulla origine professionale della patologia gastroesofagea da cui assume essere affetto in ragione dell'attività lavorativa svolta di conducente di autobus, ma tale tesi non è stata suffragata, ad avviso della Corte territoriale, da elementi probatori, neppure indiziari, sulle modalità di lavoro, descritte dal lavoratore come particolarmente usuranti;
9. gli accertamenti giudiziali hanno individuato un’origine comune, non professionale, della predetta patologia e a nulla vale contrapporre il principio di non contestazione da parte dell’Istituto, valorizzando la circostanza, rimarcata dalla Corte territoriale, che della lamentata gastrite neanche si faceva riferimento nella domanda amministrativa all’INAIL e neanche risultava alcun riscontro nella documentazione sanitaria esaminata dal consulente officiato in giudizio;
10. la regola di giudizio basata sull'onere della prova, applicata nella sentenza impugnata, neanche è stata adeguatamente censurata svolgendo la critica avverso la non corretta ripartizione in virtù della presunta applicazione del principio di non contestazione;
11. un’autonoma questione di malgoverno degli arti. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell'art. 2697 cod. civ. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: - abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; - abbia fatto ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; - abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; - abbia invertito gli oneri probatori;
12. nessuna di tali situazioni è rappresentata nel ricorso all’esame;
13. il ricorso va pertanto rigettato;
14. le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
15. la circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del d.P.R. n. 115/2002, art. 13, comma 1 -quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228/2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi) e di provvedere in conformità.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Doppio contributo. Ai sensi dell’art. 13,comma 1-quater, d.P.R.l 15/2002, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art,13,comma 1 -bis.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017