Cassazione Penale, Sez. 4, 31 maggio 2017, n. 27306 - Caduta dall'alto a causa del cedimento del lucernario. Responsabilità del committente delle operazioni di verifica sulla possibilità di installazione di pannelli fotovoltaici


 

 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: GIANNITI PASQUALE Data Udienza: 18/04/2017

 

Fatto

 

l. B.O. veniva tratto a giudizio davanti al Tribunale di Como per rispondere del reato di cui all'art. 590 commi 1, 2 e 3 c.p. in relazione all'art. 583 comma 1 n. 1 c.p. (in relazione alle norme prevenzionali sotto specificate) poiché - in qualità di presidente del consiglio di amministrazione e delegato in materia antinfortunistica della s.r.l. B.O., e in tale veste committente delle operazioni di "verifica della possibilità di installazione di pannelli fotovoltaici sulla copertura, avente una superficie di circa 17.000 mq, del capannone sito a Novedrate, Via Provinciale Novedratese n 46", di proprietà della predetta società, affidate a C.A., nella sua qualità di amministratore unico della società Offix Service - in data 10/05/2011 cagionava a C.A. lesioni personali consistite in "politrauma da precipitazione", da cui derivava una malattia nel corpo guarita in oltre 83 giorni, con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per eguale periodo di tempo, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e segnatamente:
-per non avere fornito a C.A., incaricato di effettuare le citate operazioni, che si dovevano eseguire, tra l'altro, sulla copertura dello stabile di proprietà della ditta B.O. srl, ad un'altezza di cima 6 metri, dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui lo stesso era destinato ad operare; in particolare con riferimento alla non pedonabilità della predetta copertura anche per la presenza di lucernari" in plexiglass (art. 26, comma 1, lett. b) d. Lg.vo 81/08);
-per non aver cooperato all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'incarico, nonché per non aver coordinato gli interventi di protezione dei rischi cui erano esposti i lavoratori, anche attraverso la reciproca informazione, trattandosi di attività che comportava, tra l'altro, lo spostamento del lavoratore sulla copertura dello stabile (art 26, comma 2, lettere a - b d. Lg.vo 81108);
-per non aver promosso la cooperazione all'attuazione delle misure di protezione e prevenzione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'incarico, nonché il coordinamento degli interventi di protezione dal rischi cui erano esposti i lavoratori, al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle imprese e dei lavoratori autonomi coinvolti nell'esecuzione/verifica dei suddetti lavori (art. 26, comma 3 d. lg.vo 81/08);
- per avere consentito e comunque non impedito che il lavoratore C.A. accedesse e si spostasse sulla citata copertura, per eseguire le suddette operazioni di verifica, senza che fossero adottati i necessari apprestamenti atti a garantire la sua incolumità, disponendo apposite tavole sopra le orditure o installando dei sottopalchi e facendo uso altresì di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta (art. 148 comma 2 d. lg.vo n. 81/08); cosicché, mentre C.A., incaricato della sopracitata verifica, si trovava sulla copertura dello stabile, ad un'altezza di circa 6 metri, nell'atto di spostarsi sulla stessa, precipitava al suolo a causa del cedimento di un "lucernario", procurandosi le indicate lesioni.
2. La Corte di appello di Milano con la impugnata sentenza, salvo che in punto di beneficio di sospensione condizionale della pena (che era stata negata dal giudice di primo grado) ha integralmente confermato sentenza 11/1/2016 con la quale il Tribunale di Como, ad esito di giudizio ordinario, dopo aver ricostruito la dinamica dell'infortunio e dei profili di colpa dell'Imputato causalmente riconducibili all'evento, aveva ritenuto il B.O. responsabile del reato di cui sopra.
Il Giudice di primo grado aveva ritenuto non concedibili le circostanze attenuanti generiche, in difetto di un ancorché parziale risarcimento del danno ed essendo il B.O. già gravato da un precedente specifico; ed aveva determinato la pena su valori medi, fissandola in mesi 6 di reclusione, in considerazione della "smaccata imprudenza dimostrata" dal B.O., che aveva consentito alla persona offesa di salire a 6 metri d'altezza senza la preventiva predisposizione di alcuna cautela, nonché in considerazione dell'elevata gravità delle conseguenze lesive patite dalla persona offesa. E la Corte territoriale ha convalidato il giudizio del giudice di primo grado: anche in punto di trattamento sanzionatorio, che ha ritenuto congruo in relazione al grado della colpa e alle modalità di svolgimento dei fatti; nonché in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche, che ha negato in considerazione dell'esistenza di un precedente specifico e del mancato risarcimento, anche solo parziale, del danno.
3. Avverso la predetta sentenza, tramite difensore di fiducia propone ricorso l'imputato, articolando 4 motivi di ricorso, chiedendo l'annullamento.
3.1. Nel primo e nel secondo motivo denuncia erronea applicazione dell'art. 26 T.U. n. 81/2008 e vizio di motivazione, in quanto, per l'applicazione della suddetta disciplina normativa, lui avrebbe dovuto essere committente, mentre tale non era risultato; d'altronde dalle risultanze processuali era emerso con assoluta certezza che l'Arc. C.A. era interessato all'eventuale installazione dell'impianto fotovoltaico sul capannone di sua proprietà (cioè di proprietà del B.O.). Il principale rilievo del ricorrente verte sull'erronea applicazione della normativa antinfortunistica al caso di specie, posto che non si sarebbe di fronte ad un contratto di appalto fra lui e l'infortunato (il ricorrente si sarebbe limitato, quale proprietario dello stabile interessato unicamente alla locazione dello stesso, a far salire l'Arch. C.A. sul capannone per verificare la fattibilità di un impianto fotovoltaico, al di fuori di ogni committenza di lavori od opere), con conseguente inapplicabilità della disciplina di cui all'art. 26 D.lgs. 81/2008.
3.2. Nel terzo motivo, denuncia vizio di motivazione laddove non era stato valutato il comportamento della persona offesa Arch. C.A. (che, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto essere ritenuto il responsabile esclusivo dell'evento o, a tutto voler concedere, corresponsabile con lui quale mero proprietario dell'immobile, e non quale committente).
3.3. Nel quarto motivo, denuncia vizio di motivazione laddove non gli erano state concesse le attenuanti generiche e all'uopo allega copia della sentenza del Tribunale civile di Como (che, inquadrato l'interesse dell'Arc. C.A. ad individuare per il tramite dei suoi collaboratori, tetti da locare ed idonei ad ospitare pannelli fotovoltaici, ha riconosciuto la concorrente responsabilità dell'Arch. C.A. e della società B.O. quale proprietaria).
 

 

Diritto

 


1. I primi tre motivi di ricorso - che sottendono la questione di diritto concernente l'applicabilità al caso di specie dell'art. 26 del d. Lgvo n. 81/2008 (in tema di rischio interferenziale) - sono fondati, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla ritenuta circostanza aggravante di cui all'art. 590 comma 3 c.p. (e cioè all'aggravante della violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Milano, che dovrà attenersi a quanto di seguito indicato.
2.Giova preliminarmente ripercorrere la dinamica dell'infortunio, come ricostruita dal Tribunale di Como (sulla scorta delle testimonianze assunte, dallo stesso ritenute «sostanzialmente univoche») e come convalidata dalla Corte territoriale.
Nell'anno 2011 l'Arch. A.F.E., tramite un comune conoscente, veniva in contatto con l'odierno ricorrente B.O., titolare di una fabbrica di reti per materassi, che gli rappresentava la volontà di rimuovere la copertura in eternit del proprio capannone.
L'A.F.E., sapendo che l'ing. C.A., con il quale in passato aveva già avuto modo di collaborare, avrebbe potuto aiutare il B.O. a realizzare il suo progetto, essendo titolare di un'impresa specializzata nell'installazione di impianti fotovoltaici, si adoperava per organizzare fra le parti un incontro preliminare. Il C.A., in particolare, grazie alla mediazione dell'A.F.E., avrebbe dovuto recarsi a Novedrate, presso la B.O. srl, per eseguire un sopralluogo e verificare direttamente la fattibilità dell'opera.
In data 10 maggio 2011, pertanto, la persona offesa, che già aveva avuto modo di visionare le planimetrie dei capannoni, unitamente ad un proprio collaboratore, tale B.N., si recava presso lo stabilimento della B.O. s.r.l., dove, alla presenza dell'A.F.E., incontrava per la prima volta l'odierno ricorrente. Dopo avere discusso delle modalità d'intervento presso gli uffici e dopo avere visionato la copertura dall'interno del capannone, i quattro, come previsto, decidevano di sbarcare sul tetto per scattare delle fotografie. Il B.N., essendo il più giovane, si offriva di salire da solo, utilizzando una scala a pioli già presente in azienda e messa a disposizione dal B.O., ma il C.A. e l'A.F.E. rifiutavano l'offerta, decidendo a loro volta di seguirlo, mentre il B.O. si attardava a cercare le chiavi di una cabina elettrica.
Orbene, una volta arrivati tutti sulla copertura, il C.A. andava inavvertitamente ad appoggiare un piede sulla fila di lucernari in policarbonato che correva lungo tutta la parte centrale - peraltro annerita dagli agenti atmosferici e perciò resa difficilmente distinguibile rispetto alle onduline in cemento-amianto - la cui superficie, non essendo sufficientemente solida per resistere al suo peso, si rompeva, facendolo precipitare a terra da un'altezza di circa 6 metri.
Il C.A. veniva immediatamente soccorso da uno degli operai presenti in azienda, che chiedeva l'intervento del 118. Trasportato presso l'ospedale di Gravedona, veniva ricoverato d'urgenza nel reparto di terapia intensiva per trauma cranico con lacerazioni cerebrali frontali e frattura della base cranica, frattura vertebrale D12, frattura del bacino e sinfisi pubica. Nei giorni seguenti veniva sottoposto ad intervento neurochirurgico di craniotomia bifrontale e ad intervento ortopedico. Le lesioni subite gli comportavano una malattia guarita in non meno di 83 giorni.
Sempre in punto di ricostruzione fattuale, occorre aggiungere che il Giudice di primo grado ha precisato che la predetta ricostruzione dei fatti era stata parzialmente smentita dall'imputato, che nel corso dell'esame aveva sostanzialmente affermato che l'incontro del 10 maggio 2011 avrebbe dovuto essere meramente informativo (e pertanto nessuno avrebbe dovuto svolgere lavori in quota); di avere fornito la scala per salire sul tetto al C.A. e agli altri, nell'erronea convinzione che le fotografie potessero essere scattate senza sbarcare sul tetto; di essere salito sulla scala soltanto per ammonire il C.A. di essere salito sul tetto senza autorizzazione. Tuttavia, il Giudice di primo grado - dopo aver ha rilevato che le suddette precisazioni in fatto, fornite dall'imputato, avevano trovato puntuale smentita nelle testimonianze assunte - ha ritenuto che le stesse si erano palesate come finalizzate a scaricare la responsabilità dell'accaduto sulla persona offesa, colpevole, secondo l'assunto difensivo, di essersi volontariamente posta in una situazione di pericolo, contravvenendo alle sue raccomandazioni ed ha affermato la penale responsabilità del B.O..
3. Richiamata la ricostruzione dell'infortunio operata dai giudici del merito, occorre aggiungere che la questione della applicabilità del citato art. 26 al caso di specie - dubbia alla luce degli accertamenti eseguiti in sede antifortunistica dalla ASL (di cui alla relazione 25/1/2012 agli atti ed alla deposizione resa dal teste M. all'udienza del 22/1/2014), per come riportati in ricorso - ha formato il filo conduttore dell'attività processuale svoltasi in entrambi i gradi del giudizio.
3.1. Invero, il Giudice di primo grado - dopo aver premesso che era documentalmente provato che l'odierno ricorrente, nel maggio del 2011, ricopriva l'incarico di delegato in materia infortunistica della B.O. s.r.l., società proprietaria del capannone ove si era verificato il sinistro - ha ritenuto provata la penale responsabilità del B.O., così argomentando:
- nel caso di specie era applicabile l'art. 26, D.Lgs.n. 81/08 in contestazione, in quanto, sebbene all'epoca del sinistro non fosse stato stipulato alcun contratto: a) le parti, nel maggio 2011, avevano già intavolato delle trattative per la futura realizzazione dell'opera, nell'ambito della quale la B.O. srl avrebbe dovuto assumere il ruolo di committente, mentre la società facente capo al C.A., vale a dire la Offix Service s.r.l., avrebbe dovuto assumere il ruolo di appaltatore; b) il sopralluogo che aveva occasionato il sinistro non era stato svolto al di fuori dei casi di affidamento di lavori, servizi e forniture, (locuzione ampia, utilizzata dal legislatore per definire l'ambito di operatività della norma in esame); detta disposizione dovrebbe essere interpretata in maniera elastica, ancorché non analogica, così da salvaguardare, e non frustrare la sua ratio, vale a dire la tutela della salute dei lavoratori; c) in conclusione non poteva escludersi l'applicazione della norma per il solo fatto che il contratto d'appalto, nel maggio 2011, non fosse ancora stato perfezionato; d) d'altronde, si poteva ipotizzare che il B.O., già nel maggio 2011, avesse stipulato con l'impresa del C.A. un contratto verbale d'appalto avente ad oggetto il sopralluogo incriminato;
-erano risultati provati i profili di colpa contestati al B.O.. Invero, i contestati deficit informativi avevano trovato conferma nelle testimonianze A.F.E. e B.N.. D'altronde il B.O., nonostante fosse consapevole della natura del sopralluogo che il C.A. sarebbe stato chiamato a svolgere sul tetto della sua azienda, aveva omesso quella reciproca informazione, che era necessaria a prevenire eventi analoghi a quello occorso (tale obbligo informativo non poteva dirsi assolto mediante il dedotto invio delle planimetrie del capannone, che nella sentenza di primo grado vengono indicate come non acquisite al fascicolo del dibattimento). Ed ancora, l'imputato, con particolare riferimento ai pericoli di caduta dall'alto legati alla scarsa resistenza dei lucernari, non aveva elaborato il documento di valutazione dei rischi. Infine era indubbio che il C.A., il 10 maggio 2011, era sbarcato sul tetto della B.O. s.r.l, senza indossare alcuna imbracatura, senza la preventiva predisposizione di tavole, sottopalchi, ovvero altri analoghi sistemi anticaduta, e per giunta avvalendosi di una scala a pioli che gli era stata messa a disposizione dall'imputato;
-in punto di nesso di causalità fra le predette omissioni e l'evento dannoso oggetto, era ragionevole ritenere che qualora l'imputato avesse opportunamente informato la persona offesa circa i rischi specifici connessi al lavoro che era stato chiamato a svolgere ed avesse predisposto un idoneo documento di valutazione dei rischi, verosimilmente il C.A. avrebbe evitato di salire sul tetto senza la preventiva predisposizione di sistemi anticaduta, o comunque avrebbe evitato di calpestare i lucernari. Qualora poi il B.O. e il C.A. avessero cooperato affinché quest'ultimo indossasse i sistemi anticaduta previsti dalla legge, ovvero affinché venissero predisposti idonei sistemi di prevenzione e protezione, di certo il C.A. non sarebbe precipitato al suolo, riportando le gravi lesioni in contestazione.
Il Giudice di primo grado in sentenza ha esaminato l'assunto difensivo, secondo il quale l'impresa del B.O. - ormai in fase di dismissione all'epoca del fatto, come dimostrerebbero i modesti importi riportati sulle bollette dell'Enel prodotte in atti - si sarebbe limitata a prendere contatti con il C.A., per concedere in locazione a quest'ultimo una parte del tetto del proprio capannone, ed i conseguenti diritti di sfruttamento dell'energia prodotta dall'Impianto fotovoltaico che lo stesso C.A. avrebbe installato in totale autonomia. Dunque, fra le parti, sarebbe dovuto intercorrere un mero rapporto di locazione di immobile (e non un contratto d'appalto); ma lo ha disatteso, in quanto le descritte intenzioni:
- erano state sì parzialmente confermate dai testi A.F.E. e B.N. (con riferimento a ciò che solitamente accadeva nella prassi commerciale), ma
- erano state in un certo qual modo smentite dal diretto interessato, che non aveva fatto alcun riferimento al predetto rapporto di locazione allorquando era stato sentito in sede di esame; dalle dichiarazioni rese in quella occasione doveva desumersi che l'imputato, all'epoca del fatto, fosse convinto che la rimozione dell'eternit avrebbe comportato l'affidamento di lavori in quota ad una società appaltatrice, e ciò a prescindere dagli eventuali sviluppi commerciali della vicenda, di cui non si era ancora parlato, con la conseguenza che il B.O., in occasione del sopralluogo incriminato, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, avrebbe dovuto apprestare le cautele sancite dall'art 26 D.Lgs. n. 81/08.
3.2. Il B.O., nell'appellare la suddetta sentenza, ha dedotto, come censura principale, l'erronea applicazione della normativa antifortunistica al caso di specie, nel quale lui si era limitato - quale proprietario dello stabile, interessato alla locazione dello stesso, e, dunque, al di fuori di ogni committenza di lavori ed opere - a far salire il C.A. sul capannone di proprietà della sua società al fine di consentire allo stesso di verificare la fattibilità dell'eventuale installazione di un impianto fotovoltaico sul capannone. Pertanto: non era stato lui a richiedere al C.A. di intervenire presso il capannone della sua società per verificare la fattibilità di un futuro impianto fotovoltaico (essendo risultato da tutte le testimonianze assunte che non era suo interesse far installare dei pannelli solari sul tetto del capannone); al contrario, parte interessata all'installazione dell'impianto era esclusivamente il C.A., che, nel caso di conseguita locazione del capannone, sarebbe stato il soggetto proprietario (e beneficiario) di tale eventuale impianto (come pure dei relativi incentivi e dello sfruttamento dell'energia elettrica prodotta). Quanto precede era stato confermato dai testi A.F.E. e B.N. (come riconosciuto anche dal giudice di primo grado) e avrebbe dovuto comportare l'inapplicabilità della disciplina di cui all'art. 26 d. Lgs. n. 81/2008.
A tale doglianza, la Corte di appello di Milano, ha risposto, nel confermare la sentenza di primo grado, limitandosi ad osservare che:
-emergeva in modo evidente dal compendio probatorio che il C.A. si era recato presso la sede della B.O. s.rl. di Novedrate per effettuare le verifiche relative all'«istallazione dell'impianto fotovoltaico, commissionata dal B.O.» e che era salito sul tetto proprio per prendere visione dello stato della copertura: il C.A., dunque, aveva agito come «prestatore d'opera del B.O.», svolgendo un sopralluogo necessario prima dell'inizio dei lavori da svolgere su incarico dello stesso, già conferito, ancorché non espressamente formalizzato in un atto scritto» ;
-il B.O., «quale committente di fatto», era tenuto ad assicurare che tutta l'area di pertinenza lavorativa fosse in sicurezza, ivi compreso il tetto sul quale si trovavano diversi lucernari in plexiglass e sul quale avrebbero dovuto svolgersi le lavorazioni di installazione dei pannelli fotovoltaici; dal verbale di sopralluogo dei tecnici AUSL di Como e dalla deposizione del teste M. era invece risultato che il B.O. non aveva osservato tale normativa, non adottando le misure di sicurezza contro le cadute da luoghi di lavoro in quota, non fornendo dettagliate informazioni sui rischi specifici relativi all'ambiente in cui il lavoratore autonomo doveva operare e non accertando che lucernari, tetti e coperture avessero resistenza sufficiente a sostenere il peso di una persona;
- l'accertata violazione della normativa antinfortunistica da parte del B.O. era da porre in rapporto di causalità con l'infortunio, in quanto, valutando gli effetti dell'omissione in relazione all'evento occorso, si doveva affermare che, ove fossero state rispettate le misure antinfortunistiche citate relative alla valutazione del rischio specifico e all’apposizione di idonea struttura relativa al camminamento in quota (quali appunto tavole sopra le orditure o sottopaichi, dotazione di idonea imbracatura), l'evento non si sarebbe verificato; e, d'altronde, non poteva ritenersi che l'ingresso del C.A. sul tetto fosse atto abnorme (in quanto anomalo o imprevedibile o violatore dell'ordine imposto) e dunque tale da escludere il nesso causale, in quanto era assai probabile che qualsiasi lavoratore, anche libero professionista dotato di esperienza specifica, ove non adeguatamente edotto sui rischi specifici di un'area, oltretutto pericolosa perché non protetta, vi transitasse, esponendosi al pericolo di caduta, come era per l'appunto avvenuto nel caso di specie, nel quale la persona offesa era salita sul tetto per verificare preventivamente lo stato dei luoghi «per poter poi eseguire l'opera richiesta».
3.3. Tanto premesso, entrambi i giudici di merito hanno erroneamente ritenuto applicabile nel caso di specie l'art. 26 del d. lgs. n. 81/2008.
Ciò in quanto: presupposto per l'applicabilità della norma in esame (e, dunque, per la sussistenza a capo del B.O. degli oneri che detta norma fa ricadere sul datore di lavoro committente per il caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice ovvero a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda) è che - e in questo senso era stato formulato il capo di imputazione - il B.O. fosse stato il committente (delle operazioni di verifica della possibilità) dell'installazione di pannelli fotovoltaici, mentre dalla stessa sentenza di primo grado risulta che il B.O., al momento del sopralluogo, non aveva affidato al C.A. nessun lavoro (e in particolare nessun appalto). L'assenza di tale conferimento (e quindi della veste di committente), richiesto dalla fattispecie integratrice per la stessa sussistenza del reato, non avrebbe potuto essere colmato attraverso una interpretazione che ha finito con l'estendere analogicamente (e, dunque, illegittimamente) la normativa in esame, oltre il dettato normativo, a fattispecie diversa.
Sono noti i caratteri differenziali tra interpretazione estensiva ed applicazione analogica della norma: mediante la prima, si precisa l'ambito della norma, dilatandone la portata fino al limite massimo di espansione, con il limite formale del significato letterale del testo di legge; mentre, mediante l'analogia, l'interprete va oltre i confini della norma, applicando quest'ultima ad una fattispecie che non ha nulla in comune con quella disciplinata (se non l'eadem ratio di disciplina). In altri termini, l'interpretazione estensiva concerne un caso previsto dalla norma stessa, sebbene questa nella sua accezione letterale sembra escluderlo (lacuna apparente). L'analogia, invece, concerne un caso non previsto dalla legge (lacuna effettiva). Pertanto, per mezzo dell'interpretazione estensiva, si amplia il significato letterale della norma fino al limite della sua massima espansione; mentre, attraverso l'analogia legis, si applica ad un caso non previsto da alcuna norma la regola che disciplina "casi simili o materie analoghe". E, come è noto, nel settore del diritto penale sostanziale, che è regolato dal principio di legalità formale (artt. 1 e 199 c.p., costituzionalizzati dall'art. 25 commi 2 e 3), non è ammessa l'analogia in malam partem.
Orbene, nel caso di specie, il richiamo all' art. 26 non si palesa pertinente, in quanto detta disposizione richiama il rischio interferenziale, che, circa lavori di rimozione di eternit e di installazione di pannelli fotovoltaici, trova la sua disciplina peculiare negli artt. 90 e ss., in tema di cantieri mobili e temporanei. Senonché, per l'applicazione di detta normativa, è necessaria la figura di un committente, mentre nel caso in esame, per quanto è dato desumere da entrambe le sentenze di merito, non era intervenuto nessun appalto (e neppure uno degli altri rapporti contrattuali - somministrazione e contratto d'opera - per i quali il citato art. 26 impone obblighi prevenzionali).
Per tale dirimente ragione, la fattispecie esula dalla sfera del diritto penale del lavoro (e, conseguentemente, dall'applicabilità della normativa antifortunistica) ed è stata erroneamente ritenuta l'aggravante della violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, aggravante che viene qui esclusa.
D'altra parte, la Corte territoriale è anche incorsa nel denunciato vizio motivazionale laddove, dopo aver qualificato il B.O. come datore di lavoro, ha affermato che l'installazione dell'impianto fotovoltaico era stata dallo stesso commissionata (essendo all'evidenza logicamente incompatibile la condizione di datore di lavoro e quella di committente); nonché laddove ha ritenuto le dichiarazioni dei testi A.F.E. e B.N. (che, essendo entrambi presenti al sopralluogo, avevano anche riferito che l'interesse del B.O. era quello di locare il lastrico solare del capannone) «smentite» dal diretto interessato: al riguardo, la Corte territoriale, operando un salto logico, ha desunto dal dichiarato interesse del B.O. per la rimozione dell'eternit il fatto che lo stesso intendesse affidare lavori in quota al C.A..
Esclusa la suddetta circostanza aggravante, essendo contestata la colpa generica, residua l'ipotesi del reato di lesioni colpose, per il quale il B.O. potrebbe rispondere quale proprietario dell'immobile: egli, invero, essendo a conoscenza delle condizioni del tetto, avrebbe dovuto informare delle stesse il C.A., impedendone l'accesso in condizioni di mancata o insufficiente sicurezza.
Al riguardo dalla lettura di entrambe le sentenze di merito non si evincono con chiarezza alcuni fondamentali presupposti fattuali: se il B.O., in occasione del sopralluogo del 10 maggio, aveva o no illustrato ai soggetti presenti le reali condizioni del tetto (portandoli a visionare la copertura dall'interno) e in particolare la non pedonabilità della copertura (anche per la presenza di lucernari in plexiglass); se la scala, di cui vi è traccia in atti, era già posizionata sul luogo ovvero sia stata fornita, sempre in occasione del sopralluogo, dal B.O. al C.A. (e, in quest'ultima ipotesi, se la scala era stata fornita al solo fine di consentire al C.A. di scattare fotografie, senza sbarcare sul tetto); se il C.A., che era giunto al sopralluogo unitamente al suo collaboratore Ing. B.N., era salito sul tetto con o senza il consenso del B.O.; se, rispetto alla verificazione dell'evento lesivo, vi sia stato un concorso di colpa, sotto il profilo della negligenza, da parte dello stesso C.A. (che, pur essendo consapevole delle condizioni del tetto, aveva comunque deciso di accedere sullo stesso), tenuto anche conto delle sue conoscenze professionali; se il B.O., già prima del sopralluogo del 10 maggio, aveva effettivamente trasmesso al C.A. le planimetrie dell'immobile (che parte ricorrente deduce essere state prodotte dallo stesso PM il 22/1/2014), dalle quali risultava l'esistenza di lucernai e dunque, quanto meno la non completa pedonabilità della copertura.
Su tale punto, pertanto, si impone l'annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano che dovrà valutare se la condotta, posta in essere dal B.O. quale proprietario, abbia avuto efficacia causale (esclusiva o concorrente) rispetto all'evento lesivo occorso al C.A.; e, in particolare, se nella condotta del B.O. siano ravvisabili profili di colpa generica in relazione a rischi non palesi afferenti alle caratteristiche dell'immobile per cui è processo.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta circostanza aggravante di cui all'art. 590 comma 3 c.p., con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Milano.
Così deciso il 18/04/2017.