Cassazione Penale, Sez. 4, 21 luglio 2017, n. 36064 - Mancanza di presidi di sicurezza obbligatori della pala meccanica. Responsabilità dell'amministratore di fatto e del titolare di diritto


 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: BELLINI UGO Data Udienza: 11/04/2017

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Salerno con sentenza pronunciata in data 26 Gennaio 2016 in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Salerno, riconosciuti i profili di colpa ascritti ad entrambi gli imputati, considerato di dovere uniformare il trattamento sanzionatorio nei confronti di entrambi i prevenuti in ragione della pari responsabilità per le inosservanze ascritte e altresì considerato che il giudice di primo grado aveva invertito le posizioni dell'amministratore di fatto rispetto al titolare di diritto dell'azienda per la quale stava lavorando l'operaio S.G., rideterminava la sanzione ad entrambi gli imputati in anni uno mesi sei di reclusione, con riconoscimento ad entrambi del beneficio della sospensione condizionale della pena.
2. In particolare assumeva che le violazioni contravvenzionali alla disciplina normativa di riferimento D.Ls.vo 81/2008 consistite nell'avere consentito che la ruspa utilizzata dal dipendente priva di tettuccio protettivo, che era stato rimosso e di cinture di sicurezza erano attribuibili tanto al formale titolare dell'Azienda Agricola Bufalina, C.DI. quanto a colui che di fatto aveva la gestione materiale dell'attività aziendale, C.DO., attesa la loro rispettiva posizione di garanzia nel rispetto della dotazione degli strumenti antinfortunistici e che pertanto la pena applicata doveva essere equivalente per entrambi.
3. Sotto diverso profilo escludeva che i reati contravvenzionali si fossero prescritti atteso che, in relazione ad essi, non era stata proposta impugnazione e che pertanto, in virtù delle regole proprie del giudicato progressivo, la relativa statuizione di condanna su di esse non era più revocabile.
4. Avverso la suddetta pronuncia interponeva ricorso per cassazione la difesa di entrambi gli imputati proponendo undici motivi di ricorso.
4.1 con un primo motivo denunciavano violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione escludendo che, in relazione alle contestazioni ascritte potesse essere riconosciuta ipotesi concorsuale la quale presuppone una adesione psichica del compartecipe e un profilo causale in relazione alla condotta realizzata. Deduceva inoltre carenza dell'elemento psicologico tanto in relazione alle ipotesi contravvenzionali, quanto al delitto colposo.
4.2 Con un secondo e un terzo motivo denunciava violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla interruzione del rapporto di causalità, in ragione della interferenza rappresentata dal fatto autonomo della persona offesa;
4.3 con un quarto motivo di ricorso si doleva di analoghe violazione da parte del giudice di appello per non avere adeguatamente considerato le posizioni di garanzia di entrambi gli imputati e se, in relazione alla posizione rispettivamente rivestita, erano ravvisabili profili di colpa generica o specifica e la prevedibilità dell'evento;
4.4 In relazione alla posizione di garanzia di C.DO., la difesa si doleva dell'erroneo riconoscimento del prevenuto quale gestore materiale dell'azienda e di non avere adeguatamente rappresentato la ricorrenza di relazione causale tra il suo intervento e l'evento;
4.5 Con un sesto motivo denunciava la intervenuta prescrizione dei reati contravvenzionali in epoca anteriore alla pronuncia di secondo grado e pertanto nella violazione di legge processuale in cui era incorso il giudice della impugnazione che aveva omesso di addivenire alla conseguente statuizione;
4.6 Con un settimo motivo di ricorso denunciava come illegittimo il mancato esperimento dei poteri sollecitati dal giudice di appello per procedere ad una rinnovazione del dibattimento;
4.7 con l'ulteriore motivo deduceva violazione di legge processuale sulle modalità con le quali era stata assunta la prova testimoniale, in quanto i testi si erano limitati a riferire su quanto accaduto in sede di indagine, fase priva del necessario contraddittorio;
4.8 Con il nono motivo di ricorso i ricorrenti si dolevano delle disposizioni civili pronunciate a loro carico, benché due delle violazioni ascritte fosse prescritte e in ragione delle loro pregiudicate condizioni economiche.
4.9 Con un decimo motivo s si dolevano della misura del trattamento sanzionatorio non adeguato ai criteri di cui all'art.133 cod.pen., nonché per non avere provveduto sulla richiesta di sostituzione della pena detentiva con la corrispondente sanzione sostitutiva ai sensi dell'art. 4 Legge 143/2003 (di modifica all'art.53 L.689/81)
 

 

Diritto

 


1. Mentre appare fondato il sesto motivo di ricorso, limitatamente alla omessa declaratoria di non luogo a procedere per i reati contravvenzionali per intervenuta prescrizione, gli altri motivi di ricorso appaiono in parte inammissibili e in parte infondati. 
2. Il primo, il quarto e il quinto motivo di ricorso risultano manifestamente infondati laddove agli imputati, rispettivamente titolare della ditta datrice di lavoro del dipendente infortunato e amministratore di fatto dell'azienda e responsabile del cantiere, viene riconosciuto un autonomo contributo concorsuale ai fini della realizzazione dell'evento, per avere omesso di installare sulla pala meccanica cui era addetto il lavoratore presidi di sicurezza obbligatori, indispensabili per la tutela della sicurezza sul lavoro (tetto cabina e cintura di ritenzione).
I giudici di merito hanno fornito motivato conto delle ragioni per le quali ciascuno di esso fosse tenuto ad adempiere agli obblighi derivanti dalla disciplina antinfortunistica richiamata e di vigilare che tali strumenti di protezione, se amovibili, fossero in concreto installati.
2. Quanto alla asserita carenza dell'elemento psicologico il secondo motivo ha contenuto meramente assertivo, non si confronta con il contenuto della decisione impugnata e pertanto é al pari inammissibile.
3. Quanto alla interruzione del rapporto di causalità, la censura di cui al terzo motivo di ricorso, che fa leva su una asserita condotta esorbitante e imprevedibile del lavoratore, risulta del tutto infondata in quanto il lavoratore era impegnato in una attività del tutto coerente con lo svolgimento delle mansioni lavorative affidate, né si verte in ipotesi di condotta abnorme per modalità lavorative o avulsa dalla prestazione di lavoro demandata.
4. Infondati risultano inoltre i profili di doglianza, di rilievo processuale, avanzati con il settimo e l'ottavo motivo di ricorso, atteso che il giudice di appello ha escluso, sulla base degli elementi processuali acquisiti, di procedere ad una rinnovazione parziale dell'iistruttoria dibattimentale e che le testimonianze delle persone intervenute sui luoghi dei fatti sono state assunte nel rispetto delle forme di legge.
5. Assolutamente infondato è il nono motivo di ricorso, atteso che l'accertamento della compiuta prescrizione dei reati contravvenzionali non inteferisce in alcuna misura sugli obblighi risarcitori cui i ricorrenti sono stati dichiarati tenuti nei confronti delle persone offese, il cui diritto ad essere ristorati per il pregiudizio morale e patrimoniale subito discende dalla commissione del reato di omicidio colposo, pure riconosciuto in capo agli imputati, il quale non solo non risulta essere prescritto in epoca anteriore alla udienza di discussione dinanzi al giudice di legittimità, ma la cui eventuale perenzione sopravvenuta avrebbe comunque imposto al giudice di legittimità di pronunciarsi sul merito delle doglianze, quantomeno agli effetti delle statuizioni civili.
6. Fondato è invece il motivo di ricorso relativo alla intervenuto estinzione dei reati contravvenzionali in epoca antecedente a quella di celebrazione del dibattimento di secondo grado, dovendosi invero ritenere carente la motivazione del giudice di appello ove ha sostenuto che il relativo capo della sentenza non avesse formato oggetto di impugnazione in appello.
6.1 Invero emerge dal contenuto della pronuncia di primo grado che risulta riconosciuta la continuazione tra omicidio colposo e le violazioni contravvenzionali, le quali descrivono altresì la misura della colpa specifica in cui sono incorsi gli imputati del reato di omicidio colpo ascritto.
6.2 Pertanto, in presenza di elemento unificante della continuazione, la impugnazione sul capo della sentenza relativo al delitto di omicidio colposo impedisce il giudicato su reati satellite anche se i capi corrispondenti non siano stati impugnati ovvero sia inammissibile il gravame contro i medesimi (sez. I , 15.9.2015, Iuliano, Rv. 265373).
6.3 E stato invero affermato dal S.C., in ipotesi del tutto analoga a quella per cui si procede che, il capo della sentenza relativo alla condanna per un reato contravvenzionale che non abbia formato oggetto di impugnazione, ma che sia stato riunito in continuazione con altro reato in relazione ai quale pende appello sulla quantificazione della pena, non può acquisire autorità di cosa giudicata ed essere ritenuto completamente definito, per cui il giudice dei gravame può dichiarare la prescrizione dei reato satellite qualora la stessa sia maturata (sez.VII, 3.4.2014, Fiandaca, Rv.261100).
6.4 Ne consegue pertanto che, avendo la impugnazione degli imputati investito tanto il capo della sentenza relativo alla pronuncia di responsabilità per il reato di omicidio colposo, posto in rapporto di continuazione con le ipotesi contravvenzionali, quanto quello relativo alla misura della pena applicata nei confronti degli imputati, la statuizione relativa ai reati contravvenzionali non poteva ritenersi divenuta irrevocabile irrevocabile dinanzi al giudice di appello, con l'ulteriore conseguenza che lo stesso era tenuto a dichiarare la estinzione di entrambe le contravvenzioni ascritte agli imputati per intervenuta prescrizione. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata sul punto. 
6.5 Trattandosi peraltro di statuizione a contenuto non discrezionale, non è necessario provvedere sul rinvio del processo al giudice di appello perché statuisca sul punto, atteso che l'applicazione della continuazione aveva determinato un aumento della pena nella misura di mesi due di reclusione (pag.ll sentenza del Tribunale di Salerno), di talché la pena può essere definitivamente determinata, in relazione al capo A), nella misura di anni uno mesi quattro di reclusione.
Contenuta la pena in termini minimi editali, deve essere disattesa l'ulteriore doglianza, quoad poenam, inserita nel decimo motivo di ricorso.
7. Quanto infine alla richiesta di sostituzione della pena detentiva con la sanzione pecuniaria ai sensi dell'art.53 L.689/81 e successive modificazioni, rileva il collegio che di tale richiesta non risulta traccia nei motivi di impugnazione in appello proposti dagli imputati, di talché il giudice di appello era privo del potere di applicare di ufficio tale sostituzione, dal momento che l'ambito di tale potere è circoscritto alle ipotesi tassativamente indicate dall'art. 597 comma V, cod.proc.pen., che costituisce una eccezione aita regola generate dei principio devolutivo dell'appello e che segna anche il limite del potere discrezionale dei giudice di sostituire ia pena detentiva previsto dall'art.58 legge 589/81 (sez.U, 19.1.2017, Punzo, Rv.269125).
8. In conclusione tutte le ragioni di doglianza devono essere disattese ad eccezione di quella afferente alla mancata pronuncia sulla estinzione, per prescrizione, dei reati contravvenzionali, cui avrebbe dovuto invece addivenire il giudice di appello. Ne consegue pertanto l'annullamento della sentenza impugnata nella parte qua, con conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio, cui la corte può precedere facendo applicazione dei principi di cui all'art.620 letti) cod.proc.pen., che va fissato nella misura di anni uno mesi quattro di reclusione in relazione al reato di omicidio colposo.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente alle contravvenzioni di cui ai capi b) e c) perché estinte per prescrizione ed elimina la relativa pena in aumento per la continuazione.
Rigetta i ricorsi nel resto.
Ridetermina la pena a carico del C.DI. e C.DO. in anni uno e mesi quattro di reclusione.
Così deciso in Roma, il 11 Aprile 2017