Cassazione Penale, Sez. 4, 21 luglio 2017, n. 36066 - Caduta dalla tendostruttura. Assenza di presidi di sicurezza e responsabilità della ditta affidataria delle opere e subappaltante


Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: BELLINI UGO Data Udienza: 11/04/2017

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Milano con sentenza in data 21.11.2016, sull'appello dell'imputato, confermava la sentenza del Tribunale di Milano che aveva riconosciuto M.L.M. colpevole del reato di lesioni colpose gravi conseguite a Z.F., dipendente della ditta Y. cui era stato subappaltato l'allestimento della realizzazione di tendostruttura presso la villa San Borromeo in Senago, mentre era intento a operare sopra detta tendo struttura in assenza di presidi di sicurezza.
2. In particolare al M.L.M. quale titolare della ditta CSC Allestimenti s.r.l. affidataria delle opere e subappaltante, veniva contestata la violazione della disciplina antinfortunistica di cui agli art.96 e 97 D.Lgs.vo 81/2008 per non avere verificato le condizioni di sicurezza del lavoro affidati, né di avere previsto con la dovuta precisione le singole lavorazioni nel POS. Si assumeva invero che la responsabilità del legale rappresentante della dita subappaltante si affiancasse a quella del datore di lavoro, ad essa direttamente collegato, in presenza di maestranze assolutamente prive di adeguata formazione e informazione e addirittura prive di qualsiasi istruzione tecnica su come procedere al montaggio e in assenza di adeguato controllo su come procedesse la lavorazione in relazione al rispetto degli strumenti di prevenzione.
3. In relazione alla posizione del M.L.M. il giudice di appello riconosceva la sua posizione di garanzia rispetto all'operaio precipitato, in primo luogo perché il personale della ditta dell'Y. operava di fatto sotto il controllo della CSC, le cui maestranze erano appunto transitate dall'una all'altra delle imprese, e perché la stessa CSC, tramite il preposto G., era presente in cantiere, controllando l'andamento della lavorazione e dando istruzione agli operai; in tale modo palesava piena ingerenza nella lavorazione.
3.1 Sotto diverso profilo negava che la eventuale responsabilità del datore di lavoro dello Z.F. valesse a escludere la responsabilità del titolare della autonoma veste di garanzia assunta dal M.L.M. quale soggetto che vigilava sulla corretta esecuzione dei lavori, essendo l'affidatario delle opere, sul quale incombevano autonomi obblighi di valutazione dei rischi e di verifica delle condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro.
3.2 Escludeva infine che la condotta improvvida del lavoratore, che si era posto sulla sommità della costruzione senza presidi di sicurezza, costituisse fattore di interruzione del rapporto di causalità materiale rispetto alle inosservanze ascritte al M.L.M., atteso che sotto un primo profilo la condotta non poteva ritenersi esorbitante ed eccezionale in quanto inserita nel circuito lavorativo, e in secondo luogo perché frutto di prassi consolidata, che non risultava vietata o comunque avversata da chi era preposto a verificare l'andamento dei lavori e il rispetto delle regole di protezione, prassi peraltro accreditata dalla totale assenza sul luogo di lavoro degli strumenti di sicurezza necessari (fune, imbragatura, punti di ancoraggio, ponteggio di protezione, aree di passaggio in quota).
4. Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa dell'imputato M.L.M. deducendo un unico articolato motivo di ricorso con il quale lamentava violazione di legge, nonché carenza ed illogicità della motivazione in ordine alla omessa e carente valutazione delle risultanze dibattimentali.
Assumeva che del tutto illogicamente era stata riconosciuta attendibilità alle dichiarazioni della persona offesa la quale era incorsa in numerose contraddizioni e inverosimiglianze attesa la assoluta impossibilità di operare al di sopra della tendo struttura in assenza di imbragatura e di fissaggio, laddove il telo della struttura non era in grado di reggere il peso.
4.1 Evidenziava inoltre che nel POS del datore di lavoro era espressamente previsto che l'operaio dovesse utilizzare idonei dispositivi di protezione e seguire le istruzioni ricevute, istruzione consegnate tre giorni prima del montaggio.
4.2 Ne conseguiva, nella prospettazione del ricorrente, che l'infortunio era da ascriversi alla condotta abnorme e improvvida del lavoratore che per abbreviare i tempi della lavorazione e in violazione delle prescrizioni ricevute aveva adottato una procedura vietata, laddove il datore di lavoro aveva assolto a tutti gli obblighi precauzionali sullo stesso gravanti, ponendo il lavoratore nelle condizioni di operare in sicurezza e non vigendo un obbligo di vigilanza assoluta e continua sulla stessa.
 

 

Diritto

 


1. I motivi di ricorso sono infondati e vanno rigettati.
1.1 I giudici di merito hanno dato adeguata contezza delle ragioni per le quali gli obblighi di garanzia e di coordinamento dei presidi di sicurezza all'interno del cantiere fossero riferibili anche alla impresa CSC di cui l'imputato ricorrente era titolare, quale appaltatore affidatario delle opere relative al montaggio della tendo struttura, e quale impresa che dirigeva, coordinava e controllava le opere svolte nel cantiere dalla ditta Y., la quale operava con maestranze già utilizzate dalla azienda affidataria.
1.2 Invero ai fini della operatività degli obblighi di coordinamento e di cooperazione connessi all'esistenza di un rischio interferenziale, dettati dall'art. 26 D.Lgs.vo 9.4.2008 n.81, occorre avere riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quali il contratto di appalto, di opera o di somministrazione, ma all'effetto che tale rapporto origina, ovvero alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano nel medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per la incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte (sez.IV,  7.6.2016, P.C. in proc. Carfì e altri, Rv. 267687; 17.6.2015, Mancini, Rv. 264957).
1.3 Non pare dubbio che nel caso in specie la impresa CSC aveva di fatto mantenuto la gestione del rapporto di appalto ricevuto dalla società committente e aveva provveduto, mediante il proprio responsabile di cantiere G., come da questo ammesso, a controllare la corretta esecuzione delle opere e a fornire istruzioni sulle modalità di esecuzione delle stesse, anche in presenza di una diversa posizione di garanzia costituita dal titolare della Y. datore di lavoro dell'operaio infortunato.
2. Invero con riferimento alla posizione del subappaltatore il S.C. ha affermato che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro il sub committente è sollevato dai relativi obblighi solo ove i lavori siano subappaltati per intero, cosicché non possa più esservi alcuna ingerenza da parte dello stesso nel confronti del subappaltatore (sez.IV, 5.6.2008, Riva e altro, Rv. 240314; sez.IV 20.11.2009, Fumagalli e altri, Rv.246302), in pieno accordo alle argomentazione svolte dai giudici in relazione alla posizione di garanzia assolta dal soggetto che le opere di installazione della tendo struttura aveva affidato alla Y., peraltro senza neppure comunicare al committente l'esistenza di un ulteriore passaggio di consegne.
2.1 La Corte di Appello ha rappresentato con adeguato apparato motivazionale gli spunti in base ai quali ha ritenuto che la ditta CSC, e per essa il suo titolare, non poteva ritenersi estranea alle lavorazioni della ditta sub appaltatrice, sia in ragione del campo di rischio cui si riferiva la lavorazione, sia in ragione della volontaria assunzione di una specifica e costante attività di controllo e di coordinamento degli interventi di montaggio della tendo struttura. 
3. Del tutto infondata è poi l'articolazione che prospetta ipotesi di esclusione del rapporto di causalità tra le condotte colpose ascritte al M.L.M. e l'evento dannoso a fronte del comportamento abnorme e pericoloso dell'operaio della ditta esecutrice delle opere. E è stato evidenziato dal S.C. che l'eventuale addebito di imprudenza al lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica da parte dei soggetti tenuti a garantirne la attuazione, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento-morte o -lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento. (La Suprema Corte ha precisato che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, nel segmento di lavoro attribuitogli (vedi sez.IV, 28.4.2011, Millo e altri, Rv. 250710; 10.10.2013, Rovaldi, Rv.259313; 23292; 5.3.2015, Guida, Rv.263386), soprattutto quando, come nel caso in specie si trovava in cantiere un preposto della ditta affidataria che controllava l'andamento delle opere fornendo istruzioni sulla corretta esecuzione delle stesse.
4. Sotto questo profilo pertanto emerge l'assoluta infondatezza del motivo di ricorso, ove si afferma che l'operaio era stato adeguatamente formato e correttamente informato sui presidi di sicurezza da adottare per i lavori da compiersi in altezza e che il lavoratore vi aveva contravvenuto, omettendo di assicurarsi alla struttura mediante un aggancio e di operare mediante fune in combinazione con un collega, laddove siffatte istruzioni, pure riconducibili ad un documento senza data che le imprese interessate si erano scambiate, non solo non erano indicate nei POS delle rispettive imprese, ma non erano in concreto osservate nel cantiere.
4.1 Inoltre difettavano sul luogo di lavoro gli strumenti minimi (fune, imbragatura, punti di ancoraggio, ponteggio di protezione, aree di passaggio in quota) per operare nel rispetto della disciplina antinfortunistica, e tale circostanza non poteva certo sfuggire al preposto della impresa CDC il quale aveva vigilato e svolto attività di coordinamento all'interno del cantiere per l'intera giornata e si era limitato a riferire agli inquirenti che gli operai erano stati istruiti sulle metodiche di lavoro cui uniformarsi.
5. In vero i compiti del responsabile della sicurezza all'Interno del luogo di lavoro non si arrestano alla acquisizione (nella specie neppure provata) dei presidi volti ad assicurare la protezione dei singoli dipendenti ma impongono allo stesso di richiedere l'osservanza della utilizzazione dei suddetti dispositivi, poiché il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle (sez.IV, 17.5.2012 n. 34747, Parisi, Rv.253513) soprattutto allorquando, come nel caso in specie, il POS del datore di lavoro conteneva indicazioni del tutto generiche e non puntuali sugli strumenti di protezione e sulle modalità di svolgimento del montaggio della tendo struttura, in relazione agli interventi da compiersi in altezza dal suolo.
6. Il ricorso deve pertanto essere rigettato e la parte ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali
 

 

 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.