Cassazione Penale, Sez. 4, 19 luglio 2017, n. 35585 - Costa Concordia: condanna a 16 anni per il comandante che non osservò il livello di diligenza, prudenza e perizia oggettivamente dovuto ed esigibile


 


REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
  ha pronunciato la seguente
SENTENZA


Sui ricorsi presentati da
1) F.S. nato il 14/11/1960 a NAPOLI
2) PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI FIRENZE
3) PARTE CIVILE INGRID E HORST G. (già EREDITA' GIACENTE G. G.)
nel procedimento a carico di:
F.S. nato il Omissis.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dai Consiglieri CARLA MENICHETTI e GIUSEPPE PAVICH
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Francesco SALZANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso proposto nell'interesse di F.S.; per l'annullamento con rinvio, in accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Firenze, che attiene alla colpa con previsione con riferimento al capo A della rubrica, e per il rigetto nel resto del ricorso proposto dal Procuratore Generale; per la dichiarazione di irrevocabilità della decisione della Corte d'Appello di Firenze della responsabilità del ricorrente per tutti i capi a lui ascritti ex art. 624 cod. proc. pen.; per l'inammissibilità per rinuncia del ricorso proposto dalla parte civile eredità giacente G..
Dato atto che all'udienza del 20 aprile 2017 i difensori delle parti civili hanno così concluso:
• Per le parti civili Omissis, l'avv. SALONIA GIOVANNI del foro di ROMA ha depositato atto di costituzione di nuovo difensore delle parti civili, conclusioni, nota spese ed ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per le parti civili Omissis, l'avv. ACCIARDI GIANLUCA del foro di COSENZA ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per la parte civile Omissis l'avv. SALONIA GIOVANNI del foro di ROMA, quale sostituto processuale (come da comunicazione verbale), dell'avv. RUBECHI, ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per la parte civile Omissis l'avv. DI CIOLLO FRANCESCO del foro di LATINA ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per la parte civile Omissis l'avv. DE RENSIS ANTONIO del foro di BOLOGNA ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per le parti civili Omissis l'avv. VINCENZO GALASSI in sostituzione dell'avv. FIORE DEBORA, ha depositato nomina a sostituto in udienza, nonché conclusioni e nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per le parti civili Omissis in proprio e quali genitori di Omissis l'avv. FESTELLI MARCO ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per la parte civile Omissis l'avv. MARRAS LAURA del foro di ROMA in sostituzione dell'avv. POMPONI TOMEI ALESSANDRA, ha depositato conclusioni, nota spese, nomina a sostituto processuale e ha chiesto la conferma della sent. della Corte d'Appello di Firenze.
• l'avv. MARRAS LAURA per il proprio assistito parte civile OMISSIS, ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per le parti civili Omissis quale esercente la potestà genitonale di Omissis l'avv. DELLA MARRA TATIANA ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per l'INAIL - AVVOCATURA GENERALE l'avv. TORRE BETTINO del foro di ROMA in sostituzione dell'avv. CRIPPA LETIZIA del foro di ROMA - nomina a sostituto depositata in udienza -ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per la parte civile Omissis l'avv. SOLETTA GIORGIO del foro di SASSARI ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per le parti civili Omissis l'avv. VITRANO SALVATORE del foro di PALERMO ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per le parti civili Omissis l'avv. CHIRULLI DOMENICO del foro di BARI ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per le parti civili Omissis l'avv. PIERMARTINI SALVATORE del foro di ROMA ha depositato procura speciale, conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per le parti civili Omissis l’avv. D’AMATO ALESSANDRO del foro di GROSSETO ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• l’avv. D’AMATO ha dichiarato di revocare la costituzione di parte civile delle seguenti parti civili: Omissis.
• per le parti civili Omissis quali genitori esercenti la potestà genitoriale del minore Omissis l’avv. GIUSEPPE MARAZZITA in sostituzione dell’avv. MARAZZITA NINO (nomina a sostituto dep. in udienza) ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
. per le parti civili Omissis l’avv. BELLOTTI SERGIO del foro di ROMA ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per le parti civili Omissis rappresentate dai genitori esercenti la potestà genitoriale Omissis l’avv. MINASI STEFANO del foro di ROMA ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per le parti civili Omissis l’avv. MENSITIERI EDOARDO del foro di PESARO ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per la parte civile Omissis l’avv. BELLOTTI SERGIO del foro di ROMA in sostituzione dell’avv. ANOBILE VITO - nomina a sostituto dep. in udienza - ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per la parte civile Omissis l'avv. SERGIO BELLOTTI del foro di ROMA in sost. dell'avv. BELARDUCCI - nomina a sostituto depositata in udienza - ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per le parti civili Omissis l'avv. CESARE G. BULGHERONI del foro di MILANO, dopo averle illustrate svolgendo argomentazioni a sostegno, ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per la parte civile Omissis l’avv. ALESSANDRA GUARINI DEL FORO DI BIELLA, dopo averle illustrate con argomentazioni a sostegno, ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
• per la PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, MINISTERO DELLA DIFESA, MINISTERO DELL'INTERNO, MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE l'Avv. St. VENTRELLA LUCA per L'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dopo averle illustrate svolgendo argomentazioni a sostegno, ha depositato conclusioni, nota spese e ha chiesto la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Firenze.
Dato atto che all'udienza del 12 maggio 2017 l'avv. Gabrielli ha depositato rinnovo delle conclusioni e nota spese; e che gli avvocati Bulgheroni, Vetrano, Chirulli e Guarini hanno depositato integrazione nota spese;
Dato atto che, per il RESPONSABILE CIVILE COSTA CROCIERE, l’avv. DE LUCA MARCO si é rimesso alla decisione della Corte;
Dato atto che per il ricorrente F.S. l'avv. LAINO DONATO del foro di NAPOLI ha chiesto l'inammissibilità del ricorso del P.G. e l'accoglimento del ricorso del proprio assistito evidenziandone i motivi.
Dato, infine, atto che per il ricorrente F.S. l'avv. SENESE SAVERIO DEL foro di NAPOLI, dopo aver illustrato i motivi di ricorso, ha chiesto l'annullamento della impugnata sentenza.

 

 

 

Fatto

 


1. Il Tribunale di Grosseto in composizione collegiale, con sentenza resa in data 11 febbraio 2015, dichiarava la penale responsabilità di F.S. quale imputato dei reati a lui ascritti ex arti. 40, comma 2, 61 n. 3, 113, 449 comma 2, in riferimento all'art. 428, e 589, commi 2 e 4, cod.pen., 1122 cod.nav. (capo A); ex artt. 81, comma 2 e 110, 112 n. 3, cod.pen., e 17, comma 1, lett. a) e b) e 254, d.lgs. 19 agosto 2005 n. 196 (capo B); ex artt. 81, comma 1 e 591, comma 1, cod.pen. e 1097 cod.nav. (capo C). In relazione ai detti reati, esclusa l'aggravante di cui all'art. 1122 codice della navigazione, contestata in relazione al delitto di naufragio, e quella della colpa cosciente in relazione al delitto di omicidio colposo plurimo ed al delitto di lesioni personali colpose, applicati gli aumenti per l'aggravante di cui all'art. 61 n. 3 cod. pen. in relazione al delitto di naufragio, di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen., nonché di cui all'art. 112, comma 1, n. 3, cod. pen. in relazione alle contravvenzioni dolose di cui al capo B), unificate le suddette contravvenzioni nel vincolo della continuazione e ritenuto, infine, il concorso formale tra i due reati di cui al capo C), detto Tribunale condannava lo F.S. alla pena complessiva di anni sedici di reclusione e mesi uno di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali. A titolo di pene accessorie, ai sensi degli artt. 29, 30, 31 e 32 cod.pen., lo F.S. veniva dichiarato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, interdetto dalla professione di comandante di nave per il periodo di anni cinque nonché in stato di interdizione legale durante l'esecuzione della pena, ed inoltre, ai sensi degli artt. 1082, comma 1, n. 1, 1083, 1103 e 1097 codice della navigazione, veniva dichiarato interdetto dal titolo ovvero dalla professione di comandante per mesi quattro.
Seguivano le statuizioni civili: F.S. e il responsabile civile Costa Crociere s.p.a. venivano condannati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni (in molti casi con assegnazione di somme a titolo di provvisionale) in favore delle numerose parti civili meglio specificate in dispositivo (fra cui alcuni Enti esponenziali) e alla rifusione delle spese di giustizia sostenute dalle parti civili stesse.
Avverso detta sentenza veniva proposto appello dall'avv. Senese e dall'avv. Laino nell'interesse dell'imputato F.S., nonché personalmente da quest'ultimo, e veniva altresì proposto appello dal Procuratore della Repubblica di Grosseto e da 78 delle parti civili costituite.
La Corte d'appello di Firenze, 1 Sezione Penale, con sentenza resa il 31 maggio 2016, provvedendo sugli appelli, in parziale riforma della suddetta sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Grosseto in composizione collegiale, applicava a F.S. la pena accessoria dell'interdizione per cinque anni dai titoli professionali marittimi in relazione al delitto di naufragio colposo, confermando nel resto le sanzioni penali a suo carico. Dichiarava inoltre inammissibile l'appello proposto dall'avv. Laino nell'interesse dell'imputato.
Quanto alle statuizioni civili, la Corte distrettuale dichiarava non luogo a provvedere in ordine all'istanza di sospensiva delle provvisionali avanzata dal responsabile civile Costa Crociere-, revocava le statuizioni civili pronunciate in primo grado in favore di alcune delle parti civili; condannava l'imputato e la società responsabile civile all'esecuzione delle misure di riparazione primaria, complementare e compensativa di cui all'allegato 3, parte sesta, del D.Lgs. 152/2006, da determinarsi a cura del Ministero dell'Ambiente, condannandoli, in caso di riparazione omessa, incompleta o difforme, al pagamento in favore del predetto Ministero dei costi delle attività necessarie a ottenerne la completa e corretta attuazione; provvedeva inoltre alla rideterminazione delle somme dovute a titolo di risarcimento o di provvisionale nei riguardi di alcune parti civili, confermando nel resto le statuizioni civili di primo grado e condannando imputato e responsabile civile al pagamento delle spese processuali del grado di giudizio in favore delle parti civili ivi meglio specificate.
 

 

SINTETICA RICOSTRUZIONE DEI FATTI
2. La ricostruzione della vicenda per cui é processo, che ci si accinge sinteticamente ad esporre sulla base di quanto ritenuto accertato in fatto dai giudici di merito, é il frutto di una complessa attività istruttoria svolta durante il procedimento di primo grado: attività consistita, in primo luogo,
nell'espletamento di alcune perizie in sede d'incidente probatorio e, in secondo luogo, nell'assunzione, durante l'istruzione dibattimentale, di un imponente numero di fonti orali di prova, nell'espletamento di ulteriori perizie (trascrizione di intercettazioni, traduzione di documenti, perizia fonica, perizia su resti umani ecc.), nell'acquisizione di documenti e nell'esame dell'imputato: il tutto descritto alle pagine da 51 a 57 della sentenza del Tribunale di Grosseto.
2.1. Oggetto del processo sono gli accadimenti antecedenti, concomitanti e successivi all'impatto fra la nave Costa Concordia e il fondale roccioso prospiciente l'Isola del Giglio, impatto che cagionò l'apertura di una falla di grandi dimensioni sullo scafo della nave e il suo progressivo affondamento sulla fiancata destra. Nelle ore successive all'impatto, si verificava una condizione di grave emergenza, che rendeva necessaria l'attivazione delle operazioni volte al salvataggio delle oltre 4.000 persone presenti a bordo della nave: operazioni che
venivano eseguite nelle condizioni e con le modalità che saranno descritte più avanti.
In tale situazione, per ragioni che hanno formato diffusamente oggetto della ricostruzione degli eventi nel corso del giudizio di merito - e alle quali si farà richiamo - si verificava il decesso di 32 persone (nella quasi totalità per asfissia da annegamento), mentre altre 193 persone riportavano conseguenze lesive.
E' opportuno premettere che nessuna delle vittime é deceduta, e poche di esse hanno riportato lesioni, al momento dell'ulto della nave con lo scoglio; i decessi e la maggior parte delle conseguenze lesive si sono verificati essenzialmente nella fase successiva a tale momento.
2.2. Per ragioni di chiarezza espositiva, nonché per meglio comprendere gli addebiti mossi al comandante F.S. in relazione alle diverse fasi dell'episodio, si riassume di seguito la sequenza fattuale, che - é bene precisarlo - é tratta dalla ricostruzione operata nell'istruzione dibattimentale.
Tale sequenza viene suddivisa in due fasi: la prima, fino all'impatto della Costa Concordia con uno scoglio prossimo alla costa dell'Isola del Giglio e al conseguente naufragio della nave; la seconda, successiva all'impatto e riferita al verificarsi dell'emergenza a bordo dell'unità.
 

 

IL NAUFRAGIO
3. Alle ore 19,00 del 13 gennaio 2012, é prevista la partenza della Nave Costa Concordia dal porto di Civitavecchia, per il rientro a Savona. La rotta é originariamente programmata dalla Società di Gestione Costa e comunicata all'Autorità Marittima: si prevede di tenere una rotta di 302° fino al traverso di Capo d'Uomo, posizionato sul Monte Argentario, in modo da mantenere una distanza minima dalla costa, nel passaggio tra il suddetto promontorio e l'Isola del Giglio, di 3,3 miglia, per poi continuare con rotta 321° sino al canale di Piombino.
3.1. Alle ore 18,27, tuttavia (ossia circa mezz'ora prima della partenza), la rotta programmata viene modificata: ciò avviene, secondo la ricostruzione degli eventi accolta nel giudizio di merito (pp. 63 e ss. sentenza impugnata; pp. 133 e ss. sentenza di primo grado), su iniziativa del Comandante della nave, F.S., che chiede all'Ufficiale Cartografo S.C. di modificare, da un certo punto della navigazione in poi, l’originaria rotta, in modo da poter effettuare un passaggio più ravvicinato all’Isola del Giglio; su proposta del S.C., viene concordata una rotta che consenta di passare a circa mezzo miglio dall'isola, ossia più vicini al Giglio rispetto alla rotta programmata in precedenza, ma in un punto nel quale il fondale é sufficientemente profondo. Il  motivo del cambio di rotta, secondo i giudici di merito, é costituito da un omaggio (il c.d. "inchino") che lo F.S. intende fare sia al maître d'hôtel della nave, A.T., la cui famiglia abita al Giglio, sia al comandante P., in pensione dal 2007 e residente al Giglio, al quale lo F.S. é legato per esserne stato allievo.
3.2. Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, peraltro, lo F.S. manifesta in tale occasione il suo intendimento di passare «un po' più sotto», indicando sulla carta un punto più a sud verso il quale dirigere la rotta (ossia puntando, secondo quanto ritenuto dai giudici di merito, verso il faro di Capelrosso, estrema punta meridionale del Giglio: vds. pag. 135 sentenza Tribunale di Grosseto, corredata della carta nautica originale usata dal S.C.); ma, di fronte alla proposta dell'ufficiale cartografo di tracciare una nuova rotta passando più a sud, il comandante risponde negativamente, preannunciando che si sarebbe personalmente occupato della manovra (ciò é stato ritenuto sulla base delle dichiarazioni rese dal S.C. nella sua deposizione, e in particolare dall'espressione «No, no, poi vado io» che il S.C. attribuisce allo F.S. nel riferire il dialogo: p. 135 sentenza di primo grado, p. 64 sentenza impugnata).
3.3. Comunque, quando la nave parte da Civitavecchia, la rotta che viene seguita inizialmente é quella originariamente programmata (ossia 302°). Il comandante F.S. prenota la cena e ordina al primo ufficiale di turno in plancia (C. A.) di avvisarlo cinque miglia prima dell'arrivo al Giglio; successivamente, dopo aver saputo da A. che la nave sta procedendo alla velocità di 16 nodi e che arriverà al Giglio attorno alle 21,30, dispone che la velocità venga ridotta, in modo da arrivare al Giglio attorno alle 21,45 e da poter, nel frattempo, finire la cena.
3.4. Alle ore 21,04, come da istruzioni impartite da F.S. al S.C., la velocità viene portata a 15,5 nodi e la rotta viene modificata da 302° a 278°: in tal modo, la nave punta verso l'isola del Giglio.
Tra le 21,17 e le 21,19, il primo ufficiale A. avvisa F.S. che la nave si trova a sei miglia di distanza dall'isola; F.S. però non si presenta subito in plancia, ma vi si reca circa un quarto d'ora dopo (attorno alle ore 21,34), quando la nave dista 2,15 miglia da Punta Torricella (il punto più vicino dell'Isola del Giglio) e a 2,54 miglia dalle Scole.
La velocità é, a quel punto, di 15,4 miglia. E' necessario tenere presente che la nave, in quel momento, non é ancora giunta nel punto (detto will over point) in cui la rotta tracciata da S.C. (d'intesa con F.S.) dev'essere ulteriormente modificata mediante un'accostata e portata a 334°, in modo da poter procedere parallelamente all'isola alla distanza programmata.
3.5. All'arrivo di F.S., all'interno della plancia, sono presenti gli ufficiali del turno di guardia 20.00/24.00, ovvero il primo ufficiale C. A., titolare della guardia (che si trova vicino al radar centrale della console di destra), il secondo ufficiale S.U., il terzo ufficiale S.C. e l'allievo ufficiale S.I., nonché il timoniere R.B., che in quel momento é in servizio di vedetta (la navigazione, in quel momento, procede infatti con pilota automatico). Sul ponte di comando sono poi presenti il maître A.T. e l'Hotel director M.G..
3.6. Poco dopo il suo arrivo in plancia, attorno alle 21,35, F.S. chiede ad A. a quale velocità si stia procedendo (velocità che, in quel momento, é di 15,5 nodi); dopodiché -sebbene egli non abbia ancora assunto formalmente il comando della manovra - impartisce l'ordine di procedere con «timone a mano», ossia non più con il pilota automatico (pag. 66 sentenza impugnata, pag. 144 sentenza di primo grado); l'ordine, benché definito da F.S. come un semplice "suggerimento" (p. 144 sentenza Trib. Grosseto), viene subito ripetuto da A. e il timoniere R.B. lascia il suo posto di vedetta (che non viene assunto da nessun altro) e si porta al timone.
3.7. Da quel momento in poi, sebbene F.S. non abbia formalizzato l'assunzione del comando della manovra (del quale é ancora formalmente titolare l'A., come primo ufficiale di turno), si susseguono gli ordini sulla rotta da assumere: dapprima F.S. ordina a R. di assumere la rotta 278°, quindi la rotta viene modificata, stavolta su iniziativa di A., dapprima a 285°, poi a 290°: a quel punto il will over point non é stato ancora raggiunto e la nave é in tempo per poter procedere all'accostata ed assumere la rotta di 334°.
Poi, alle ore 21:36:38, F.S. impartisce ad A. l'ordine "Metti un attimo un CPA di zero, cinque". In concreto, secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, con tale ordine si intende fissare un VRM (Variable Range Marker), ossia un raggio d'attenzione da monitorare sul radar, per segnalare ed avere una immediata percezione sullo schermo del radar di ostacoli e bersagli entro il suddetto raggio d'attenzione (nella specie, di 0,5 miglia). A., ancora formalmente titolare del comando della manovra, esegue l'ordine.
Alle 21:37:47, il timoniere conferma il raggiungimento della rotta 290°, ordinata da A. circa un minuto prima.
3.8. Pochi istanti dopo (alle ore 21:37:54), F.S. telefona al Comandante P., preannunciandogli il passaggio davanti al Giglio (salvo scoprire, durante la conversazione, che in realtà P. non é al Giglio, ma a Grosseto); nel corso della telefonata, F.S. pronunzia le seguenti parole: «Va bé; io ... anche se passiamo zero-tre, zero-quattro, ci sta acqua là sotto, vero? Okay! Ho capite, quindi stiamo tranquilli...sì, sì, mo' faccio tanti fischi e salutiamo a tutti. Va bene. E poi ci sentiamo».
Da tali frasi i giudici di merito hanno tratto la conclusione che la reale intenzione di F.S. é quella di effettuare un passaggio assai ravvicinato, addirittura a 0,3 o 0,4 miglia dalla costa, e per questo motivo egli si informa se il fondale é sufficientemente profondo per far passare la nave.
La conversazione con P. si conclude alle ore 21:38:43.
3.9. Poco dopo (alle 21:39:16), A. richiama ad alta voce l'attenzione della plancia, e quindi anche del Comandante, sul fatto che la navigazione prosegue con la rotta 290°, che nel frattempo é stata raggiunta.
F.S. ordina dapprima che si proceda ancora con rotta 290° («alla via due, nove, zero»)-, e subito dopo (alle 21:39:17) assume anche formalmente il comando della manovra, divenendone il responsabile ai sensi del Codice della Navigazione, e lo fa pronunziando la frase convenzionale «Master takes thè conn».
A quel punto, il will over point é ormai stato raggiunto, ed anzi la rotta della nave - secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito - dovrebbe già essere quella di 334° impostata da S.C..
3.10. Assunto il comando della manovra a tutti gli effetti, F.S. ordina procedersi con rotta 300° e dispone che la velocità venga portata a 16 nodi.
Alle 21:40:02, F.S. ordina di assumere la rotta 310° e di proseguire l'accostata in modo assai graduale («come slowly, slowly to 310 ... easy»)-, in tal modo, secondo l'assunto recepito dai giudici di merito, l’elevata velocità della nave e l’esigenza di garantire comunque il comfort dei passeggeri comportano che un ampio tratto venga percorso nella direzione originaria, prima che la nave, gradualmente, si porti sulla nuova rotta. Con la prora ancora a 295° e, quindi, senza aver ancora raggiunto la rotta di 310°, dopo meno di 50 secondi (alle 21:40:50) F.S. ordina un nuovo cambio di rotta, stavolta per 325°; l'ordine non viene ben compreso dal timoniere, che non parla né capisce l'italiano e ha difficoltà anche con la lingua inglese, e che ripete 315°; poi viene corretto dapprima da A. che ripete 335° (lo stesso A. dichiarerà di avere consapevolmente dato quest'ordine, nel tentativo di accelerare la correzione di rotta) e di nuovo da F.S. che ribadisce 325°.
Dopodiché, per quasi due minuti, non vengono impartiti ordini.
3.11. La velocità della nave, le caratteristiche dimensionali della stessa e più in generale le leggi fisiche che ne governano i movimenti fanno sì che la Costa Concordia, prima di poter cambiare rotta, si diriga ancora, rapidamente, verso la costa del Giglio.
Alle ore 21:42:09 F.S. ordina la prora a 330 ed il timoniere esegue, sempre con angoli di barra bassi; alle ore 21:43:11 il comandante impartisce un nuovo ordine per 335°; e, dopo pochi secondi, precisamente alle ore 21:43:36, ordina di mettere la prora a 340°. In quel momento, peraltro, la rotta della nave é ancora su 326° per effetto del normale ritardo nella risposta ai comandi, per una nave di quelle dimensioni, tenuto conto delle interferenze meteomarine e quale diretta conseguenza dell'ordine di effettuare le manovre molto lentamente, per non turbare il comfort dei passeggeri.
Alle ore 21:43:45 F.S. ordina una rotta di 350°; il timoniere, sulle prime, non comprende l'ordine, impartito in lingua inglese (lingua con la quale, evidentemente, il R.B. non ha dimestichezza); F.S., assieme ad A., ripete l'ordine, precisando «Otherwise we go on thè rocks» (altrimenti finiamo sugli scogli).
Alle ore 21:43:36 la nave si trova a 0,35 miglia dal basso fondale delle Scole, ovvero a soli 648 metri, e sta procedendo verso la costa, con direzione pressoché tangente alla stessa, a 15,9 nodi di velocità.
Alle ore 21:44:14 - con la nave che é già ad una distanza dalle Scole di appena 0,18 miglia, pari a circa 333 metri, e procede a una velocità di 16 nodi - il Comandante ordina «Starboard 10», ovvero timone 10° a dritta; alle ore 21:44:18, ormai a circa 0.16 miglia dalle Scole, cioè a soli 296 metri, F.S. ordina «Starboard 20»; alle 21:44:21 il comandante ordina «Hard Starboard» ovvero tutto a dritta; ma la lentezza con la quale, per le ragioni fisiche già viste, la nave risponde ai comandi fa sì che la correzione di rotta sia assai più progressiva e ritardata. Nel frattempo, i passeggeri avvertono il violento sbandamento della nave. Inoltre, la manovra repentina porta ad accentuare il movimento di traslazione della poppa verso la costa, in quella che é stata definita una sorta di enorme derapata, il cui effetto é quello di avvicinare ulteriormente la parte terminale sinistra della nave verso lo scoglio.
Alle ore 21:44:34 - mentre la nave é giunta ormai a 0,09 miglia dalle Scole (ossia a 166 metri) - F.S. impartisce l'ordine di timone al centro (Midship). Alle ore 21:44:44 si susseguono gli ordini di accostata a sinistra: dapprima Pori 10 (la nave é a quel punto a sole 0.073 miglia dalle Scole, ossia a 135 metri) , poi Pori 20 (con la nave ormai ad appena 0.067 miglia dalle Scole, pari a 125 metri). 
3.12. A questo punto si verifica, secondo la versione accolta dai giudici di merito, l'errore del timoniere, che non esegue prontamente quanto ordinato in rapida sequenza ed anzi, quando F.S. ordina in successione di accostare a sinistra (prima di 10°, poi di 20°), accosta nuovamente a dritta, passando per 10° (alle 21:44:48) sino a circa 20° (alle 21:44:50), come se avesse inteso diritta anziché sinistra, per poi autonomamente riportare la barra a sinistra, come ordinato, con un ritardo stimato dai periti in circa 13 secondi.
Alle ore 21:45:05, a una velocità di 14,4 nodi e una distanza dalla costa di 0,086 (pari a 160 metri), F.S. ordina, nell'ultimo tentativo di evitare l'urto, Hard to port, ovvero tutto il timore a sinistra.
3.13. E' questa la fase in cui F.S. tenta la cosiddetta manovra a baionetta: una serie di ordini ravvicinati per cercare di contrastare la tendenza della poppa ad allargarsi in direzione della costa, facendo ruotare il timone dapprima al centro e poi, per angoli crescenti, verso sinistra (quello che é stato definito come un enorme controsterzo), in modo da allontanare la poppa dal basso fondale al quale essa si sta avvicinando.
3.14. Alle ore 21:45:07, la nave, che (nonostante la manovra disperata) con la prua si sta allontanando dalla costa e con la poppa sta scivolando verso l’isola, ad una distanza di 0.094 miglia (pari a 175 metri) e alla velocità di 14,2 nodi, urta con il basso fondale a pochi metri (circa 60 metri) dallo scoglio emerso più vicino, facente parte del gruppo di scogli conosciuto come Le Scole.
L'impatto cagiona una deformazione complessiva dello scafo di quasi 53 metri di lunghezza per 7,3 metri di altezza, nel punto più alto, con uno squarcio principale lungo 35,859 metri ed altri cinque minori, in una zona vitale della nave. Quest'ultima, fin da subito, rimane priva di propulsione e quindi ingovernabile, a causa dell'entrata di una quantità di acqua talmente ingente da mandare in avaria istantaneamente i motori elettrici principali e tutti i motori diesel dei generatori principali, nonché, subito dopo, il quadro elettrico principale. Da ciò deriva, pertanto, dapprima la perdita di galleggiabilità e, a seguire, il successivo ingavonamento e arenamento della nave, parzialmente sommersa, sui bassi fondali del Giglio, in prossimità del porto (vicino agli scogli della Gabbianara).

 


L'EMERGENZA A BORDO
4. La lacerazione principale ha interessato i compartimenti stagni dal n. 4 al n. 7 (estremi compresi), mentre una lacerazione minore ha prodotto una via d'acqua nel compartimento n. 8. Soprattutto nei compartimenti 4, 5 e 6 la velocità di allagamento é risultata altissima. Dopo alcuni secondi, durante i quali la Costa Concordia si muove per forza d'inerzia accostando verso destra, alle ore 21:45:17 viene a mancare la propulsione e soltanto due secondi dopo si verifica il primo blackout.
4.1. F.S. impartisce l'ordine di chiudere le porte stagne a poppa (che in realtà sarebbero risultate già chiuse in quel momento). Indi impartisce, alternandoli, l'ordine "barra al centro", poi l'ordine "barra a sinistra", nel tentativo di disincagliare la nave. I timoni, dopo poco, risultano bloccati a seguito della mancanza di alimentazione, come si é desunto dall’attivazione degli allarmi di avaria delle pompe timone 1, 3 e 4 (21:46:52). In quel momento, il Comandante ordina di chiamare il nostromo per farlo andare a prua ed A. effettua la chiamata via radio. Lo stesso A. dice ad alta voce di far chiamare il comandante in seconda e comunica, alle 21:47:19, che le porte stagne sono tutte chiuse.
Nel frattempo, l'impatto con il basso fondale scoglioso viene percepito dai passeggeri, molti dei quali sono a cena nelle principali sale ristorante della nave ("Milano" e "Roma"), ed é così forte da provocare una significativa vibrazione e uno sbandamento della nave, tanto che finiscono a terra piatti e stoviglie varie.
La nave comincia a inclinarsi sul lato dritto.
4.2. Alle ore 21:49, vi é un colloquio telefonico fra F.S. e il direttore di macchina, P., il quale informa il comandante sulla gravità della situazione, dicendogli che entra molta acqua; in un successivo colloquio telefonico, alle ore 21:51, P. informa F.S. che non può essere acceso nessun motore e che il quadro elettrico é allagato. Non appena il direttore di macchina informa il comandante che non é possibile entrare in macchina dal lato dritto e che l'acqua é arrivata fino all'officina, F.S. gli chiede «Allora stiamo andando a fondo, non ho capito?!», ottenendone una conferma da P.. Allorché F.S. chiede al direttore se la nave può partire o meno, P. risponde che la nave non può partire; F.S. allora conclude: «Va buo', quando arriviamo sui 60 diamo fondo all'ancora, vai».
4.3. Nonostante sia stato messo a parte della presenza di una falla imponente, F.S., secondo la ricostruzione operata nel giudizio di merito, non inoltra alcuna comunicazione alla Direzione Marittima di Livorno. Si mette invece in contatto telefonico con R.F., FCC (sigla che sta per "Fleet Crisis Coordinato", ossia capo dell'unità di crisi della flotta) della Costa Crociere, e gli comunica di avere urtato con la poppa su un basso fondale, su quello che egli definisce un «piccolo scoglietto» (p. 86 sentenza impugnata); gli segnala inoltre che la nave é in black out e che egli sta dando fondo a un'ancora. Nel colloquio con R.F., F.S. attribuisce la sua manovra alle rassicurazioni che gli avrebbe dato il comandante P. sulla possibilità di avvicinarsi alla costa senza pericolo.
4.4. Nel frattempo arrivano in plancia informazioni ancora più preoccupanti: dapprima (alle 21:58) il comandante in seconda CH. informa l'altro comandante in seconda, BO., che non é possibile far partire le pompe perché sono sott'acqua; poi, ricevuta dal nostromo I. la segnalazione che «DG 1, 2 e 3 sono allagati», segnala a BO. che l'acqua continua a salire nei pressi del motore.
Alle 22:00 I., che é sceso in sala motori per verificare la situazione, si mette in contatto via radio con la plancia comunicando «Locali PEM allagati e DG1, DG2, DG3 allagati» e ipotizzando che «Saranno almeno tre compartimenti allagati». Indi si sposta verso poppa estrema per cercare di capire da dove arriva l'acqua.
Secondo la Corte di merito, poiché i locali PEM e i DG 1, 2 e 3 riguardavano due compartimenti diversi (rispettivamente il 5 e il 7), con questa informazione la plancia viene di fatto informata che almeno due compartimenti sono già interessati dall'allagamento.
Dopo la telefonata con R.F., F.S. dice ad A. di rispondere alla capitaneria di porto di Civitavecchia che c'é stato un blackout, che c'é bisogno di un rimorchiatore e che si sta valutando la situazione; in tal modo, secondo la ricostruzione accolta dalla Corte distrettuale, egli omette di comunicare l’esistenza della falla e l'allagamento del quadro elettrico principale.
In ulteriore colloquio telefonico con il direttore di macchina P., alle 22:10, quest'ultimo ribadisce a F.S. che tutti i motori sono allagati, che il quadro elettrico principale é pieno d'acqua e che c'é stato uno squarcio laterale. La comunicazione di P. a F.S. in base alla quale risultano allagati anche i DG 4, 5 e 6 (ubicati nel compartimento 6) porta a concludere, secondo la Corte d'appello, che a quel punto F.S. é stato messo al corrente che sono tre i compartimenti allagati (non solo il 5 e il 7, ma anche il 6) e che la riserva di galleggiabilità indicata nella documentazione di bordo é già stata superata (pag. 88 sentenza impugnata).
4.5. Alle 22:13, la Capitaneria di Porto di Livorno chiama la plancia della Concordia ma F.S. suggerisce a chi risponde alla chiamata (tale B.) di non riferire della falla. Viceversa, in una nuova telefonata a R.F. (alle 22:17), egli comunica che i motori elettrici e due compartimenti (quello di prora e quello di poppa) sono allagati, ma la nave é comunque in grado di galleggiare. 
Nei minuti successivi, BO., I. e S.C. forniscono conferma in plancia che i motori da 1 a 6 e i locali PEM sono allagati.
Alle 22:25, F.S. comunica alla Capitaneria di Porto di Livorno che, oltre al blackout, vi é anche una falla a bordo. Subito dopo chiama di nuovo R.F. e gli rivela che la nave ha i motori e tre compartimenti allagati.
4.6. Nel frattempo, i passeggeri non ricevono alcuna comunicazione, salvo la segnalazione, alle 21:54, di un problema elettrico ai generatori, in corso di soluzione: segnalazione sostanzialmente ribadita alle 22:05. I membri dell'equipaggio, a loro volta ignari della natura e della consistenza del problema (non essendone stati informati dal ponte di comando), non sono in grado di fornire notizie ai passeggeri circa l'accaduto, ma qualcuno di loro indossa già il giubbotto di salvataggio e ciò non si concilia con le rassicurazioni diffuse tramite gli annunci sul blackout.
Nel frattempo, in un concitato colloquio fra F.S. e il suo vice, BO., quest'ultimo gli descrive la drammatica situazione, segnalandogli che i passeggeri stanno recandosi sulle lance; dopo avere inizialmente acconsentito a decretare l'emergenza generale e a ordinare l'abbandono nave, F.S. dice di aspettare, perché intende prima mettersi di nuovo in contatto con R.F.. Nel frattempo, viene segnalato che la nave presenta uno sbandamento di 10 gradi.
4.7. Solo alle 22:33 viene schiacciato il pulsante dell'emergenza generale, mentre non viene ancora disposto l'abbandono nave.
Alle 22:36, i passeggeri vengono invitati a recarsi sulle muster stations per seguire le indicazioni del personale. Alle 22:43, vengono invitati ancora una volta a recarsi ai punti di riunione e a indossare il giubbotto di salvataggio, con la precisazione che di lì a poco sarebbero stati trasferiti a terra sulla costa dell'Isola del Giglio.
Contattato nuovamente dalla Capitaneria di Livorno, F.S. precisa che la nave non si é ancora appoggiata sul fondo, che sta galleggiando e che ci sarebbe bisogno di un rimorchiatore.
Mentre si comincia a organizzare l'imbarco dei passeggeri sulle lance sul lato dritto, F.S. aspetta ancora prima di disporre l'abbandono nave, che viene infine ordinato alle 22:54.
Nel frattempo, però, la nave é già inclinata di 20 gradi sul lato dritto; ciò, se da un lato consente ai passeggeri presenti su tale lato della nave di salire sulle scialuppe e mettersi in salvo, fa sì che i passeggeri sul lato sinistro rimangano bloccati sul ponte 4, perché l'inclinazione della nave sul lato opposto non
permette che le scialuppe di salvataggio presenti sul lato sinistro possano essere ammainate. 
4.8. Numerosi passeggeri sono costretti quindi a gettarsi in mare; altri, in assenza di notizie sul da farsi, cercano di raggiungere zone della nave in cui vengono bloccati dall'acqua; successivamente alcuni di loro vengono trascinati nei vortici che l'acqua crea nel risalire lungo i vari ponti della nave.
Alle 23:08 F.S. chiama la moglie per rassicurarla, e successivamente chiama di nuovo R.F., segnalandogli fra l'altro che la nave é inclinata a dritta di 20 gradi.
Poco dopo, gli viene segnalato da BO. che sul lato sinistro ci sono circa 2000 passeggeri.
Successivamente (ossia attorno alle 23:20, secondo la Corte d'appello), F.S. impartisce ai suoi ufficiali l'ordine di abbandonare la plancia; in seguito il comandante, dopo avere ispezionato alcuni ponti, si allontanerà a bordo di una delle ultime scialuppe disponibili. Secondo la ricostruzione operata nel giudizio di merito, egli raggiungerà gli scogli della Gabbianara, ove rimarrà all'incirca fino alle 02:00.
Le operazioni di soccorso, nel frattempo, proseguono fino alle ore 05:45.
4.9. Quanto ai decessi dei 32 passeggeri, secondo quanto emerso nell'istruzione dibattimentale, essi sono tutti intervenuti dopo le ore 24:00.
Come si é accennato, infatti, molti passeggeri erano rimasti ad aspettare sul lato sinistro per molto tempo, prima che iniziassero le operazioni di ammaino delle scialuppe di salvataggio; ad un certo punto, poiché le scialuppe posizionate sul lato sinistro non erano più riuscite a raggiungere l'acqua a causa dell'inclinazione della nave, i passeggeri presenti su tale lato erano rimasti bloccati ed avevano atteso ancora, senza ricevere disposizioni dal personale; solo in un momento successivo (secondo alcuni testimoni, attorno alle ore 24:00), essi erano stati invitati da alcuni ufficiali (a loro volta privi di direttive da parte del comando della nave, secondo la ricostruzione accolta nella sentenza d'appello) a formare una catena umana per spostarsi sul lato dritto, e poter così raggiungere la zona da cui le lance potevano essere fatte partire.
Alcuni passeggeri sono deceduti durante questo tragitto, affogando in voragini che si erano aperte in seguito al ribaltamento della nave. Altri sono invece deceduti in un momento ancora successivo, ossia durante lo spostamento a ritroso da destra a sinistra, dopo essersi accorti, una volta giunti dall'altra parte, che l'acqua era ormai arrivata al ponte 3. Altri ancora sono deceduti per essere scivolati in mare a causa dell'eccessiva inclinazione della nave, o per esservisi gettati senza il giubbotto di salvataggio o senza saper nuotare, o perché risucchiati dai gorghi. 

 


SINTESI DELLE ACCUSE
5. Come si é detto, occorre tenere presente la suddivisione fondamentale fra la fase che ha condotto al naufragio della Costa Concordia e la fase, successiva, dell'emergenza a bordo. Tale suddivisione é stata tenuta presente anche nell'esame degli addebiti mossi all'imputato F.S., in relazione a ciascuna delle suddette fasi.
Sia in ordine alla causazione colposa del naufragio della nave da crociera, sia in merito alla gestione dell'emergenza e ai delitti colposi di omicidio e lesioni personali, sono state contestate all'imputato numerose condotte (commissive ed omissive), che sono illustrate, sulla base dell'editto imputativo, alle pagine da 76 a 81 e da 94 a 98 della sentenza d'appello (nella parte in cui essa richiama la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Grosseto).
Si tratta, in estrema sintesi, di una serie di addebiti ascritti allo F.S. sia a titolo di colpa generica, sia a titolo di colpa specifica (riferiti cioè a condotte che, secondo la tesi d'accusa, avrebbero violato disposizioni legislative, convenzioni internazionali, regole e procedure relative a molteplici aspetti della navigazione) e riguardanti la sua condotta in navigazione e in comando, a proposito: della scelta di modificare la rotta programmata, per di più senza un adeguato supporto cartografico; delle modalità di conduzione della nave e di avvicinamento alla costa del Giglio, fino a pervenire a velocità elevata a ridosso della costa dell'isola, in acque caratterizzate da bassi fondali; del ritardo nella correzione della manovra, tale da non impedire l'urto con il fondale; nonché riguardanti le omissioni e i ritardi nel porre in essere, dopo l'incidente, azioni doverose che, se intraprese, avrebbero salvato vite umane, con particolare riferimento alle procedure previste nei casi di emergenza ed in specie per la segnalazione dell'emergenza generale e per l'abbandono della nave, nonché alle disposizioni circa le modalità di ammaino delle scialuppe di salvataggio.
5.1. Mentre con riferimento alla fase della navigazione fino al Giglio, culminata con l'impatto con il fondale e con il naufragio, il Tribunale aveva riconosciuto l'aggravante della colpa con previsione (art. 61, n. 3 cod.pen.), tale aggravante era stata esclusa con riferimento alla fase successiva e, più specificamente, ai decessi e alle lesioni conseguenti alle modalità di gestione dell'emergenza da parte dell'odierno imputato.
5.2. Ulteriori addebiti mossi allo F.S., riferiti a reati di natura contravvenzionale, riguardano l'omesso rapporto all'autorità marittima competente in merito all'accaduto (ed in specie alla collisione con il fondale e ai guasti che ne conseguirono) e, successivamente, le false informazioni (finalizzate
a nascondere la reale situazione di emergenza in cui versava la nave) relative a elementi che, non tempestivamente conosciuti, creavano situazione di pericolo.
5.3. Infine, allo F.S. é contestato di essersi allontanato dalla Costa Concordia, così violando il dovere comportamentale sanzionato dall'art. 1097 cod. nav., e di avere abbandonato centinaia di persone di cui doveva avere cura in qualità di comandante (art. 591 cod.pen.).
 

 

LA DECISIONE DELLA CORTE D'APPELLO
6. La Corte d'appello di Firenze era chiamata a decidere sugli appelli proposti dal Procuratore della Repubblica di Grosseto, dall'imputato (personalmente e per il tramite dei suoi difensori di fiducia, avv.ti Senese e Laino, articolando anche motivi nuovi in aggiunta a quelli in origine proposti), dal responsabile civile Costa Crociere s.p.a. e da alcune parti civili.
6.1. In breve sintesi, quanto all'appello del Procuratore della Repubblica di Grosseto, la Corte distrettuale lo accoglieva parzialmente, con esclusivo riferimento alla pena accessoria dell'interdizione dell'imputato dai titoli professionali marittimi in relazione al delitto di naufragio colposo, pena che applicava; mentre rigettava la doglianza relativa all'esclusione, da parte del Tribunale, dell'aggravante della colpa con previsione con riferimento ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose commessi nella fase della gestione dell'emergenza.
6.2. La Corte di merito dichiarava poi inammissibile l'appello dell'avv. Laino, in quanto consistito nella mera trascrizione dell'arringa rassegnata dal detto difensore all'esito del giudizio di primo grado e, come tale, ritenuto privo di specificità in ordine alle ragioni in fatto e in diritto poste a sostegno del gravame. Venivano altresì, conseguentemente, dichiarati inammissibili i motivi nuovi presentati a esclusiva firma dell'avv. Laino, con i quali si sollecitava la parziale rinnovazione dell'istruzione dibattimentale mediante nuova audizione di alcuni testimoni.
6.3. A seguito di ampia disamina, svolta alle pagine da 155 a 440 della sentenza impugnata (cui, per brevità, si fa rinvio), venivano poi rigettati dalla Corte territoriale, perché ritenuti infondati, i motivi d'appello rassegnati dall'avv. Senese e personalmente dall'imputato, nonché i motivi nuovi congiuntamente presentati dall'imputato e dai suoi difensori.
6.4. Con i motivi in origine proposti dall'avv. Senese (nella sintesi operata dalla sentenza d'appello) si contestava, in primo luogo, l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato (e, in subordine, si invocava l'esclusione dell'aggravante della colpa cosciente) in ordine al delitto di 
con particolare riguardo alle questioni riguardanti: 1) la rotta tracciata da S.C. e la rotta seguita da F.S.; 2) la conduzione della nave, da parte di A., fuori dalla rotta tracciata da S.C. e il passaggio di una "pentola bollente" (ossia di una situazione già gravemente compromessa) da A. nelle mani di F.S.; 3) gli errori del timoniere e la loro incidenza causale. In secondo luogo le doglianze riguardavano i delitti di omicidio colposo e lesioni colpose susseguenti alla fase del naufragio, in ordine ai quali si chiedeva l'assoluzione dell'imputato o in subordine la riduzione della pena (sul rilievo dell'asserito, prevalente concorso nei reati di altri ufficiali), con particolare attenzione agli aspetti concernenti: 1) le violazioni normative e i ritardi nella dichiarazione di emergenza generale e nell'invio dei segnali pan pan e, successivamente, di distress e mayday, finalizzati a consentire i soccorsi esterni e il relativo coordinamento; 2) il ritardo nell'ordine di abbandono della nave; 3) il mancato ammaino di tre scialuppe poste sul lato sinistro; 4) la impreparazione del personale e i malfunzionamenti. In terzo luogo, veniva richiesta l'esclusione della responsabilità dell'imputato in relazione ai reati di abbandono d'incapaci e di abbandono nave. Venivano altresì formulate richieste di rinnovazione parziale dell'istruzione dibattimentale, mediante l'audizione di periti e consulenti di parte, l'espletamento di nuova perizia, l'esame di testimoni e l'acquisizione di documenti indicati dalla difesa. Ulteriori richieste riguardavano il trattamento sanzionatorio (applicazione del concorso formale e dell'istituto della continuazione ex art. 81, comma 2, cod.pen.; riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod.pen.; concessione delle attenuanti generiche prevalenti; riduzione della pena ai minimi edittali).
6.5. I motivi articolati personalmente dall'imputato nel suo atto d'appello venivano qualificati dalla Corte di merito come sostanzialmente ripropositivi di alcuni dei motivi di doglianza formulati dall'avv. Senese.
6.6. Quanto ai motivi nuovi congiuntamente proposti, essi erano volti a ottenere in primo luogo una parziale rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, mediante confronto fra lo F.S. e C. A. e/o mediante nuova audizione di alcuni testimoni; in secondo luogo, si chiedeva la declaratoria di nullità della sentenza impugnata, per mancato esame, da parte del Tribunale, di una memoria difensiva, chiedendo in subordine che venisse sul punto integrata la motivazione della sentenza di primo grado; in terzo luogo si contestava che lo F.S. intendesse discostarsi dalla rotta tracciata dall'Ufficiale Cartografo S.C.; ulteriori motivi consistevano invece in una trascrizione di altri motivi d'appello precedentemente rassegnati. 
La Corte fiorentina, come detto, dopo ampio e analitico esame dei singoli motivi d'appello, ne dichiarava per tutti l'infondatezza.
6.7. Neppure trovavano accoglimento i motivi d'appello rassegnati dalla Costa Crociere s.p.a., nella qualità di responsabile civile.
La Costa Crociere s.p.a. si doleva in primo luogo dell'accoglimento delle domande risarcitorie di 32 parti civili, le quali avevano precedentemente stipulato transazioni con la stessa Costa Crociere: su tale statuizione la Corte d'appello dichiarava non luogo a provvedere a seguito della revoca della costituzione delle suddette parti civili; quanto al motivo d'appello relativo all'accoglimento della domanda risarcitoria del Ministero dell'Ambiente, la Corte provvedeva in una con il motivo d'appello rassegnato dal detto Ministero, che veniva accolto, mentre veniva rigettato il motivo proposto dalla società responsabile civile. Venivano parimenti rigettati dalla Corte territoriale i motivi d'appello proposti dalla Costa Crociere avverso le statuizioni risarcitorie in favore del Comune di Isola del Giglio e della Regione Toscana; l'analogo motivo di doglianza relativo all'accoglimento della domanda risarcitoria avanzata dalla Provincia di Grosseto veniva assorbito dalla revoca della costituzione di parte civile dell'Ente.
6.8. Venivano, infine, dichiarati parzialmente fondati gli appelli delle parti civili-passeggeri della Costa Concordia e di alcuni Enti pubblici e privati. Veniva fra l'altro rigettato l'appello proposto dalle parti civili Ingrid e Horst G., in origine costituitesi come eredità giacente di Gabriele G. (morta in occasione del sinistro).

 


LE RINUNCE ALLA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE
6.9. Va fin d'ora dato atto che, nelle more del presente giudizio, in data 5 aprile 2017, le dette parti civili Ingrid e Horst G. - che avevano presentato ricorso per cassazione avverso i capi civili della prefata sentenza d'appello, dolendosi della misura del risarcimento liquidato in loro favore e del mancato riconoscimento anche di un danno punitivo - hanno depositato presso la Cancelleria di questa Corte rinuncia alla costituzione di parte civile e contestuale rinuncia al ricorso dalle stesse presentato.
Hanno inoltre rinunciato alla costituzione di parte civile la Regione Toscana (con atto depositato il 7 marzo 2017), nonché i signori OMISSIS (con atto depositato il 17 febbraio 2017).
Hanno altresì revocato la costituzione di parte civile OMISSIS.
 

 

I RICORSI
7. Avverso la prefata sentenza d'appello hanno presentato ricorso il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Firenze, l'imputato F.S. (con atti a firma dei suoi difensori di fiducia, nonché a mezzo atti personalmente sottoscritti) e le parti civili Ingrid e Horst G. (in origine come eredità giacente di Gabriele G.), le quali come già accennato hanno, nelle more del giudizio, rinunciato al ricorso.
Di seguito, quindi, verranno illustrati nell'ordine il ricorso del Procuratore generale della Corte d'appello di Firenze e, quindi, i ricorsi e i motivi nuovi (nonché le memorie integrative) rassegnati nell'interesse dell'imputato.
 

 

RICORSO DEL PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI FIRENZE
8. Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte d'appello di Firenze é affidato a due motivi.
8.1. Con il primo motivo si deduce difetto di motivazione e falsa (dis)applicazione dell'art.61 n.3 cod. pen. con riguardo ai plurimi reati dì omicidio colposo e lesioni colpose, oggetto della contestazione di cui al capo A) dell'imputazione.
Premette il P.G. ricorrente che il Procuratore della Repubblica di Grosseto, a fronte della esclusione della circostanza aggravante della colpa cosciente da parte del Tribunale in relazione ai reati in oggetto, aveva proposto appello sul punto, rilevando che la descrizione di quanto avvenuto il 13 gennaio 2012 successivamente all'impatto della Concordia con il basso fondale delle Scole rendeva palese la sussistenza di detta aggravante. Significativa a riguardo era la conversazione telefonica intervenuta alle ore 21:51:34 tra il comandante F.S. ed il direttore di macchina P., il quale aveva rappresentato una situazione di fatto talmente drammatica e catastrofica da aver indotto il comandante ad esclamare la frase «Cioè, stamm jenn a ffunn, praticamente». La consapevolezza esplicitata con queste parole dal comandante circa l'affondamento repentino della nave in conseguenza delle (primissime) parole del direttore di macchina P., a pochissimi minuti dall'impatto con le Scole, comportava, ipso facto, la rappresentazione del rischio concreto di perdita di vite umane o del ferimento di alcune o anche di una sola. Da altre due dichiarazioni registrate, risalenti alle 22:32 e alle 23:05, e dalla telefonata delle ore 1:46 con il comandante G.DF. della Guardia Costiera di Livorno, era emersa la rappresentazione nel comandante di un esito infausto conseguente all'urto, accadimento tuttavia escluso in ragione della sua abilità nel gestire la situazione di estrema emergenza. Nella prima, il comandante F.S. aveva parlato dell'imbarco dei passeggeri sulle lance ed aveva pronunciato la frase «...e poi Dio ci pensi!»-, nella seconda, aveva detto «io non voglio...io non faccio morire a nessuno qui!») nella telefonata infine, venuto a sapere delle prime vittime, non aveva perso il controllo ed aveva chiesto «quanti morti ci sono?». Anche durante l'esame dibattimentale l'imputato aveva del resto ammesso che durante le fasi di emergenza e di abbandono della nave aveva temuto che la gente si buttasse in mare ed aveva ancora dichiarato che in ogni abbandono di nave si verificavano dei morti. Dunque l'imputato, secondo il P.M. appellante, aveva ammesso che l'evento tragico in questione, alternativo o cumulativo (di morti e feriti), lo aveva sempre avuto chiaro in mente, anche in considerazione del numero delle persone, 4229, che, tra passeggeri ed equipaggio, si trovavano a bordo. Pur nella consapevolezza di tale rischio, il comandante aveva omesso di attivare la procedura anti-falla, nascondendo la reale situazione alla gran parte dell'equipaggio, ai passeggeri, all'Autorità marittima e ritardando la comunicazione all'MRSC, il segnale di distress ed il contestuale mayday, il segnale di emergenza generale e poi quello di abbandono di nave. Di qui la certezza che il comandante F.S. aveva accettato la situazione di pericolo posta in essere con la sua condotta, caratterizzata dalla violazione di tutte le procedure finalizzate alla conservazione dell'integrità fisica e della vita delle persone imbarcate, prospettandosi che si potesse verificare la morte o il ferimento di alcune di loro, pur confidando nel fatto che tali eventi non si sarebbero verificati, convinzione che valeva ad escludere il dolo eventuale ma non la colpa cosciente. Il Tribunale invece, dal fatto che lo F.S. avesse indugiato a far chiamare i rimorchiatori, aveva desunto una sua non piena rappresentazione della gravità della situazione, da cui aveva fatto ulteriormente discendere il dubbio che egli non avesse davvero messo in conto, per una smisurata colpa o ignoranza, l'ipotesi che anche una sola persona a bordo potesse morire o ferirsi.
La Corte territoriale aveva ritenuto tale motivo di appello infondato.
Condividendo il giudizio controfattuale del Tribunale, aveva evidenziato che nella fase della gestione dell'emergenza, la chiamata dell'emergenza generale avrebbe dovuto essere fatta alle 21:58 e la diramazione dell'ordine di abbandono della nave alle ore 22:28. Conseguentemente, per ascrivere allo F.S. l'aggravante della colpa cosciente in relazione ai reati colposi plurimi di omicidio e lesioni personali, causati appunto dai ritardi con i quali erano intervenute dette attività, sarebbe stato necessario dimostrare che, non oltre le 22:28 (o, comunque, le 22:30, ove si fosse ritenuto che l'emergenza generale avrebbe dovuto essere data quanto meno alle ore 22:00), l'imputato si fosse già concretamente rappresentato gli eventi predetti come possibili/probabili conseguenze della sua condotta. Secondo i giudici di appello, le registrazioni valorizzate dal Procuratore di Grosseto nell'atto di gravame non erano di per sé indicative di una colpa cosciente: l'espressione «Dio ci pensi», pronunciata dall'imputato alle ore 22:32 mentre parlava con la capitaneria di Livorno che gli stava chiedendo informazioni sullo stato della crisi a bordo, era solo genericamente invocativa e non univocamente interpretabile nel senso sostenuto dall'appellante; l'altra frase pronunciata alle 23:05 mentre lo F.S., su un'ala della plancia, stava parlando in tono confidenziale con il maître di bordo C. O. «io non voglio...non faccio morire a nessuno qui», se era dimostrativa del fatto che in quel momento l'imputato si era rappresentato la possibilità della morte di alcune persone a bordo, non provava che analoga consapevolezza egli avesse avuto già in precedenza, nei limiti di tempo innanzi ricordati. Anche la domanda rivolta al comandante G.DF., dopo aver saputo delle prime vittime, di quanti morti ci fossero, era basata su una valutazione soggettiva di interpretazione non inoppugnabile, e comunque era intervenuta anch'essa in un momento successivo a quello che interessava ai fini della configurazione dell'aggravante in esame. Infine, la dichiarazione che "in ogni abbandono di nave si verificano morti”, insieme ad altre pronunciate nel corso dell'esame dibattimentale, appariva fortemente influenzata dalle sopravvenute esigenze difensive e non costituiva una effettiva ammissione della concreta previsione dei decessi e delle lesioni in quei frangenti. Dunque, concludeva la Corte, la prova della colpa cosciente dell'imputato non poteva essere tratta, con ragionamento inferenziale sufficientemente affidabile, dagli elementi suggeriti dall'accusa, che apparivano indicativi della gravità della situazione di emergenza e, quindi, della prevedibilità in astratto dell'evento, ma non anche della previsione in concreto di esso da parte di F.S., il cui intento era piuttosto focalizzato sul tentativo di salvare la nave.
Con l'odierno ricorso, il P.G. evidenzia che, nonostante lo specifico rilievo del P.M. appellante, la Corte fiorentina aveva ignorato, così come aveva fatto il Tribunale, la specifica conversazione intercorsa fra il comandante F.S. ed il direttore di macchina P., che gli aveva confermato che alle ore 21:51 la nave stava andando a fondo, dimostrativa che in quel momento l'imputato si era certamente rappresentato non soltanto il rischio, bensì la concreta e certa morte di persone che si trovavano a bordo, ed aveva il tempo di emanare quell'efficace ordine di emergenza generale e di abbandono della nave che avrebbe comportato il non verificarsi delle morti e delle lesioni. Sottolinea che tale telefonata era intervenuta ben prima delle ore 21:58, ora entro la quale avrebbe dovuto essere diramata l'emergenza generale, e prima delle 22:28, ora entro la quale avrebbe dovuto ordinare l'abbandono della nave, e rileva che se tale telefonata fosse stata presa in considerazione, la Corte territoriale sarebbe giunta a conclusioni differenti rispetto al momento in cui l'imputato si era rappresentato concretamente l'evento.
A parere del ricorrente, l'impugnata sentenza é perciò affetta da vizio della motivazione, poiché, come risulta dal testo stesso dell'atto, non é stato preso in esame un decisivo elemento di prova, pur documentato in atti ed evidenziato dal P.M. nell'atto di appello, così come era stata data un'interpretazione illogica della dichiarazione autoaccusatoria resa in dibattimento allorquando l'imputato aveva affermato che gli abbandoni di nave comportano sempre dei morti.
8.2. Con il secondo motivo si lamenta difetto di motivazione e falsa applicazione dell'art.133 cod. pen. in relazione alla determinazione della pena base per tutti i reati e all'entità dell'aumento per le aggravanti ed ex art.81 c.p.
Anche nell'esposizione di tale ragione di censura, il ricorrente riporta quanto argomentato dal Procuratore della Repubblica di Grosseto nei motivi di appello riguardanti il trattamento sanzionatorio, di cui aveva chiesto un aggravamento, ritenendo la modestia delle pene inflitte.
La pena applicata per il reato di naufragio é stata di quattro anni, inferiore alla metà della cornice edittale prevista per quel delitto, aumentata a cinque per l'aggravante della colpa cosciente. Il Tribunale aveva definito "criminale" la scelta del comandante F.S. di portare una nave, con quelle caratteristiche di stazza ed a quella velocità, così in prossimità dell'isola, ed aveva ritenuto che la quota principale di responsabilità andasse addossata - pur nel concorso con le condotte colpose degli ufficiali A. e S.C. che erano presenti sul ponte di comando - allo F.S., quale esclusivo responsabile della scelta di mutare la rotta, programmata in tutta sicurezza dall'ufficiale cartografo S.C., e di avvicinarsi all'isola, nella concreta previsione dell'evento che poi si era verificato. Nella parte della sentenza dedicata alla determinazione della pena aveva poi valutato a favore dell'imputato il concorso di colpe di altri soggetti, l'incensuratezza, il rispetto delle misure cautelari personali degli arresti domiciliari e dell'obbligo di dimora. Secondo il Procuratore di Grosseto appellante, gli ultimi due elementi appena menzionati andavano bilanciati con i motivi futili che avevano determinato il naufragio, con la pessima condotta processuale dell'imputato e con il comportamento volto a scaricare su altri la propria responsabilità, e dunque la pena di soli quattro anni era stata applicata principalmente per aver tenuto conto delle responsabilità degli ufficiali A., S.C. e del timoniere R.B.. Il Tribunale aveva però poi configurato esclusivamente nei confronti di F.S. l'aggravante della colpa con previsione, ritenendo che gli altri tre componenti la guardia sul ponte di comando, nel tratto di navigazione prima dell'urto fatale, non fossero a conoscenza della nuova rotta, decisa dal comandante e non condivisa in alcun modo con altri. Appariva allora ulteriormente contraddittorio aver riconosciuto, da parte del Tribunale, tale aggravante in capo al solo F.S. e poi aver mitigato la pena in considerazione del contributo, davvero minimo, nella causazione del naufragio degli altri tre correi, i quali, proprio perché esclusi dalle decisioni improvvisate ed azzardate del loro comandante, avevano una ancor più grande difficoltà ad interagire ed a collaborare con lui. Anche l'aumento di pena per l'aggravante della colpa cosciente - pari ad un anno - nettamente inferiore al massimo applicabile, di un terzo rispetto alla pena base, non si conciliava con l'affermazione del Tribunale circa il massimo grado di colpa, generica e specifica, di natura professionale, ravvisata a carico dell'imputato, caratterizzata sia dalla colpevole sottovalutazione del pericolo di un evento, previsto e rappresentato nella sua mente, che dalla sopravvalutazione delle sue abilità marinaresche al fine di scongiurarlo.
La pena applicata per il reato di omicidio colposo e lesioni colpose plurimi é stata di anni 10 di reclusione, determinata partendo da una pena base di cinque anni per la morte della piccola OMISSIS, una bambina di neanche sei anni di età, e raddoppiata per gli ulteriori 31 morti e 193 feriti.
Secondo il Procuratore appellante tale pena - per quanto già detto in relazione al delitto di naufragio ed alla scarsa rilevanza della condotta colposa dei coimputati - doveva essere collocata in prossimità del massimo edittale, così come l'aumento, previsto dall'art.589, ultimo comma, cod. pen., fino al triplo, stante il grado "monumentale" della colpa dell'imputato e l'assoluta futilità dell'origine delle condotte che un tale micidiale epilogo avevano determinato, il fatto cioè di aver voluto il comandante fare un favore ad un capo cameriere ed una bravata per pochi amici, passando con un transatlantico come la Costa Concordia a pelo di scoglio con l'Isola del Giglio. 
Per la contravvenzione di omesse comunicazioni alle autorità marittime il Tribunale ha applicato la pena base di 15 giorni di arresto, aumentata a giorni 20 per l'aggravante dell'art.112 n.3) cod. pen., ed ancora a giorni 30 per gli ulteriori tre fatti-reato in continuazione ex art.81 comma 2c.p.
Il Procuratore di Grosseto aveva proposto appello anche avverso tale statuizione, censurando l'incongruità per difetto: a) della pena base, prossima al minimo edittale; b) dell'aumento di pena per la circostanza aggravante ritenuta; c) dell'aumento minimo per la continuazione dei fatti-reato contestati. La dolosa macchinazione dello F.S. nel far dare alle autorità marittime false informazioni sullo stato della nave, con il rischio concreto di un ritardo nei soccorsi, aveva costituito una condotta gravissima, resa ancor più riprovevole dal fatto di aver abusato del suo ruolo gerarchico per far commettere il reato a tre dei suoi giovani ufficiali, che avevano poi dato quelle comunicazioni false su suo preciso input. Andava quindi aggravata la pena base, su cui conseguentemente calcolare l'aumento massimo di un terzo ex art.112 n.3 cod. pen. Vi erano stati ben quattro episodi di false comunicazioni, ogni volta il reato era stato commesso con un diverso ufficiale (prima C. A., poi Andrea B., poi S.C., infine ancora C. A.), messo nella condizione di dire il falso e di cooperare nella disastrosa gestione dell'emergenza, e dunque anche l'aumento per la continuazione di soli 10 giorni era irrisorio.
Il reato di abbandono di persone incapaci (art.591 cod. pen.) e di abbandono di nave in pericolo da parte del comandante (art.1097 codice della navigazione) sono stati contestati e ritenuti dal Tribunale in rapporto di concorso formale eterogeneo, senza assorbimento dell'uno nell'altro.
L'appello del Procuratore di Grosseto aveva riguardato, anche in questo caso, due distinti punti del trattamento sanzionatorio, e segnatamente: a) la determinazione della pena base per il reato di cui all'art.591 cod. pen.; b) l'aumento di pena per il concorso formale ex art.81, comma 1, cod. pen. in relazione all'art. 1097 codice della navigazione. Il Tribunale aveva applicato la pena base di mesi 8 di reclusione, prossima al minimo (pari a mesi 6), nonostante la gravità oggettiva della condotta di abbandono di persone incapaci, alcune centinaia, e dell'intensità del pericolo di vita cui erano rimaste così esposte, tenendo conto delle peculiari motivazioni che avevano indotto l'imputato a tale gesto, maturato solo dopo essersi reso conto dell'imminenza di un pericolo di morte, che lo aveva reso incapace di adempiere al proprio dovere. Secondo l'appellante invece la decisione di scendere dalla nave era stata assunta dallo F.S. dopo essere salito sul ponte 11 per constatare personalmente la situazione, circostanza avvalorata dalla condotta successivamente tenuta: 
sapendo che le persone erano in difficoltà sul lato più inclinato di sinistra, era prima sceso in cabina al ponte 7 per prelevare i documenti di bordo e poi si era portato sul ponte 3 di dritta dove le lance facevano la spola per portare le persone a terra. In soli 30 minuti l'imputato aveva deciso di scendere ed era concretamente sceso dalla nave, abbandonando le persone a bordo, dopo aver egli stesso creato quella incredibile situazione di pericolo con le sue decisioni di cambiare la rotta pianificata e di navigare a vista, con una irresponsabile gestione della situazione dopo l'urto, con i clamorosi ritardi accumulati prima di procedere con l'emergenza generale e l'ordine di abbandono della nave. Per questa "ignominiosa ed ingiustificabile fuga dalla nave in difficoltà" gli era stata comminata una pena di poco superiore al minimo, nonostante fosse l'unico accusato di tale reato e non dovesse quindi condividere la responsabilità con altri ufficiali, e dunque vi era stata una non plausibile sproporzione tra le dimensioni oggettive del fatto reato e la esigua pena inflitta. Le medesime considerazioni andavano estese all'aumento per il concorso formale con il reato di abbandono di nave in pericolo da parte del comandante, determinato in soli mesi 4 di reclusione, in contrasto con tutto quanto era avvenuto e con il dovere giuridico e morale del comandante di assistere le persone a lui affidate.
Ulteriore motivo di appello del Procuratore di Grosseto aveva infine riguardato la durata della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai titoli professionali marittimi, a mente degli artt.1082 comma 1 n.l), 1083 e 1103 cod.nav., applicata in misura pari all'aumento di mesi 4 per il reato di cui all'art.1097 cod.nav., da rideterminare in peius in conseguenza del richiesto aumento della detta sanzione.
La Corte di Firenze confermava il trattamento sanzionatorio inflitto in prime cure, ritenendo rispettati i criteri dell'art.133 c.p.
Secondo i giudici di appello, quanto al delitto di naufragio, il Tribunale aveva giustamente riconosciuto il ruolo preminente ricoperto da F.S., mentre i dati della giovane età, della minore esperienza e della mera subordinazione gerarchica dei corresponsabili nella fattispecie, erano da considerarsi in definitiva neutri, trattandosi peraltro di un contesto professionale in cui ciascuno ricopriva un proprio ruolo e quindi non giustificavano di per sé un inasprimento di pena per l'imputato. Correttamente erano state poi valorizzate l'incensuratezza e l'osservanza degli obblighi imposti con le misure cautelari. Quanto alla colpa cosciente, la stessa ben poteva non rientrare nel giudizio di graduazione della colpa previsto dall'art.133 n.3 cod. pen., anche perché, così facendo, il Tribunale aveva evitato a monte una duplice operatività della previsione dell'evento in funzione della pena, la prima per stabilire la pena base e la seconda come aggravante, optando per una valenza sanzionatola della colpa cosciente solo per quest'ultimo profilo.
Anche la pena irrogata per i reati colposi di omicidio e lesioni personali plurimi, secondo la decisione della Corte distrettuale, era stata corretta. Il Tribunale aveva addebitato a F.S. una responsabilità molto più grave rispetto a quella degli altri imputati, in considerazione delle sue condotte, sviluppatesi nell'intero arco della vicenda, e del suo ruolo apicale, che gli garantiva l'esclusiva potestà decisionale, non mancando di rilevare le responsabilità del comandante in seconda Roberto BO., la cui posizione era stata archiviata.
Congrue anche le pene applicate, nel rispetto dei criteri dell'art. 133 cod. pen., per gli altri reati e la durata della pena accessoria, così come erano stati ben motivati dal Tribunale gli aumenti per le aggravanti e per la continuazione. In particolare, per le contravvenzioni di false comunicazioni all'autorità marittima, ritenute dolose, era stata comminata la pena dell'arresto, alternativa a quella dell'ammenda, ed applicato il massimo di un terzo per l'aggravante dell'art.112 comma 1 n.3 cod. pen., mentre per i reati di abbandono della nave ed abbandono di persone incapaci si era tenuto conto del grado del dolo non particolarmente intenso e valorizzato il comprensibile stato di paura del comandante.
Il Procuratore Generale ricorrente ritiene invece che la Corte territoriale non abbia replicato adeguatamente e completamente alle articolate argomentazioni contenute nell'atto di appello del P.M., oltre che a quelle della requisitoria dello stesso Procuratore Generale di udienza, in ordine alle pene da infliggersi concretamente per i singoli reati. L'impugnata sentenza contiene solo uno stereotipato riferimento ai criteri di cui all'art.133 cod. pen., di norma sufficiente per garantire che il giudice abbia esaminato tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi del reato per la determinazione della pena, ma non adeguato quando, come nella specie, l'applicazione di tali criteri sia stata diffusamente e partitamente contestata. Le doglianze del P.M. appellante non hanno trovato alcuna dettagliata risposta argomentativa, essendosi la Corte fiorentina limitata a condividere in maniera acrìtica le considerazioni del Tribunale. La mancata replica alle singole critiche dell'appellante integra il denunciato vizio di motivazione.
Di qui la richiesta di annullamento con rinvio della sentenza impugnata. 

 


RICORSO AVV. LAINO
9. L'Avv. Donato Laino, nell'interesse di F.S., ha presentato autonomo ricorso nel quale prospetta due motivi.
9.1. Con il primo motivo lamenta nullità della sentenza per violazione dell'art.606, comma 1, lett.c) cod. proc. pen. in relazione agli artt.581, 585, commi 2 lett.c) e 4, 178, comma 1 lett.c), e 179 cod. proc. pen.
A sostegno della doglianza espone che la Corte d'Appello ha dichiarato l'inammissibilità dei motivi nuovi ex art.585, comma 4, cod. proc. pen., da lui sottoscritti e depositati il 12 aprile 2016, quale ritenuta conseguenza dell'intervenuta dichiarazione d'inammissibilità della impugnazione dell'appello a sua firma depositato il 24 settembre 2015, omettendo qualsiasi riferimento e valutazione dell'ulteriore atto di impugnazione depositato il 14 ottobre 2015. Fermo il diritto di ciascuno dei difensori dell'imputato di proporre diversi ed autonomi motivi di appello e stante la tempestività dell'impugnazione rispetto alla scadenza dei termini di deposito, prorogata al 15 ottobre, la Corte si era limitata a fare riferimenti di mero carattere illustrativo all'atto di d'impugnazione depositato il 14 ottobre 2015 per poi dichiarare la inammissibilità dei motivi aggiunti.
9.2. Con il secondo motivo lamenta nullità della sentenza per violazione dell'art.606, comma 1 lett.e), cod. proc. pen. in relazione agli artt.192, commi 1 e 2, 533, comma 1, e 546, comma 1 lett.e), 605, comma 1, cod. proc. pen. e 24 della Costituzione
La completa omessa valutazione dell'atto di impugnazione del 14 ottobre 2015 e la illegittimità della dichiarazione di inammissibilità dei motivi nuovi a firma dell'esponente difensore, con la conseguente loro omessa valutazione, hanno comportato il mancato esame delle questioni proposte e leso il diritto di difesa.
Per tali ragioni conclude per l'annullamento della impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Firenze, affinché valuti gli specifici motivi di impugnazione depositati il 14 ottobre 2015, unitamente ai motivi aggiunti depositati il 12 aprile 2016 ed alla memoria ex art. 121 cod. proc. pen. depositata all'udienza del 19 maggio 2016. 

 


RICORSO CONGIUNTO DEGLI AVV.TT LAINO E SENESE NELL'INTERESSE DELL'IMPUTATO F.S.
10. Il ricorso depositato dagli Avv. Donato Laino e Saverio Senese, sempre nell'interesse di F.S., consta di nove motivi.
10.1. Con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt.33 cod. proc. pen. e 110, comma 6 del R.D.30.1.1941, n.12 (ordinamento giudiziario), in relazione agli artt.178, comma 1 lett. A), e 179 cod. proc. pen., 24, 25 e 111 della Costituzione, violazione degli artt.6 e 7 CEDU, per avere celebrato il processo un collegio (prima sezione penale della Corte territoriale) diverso da quello cui era tabellarmente destinato (terza sezione penale della Corte stessa) e per essere stato costituito un Collegio della Corte d'Appello di Firenze ad hoc, esclusivamente per la celebrazione del presente processo.
L'impugnata sentenza é stata emessa all'esito del processo celebrato dinanzi alla I Sezione penale della Corte d'Appello di Firenze, sebbene le tabelle relative all'organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2014-2016 prevedessero la competenza della III Sezione penale dì quella Corte per la trattazione dei reati di omicidio colposo e lesioni colpose. Si era pertanto realizzata una situazione extra ordinem, poiché era stato costituito un Collegio appositamente destinato, in via esclusiva, alla celebrazione del presente processo, nonostante il regolare funzionamento della III Sezione penale, che continuava a trattare, nel medesimo periodo, gli altri processi per omicidio colposo. Ciò costituiva violazione degli artt.178 n.l lett.a) e 179 cod. proc. pen., disposizioni da leggersi alla luce dei principi costituzionali, tra loro strettamente correlati, della imparzialità e della precostituzione del giudice naturale, da inquadrare a loro volta nel contesto delle garanzie costituzionali previste per assicurare al cittadino un giusto processo.
A sostegno di tale motivo i difensori in data 15 febbraio 2017 hanno depositato copie conformi delle tabelle di organizzazione della Corte d'Appello di Firenze per l'indicato triennio di interesse.
10.2. Con il secondo motivo di ricorso, relativo al delitto di naufragio, si denunciano: a) Violazione degli artt.606, comma 1 lett.c), 62, 63, 64, 65, 191, 526 cod. proc. pen.; nullità della sentenza nella parte nella quale utilizza, nonostante che il consenso fosse stato prestato unicamente dai difensori e non anche dallo F.S., le dichiarazioni rese dall'indagato al P.M. e al G.I.P. nella fase delle prime indagini, peraltro ritenendole plusvalenti rispetto all'esame cui l'imputato si sottopose nel corso di ben cinque udienze dibattimentali; totale omessa motivazione sulle ragioni di tale decisione; b) Violazione degli arti.606, comma 1 lett. c), in riferimento all'art.192, comma 3, 210 cod. proc. pen. nella parte nella quale i giudici del fatto hanno utilizzato come prova le dichiarazioni di A. C. sebbene fossero tutte prive di ogni riscontro; c) Violazione degli artt.606, comma 1 lett. c), in riferimento agli artt. 63, 64, 191, 193, comma 3, 197 bis e 526 cod. proc. pen. per avere i giudici del fatto utilizzato come prova testimoniale le dichiarazioni di S.C. Simone sebbene costui dovesse essere esaminato come imputato di reato connesso.
Secondo il ricorrente la sentenza affida la sua decisione a prove illegittimamente acquisite, in violazione o inosservanza delle norme processuali, incentrando la motivazione nell'indicazione delle prove che avevano consentito di ribadire che F.S. avesse deliberatamente e colposamente deciso di non rispettare la rotta da lui stesso compilata il mattino del 13 gennaio 2012 con il cartografo S.C., rotta che prevedeva il passaggio in sicurezza della nave a non meno di mezzo miglio dagli scogli delle Scole. Le dette prove sono diffusamente indicate nell'interrogatorio di garanzia reso al G.I.P. dallo F.S., nelle dichiarazioni accusatorie del primo ufficiale A. C. e nelle dichiarazioni testimoniali dell'ufficiale cartografo S.C..
Quanto all'interrogatorio di garanzìa, lo stesso non é stato legittimamente acquisito in quanto il consenso alla sua acquisizione era stato prestato solo dai difensori e non esplicitato personalmente anche dall'imputato, come invece necessario; inoltre la Corte di Appello non ha indicato le ragioni per le quali, visto che l'imputato era stato diffusamente sentito in dibattimento sugli stessi punti, e che solo le dichiarazioni rese nel contraddittorio delle parti, su richiesta del P.M., hanno natura e valore di prova, aveva invece valorizzato le dichiarazioni rese nel corso dell'interrogatorio di garanzia. Di qui anche il vizio motivazionale.
Quanto alle dichiarazioni rese da A. C., imputato di reato connesso, la Corte di Appello vi fa continuo riferimento per dimostrare la scelta del comandante di adottare la rotta che determinò il naufragio, omettendo però di indicare sia gli elementi esterni di prova a riscontro, sia la intrinseca credibilità del racconto. Tale vizio, a dire del ricorrente, si coniuga nello specifico con un insuperabile vizio motivazionale, avendo la Corte omesso totalmente di confrontarsi con le circostanze, fortemente significative, dedotte nei motivi di appello e dimostratrici del nesso esistito tra gli errori di A. e il naufragio. I giudici di merito avevano ribadito l'attendibilità del teste A. nella parte in cui aveva tentato di giustificare il suo fuori rotta attribuendo l'omessa manovra di accostata ad un segnale fattogli da F.S., sebbene si trattasse di una propalazione resa da un coimputato che aveva definito la sua posizione con un patteggiamento, e non fossero stati acquisiti riscontri oggettivi di tale segnale che F.S. avrebbe effettuato mostrandogli la mano con il palmo aperto, come a dire di aspettare che terminasse la telefonata in corso con il P., gesto che nessuno dei testi presenti in plancia ha dichiarato di aver visto. Vi era stato quindi un travisamento per omessa motivazione su circostanza dotata di valore determinante, con riferimento alle colpe del primo ufficiale nella causazione del naufragio ed alla loro autonoma efficienza causale.
Quanto alla testimonianza dell'ufficiale cartografo S.C., trattasi di una prova acquisita in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e, in quanto tale, inutilizzabile. Il procedimento nei confronti del S.C., per concorso nel reato di false comunicazioni alle autorità portuali, era stato archiviato, ma tale epilogo conclusivo da un lato non escludeva la necessità dell'assistenza difensiva del S.C. nel corso della deposizione testimoniale, e sotto altro aspetto comportava una ridotta valenza probatoria delle sue dichiarazioni. La Corte fiorentina si era invece limitata ad affermare che le dichiarazioni accusatorie del S.C. - laddove aveva detto ripetutamente che il comandante non intendeva seguire la rotta da lui tracciata quella mattina - erano dotate del valore della testimonianza, non dovendogli essere riconosciuta la qualifica di imputato di reato connesso, attesa l'intervenuta archiviazione, con ciò incorrendo in assenza di motivazione rispetto ai rilievi difensivi e nell'inosservanza delle norme processuali. Ulteriore omissione di motivazione attiene al fatto che non erano emersi altri elementi idonei a dimostrare che in effetti F.S. avesse manifestato il proposito di navigare "a vista", ed anzi vi era una prova tecnico-documentale certa, rappresentata dalla perizia trascrittiva operata dai Carabinieri, che dimostrava l'inesistenza della frase che S.C. attribuisce a F.S. "poi vado io", come ribadito dalla difesa anche nei motivi aggiunti di appello. Anche qui la violazione di norme processuali si fonde con il travisamento della prova e la carenza motivazionale.
10.3. Con il terzo motivo, sempre relativo al delitto di naufragio, si denunciano: a) Violazione dell'art. 606, comma 1 lett.b), con riferimento agli artt.40, 41,449, comma 2, cod. pen., 27, commi 1 e 3, Costituzione. Violazione nesso conseguenzialità; b) Illegittima sopravvalutazione dei profili di colpa "generici". Omessa motivazione sulla eccepita non incidenza degli stessi sul determinismo dell'evento; c) Vizi della motivazione - Violazione commi 1 e 2 dell'art.192 cod. proc. pen.: i profili di colpa "specifici" posti a fondamento della decisione sono affidati a circostanze insicure ed a congetture arbitrarie, peraltro inconciliabili con i dati obiettivi; d) Nullità della sentenza per essere incorsa in cinque travisamenti che hanno compromesso in modo decisivo l'interna coerenza logica della decisione; e) Illegittima sottovalutazione degli errori di altri ufficiali; f) Illegittima sottovalutazione di errori determinanti commessi dal timoniere; g) Omessa motivazione con riferimento alla dimostrata correttezza degli ordini impartiti da F.S.; h) Omesso esame della memoria della difesa e delle allegate posizioni della nave estrapolate dalla scatola nera; i) Il concorso di colpe e omessa motivazione sulla denunciata interruzione del rapporto di causalità essendo state le cause sopravvenute autonomamente idonee a determinare l'evento.
La difesa nei motivi di appello aveva analizzato ad una ad una le singole regole cautelari violate e dimostrato come tali violazioni non avessero avuto alcun rapporto causale con gli eventi disastrosi. La Corte invece non ha svolto alcuna motivazione in tema di nesso di causalità tra la violazione della regola ed il danno, ovvero sulla causalità della colpa.
Inoltre, sempre omettendo di confrontarsi con gli argomenti difensivi, ha illegittimamente sopravvalutato i profili di colpa "generici" ricopiando le argomentazioni del Tribunale, senza applicare i principi in tema di responsabilità omissiva, verificando se senza le rilevate omissioni l'evento si sarebbe del pari verificato.
Ancora, ha posto a fondamento della sua decisione circostanze insicure, meramente probabili, per dimostrare che il comandante F.S. avesse scelto deliberatamente di non rispettare la rotta, avvicinando la nave in maniera imprudente ed eccessiva all'Isola del Giglio, causandone così colposamente il naufragio: cita in proposito il colloquio con il comandante P., al quale aveva chiesto indicazioni sulla profondità del fondale, il colloquio con l'A., di cui si é già detto, ancora ì colloqui successivi al naufragio con F. e M., in relazione ai quali é stata data un'interpretazione malevola di frasi pronunciate a caldo da una persona profondamente provata dall'evento, senza tenere conto del suo stato d'animo.
I profili di colpa specifici imputati all'odierno ricorrente corrispondono ad altrettanti travisamenti su circostanze determinanti.
Il primo, di cui si é già detto, attiene alla credibilità delle dichiarazioni del S.C. circa il cambio di rotta, senza tener conto del timore dell'ufficiale di essere coinvolto nell'incriminazione.
Il secondo travisamento per omissione di prova favorevole all'imputato attiene al fatto che, appena assunto il comando, F.S. aveva chiesto al timoniere di impostare la rotta a 300° e dunque era convinto che la nave in quel momento si trovasse sulla rotta di 334°, ignorando che l'A. gli aveva consegnato la nave quando era già fuori rotta di 35-36 gradi.
Il terzo travisamento attiene all'affermazione, puramente ipotetica, dei giudici di merito che F.S. quando assunse il comando si trovasse davanti al radar, circostanza smentita dal fatto che alle ore 21:35:52 egli aveva chiesto all'A. la velocità ed il primo ufficiale gli aveva risposto 15,4 nodi, domanda non necessaria in quanto il dato era leggibile sulla schermata del radar e dunque dimostra che egli non era in quel momento davanti al monitor.
Quarto e quinto travisamento attengono alla posizione della nave prima del Way Point, avanzata di due miglia marine rispetto all'indicato 0,1 miglio, e della rotta effettiva, che non gli era stata comunicata.
Sotto altro profilo, la Corte fiorentina aveva sottovalutato l'apporto causale delle condotte degli altri ufficiali presenti, in particolare della condotta dell'A. che aveva portato la nave fuori rotta, impedendo a F.S. la prevedibilità ed evitabilità dell'evento.
Del pari erano stati sottovalutati i gravi e numerosi errori del timoniere nel ritardare l'esecuzione dei comandi - attribuiti in sentenza all'isteresi del timone ed alla eccessiva rapidità con la quale erano stati impartiti gli ordini - e che avevano inciso nella produzione deterministica quali fattori sopravvenuti di per sé idonei a determinare gli eventi.
Neppure erano stati presi in considerazione ì rilievi formulati nell'atto di appello che gli ordini impartiti da F.S., se eseguiti, avrebbero impedito l'evento; era stato omesso l'esame della memoria difensiva depositata il 19 maggio 2016 nella quale era stato documentato che allo F.S. era stata consegnata una nave già irrimediabilmente fuori rotta; infine, nell'analisi del determinismo causale, non si era tenuto conto delle omissioni degli ufficiali e del timoniere che avevano reso irrilevanti i profili di colpa generica in cui era incorso per leggerezza il comandante nella manovra dell' "inchino", data la correttezza degli ordini impartiti.
10.4. Con il quarto motivo, sempre riferito al naufragio, si denunciano: a) Violazione dell'art.603, comma 5 e art.6 Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, con esplicito riferimento all'art.111 della Costituzione: l'omessa emissione, nel contraddittorio delle parti, di un'ordinanza reiettiva della richiesta di procedere a nuovo esame dei periti, ha illegittimamente sacrificato il diritto di difesa dello F.S.; b) Violazione dell'art.606 comma 1 lett.d) con riferimento all'art.603 cod. proc. pen.; mancata assunzione di prove decisive, per non avere la Corte di merito disposto la rinnovazione per esaminare i periti sulle emergenze, ignote all'epoca del conferimento dei quesiti, diniego affidato a motivazione meramente apparente; mancanza di adeguata motivazione sulle ragioni per le quali non venne disposta una nuova perizia.
Il diritto alla difesa di F.S. era stato irrimediabilmente sacrificato per avere la Corte disatteso - con motivazione meramente apparente e comunque inadeguata - la richiesta di procedere ad un nuovo esame dei periti per rispondere ad una serie di dettagliati quesiti, indicati nell'atto di appello, che non erano mai stati proposti perché non erano stati ancora prelevati dalla scatola nera gli ordini impartiti da F.S., e l'ulteriore richiesta di disporre una nuova perizia collegiale per procedere ad una simulazione con l'impiego di un'unità navale avente le medesime caratteristiche costruttive della Concordia. Di qui la necessità di un supplemento istruttorio in tal senso, per valutare anche l'incidenza nella causazione dell'evento delle condotte dell'A. e del timoniere.
10.5. Con il quinto motivo, nuovamente riferito al naufragio, si lamenta violazione dell'art.606, comma 1, lett. b) ed e), in relazione agli artt.61 n.3), 121, 178 comma 1 lett. c), 179, 180 cod. proc. pen., 24 e 111 della Costituzione, per avere la Corte d'Appello di Firenze, in relazione alla ritenuta circostanza aggravante della colpa cosciente o con previsione dell'evento: a) omesso totalmente di valutare la memoria difensiva, ritualmente depositata all'udienza del 20 maggio 2016, così, oltre a violare alle regole che presiedono alla motivazione della sentenza, determinando una nullità di ordine generale prevista dall'art.178 lett. c), in conseguenza della lesione del diritto di intervento e assistenza difensiva dell'imputato; b) omesso di indicare gli elementi di prova della sussistenza della ritenuta circostanza aggravante. Si denuncia inoltre omessa motivazione e violazione del principio "in dubio prò reo" e del primo comma dell'art.533 cod. proc. pen.
La Corte di Firenze, dopo aver dato atto del deposito di una memoria difensiva, non ne ha analizzato il contenuto e non ha offerto una risposta motivata alle deduzioni della difesa sul punto della ritenuta aggravante della colpa cosciente, deduzioni basate su circostanze che, se correttamente e compiutamente valutate, sarebbero state idonee ad incidere sun'attribuibilità all'imputato dell'aggravante in esame. Infatti, posta in primo luogo la mancata dimostrazione che il comandante intendesse seguire una rotta diversa rispetto a quella tracciata dal S.C., i colloqui registrati, nel periodo antecedente e successivo all'impatto - valorizzati dai giudici di merito e contestati dall'appellante, che riporta in ricorso il contenuto della citata memoria difensiva - non fornivano alcuna prova dell'esistenza dei presupposti costitutivi della previsione dell'evento e dunque, con riferimento al naufragio, poteva al più parlarsi di una colpa semplice dovuta a leggerezza o incoscienza.
La sentenza va annullata pertanto sul punto per vizio di motivazione ovvero, solo in subordine, per consentire l'applicazione ai reati colposi dell'istituto della continuazione, possibile secondo la giurisprudenza di legittimità quando si agisca con previsione dell'evento.
10.6. Con il sesto motivo, relativo alla gestione dell'emergenza e ai plurimi delitti colposi di omicidio e lesioni, si denuncia vizio di motivazione sindacabile ex art. 606, comma 1 lett. e), in relazione all'art. 546 lett. e) cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 40, 41, 42 e 43 cod. pen.: a) per essersi il giudice del gravame, dopo aver riassunto-ricopiato, peraltro travisandoli, i motivi di appello specificamente proposti, limitato a richiamare la contestata motivazione del giudice di primo grado in termini meramente ripetitivi, sebbene le soluzioni adottate dal Tribunale fossero state oggetto di specifiche censure. L'omessa risposta alle singole doglianze ha, così, privato di ogni concreto contenuto il secondo controllo giurisdizionale; b) per avere la Corte, disapplicando il principio costituzionale di colpevolezza, con un illegittimo automatismo a danno del ricorrente, attesa la sua posizione di garanzia, ritenuta sussistente una sua responsabilità oggettiva limitandosi a ricopiare la motivazione del primo giudice in ordine alla violazione delle singole regole cautelari e totalmente omettendo di motivare in ordine alle circostanze che avrebbero permesso di affermare che l'evento rappresentava la concretizzazione del rischio che le regole presuntivamente violate miravano a prevenire.
Tutta la motivazione relativa alle imputazioni di omicidi colposi e lesioni colpose plurimi manca di rispondere alle censure prospettate con l'atto di appello, in particolare sotto il profilo della sussistenza dell'elemento psicologico.
Con riferimento al rimprovero di aver omesso e poi ritardato eccessivamente di emettere il segnale di emergenza generale, é stata travisata la telefonata intercorsa alle 21:52 con l'ufficiale di macchina P. circa l'allagamento del quadro elettrico, in quanto dalla trascrizione della conversazione registrata risultava invece che P. aveva comunicato notizie imprecise e confuse, che non avevano messo il comandante in condizione di avere un quadro reale della gravità della situazione, con riferimento particolare all'avvenuto allagamento di ben tre compartimenti.
Nonostante le puntuali argomentazioni difensive circa il disposto normativo che obbliga il comandante alla esatta conoscenza della compartimentazione della nave, ma non della ubicazione delle utenze (quadro elettrico) in relazione ai compartimenti, la Corte aveva poi omesso ogni motivazione, così come aveva omesso di valutare l'osservazione difensiva relativa al fatto che nel Damage Control Pian, approvato dal registro Navale Italiano, non era illustrata la collocazione del quadro elettrico.
Sempre dalla conversazione con il P. era emersa la possibilità di azionare una pompa di emergenza, altro elemento che non poteva che avvalorare l'ipotesi di uno squarcio laterale alto (e non sotto la linea di galleggiamento) con una rientrata d'acqua non dirompente, mentre da altre trascrizioni della scatola nera si riscontravano comunicazioni incerte circa il numero dei compartimenti allagati.
Quanto alla ritenuta rilevanza causale della mancata nomina dello Ship Crìsis Coordinator, la Corte aveva ignorato la deduzione della difesa secondo cui la nomina di un delegato alle comunicazioni con la società armatrice era solo una possibilità concessa al comandante, che F.S. aveva preferito non esercitare mantenendo colloqui diretti con il R.F..
Era poi errata l'affermazione che alle ore 21:50 o al massimo alle 22:00 il comandante avesse già chiaramente rappresentata l'emergenza, in quanto fino alle ore 22:06 nelle comunicazioni con l'ufficiale I., presente in macchina, si parlava di due compartimenti allagati e della tenuta delle porte stagne. Solo alle 22:10:55 il comandante aveva ricevuto notizia anche dell'allagamento del compartimento 6, circostanza che comprometteva la stabilità della nave e suggeriva la necessità di dichiarare l'emergenza generale. In ogni caso, l'imputato aveva documentato, attraverso le esercitazioni antifalla svolte utilizzando il computer NAPA, che aveva acquisito conferma del fatto che la Concordia fosse in grado di galleggiare con tre compartimenti allagati, come ribadito anche dall'Ing. Dario Bruni del RINA, che aveva dichiarato in dibattimento che, in base alle sue conoscenze tecniche, l'allagamento di tre compartimenti consentiva comunque alla nave di galleggiare. Stesso convincimento era stato espresso dagli ufficiali presenti in plancia di comando, ivi compreso il K2 (ossia il comandante in seconda) BO. ed il primo ufficiale Di Lena. La Corte aveva invece tenuto conto che la nave era stata progettata per resistere all'allagamento di due qualsiasi compartimenti contigui (convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare SOLAS) e che il certificato della dichiarazione RINA attestava parimenti che l'allagamento di tre compartimenti contigui faceva venir meno la galleggiabilità della nave.
La Corte aveva poi argomentato sul ritardo nell'ammaino delle scialuppe e sul ritardo del segnale di emergenza generale, senza considerare che il comandante aveva evitato l'affondamento della nave, assecondandone lo scarrocciamento fino ad incagliarsi sugli scogli della Gabbianara, di basso fondale e vicini a terra, e che una volta diramato il segnale di emergenza, attivando il Ruolo di Appello, soltanto il marinaio R.B. aveva raggiunto la scialuppa 6 a lui assegnata, mentre gli ufficiali A. e S.C. ed il marinaio G.H.E., non si erano presentati alle imbarcazioni di salvataggio loro assegnate.
Il vizio di motivazione é evidente: il rapporto di causalità con gli eventi mortali andava individuato nel naufragio, nell'urto, come già detto non ascrivibile a F.S. ma agli altri ufficiali e al timoniere; l'emergenza che ne era seguita era stata gestita con ordini corretti poiché il comandante aveva tentato fino all'ultimo di salvare la nave, in osservanza della regola per la quale la nave é la migliore scialuppa di salvataggio dei trasportati; l'ordine di emergenza generale e di abbandono nave erano stati effettivamente ritardati, ma solo perché il comandante aveva nutrito la ragionevole speranza di non essere costretto a farlo; avviare le procedure di emergenza generale con la nave ancora a 800 metri dalla costa e tre compartimenti allagati, avrebbe comportato il serio e concreto pericolo di affondamento, con una perdita ancor più elevata di vite umane.
Solo le 32 persone che erano rimaste bloccate sul lato di sinistra e non avevano potuto imbarcarsi sulle scialuppe avevano trovato la morte, e ciò a causa del mancato ammaino delle tre lance, ma tali eventi non erano legati da alcun nesso di causalità con le condotte colpose ascritte all'imputato.
Il ricorrente lamenta poi, sempre nell'ambito di questo sesto motivo, che la Corte fiorentina avrebbe disapplicato il principio costituzionale di colpevolezza, ricorrendo ad una sorta di illegittimo automatismo a danno dell'imputato, attesa la sua posizione di garanzia, e ritenendo sussistente una sua responsabilità oggettiva, totalmente omettendo di motivare in ordine alle circostanze che avrebbero permesso di affermare che l'evento rappresentava la concretizzazione del rischio che le regole cautelari presuntivamente violate miravano a prevenire. Nella motivazione si evidenziava invece una culpa in re ipsa, disancorata da ogni accertamento concreto, e si ometteva di offrire un ragionamento adeguato e logicamente coerente, idoneo a dimostrare che se l'azione doverosa omessa fosse stata realizzata si sarebbe impedita la verificazione dell'evento. 
10.7. Con il settimo motivo, riguardante i reati di abbandono, si denunciano: a) Travisamento per omessa motivazione su circostanze determinanti che consentivano di escludere che il comandante avesse abbandonato la nave essendo consapevole che a bordo c'erano ancora persone; b) Violazione dell'art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 1 e 54 cod. pen., 25, comma 2, della Costituzione, 1097 del codice della navigazione. Non esiste il reato di mancato ritorno sulla nave; c) Motivazione apparente che distorce, snatura e stravolge, gli elementi di fatto cui fa riferimento quando in sentenza si afferma che il comandante avesse abbandonato la nave consapevole che a bordo c'erano ancora persone; d) Omessa motivazione sull'elemento soggettivo dei reati di abbandono.
La Corte d'Appello, conformemente al Tribunale, ha affermato che la prova della responsabilità per i reati di abbandono risiedeva sulla circostanza che F.S. aveva lasciato materialmente la Concordia salendo sul tetto della scialuppa prima di alcuni membri dell'equipaggio, che in quel momento era consapevole della presenza di altre persone a bordo, e che era sua intenzione abbandonare definitivamente la nave. Non aveva invece considerato quanto esposto dalla difesa nei motivi di appello, e dimostrato con richiamo a puntuali riscontri probatori, e precisamente: che F.S. era saltato a bordo della scialuppa pochi istanti prima che la nave si rovesciasse assumendo la posizione finale, ed aveva sbloccato la scialuppa che si era potuta allontanare salvando la vita delle persone a bordo; che aveva agito ricorrendo l'ipotesi del soccorso di necessità, per salvare non se stesso ma terze persone esposte ad un pericolo attuale ed imminente; che era ignaro che sul lato sinistro della Concordia vi fossero ancora persone; che era sua intenzione risalire a bordo e per questo aveva richiamato l'attenzione di un gommoncino che in quel momento era spuntato da dietro alla poppa del relitto, ma non era riuscito per il rischio di affondamento di tale mezzo; che gli ordini del Capitano G.DF. che gli intimava di risalire a bordo erano ineseguibili e sbagliati, dato che la nave era ormai inclinata di 90°, fino a quando poi gli aveva intimato di non abbandonare la sua posizione attuale.
Nella pronuncia di condanna per il reato di abbandono la Corte aveva poi violato il principio di legalità in quanto, posta la necessità di salire sulla scialuppa prima che la nave si capovolgesse, la condotta materiale di abbandono é stata intesa come "mancato ritorno sulla nave". Il fatto di non essere risalito a bordo, dimostrava cioè, per i giudici di merito, che quando il comandante era saltato sulla scialuppa aveva già l'intenzione di non risalire più a bordo. E' stata quindi individuata una condotta di reato diversa da quella disciplina incriminatrice. Il dato processuale era stato poi travisato e letto in maniera incompleta e deformata, non idoneo a confutare il dato certo che la discesa di F.S. sulla scialuppa doveva essere momentanea, che egli aveva fatto di tutto per risalire a bordo, che era ignaro che vi fossero ancora persone da sbarcare.
Nulla si argomenta poi sull'elemento soggettivo del reato di abbandono, poiché se la Corte si sofferma sul dato rappresentativo della presenza di persone a bordo, non affronta poi il tema del dato volitivo dell'agente. Vi sarebbe stato quindi un appiattimento della sentenza sul solo momento rappresentativo del dolo, dunque un'indagine del profilo soggettivo affatto esaustiva, mancando qualsiasi confronto con la questione, altrettanto decisiva, relativa alla prospettiva della volizione dell'agente, quasi che la stessa non assumesse carattere dirimente ai fini della configurazione del delitto in esame.
10.8. Con l'ottavo motivo si lamenta violazione dell'art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per avere la Corte d'Appello di Firenze, illegittimamente, ritenuto sussistenti in capo al ricorrente le circostanze aggravanti della violazione della normativa antinfortunistica e dell'avere, nell'esercizio delle sue funzioni, determinato a commettere il reato persone a lui soggette, con riferimento al capo b) della rubrica.
Nei motivi di appello la difesa aveva evidenziato che ai sensi dell'art.5, comma 2, del decreto legislativo 27 luglio 1999, n.271, le misure relative alla prevenzione degli infortuni, all'igiene e alla sicurezza a bordo, sono a carico dell'armatore e che l'armatore ed il comandante della nave, nell'ambito delle rispettive competenze, sono obbligati (ai sensi del comma 5 del citato articolo), a designare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei lavoratori marittimi. Nel caso di specie, tale nomina era stata effettuata nella persona del K2, circostanza che esonerava il comandante F.S. da qualsiasi responsabilità in materia di sicurezza e prevenzione.
La Corte di Firenze, incorrendo in un eclatante vizio di motivazione, aveva richiamato l'art. 7, lett. e) del citato decreto, che pone a carico del comandante un preciso obbligo, nel caso di incidente idoneo a esporre a rischio la salute e la sicurezza dei lavoratori, di adottare idonee misure volte sia a risolvere la causa dell'evento negativo, sia a limitare al minimo i rischi per i lavoratori. Aveva quindi ritenuto l'imputato responsabile di plurime violazioni di tale norma, per aver omesso di inviare il segnale per falla a bordo, tenendo così all'oscuro il resto dell'equipaggio sulla causa della situazione di crisi e, quindi, ritardato la chiamata dell'emergenza generale, prima, e l'autorizzazione all'abbandono nave,
poi, esponendo così tutti i membri dell'equipaggio, oltre ovviamente i passeggeri, a gravi rischi per la propria sicurezza personale. Quanto alla nomina del K2 a responsabile per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, aveva ritenuto che tale nomina non esonerasse il comandante della nave dalla responsabilità di adottare, in caso di incidente, ogni misura atta a rimuovere l'evento negativo e, comunque, a ridurre al minimo i rischi per i lavoratori, dato che la funzione del responsabile era di mero ausilio tecnico, diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro, o chi lo rappresenta, nella individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti.
Il ricorrente lamenta l'inconferenza del richiamo all'art.7 lett. e) del decreto n.271/1999 e la illogicità della motivazione sul punto.
Altro profilo di illogicità della motivazione viene evidenziato con riferimento all'aggravante di cui all'art.112, comma 1 n. 3 , cod. pen. - contestata in relazione al reato sub b) - in quanto era stato F.S. a ricevere informazioni errate dai suoi sottoposti. La Corte invece, oltre a ritenere non veritiera e priva di fondamento probatorio detta affermazione difensiva, aveva comunque rilevato che la corresponsabilità degli ufficiali subordinati per tali condotte illecite, in quanto gli ordini del loro superiore erano manifestamente illeciti, non escludeva la sussistenza dell'aggravante in questione, essendo la condotta ampiamente provata ed avendo essi agito sotto il condizionamento psicologico, derivante dalla situazione di subalternità rispetto al loro comandante che tali condotte chiedeva di porre in essere.
Gli accertati illeciti degli ufficiali subordinati avrebbero dovuto invece portare ad escludere la responsabilità del comandante.
10.9. Con il nono motivo di ricorso si denuncia violazione dell'art.606, comma 1 lett. c) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt.62 n.6, 62 bis, 133 cod. pen. e 27, comma 2, Cost. per avere la Corte d'Appello di Firenze omesso di motivare in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, invocate dalla difesa del ricorrente nel decimo motivo di gravame. Violazione di legge, violazione del principio costituzionale della funzione rieducativa della pena, omessa motivazione.
Nei motivi di appello il ricorrente aveva sottoposto all'attenzione della Corte, a sostegno della richiesta di concessione delle attenuanti generiche, i seguenti elementi di valutazione positiva: la condotta pienamente collaborativa tenuta con gli inquirenti sin dalle prime fasi delle indagini preliminari; il corretto comportamento processuale; la condotta, contemporanea e successiva al reato, essendosi adoperato per salvare vite umane, integrante anche la circostanza attenuante specifica dell'art.62 n.6) cod. pen.; l'incensuratezza; l'ineccepibile condotta di vita, tenuta prima dei fatti di causa, trattandosi di soggetto che, proprio in ragione della sua encomiabile carriera marinara, era approdato al Comando della Costa Concordia; l'assoluta eccezionalità della cornice di eventi in cui si iscrivono le condotte - comunque colpose - ascritte all'imputato, anche alla luce della totale solitudine, connessa alla scarsa ed inefficiente collaborazione ricevuta dagli altri membri dell'equipaggio, in cui l'imputato si trovò a fronteggiare una gigantesca emergenza.
La Corte di Firenze, con mere formule di stile, riteneva invece: che lo stato di incensuratezza non poteva giustificare, di per sé, la concessione delle attenuanti generiche, a seguito della modifica normativa apportata all'art.62 bis, comma 3, cod. pen.; che l'encomiabile carriera marinara non aveva attinenza e non poteva giustificare una riduzione di pena in rapporto con quanto accaduto nella vicenda in questione; che il complessivo comportamento processuale non era stato improntato al fondamentale principio di lealtà, per avere l'imputato contestato le diverse circostanze anche contro ogni dato oggettivo, al fine di sminuire quanto inizialmente dichiarato davanti al G.I.P.; che il grado di colpa che aveva connotato il naufragio era stato di grado elevato, e solo in minima parte ridotto in ragione della concorrente responsabilità di terzi, per le modalità della condotta, la molteplicità delle norme cautelari infrante ed i motivi vacui per i quali la nave, con oltre 4000 persone a bordo, tra passeggeri e membri dell'equipaggio, era stata, per esclusiva decisione dell'imputato, condotta in quelle condizioni di estremo pericolo, fino a giungere a conseguenze disastrose; che non poteva essere concessa l'attenuante del ravvedimento operoso e neppure positivamente valutato l'intervento risolutore di F.S. nell'aver sbloccato la scialuppa di salvataggio, che altrimenti sarebbe stata schiacciata dal peso della nave, poiché egli era salito prima di altri sulla detta scialuppa e dato indicazioni al pilota su come allontanarsi dalla nave; che neppure erano ravvisabili "meriti" nell'aver deciso di non ancorare a largo per procedere immediatamente alle operazioni di evacuazione, ma di attendere che la nave si arenasse sul basso fondale in conseguenza dello scarrocciamento verso la costa.
In tal modo la Corte di Appello, secondo gli assunti difensivi, non aveva attribuito il reale valore alle condotte del ricorrente, sia prima che dopo il naufragio.
10.10. I motivi nuovi depositati dai difensori contengono un allegato parere prò ventate del prof. G.M.F. e in parte puntualizzano alcune censure già prospettate con il ricorso principale e, sotto altro spetto, contestano le ragioni di ricorso del P.G.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, si insiste sull'eccezione di nullità ex art.178 lett. a) cod. proc. pen. sia perché il processo é stato trattato dalla Sezione Prima penale e non dalla Sezione Terza penale della Corte di merito, tabellarmente competente in materia, sia perché é stato costituito un collegio ad hoc. Sul punto la difesa lamenta che il Presidente della Corte d'Appello di Firenze ha rigettato tutte le richieste volte ad ottenere la composizione dei collegi per il periodo di interesse e che solo dopo il deposito del ricorso per cassazione é stata fornita copia conforme delle tabelle per il triennio 2014-2016.
Con riferimento al quinto motivo di ricorso, si espongono i principi in materia di colpa con previsione dell'evento e si contesta quanto argomentato in sentenza sulla responsabilità colposa aggravata per il naufragio.
Con riferimento al primo motivo di ricorso del P.G., volto all'annullamento della sentenza laddove esclude la colpa cosciente in relazione ai delitti di lesioni e omicidio plurimi, si esclude che gli indici sintomatici indicati dal P.G. siano indicativi di una previsione dell'evento, risolvendosi essenzialmente in affermazioni oggetto di captazione e dichiarazioni post factum del Comandante. In nessun caso si rispetta quanto indicato da dottrina e giurisprudenza in merito alla struttura della colpa con previsione, la quale richiede che l'autore metta in connessione causale la consapevole trasgressione delle regole di cautela con la previsione effettiva dell'evento.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso del P.G. se ne rileva l'inammissibilità.
Con riferimento al sesto e settimo motivo di ricorso dell'imputato, si deposita un cd, asseritamente dimostrativo dei travisamenti della prova denunciati come vizio motivazionale.
10.11. Con memoria in data 4 aprile l'imputato svolge considerazioni integrative del ricorso presentato dai suoi difensori.
In particolare argomenta:
-sulla composizione del Collegio che ha celebrato il processo d'appello;
-sulle modalità con cui é stata contestata l'accusa di naufragio colposo: il numero delle condotte indicate dal P.M. ha impedito una valida difesa, mancando una indicazione chiara e precisa del fatto per il quale l'imputato é stato poi condannato;
-sull'accertamento del nesso di causalità, evidenziando che sono state contestate condotte sia commissive che omissive;
-sull'elisione del nesso di causalità tra condotta dell'imputato ed evento, dovuto alle condotte di altri soggetti, cioè a fattori eccezionali e non prevedibili da soli idonei a determinare il naufragio (cambiamento di rotta rispetto a quella segnata dal cartografo S.C.);
-sull'affidamento da parte del Comandante che ogni membro dell'equipaggio rispetti gli ordini impartiti, in virtù del rapporto rigorosamente gerarchico e la molteplicità dei ruoli ricoperti da ciascuno;
-sulla ritenuta aggravante della colpa cosciente in relazione al naufragio;
-sul trattamento sanzionatorio.
10.12. Con successiva memoria in data 14 aprile l'imputato rileva che sin dall'udienza preliminare la difesa aveva richiesto un approfondimento peritale circa la reale tenuta delle porte stagne, attesa l'enorme incidenza causale negli omicidi colposi (allegate le richieste). Era stata comunque richiesta la riconvocazione dei periti d'ufficio, in contraddittorio con i consulenti di parte, su una serie di punti. La Corte d'Appello ha ritenuto superfluo tale approfondimento istruttorio ritenendo che i quesiti proposti avessero già trovato risposta. Insiste quindi per un annullamento con rinvio per tutti gli accertamenti indispensabili e necessari ai fini della verifica delle disfunzioni relative alla tenuta delle porte stagne che potrebbero aver da sole determinato gli eventi mortali.
10.13. Per tutti gli esposti motivi il ricorrente chiede l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza, per un nuovo giudizio da parte di altra sezione della Corte d'Appello di Firenze, tabellarmente competente, in accoglimento del primo motivo, ovvero, in subordine, secondo le censure, anche di natura processuale, avanzate nelle singole ragioni di gravame.
 

 

LA MEMORIA DELLA PARTE CIVILE INAIL
11. Con memoria depositata in atti, l'INAIL osserva, quale parte civile, che tutti i motivi di ricorso si rivelano inammissibili o, in subordine, infondati, trattandosi di censure non consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la rivalutazione del fatto, nonché l'apprezzamento del materiale probatorio utilizzato dalla Corte di Appello.
Ripercorre quindi il contenuto della impugnata sentenza, relativamente alle condotte ed ai profili di colpa ascritti all'imputato per il naufragio e quindi per la gestione dell'emergenza e per i delitti di omicidio colposo e lesioni personali colpose, soffermandosi da ultimo sul trattamento sanzionatorio.
Conclude per il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza d'appello.

 


L'ISTANZA AVANZATA DALL'AVV. SENESE ALL'UDIENZA DEL 20 APRILE 2017 E LA DECISIONE DELLA CORTE SUL PUNTO.
12. Alla udienza del 20 aprile 2017, dopo le relazioni riassuntive della sentenza impugnata, del contenuto dei ricorsi e delle memorie di parte, sono state rassegnate le conclusioni dal Procuratore Generale, dalle parti civili presenti e dall'Avv. Laino.
Il difensore Avv. Senese, prima di rassegnare le proprie conclusioni, ha chiesto di poter visionare in udienza il CD allegato alla memoria integrativa: il Procuratore Generale si é opposto e sul punto la Corte si é riservata, rinviando in prosieguo al 12 maggio.
All'odierna udienza l'Avv. Senese si é opposto a che venisse data la parola alle parti civili in merito a tale richiesta.
Il Collegio si é riservato ed ha pronunciato ordinanza di rigetto dell'opposizione, dandone lettura in udienza, rilevando: che la richiesta di visionare il supporto informatico nel corso della discussione orale era stata formulata per la prima volta dall'Avv. Senese, dopo l'intervento del codifensore Avv. Laino, successivamente alle conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale e dalle parti civili presenti; che sulla stessa era stato acquisito il parere del Procuratore Generale; che pertanto andava assicurato il contraddittorio anche per le parti civili presenti in udienza.
A seguito del pieno contraddittorio tra le parti al riguardo, di cui a verbale, la Corte ha rigettato l'istanza proposta dall'avv. Senese come da ordinanza letta in udienza.
Dopo la lettura di detta ordinanza, la discussione é stata ultimata con l'intervento e le conclusioni dell'avv. Senese.
Indi la Corte si é ritirata in camera di consiglio per deliberare.
Mette poi conto sottolineare, per completezza espositiva, che, con ordinanza in data 28 giugno 2017, si é provveduto alla correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo letto in udienza, su istanza delle parti civili  P.C. E C.I. , in ordine alla liquidazione delle spese in loro favore.
In tale provvedimento si é rilevato che le dette parti civili erano assistite da due diversi difensori, con conseguente diritto di ciascuna ad un'autonoma liquidazione del compenso, mentre nel dispositivo era stato liquidato un unico compenso come se vi fosse stato un unico difensore ad assistere entrambe.
Di qui la correzione dell'errore materiale nel senso che il compenso liquidato in complessivi euro 3.000,00 in favore di P.C. E C.I. (dato dal compenso base di euro 2.500,00 maggiorato del 20% ex art.12, comma 2, del D.M. 10 marzo 2014, n.55) va modificato nel senso di due autonome liquidazioni di euro 2.500,00 ciascuna.
 

 

Diritto

 


1. Va preliminarmente dato atto del contenuto dell'ordinanza di rigetto della richiesta dell'Avv. Senese volta alla visione del CD allegato ai motivi in data 4 aprile 2017, di cui si é fatto cenno in narrativa, e che si ritiene opportuno riportare integralmente qui di seguito:
« Con memoria in data 4 aprile 2017, contenente motivi aggiunti, i difensori di F.S., con riferimento al sesto e settimo motivo di ricorso, hanno depositato un CD "contenente la prova documentale e filmica (trattasi di immagini tutte presenti nel fascicolo processuale, ed estrapolate dal CD depositato dai pubblici ministeri che fu proiettato in aula all'udienza del 3 dicembre 2014) dei denunciati travisamenti per omessa motivazione sulla rilevanza di dette prove e delle omissioni, in tema di violazione del diritto all'acquisizione di prove determinanti ed inconciliabili con il percorso giustificativo della decisione, nei quali sono incorsi i giudici del fatto con specifico riferimento ai reati di abbandono nave nonché degli omicidi colposi plurimi aggravati" (così si legge testualmente in detta memoria).
Alla scorsa udienza, dopo l'intervento dell'avv. Laino, l'Avv. Senese, altro difensore dello F.S., ha avanzato richiesta di visionare il contenuto di tale CD; nel proporre l'istanza, e nell'insistere nel suo accoglimento, la difesa dello F.S. ha precisato che la produzione di detto CD sarebbe riconducibile al denunciato vizio di travisamento della prova e che si tratterebbe comunque di "...immagini tutte presenti nel fascicolo processuale, ed estrapolate dal CD depositato dai pubblici ministeri che fu proiettato in aula all'udienza del 3 dicembre 2014..." (pag. 14 della memoria).
La richiesta difensiva, quale sopra precisata, é volta ad ottenere dunque la videoproiezione nell'aula di udienza di un supporto in formato CD, allegato ai motivi nuovi di ricorso - rassegnati, come detto, in data 4 aprile 2017 - che, in base a quanto si evince dallo stesso testo dei motivi nuovi, é stato realizzato estrapolando immagini da un cd depositato dai pubblici ministeri e visionato in aula nel corso del giudizio di merito, e non risulta aver formato oggetto di acquisizione agli atti nel corso del giudizio di merito.
L'istanza in esame non può trovare accoglimento per le ragioni di seguito indicate.
Bisogna muovere innanzi tutto dalla formulazione delle norme che dettano le regole generali concernenti il giudizio di cassazione, ed in particolare: l'art. 609 cod. proc. pen., che limita la cognizione della Corte di Cassazione ai "motivi proposti"; l'art. 614 doc. proc. pen., in cui sono specificamente elencate le formalità e le cadenze di svolgimento dell'udienza: orbene, dalla lettura di tali disposizioni si rileva agevolmente come in sede di scrutinio di legittimità non vi sia alcuno spazio per l'assunzione di fonti di prova da parte del Collegio giudicante.
Con l'istanza in esame la difesa dell'imputato non chiede a questa Corte di valutare l'adeguatezza, la congruità e la logicità della motivazione del giudice di merito circa un apprezzamento probatorio espresso da detto giudice in ordine ad atti precisamente indicati ed esistenti nel processo, ma di valutare il contenuto di un supporto informatico, previa diretta visione dello stesso, realizzato a fini difensivi ma non sottoposto all'esame dei giudici di merito (i quali presero visione del diverso CD depositato dai pubblici ministeri): così chiedendo, in sostanza, a questa Corte di disporre una sorta di rinnovazione parziale dell'istruttoria dibattimentale, invece del tutto estranea al giudizio di legittimità (trattandosi di facoltà riservata al [solo] giudice dell'appello ex. art. 603 cod. proc. pen.).
Dunque, la visione in questa sede del CD in argomento snaturerebbe il giudizio di cassazione posto che determinerebbe un contatto immediato tra la Corte di cassazione ed un accertamento in fatto (praticamente, una valutazione probatoria direttamente in sede di legittimità); al riguardo, deve invero ribadirsi anche in questa occasione che "il giudice di legittimità non può conoscere del contenuto degli atti processuali per verificarne l'adeguatezza dell'apprezzamento probatorio, perché ciò, dopo due gradi di merito, é estraneo alla sua cognizione: sono pertanto irrilevanti, perché non possono essere oggetto di alcuna valutazione, tutte le deduzioni che introducano direttamente nel ricorso parti di contenuto probatorio, tanto più se articolate, in concreto ponendo direttamente la Corte di cassazione in contatto con i temi probatori e il materiale loro pertinente al fine di ottenerne un apprezzamento diverso da quello dei giudici del merito e conforme a quello invece prospettato dalla parte ricorrente" (in termini: Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015 Cc. - dep. 24/03/2015). Secondo un principio di carattere generale - che scaturisce proprio dalle peculiarità del giudizio di cassazione - é cioè indispensabile una precedente esaustiva sollecitazione, al Giudice del secondo grado, di uno specifico apprezzamento di merito volto all'accertamento delle situazioni e degli aspetti in fatto che costituiscono il necessario presupposto su cui basare poi le doglianze di legittimità. Trattasi di dictum ancora riaffermato in una recente decisione di questa Corte laddove é stato condivisibilmente precisato che la mancata tempestiva deduzione in sede di merito di uno specifico apprezzamento probatorio non può essere superata neppure strumentalizzando in qualche modo l'adempimento dell'onere di autosufficienza del ricorso: "...questo, in altri termini, non può essere utilizzato per introdurre nel processo di legittimità aspetti in fatto, pur pertinenti ma che avrebbero dovuto essere proposti ai Giudici del merito (eventualmente poi dolendosi, in relazione ad essi, delle loro risposte mancate o viziate ai sensi della lett. E dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1)" [così, testualmente, Sez. 6, n. 12645 del 2015].
Mette conto sottolineare, ad abundantiam - con riferimento alla produzione di documenti in genere - che nella giurisprudenza di questa Corte é stato più volte precisato come la specificità del giudizio di legittimità comporti che nell'ambito dello stesso non possano essere prodotti nuovi documenti attinenti al merito della regiudicanda, ad eccezione di quelli che l'interessato non sia stato in condizione di esibire nei precedenti gradi di giudizio e dai quali può derivare l'applicazione dello ius superveniens, di cause estintive o di disposizioni più favorevoli, dal momento che la Corte di cassazione non può mai procedere ad un esame degli atti, ma solo alla valutazione circa la esistenza della motivazione e della sua logicità (ex plurimis: Sez. 3, n. 27417 del 01/04/2014, C, Rv. 259188; Sez. 5, n. 45139 del 23/04/2013, Rv. 257541); principio affermato anche in relazione alla possibilità di svolgere indagini difensive ai sensi della legge n. 397/2000: "non é ammissibile nel giudizio di legittimità, anche dopo l'entrata in vigore della legge 7 dicembre 2000, n.397, la produzione di nuovi documenti attinenti al merito della contestazione e all'applicazione degli istituti sostanziali, non potendosi interpretare come una deroga ai principi generali del procedimento e del giudizio avanti la Corte di cassazione la lettera dell'art. 327 bis, comma 2 cod. proc. pen., nella parte in cui attribuisce al difensore la facoltà di svolgere 'in ogni stato e grado del processo' investigazioni in favore del proprio assistito 'nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI del presente libro' " (in termini: Sez. 3, n. 43307 del 19/10/2001 Ud. - dep. 03/12/2001 - Rv. 220601).
In linea con i principi appena ricordati, é stato altresì ulteriormente precisato che é ammessa la produzione di documenti che l'interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che detti documenti non
costituiscano nuova prova e non comportino un'attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito (cfr. Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, Sanvitale, Rv. 266390).
Nella specie, non si versa in alcuna delle ipotesi eccezionali in cui é consentita la produzione di nuovi documenti in questa sede, atteso che la finalità della produzione del CD (e della conseguente istanza di visionarlo) non é costituita dall'applicazione di disposizioni di favore, ma, come detto, é quella di proporre al Collegio una valutazione di materiale probatorio - un CD, giova ripeterlo, nemmeno sottoposto al vaglio dei giudici di merito - incompatibile con il sindacato di legittimità demandato a questa Corte per quanto sopra argomentato.
Ed é certamente significativa la differenza, in materia di possibilità di produrre "nuovi" documenti nel giudizio di cassazione, che si coglie tra il codice di rito previgente - il cui art. 533 consentiva al difensore (anche) di presentare "nuovi documenti" entro 15 giorni dalla notificazione dell'avviso con il quale il cancelliere comunicava che gli atti erano pervenuti in Cassazione - e quello attualmente in vigore, come sottolineato da Sez. 5, n. 45139 del 23/04/2013 Cc. (Rv. 257541): "nel giudizio di legittimità non é consentita - non essendo riprodotto nel vigente codice di rito il previgente art. 533 - la produzione di nuovi documenti, salvo il caso in cui essa non sia stata possibile nei precedenti gradi di giudizio e concerna documenti non attinenti al merito e dai quali possa derivare l'applicazione dello 'ius superveniens', di cause estintive o di disposizioni più favorevoli".
Conclusivamente, alla stregua di tutte le suesposte considerazioni, l'istanza in argomento non può trovare accoglimento.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta l'istanza e dispone procedersi oltre».
2. Prima di procedere all'esame dei singoli motivi di ricorso del P.G. e dell'imputato, appare opportuno soffermarsi preliminarmente sulla disamina di alcune questioni che sono state sollevate dalle parti ricorrenti e che costituiscono aspetti comuni dei vari motivi.
Ci si riferisce alle problematiche relative alla colpa cosciente, ai profili del vizio della motivazione censurabili in sede di legittimità, in particolare sotto il profilo del travisamento della prova in caso di c.d. "doppia conforme", della possibilità di esaminare motivi in fatto e di procedere a nuova valutazione delle prove, ed ancora ai limiti del sindacato di questa Corte in ordine al trattamento sanzionatorio.
Inoltre, poiché il contenuto dei singoli motivi di ricorso é stato già compiutamente analizzato nella premessa narrativa, a tale esposizione si intende fare riferimento per evitare inutili ripetizioni.
 

 

3. La colpa cosciente
La tematica della colpa cosciente riguarda il primo motivo di ricorso del Procuratore Generale di Firenze, che lamenta la non corretta applicazione, o meglio la disapplicazione, dell'art.61 n.3 cod. pen. in ordine ai reati di omicidio e lesioni plurimi colposi, ed il quinto motivo del ricorso dei difensori dell'imputato, che si dolgono invece, sotto un'opposta prospettazione, della ritenuta aggravante in relazione al delitto di naufragio.
La colpa cosciente o colpa con previsione costituisce il contenuto della circostanza aggravante comune disciplinata dall'art.61 n.3 cod. pen., che prevede un aumento di pena per chi, nei delitti colposi, abbia agito nonostante la previsione dell'evento.
L'esplicazione contenutistica dell'aggravante in esame é frutto, come é noto, dell'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, che si é interrogata ed ha fornito risposte soprattutto in ordine alla linea di confine tra tale elemento soggettivo del reato ed il dolo eventuale.
La questione che interessa questo processo é in realtà diversa: si controverte infatti sul discrimine tra colpa semplice e colpa aggravata, ma é evidente che la soluzione va trovata a monte nella definizione della "previsione dell'evento", cui farà poi seguito l'analisi degli indicati motivi dei ricorsi, analisi che confronterà gli elementi concettuali che si andranno ad esporre in questa sede (sia pur brevemente data la complessità del tema), con gli elementi acquisiti al processo, su cui fondare la decisione.
L'art.42 cod. pen., dopo aver affermato che nessuno può essere punito per un'azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà, dispone che nessuno può essere punito per un delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge.
L'art.43 definisce poi l'elemento psicologico del delitto, precisando che: é doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che é il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, é dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; é colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non é voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
L'avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento integra l'aggravante in esame.
3.1. Tratto comune tra dolo eventuale e colpa cosciente é dunque la previsione dell'evento.
Secondo una risalente pronuncia, questa previsione dell'evento, nel dolo eventuale, si propone non come incerta, ma come concretamente possibile e l'agente nella volizione dell'azione ne accetta il rischio, così che la volontà investe anche l'evento rappresentato. Nella colpa cosciente la verificabilità dell'evento rimane invece un'ipotesi astratta, che nella coscienza dell'autore non viene concepita come concretamente realizzabile e, pertanto, non é in alcun modo voluta (Sez.l, n.832 del 8/11/1995, Rv.203484).
Nelle successive pronunce della giurisprudenza di legittimità si é andata ampliando la nozione di dolo eventuale, nel senso che lo si é ritenuto sussistente ogni qual volta l'agente si rappresenti un evento lesivo quale possibile conseguenza della propria condotta e, ciò nonostante, non si trattenga dall'agire, accettando pertanto il rischio della sua verificazione.
A ciò si é contrapposta la costruzione di una nozione di colpa cosciente più ristretta, per la quale questa sussiste soltanto qualora l'agente, superando la iniziale rappresentazione dell'evento, ne escluda la possibilità di verificazione, giungendo così alla convinzione che questo non si verifichi.
Di qui allora una serie di pronunce significative - e ci si limita alle più recenti - nelle quali si é statuito che la cosiddetta colpa cosciente (aggravata dalla previsione dell'evento) consiste nella rappresentazione dell'evento come possibile risultato della condotta e nella previsione e prospettazione che esso non si verificherà, avendo l'agente il convincimento di poterlo evitare, e si differenzia pertanto dal dolo eventuale, per il fatto che quest'ultimo si risolve invece nell'accettazione del rischio di verificazione di un evento necessariamente specifico ma non direttamente voluto, sia pure rappresentato (Sez.4, n. 11222 del 18/2/2010, Rv.249492; Sez.4, n.39898 del 377/2012, Rv.254673; Sez.4, n.24612 del 10/4/2014, Rv.259239).
3.2. Si é giunti poi alla nota sentenza delle Sezioni Unite 24/4/2014 n.38343 pronunciata sul caso Thyssenkrupp, che ha individuato in modo chiaro l'essenza della colpa cosciente, tracciandone una netta linea di confine con il dolo eventuale.
Le Sezioni Unite partono da una premessa teorica, costituita dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (cui si é prima fatto richiamo) "che ha ravvisato nel dolo eventuale l'accettazione da parte dell'agente della concreta possibilità, intesa in termini di elevata probabilità, di realizzazione dell'evento accessorio allo scopo conseguito in via primaria: l'agente, pur non avendo avuto di mira un determinato accadimento, ha tuttavia agito anche a costo di realizzarlo, sicché lo stesso non può considerarsi non riferibile alla determinazione volitiva. Si versa invece nell'ambito della colpa cosciente, sempre alla stregua di tale giurisprudenza, quando l'agente abbia posto in essere la condotta nonostante la rappresentazione dell'evento, ma ne abbia escluso la possibilità di realizzazione, non volendo né accettando il rischio che quel risultato si verifichi, nella convinzione o nella ragionevole speranza di poterlo evitare. Occorre inoltre nel dolo eventuale una deliberazione con la quale l'agente subordina consapevolmente un determinato bene ad un altro".
Sempre sul confine tra dolo eventuale e colpa cosciente la sentenza prosegue rimarcando alcune "sfumature" nella giurisprudenza.
Ricorda che "in alcune pronunce la linea di demarcazione é individuata nel diverso atteggiamento psicologico dell'agente che, nel primo caso accetta il rischio che si realizzi un evento diverso non direttamente voluto, mentre nel secondo, nonostante l'identità di prospettazione, respinge il rischio, confidando nella propria capacità di controllare l'azione, sicché esso non é voluto e non é accettato per il caso che si verifichi". Si tratta di elementi psicologici che vanno ricostruiti affidandosi agli elementi sintomatici evidenziati dal comportamento del soggetto (Sez.4, n.11024 del 10/10/1996, Rv.207333).
"In altre pronunce, invece, la linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente é più orientata verso il profilo rappresentativo: nel primo la verificazione dell'evento si presenta come una concreta possibilità e l'agente, attraverso la volizione dell'azione, ne accetta il rischio; mentre nell'altra la verificabilità dell'evento rimane un'ipotesi astratta che nella coscienza dell'agente non viene concepita come concretamente realizzabile e pertanto non é in alcun modo voluta" (Sez. l, n.832/1995 cit.; Sez.l, n.4583 del 24/2/1994, Rv.198272).
La sentenza in esame sottolinea quindi la diversità di fondo tra colpevolezza dolosa e colpevolezza colposa e considera dirimente, per la soluzione della questione, l'atteggiamento psichico che indichi una qualche adesione all'evento per il caso che esso si verifichi quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta.
"Nel dolo non può mancare la puntuale, chiara conoscenza di tutti gli elementi del fatto storico propri del modello legale descritto dalla norma incriminatrice. In particolare, le istanze di garanzia in ordine al rimprovero caratteristico della colpevolezza dolosa richiedono che l'evento oggetto della rappresentazione appartenga al mondo del reale, costituisca una prospettiva sufficientemente concreta, sia caratterizzato da un apprezzabile livello di probabilità. Solo con riferimento ad un evento così definito e tratteggiato si può istituire la relazione di adesione interiore che consente di configurare l'imputazione soggettiva. In breve, l'evento deve essere descritto in modo caratterizzante e come tale deve essere oggetto di chiara, lucida rappresentazione; quale presupposto cognitivo perché possa, rispetto ad esso, configurarsi l'atteggiamento di scelta d'azione antigiuridica tipica di tale forma di imputazione soggettiva".
Diversa é la colpevolezza colposa, nella quale il codificatore ha configurato, "accanto all'istanza di prevedibilità dell'evento, implicitamente postulata da tale istituto, anche la situazione di concreta previsione dell'esito antigiuridico che caratterizza la colpa cosciente Per evitare confondimenti con i distinti e già indicati connotati della colpevolezza dolosa occorre partire dalla connessione tra regola cautelare ed evento. L'evento deve costituire concretizzazione del rischio che la cautela era chiamata a governare. Da! punto di vista soggettivo per la configurabilità del rimprovero é sufficiente che tale connessione tra la violazione delle prescrizioni recate dalle norme cautelari e l'evento sia percepibile, riconoscibile dal soggetto chiamato a governare la situazione rischiosa. Nella colpa cosciente si verifica una situazione più definita: la verificazione dell'illecito da prospettiva teorica diviene evenienza concretamente presente nella mente dell'agente; e mostra per così dire in azione l'istanza cautelare. L'agente ha concretamente presente la connessione causale rischiosa; il nesso tra cautela ed evento. L'evento diviene oggetto di una considerazione che disvela tale istanza cautelare, ne fa acquisire consapevolezza soggettiva. Di qui il più grave rimprovero nei confronti di chi, pur consapevole della concreta temperie rischiosa in atto, si astenga dalle condotte doverose volte a presidiare quel rischio. In questa mancanza, in questa trascuratezza, é il nucleo della colpevolezza colposa contrassegnata dalla previsione dell'evento: si é, consapevolmente, entro una situazione rischiosa e per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altra biasimevole ragione ci si astiene dall'agire doverosamente. Tale situazione é tutt'affatto diversa da quella prima delineata a proposito della puntuale conoscenza del fatto quale fondamento del rimprovero doloso, basato, lo si rammenta ancora, sulla positiva adesione all'evento collaterale che, ancor prima che accettato, é chiaramente rappresentato".
3.3. Può quindi affermarsi e concludersi, in questa sede di esame speculativo della questione, che, sebbene accomunati dalla "previsione dell'evento", il dolo eventuale e la colpa cosciente sono figure che si pongono su piani ben distinti della soggettività giuridica: nel dolo eventuale l'agente pone in essere la condotta antidoverosa voluta, non solo nella consapevolezza del rischio della realizzazione di un evento concretamente rientrante nella prevedibilità, ma accetta l'evento medesimo quale ulteriore esito della sua azione od omissione; nella colpa cosciente invece l'autore si rappresenta solo l'astratta previsione di un evento, tra gli esiti possibili della sua condotta attiva od omissiva, ma ne sottostima fino ad escluderle le probabilità di verificazione.
Alla luce di questi arresti giurisprudenziali verranno esaminati i motivi di ricorso cui si é all'inizio fatto cenno, confrontandoli con le argomentazioni sviluppate dalla Corte d'Appello di Firenze, la quale, giova sin da ora anticipare, ha fatto buon governo degli enunciati principi giurisprudenziali, ravvisando in un'ipotesi delittuosa (omicidi e lesioni) la colpa semplice e nell'altra (naufragio) la colpa con previsione.

 


4. I limiti del sindacato di legittimità: l'esame dei motivi in fatto e le questioni sul travisamento della prova.
In alcuni dei motivi di ricorso (come meglio si vedrà nella disamina di ciascuno di essi) vengono prospettate talune questioni che, in concreto, si risolvono nel sollecitare una rivalutazione di questioni fattuali e di merito, o un diverso apprezzamento del materiale probatorio; altrove sono dedotte doglianze con le quali si denuncia il travisamento della prova.
Si tratta di questioni comuni a più motivi di ricorso, riguardo alle quali é opportuno richiamare fin d'ora i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, e qui condivisi, a proposito di dette questioni, in modo da fare rinvio a tali principi, ove del caso, nella successiva disamina dei singoli motivi di lagnanza.
4.1. Senza fare, per il momento, specifico riferimento alle censure mosse dai ricorrenti (P.G. e imputato), e inquadrabili nei termini suddetti, possono di seguito fissarsi alcuni criteri generali, tesi a individuare lo spartiacque tra doglianze che attaccano la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, collocandosi nell'area di applicazione dell'art. 606, comma 1, lettera e), cod.proc.pen.; e doglianze che, pur presentate come tese a lamentare tale vizio, insorgono in realtà contro valutazioni e argomentazioni di ordine fattuale, come tali demandate in via esclusiva ai giudici di merito ed insuscettibili di vaglio in sede di giudizio di legittimità.
La specifica questione in esame si pone non tanto nel caso di denunciata mancanza della motivazione, quanto piuttosto nel caso di motivi di ricorso che attaccano la contraddittorietà della motivazione stessa, o lamentano la manifesta carenza di tenuta logica dell'incedere argomentativo attraverso il quale il giudice del merito perviene alla sua decisione.
E' appena il caso di ricordare che la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione, in base al testo vigente dell'art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., devono risultare dal testo del provvedimento impugnato ovvero (giusta modifica introdotta dall'art. 8, comma 1, della legge 20 febbraio 2006, n. 46) da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame.
Si tratta di questione che va, in generale, risolta avendo riguardo, da un lato, al contenuto e all'oggetto delle doglianze; e, dall'altro, al percorso motivazionale seguito nel provvedimento impugnato.
4.2. Quanto, in particolare, alla denuncia di illogicità manifesta della motivazione, essa - come condivisibilmente osservato anche da autorevole dottrina - sollecita la Corte di legittimità a controllare la correttezza dell'inferenza probatoria, ossia il rapporto tra la premessa (il fatto noto) e le conclusioni che se ne traggono (il fatto accertato); sussiste illogicità manifesta allorquando, ad esempio, venga fatto un richiamo chiaramente incongruo a leggi scientifiche, oppure a massime d'esperienza, utilizzando al posto di esse mere regole sociologiche non accertabili nel caso singolo.
Nella giurisprudenza di legittimità si é affermato che sussiste l'ipotesi di "manifesta" illogicità della motivazione quando il giudice di merito, nel compiere l'esame degli elementi probatori sottoposti alla sua analisi e nell'esplicitare, in sentenza, l'iter logico seguito, si esprima attraverso una motivazione incoerente, incompiuta, monca e parziale, ossia attraverso una "carenza di logica" nella motivazione: detta carenza va desunta, più che dalla mancanza di parti espositive del discorso motivazionale, dall'assenza di singoli elementi esplicativi, i quali siano tali da costituire tappe indispensabili di un percorso logico-argomentativo, che deve necessariamente snodarsi tra i temi sui quali il giudice é tenuto a formulare la sua valutazione (cfr. Sez. 5, n. 4893 del 16/03/2000, Frasca, Rv. 215966). Sotto la specie della manifesta illogicità, in coerenza con la nozione dottrinaria che si é dianzi evocata, é stata ricondotta anche la frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono (cfr. Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999, Commisso ed altri, Rv. 215132).
4.3. Quanto, invece, alla contraddittorietà della motivazione, essa può consistere in una contraddittorietà di natura logica, quando il percorso motivazionale contiene un contrasto fra argomentazioni, derivante da un cattivo uso della logica comune: in tal caso la nozione può considerarsi ricompresa in quella di illogicità manifesta, della quale costituisce una particolare declinazione.
Può poi parlarsi di una contraddittorietà di ordine processuale, che costituisce il proprium della riforma del 2006 e che si sostanzia in ipotesi di "infedeltà" della motivazione rispetto al processo (per distorsione dei risultati probatori, o per valutazione di prove non assunte, o per omessa motivazione di prove assunte); o, come si afferma in giurisprudenza, nell'incompatibilità tra l'informazione posta alla base del provvedimento impugnato e l'informazione sul medesimo punto esistente negli atti processuali (Sez. 3, n. 12110 del 21/11/2008 - dep. 2009, Campanella e altro, Rv. 243247). A quest'ultima fattispecie é ascrivibile, in particolare, il vizio di "travisamento della prova".
4.4. La denuncia di contraddittorietà o di manifesta illogicità della motivazione deve, insomma, sollecitare al giudice di legittimità l'esame del percorso argomentativo della decisione impugnata sotto il profilo della sussistenza dei vizi di cui si é finora data indicazione.
Infatti, il perimetro nel quale é ammesso il sindacato di legittimità su una decisione di merito si distingue a seconda che oggetto di denuncia da parte del ricorrente sia il giudizio di diritto (come nei motivi attinenti alla violazione di legge), ovvero il giudizio dì fatto (come nelle censure per vizio di motivazione, fra cui rientrano quelle in esame). Nel primo caso, il controllo del giudice di legittimità investe la stessa decisione del giudice di merito; nel secondo caso - che é quello che qui interessa - il controllo si limita alla sola giustificazione fornita dal giudice di merito.
4.5. Tanto premesso, il controllo demandato dall'ordinamento alla Corte regolatrice con riguardo alle censure mosse alla motivazione del provvedimento impugnato dev'essere rapportato alle peculiarità del giudizio di legittimità e deve, pertanto, confrontarsi con i limiti, ontologicamente invalicabili, di tale giudizio: limiti che, per quanto qui interessa, sono costituiti dalla preclusione, in sede di legittimità, di un sindacato della decisione e del giudizio di merito sul fatto. Per chiarire meglio, mutuando le espressioni usate da qualificata dottrina, «Il giudice di legittimità non può formulare una propria ipotesi ricostruttiva del fatto né proporre massime di esperienza alternative rispetto a quelle adottate dal giudice di merito, per quanto plausibili e logicamente sostenibili, ma deve limitarsi a verificare che l'ipotesi ricostruttiva formulata o accolta dal giudice del merito risulti coerentemente verificata sulla base di plausibili massime di esperienza».
Perciò, da un lato, restano estranei al sindacato di legittimità i rilievi in merito al significato della prova e alla sua capacità dimostrativa (fatte salve le peculiari e circoscritte ipotesi di "travisamento della prova", di cui si dirà infra)-, dall'altro, tale sindacato ha il precipuo compito di controllare il ragionamento probatorio e la giustificazione della decisione del giudice del merito, ma non anche il contenuto della medesima.
E' di tutta evidenza che la (solo apparente) latitudine delle nozioni di "contraddittorietà" o di "manifesta illogicità" della motivazione non consente al ricorrente di estenderne la portata fino al punto di ricomprendervi censure che, piuttosto che attaccare l'impianto argomentativo della decisione impugnata (sotto i profili di coerenza e logicità, come dianzi chiarito), postulano una rielaborazione critica delle acquisizioni probatorie e una rivalutazione delle circostanze fattuali, così introducendo, surrettiziamente, elementi di valutazione idonei a trasfigurare il sindacato di legittimità in un "terzo grado" del giudizio di merito: ciò che é del tutto incompatibile con i principi fondamentali dell'ordinamento processuale.
Ne consegue che la rispondenza delle questioni proposte nei motivi di ricorso ai canoni di giudizio di legittimità in punto di vizio di motivazione presuppone che sia, bensì, sottoposto a scrutinio il percorso argomentativo seguito dal giudice di merito, nei termini ed entro i limiti stabiliti dall'art. 606, comma 1, lettera e) del codice di rito; ma deve estendersi anche all'accertamento della pertinenza - rispetto a tali canoni di giudizio - dei motivi di doglianza proposti, che non devono consistere in una sollecitazione, diretta alla Corte regolatrice, a sovrapporre il proprio giudizio sul fatto rispetto a quello del giudice di merito, o a rivalutare criticamente il materiale probatorio che questi ha già sottoposto ad esame (ciò che non é consentito, per quanto detto, in sede di giudizio di legittimità).
4.6. Come si é accennato, venendo al giudizio che ne occupa, in più motivi di ricorso vengono articolate, per l'appunto, doglianze propositive di questioni in fatto, in termini che, sulla base delle considerazioni che precedono, non sono consentiti in questa sede, essendo per quanto detto escluse dal novero delle doglianze proponibili in sede di legittimità quelle tese ad attaccare la persuasività delle argomentazioni rese dai giudici di merito, o a prospettare un'interpretazione alternativa del materiale probatorio.
In proposito, deve ricordarsi il pacifico e costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità anche in composizione apicale, in base al quale l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si é avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; si vedano anche in terminis Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260, e Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 -, Petrella, Rv. 226074).
Più di recente, nel solco del medesimo indirizzo, si é affermato che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Ancora, in perfetta coerenza con gli arresti finora richiamati, si é osservato che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza dì rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965).
Conclusivamente, non possono formare oggetto di sindacato di legittimità le doglianze relative a questioni di mero fatto e tese a prospettare valutazioni alternative delle prove assunte: la disamina di esse é demandata in via esclusiva al giudice del merito ed é sottratta allo scrutinio della Corte regolatrice, laddove dette doglianze non attingano profili di macroscopica illogicità o inadeguatezza della motivazione del provvedimento impugnato.
4.7. Quanto, invece, alle censure nelle quali vengono dedotti profili di travisamento della prova, deve ribadirsi che tale vizio é ravvisabile non già allorquando con esso venga denunciato un qualsiasi equivoco epistemologico e percettivo nel quale sia caduto il giudice del merito, ma esclusivamente entro un ben delimitato numero di ipotesi, nelle quali affiori la contraddittorietà del ragionamento giustificativo della decisione rispetto alle risultanze di cui agli atti del processo specificamente indicati dal ricorrente (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 35848 del 19/09/2007, Alessandro, Rv. 237684); con il corollario che la denuncia di tale contraddittorietà (in quanto volta a censurare un vizio fondante della decisione) deve possedere un'autonoma forza esplicativa e dimostrativa tale da disarticolare l'intero ragionamento della sentenza e da determinare al suo interno radicali incompatibilità (Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, Vecchio, Rv. 233621). Un diverso modo di procedere si risolverebbe in una impropria - e, per quanto già osservato, improponibile - riedizione del giudizio di merito e non assolverebbe alla funzione essenziale del sindacato sulla motivazione, essendo, come si é detto, preclusa al giudice di merito, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal Giudice del merito perché ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa).
Ciò vale in particolar modo laddove, come nella specie, la sentenza d'appello impugnata confermi la decisione del giudice di primo grado (c.d. "doppia conforme").
Beninteso, la conformità fra la decisione d'appello e quella di primo grado non é, in sé, ostativa alla denunzia del vizio in esame; ma é intuitivo che il duplice vaglio delle acquisizioni probatorie in sede di merito, con il medesimo esito valutativo, rafforza intrinsecamente le conclusioni cui gli organi giudicanti investiti di tale giudizio sono concordemente pervenuti e rende necessario che le censure, per dirsi fondate, colpiscano travisamenti probatori che si siano manifestati, in modo eclatante ed evidente, in ambo i gradi del giudizio di merito.
Al riguardo, é sufficiente richiamare il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale, nell'ambito dei motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, previsto dall'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. può essere dedotto, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 - dep. 29/01/2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438); oppure quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013 - dep. 06/11/2013, Buonfine e altri, Rv. 256837).

 


5. Questioni generali in ordine al trattamento sanzionatorio
Anche con riguardo al trattamento sanzionatorio vi sono più motivi di doglianza, vertenti su vari aspetti della determinazione della pena e tesi a prospettare alla Corte la necessità di una rivalutazione delle statuizioni quoad poenam contenute nella sentenza impugnata, sia pure ai diversi fini perseguiti dal P.G. ricorrente (nel secondo motivo di ricorso) e dall'imputato nel suo ricorso (nel nono motivo del ricorso a firma degli avv.ti Senese e Laino e nella memoria da lui personalmente sottoscritta e depositata il 4 aprile 2017).
Salvo quanto si dirà infra nell'esaminare i suddetti motivi di doglianza, conviene qui brevemente accennare ai principi generali che regolano la materia, secondo gli indirizzi espressi al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità: principi che verranno richiamati, ove necessario, nell'esposizione delle considerazioni in diritto concernenti i singoli motivi di ricorso.
5.1. La breve disamina che segue non riguarda le questioni attinenti alla sussistenza o meno di specifiche circostanze (come ad esempio a proposito del mancato riconoscimento, lamentato dallo F.S., della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod.pen, da lui ritenuta sussistente), questioni delle quali si parlerà nei singoli motivi di pertinenza; ma concerne unicamente le doglianze riguardanti la dosimetria della pena nelle sue singole componenti (demandata alla scelta discrezionale del giudice di merito, sulla base dei criteri fissati dall'art. 133 cod.pen.), nonché quelle riferite al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
5.2. Si premette che le doglianze che qui interessano sono prospettabili, in sede di giudizio di legittimità, essenzialmente per carenze motivazionali, laddove tali carenze si appalesino riferibili all'omessa, insufficiente o contradditoria motivazione nei termini di cui all'art. 606, comma 1, lettera e), cod.proc.pen.; con l'ulteriore precisazione che in linea di massima l'onere argomentativo gravante sul giudice del merito tende a circoscriversi a misura che la determinazione della pena si collochi in prossimità dei limiti edittali, e ad espandersi - al contrario - laddove il trattamento sanzionatorio superi quello medio, rapportato agli estremi edittali.
5.3. Sotto il profilo generale, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; non é perciò consentita la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. Ciò vale sia in termini generali (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142), sia in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti (Sez. U, Sentenza n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).
Ad esempio, deve ritenersi adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013 - 2014, Waychey e altri, Rv. 258410).
Come premesso, l'onere motivazionale cresce a misura che la determinazione del trattamento sanzionatorio si allontani dalla soglia minima edittale e si approssimi a quella massima. Ad esempio si afferma che, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non é necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo é desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (da ultimo vds. Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese e altro, Rv. 267949; vds. altresì Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197); mentre, per converso, l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (cfr. Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153; vds. 
Coerentemente con tale impostazione, si é affermato che la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, é necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, Sentenza n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).
5.4. Più in particolare, sul piano dell'impegno motivazionale richiesto al giudice di merito in tema di determinazione della pena nel reato continuato, si condivide l'orientamento giurisprudenziale prevalente, più volte ribadito anche di recente, in base al quale non sussiste obbligo di specifica motivazione per gli aumenti relativi ai reati satellite, essendo sufficienti a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (cfr. Sez. 2, n. 50987 del 06/10/2016, Aquila, Rv. 268731; Sez. 2, n. 50699 del 04/10/2016, Chierchiello e altri, Rv. 268908; Sez. 2, n. 34662 del 07/07/2016, Felughi e altri, Rv. 267721).
A proposito, poi, della peculiare questione (pur affrontata dai ricorrenti, sotto prospettive ovviamente diverse) riguardante la determinazione del trattamento sanzionatorio nella sentenza impugnata in rapporto alla pena applicata ad altri concorrenti separatamente giudicati, deve muoversi dal principio generale in base al quale il giudice del merito, nell'ipotesi di più soggetti imputati in concorso tra loro dello stesso reato, non é gravato dell'onere di procedere alla valutazione comparativa delle singole posizioni e di motivare in ordine alla eventuale differenziazione delle pene inflitte (per tutte vds. Sez. 2, n. 7191 del 20/01/2016, Barranca e altri, Rv. 266446; Sez. 2, n. 1886 del 15/12/2016 - dep. 2017, Bonacina e altro, Rv. 269317): ciò in quanto non può essere considerato come indice del vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, La Penna e altri, Rv. 264020).
Tanto premesso, é di tutta evidenza che, se tale principio vale nell'ipotesi in cui più imputati rispondano della medesima imputazione nell'ambito dello stesso processo, non dissimilmente deve opinarsi nel caso in cui il singolo imputato venga separatamente giudicato rispetto ad altri coimputati che hanno definito la loro posizione in altro giudizio: compito del giudice di merito é, essenzialmente, quello di individualizzare il grado di responsabilità e di rimproverabilità della condotta dell'imputato, sulla base dei generali criteri di cui all'art. 133 cod.pen., valutandone lo specifico disvalore in funzione delle esigenze di rieducazione sottese nel singolo caso alla sanzione da applicare, e fornendo di ciò congrua motivazione in base ai generali principi valevoli nella determinazione del trattamento sanzionatorio.
5.5. Sotto il diverso e peculiare profilo della concessione o del diniego delle attenuanti generiche, é pacifico in giurisprudenza che non é necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma é sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, Biancofiore, Rv. 247959). Analogamente si é affermato in giurisprudenza che, nel concedere o negare le attenuanti generiche, il giudice di merito é investito di un ampio potere discrezionale, che non é sottratto al controllo di legittimità, dovendo il giudice medesimo dare conto delle precise ragioni e dei criteri utilizzati per la concessione o il rifiuto di concessione, con l'indicazione degli elementi reputati decisivi nella scelta compiuta, senza che sia, peraltro, necessario valutare analiticamente tutte le circostanze rilevanti, in positivo o in negativo (ex multis Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi e altri, Rv. 214570).

 


I SINGOLI MOTIVI DI RICORSO

 


6. PRIMO MOTIVO RICORSO P.G.
Con tale motivo il Procuratore Generale ricorrente lamenta che la Corte d'Appello, nell'escludere l'aggravante dell'art.61 n.3 in relazione al reato di omicidio e lesioni colpose plurimi, sarebbe incorsa in vizio motivazionale per non aver preso in esame, nonostante specifico rilievo del Procuratore della Repubblica di Grosseto appellante, la conversazione intercorsa alle ore 21:51:34 tra il comandante F.S. ed il direttore di macchina P., che in quel momento gli aveva confermato che la nave stava andando a fondo, ed avere poi fornito un'interpretazione illogica alla dichiarazione autoaccusatoria dell'imputato, laddove aveva affermato in dibattimento che gli abbandoni di nave comportano sempre dei morti.
Nella memoria del 4 aprile 2017 i difensori dell'imputato, nell'opporsi all'accoglimento del motivo e richiamata la struttura della "colpa con previsione" delineata nella citata sentenza n. 38343/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, osservano che il Procuratore Generale ricorrente ha reclamato l'affermazione della colpa con previsione senza mettere in connessione causale le asserite violazioni delle regole cautelari, supposte come determinanti per la produzione degli esiti infausti (essenzialmente: tempestiva chiamata dell'emergenza generale, tempestivo ordine di abbandono della nave, un generale difetto organizzativo nelle operazioni di evacuazione), con la concreta ed effettiva previsione degli eventi (morte e lesioni di più persone) che si pretenderebbe di ricavare da alcuni indici sintomatici, consistenti essenzialmente in affermazioni, oggetto di captazione, o di dichiarazioni post factum del Comandante. Rilevano ancora che nel ricorso del Procuratore Generale da una parte si mettono in evidenza elementi che sarebbero di per sé sintomatici di effettiva previsione, dall'altra si punta il dito sulle violazioni cautelari che, però, di per sé considerate, sarebbero al più costitutive di responsabilità a titolo di colpa semplice. A ben vedere, infatti, anche gli evocati indici sintomatici non sono in grado di incastonarsi nell'architettura della colpa con previsione. Già il far leva sulla conversazione F.S./P. delle ore 21:51:34 - che sarebbe dimostrativa di consapevolezza che la nave potesse affondare, e che conseguentemente ne potesse derivare il rischio di morte e/o ferimento di qualcuno dei molti passeggeri- equivale al più a prospettare che il Comandante avrebbe dovuto rappresentarsi quegli eventi, ma non che se li sia concretamente rappresentati come conseguenza della violazione di regole cautelari preventive di quelli. Non solo, anche l'espressione pronunciata dal Comandante che si vorrebbe "molto indicativa di possibili rischi per le persone dei naufraghi da calare in mare sulle lance" («Guarda io penso che non...praticamente stiamo imbarcando acqua, eh...mo' noi stiamo a mettere i passeggeri sulle lance...tanto é calma piatta...e poi Dio ci pensi», a pag.3 dei motivi di ricorso del P.G.) certamente non ha nulla a che vedere con la previsione concreta di un evento conseguente a volontarie inosservanze di obblighi di diligenza. Come pure la frase «io non faccio morire nessuno» é ancora indicativa di consapevolezza di rischio astrattamente coessenziale a certe situazioni, così come l'altra «in ogni abbandono di nave muoiono delle persone» andrebbe contestualizzata nella situazione emotivamente rivissuta post factum al momento in cui é pronunciata e comunque non in connessione con violazioni di norme preventive.
Per tali considerazioni la difesa ha insistito per il rigetto del motivo.
6.1. Ritiene il Collegio che il motivo non sia fondato.
La Corte di Firenze ha motivato in maniera ampia e corretta sulle ragioni per le quali, in condivisione con quanto già ritenuto dal Tribunale di Grosseto, non poteva essere ravvisata l'aggravante dell'art. 61 n.3 cod.pen. in relazione ai delitti di cui agli arti.589 e 590 c.p.
Aderendo alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, prima richiamata, secondo la quale nella colpa cosciente non é sufficiente la prevedibilità, ma é necessaria la previsione dell'evento - ossia la prova che l'agente si sia in concreto rappresentato l'evento quale possibile/probabile conseguenza della sua condotta, pur nel convincimento di evitarlo - i giudici fiorentini non hanno ravvisato nella condotta dell'imputato elementi di natura sintomatica da cui dedurre in maniera certa che l'evento fosse stato da lui effettivamente previsto.
Si tratta di un'analisi di natura squisitamente fattuale, che può essere scrutinata in questa sede per verificare se ad essa sia seguito un giudizio logicamente e giuridicamente corretto.
Sotto un primo profilo é stato escluso che il quid pluris connotante la colpa cosciente potesse essere costituito dalla sola gravità delle violazioni compiute, di talché non erano sufficienti, ai fini dell'accoglimento del motivo di gravame, i rilievi del P.M. circa la gravità della falla e il carattere catastrofico delle prime informazioni, circa le dimensioni della nave ed il numero dei passeggeri, circa le numerosissime inosservanze delle procedure poste a tutela della vita e della salute delle persone a bordo. Tali elementi, sebbene idonei a dimostrare che un agente modello avrebbe previsto il pericolo di morti/lesioni in ragione di quella situazione astratta complessiva (rappresentazione astratta dell'evento), non dimostravano che lo F.S., in concreto, si fosse effettivamente rappresentato quella situazione.
Sotto altro profilo si é evidenziato che, nella fase di gestione dell'emergenza, in condivisione con il giudizio controfattuale del Tribunale, la chiamata dell'emergenza generale avrebbe dovuto essere fatta alle 21:58 (al massimo alle 22:00) e la diramazione dell'ordine di abbandono della nave alle 22:28 (al massimo alle 22:30), con la conseguenza che, per ascrivere allo F.S. l'aggravante della colpa cosciente in relazione ai reati colposi plurimi di omicidio e lesioni personali, causati appunto dai ritardi con i quali sono intervenute dette attività, sarebbe stato necessario dimostrare che, non oltre le 22:28 (o, comunque le 22:30, ove si fosse ritenuto che l'emergenza generale avrebbe dovuto essere data quanto meno alle ore 22:00), l'imputato si fosse già concretamente rappresentato gli eventi predetti come possibili/probabili conseguenze della sua condotta.
6.2. Vengono analizzate quattro frasi indicate nell'atto di gravame.
Al riguardo il P.M. appellante aveva osservato che alle ore 22:32 F.S. aveva pronunciato un'espressione ritenuta sintomatica della concreta previsione degli eventi, ovvero: «Guarda, io penso che non...praticamente stiamo imbarcando acqua, eh...mò noi stiamo a mettere i passeggeri nelle lance....tanto é calma piatta... e poi Dio ci pensi» (espressione, come si é detto, su cui si sono soffermati anche i difensori nella citata memoria del 4 aprile 2017): tale frase, pronunciata da F.S. mentre parlava con la Capitaneria di Porto di Livorno, che gli chiedeva informazioni sullo stato della crisi, non é stata interpretata dalla Corte distrettuale come univocamente sintomatica della consapevolezza e previsione degli eventi drammatici che sarebbero conseguiti al naufragio, sia per il contesto in cui era stata detta, sia per l'avanzato dato temporale in cui era avvenuta, sia per il suo contenuto genericamente invocativo.
Il P.M. aveva poi indicato un'altra frase, quella delle ore 23:05, registrata dal VDR mentre lo F.S., su un'ala della plancia, stava parlando in tono confidenziale con C. O. e diceva «Io non voglio...non faccio morire a nessuno qui»: tale frase, indubbiamente più significativa di quanto il P.M. appellante volesse dimostrare, se era indicativa del fatto che in quel momento l'imputato si era reso conto della possibilità della morte di alcune delle persone a bordo, quando già il K2 BO. aveva dato l'annuncio in inglese di abbandono della nave, non provava che analoga consapevolezza egli avesse avuto in precedenza, nei limiti di tempo innanzi ricordati.
Quanto alla ulteriore frase, menzionata a supporto della sua tesi dall'impugnante parte pubblica, ovvero che - nel momento in cui veniva a sapere dal Comandante G.DF. che c'erano i primi morti - F.S. non aveva perso il controllo e aveva chiesto allo stesso «quanti morti ci sono?», la Corte ne aveva escluso la sintomaticità ai fini del riconoscimento dell'aggravante, sul rilievo che essa era basata su una valutazione soggettiva, non inoppugnabile, e comunque era ancll'essa intervenuta in un momento molto successivo a quello indicato ai fini che interessa.
Infine, la rilevanza della dichiarazione resa dall'imputato in un passaggio del suo esame dibattimentale, ovvero che «in ogni abbandono di nave si verificano dei morti», come molte altre pronunciate in quel contesto, é apparsa ai giudici di appello fortemente influenzata dalle sopravvenute esigenze difensive, nel tentativo di sminuire le proprie responsabilità rispetto alla gravità di quanto accaduto, piuttosto che costituire una effettiva ammissione della concreta previsione dei decessi e delle lesioni in quei frangenti.
Non era dunque possibile affermare con certezza se l'imputato avesse sottovalutato la situazione, a causa di una vera e propria "fuga dalla realtà" successivamente all'impatto con il basso fondale de Le Scole - come già ritenuto dal Tribunale - o, piuttosto, se la sua attenzione, e di conseguenza le sue condotte, fossero focalizzate sul tentativo di salvare la nave, come più plausibile.
In ogni caso la prova della colpa cosciente non poteva essere tratta, con ragionamento inferenziale sufficientemente affidabile, dagli elementi suggeriti dall'accusa, che apparivano indicativi della gravità della situazione di emergenza e, quindi, della prevedibilità dell'evento, ma non anche della previsione in concreto da parte dello F.S..
Il Procuratore Generale di Firenze accetta solo in parte queste argomentazioni della Corte distrettuale, nel senso che ne critica due aspetti: ritiene illogica l'interpretazione teleologica data alle parole pronunciate dall'imputato in dibattimento, che sostanzialmente avrebbero invece natura confessoria, e censura la omessa considerazione del colloquio F.S./P. delle ore 21:51:34 che, se valutato, avrebbe consentito di pervenire ad una decisione differente rispetto alla sussistenza dell'aggravante, perché da esso emergeva la prova certa che in quel momento, antecedente alle ore 21:58 l'imputato si era concretamente rappresentato l'evento.
Il tenore della comunicazione (pag.85 della sentenza) é il seguente.
«Direttore, almeno un motore si può accendere?» chiedeva F.S. a P. che stava scendendo in sala macchine, ed aveva già due minuti prima comunicato che c'era acqua e doveva mettere in moto le pompe.
«Non siamo ancora riusciti a scendere giù», rispondeva l'altro, spiegandogli subito dopo «Noi abbiamo l'acqua, non possiamo entrare in macchina dal lato dritto...dal lato sinistro. Qua la sfuggita...c'é l'acqua sino all'officina».
«Allora stiamo andando a fondo, non ho capito?!» si lasciava andare il comandante.
P., senza smentirlo, si limitava a rispondere: «Ehi...Eh!...Si, sta l'acqua fino all'officina».
Quindi il direttore di macchina informava F.S. che in quel momento gli stavano dando la notizia che il quadro elettrico era allagato, ed allora questi diceva: «Io voglio sapere solo una cosa, se la nave può partire oppure no. Altrimenti devo dare fondo».
«La nave....non possiamo partire» gli spiegava P. « Il quadro elettrico é allagato e non abbiamo corrente....l'unica corrente é il diesel che sta sopra».
«Allora dobbiamo dare fondo all'ancora....» aggiungeva F.S..
E' indubbio che tale conversazione non é stata valutata allorquando é stata data risposta all'appello del Procuratore di Grosseto, benché in esso segnalata come indicativa e sintomatica della previsione dell'evento già in quel momento.
Ritiene questo Collegio che alla frase estrapolata dal menzionato colloquio «Allora stiamo andando a fondo» non poteva essere riconosciuta una valenza probatoria della previsione dell'evento, e perciò la Corte di Firenze ha ritenuto implicitamente l'elemento non decisivo e ne ha omesso l'esame.
Oggettivamente é una frase che non dimostra che nel momento in cui l'ha pronunciata il Comandante avesse già la rappresentazione degli eventi mortali e lesivi che sarebbero conseguiti al naufragio, naufragio che in quel momento non era stato ancora percepito in tutta la sua drammaticità, poiché erano trascorsi solo pochi minuti dall'impatto contro gli scogli delle Scole, avvenuto alle ore 21:45:07.
Non può dunque censurarsi come vizio motivazionale la circostanza che tale frase non sia stata valorizzata nel senso voluto dall'accusa, perché non era logicamente idonea a dimostrare sotto il profilo soggettivo la colpa cosciente, ma piuttosto era indice dell'ansia del Comandante - al quale era affidata la sorte di oltre quattromila persone oltre che della nave di enormi dimensioni e valore - di capire cosa fosse effettivamente successo per poter assumere le decisioni del caso.
Neppure può ravvisarsi contraddittorietà nella motivazione della sentenza impugnata laddove invece tale aggravante é stata riconosciuta in relazione al delitto di naufragio colposo.
Diverso infatti é l'evento oggetto di previsione: la rappresentazione di un urto contro gli scogli, a seguito del mutamento di rotta rispetto a quella tracciata dal cartografo S.C., era un'evenienza che sicuramente il Comandante si era prospettato pur nella sconsiderata e superficiale convinzione di poterlo evitare; nel momento di poco successivo all'impatto, in cui intervenne la conversazione, egli invece ha dimostrato la paura di affondamento della nave ma non vi é prova che si fosse rappresentato anche i decessi e le lesioni che ne sarebbero derivati.
Neppure tale prova può essere desunta dall'affermazione - "confessoria" secondo il P.G. ricorrente - resa dall'imputato in dibattimento, poiché, come ben rilevato dai giudici fiorentini, mancava proprio la certezza che alle ore 22:28/22:30 quando doveva essere dato l'ordine di abbandono della nave, il Comandante avesse previsto i gravi eventi che ne sarebbero derivati, e dunque l'affermazione che "in ogni abbandono nave si verificano dei morti" era intesa piuttosto a sminuire le sue responsabilità ed a dimostrare che la sua gestione dell'emergenza era stata efficiente fino al punto da "limitare" il numero delle vittime e dei feriti.
Per tali considerazioni la censura appare priva di fondamento.

 

 
7. SECONDO MOTIVO RICORSO P.G.
Le censure mosse nel secondo motivo del ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte d'appello di Firenze possono riassumersi qui nei termini che seguono.
In primo luogo lamenta il P.G. ricorrente che, per il delitto di naufragio colposo, la Corte di merito si sarebbe limitata a riportare acriticamente la motivazione dei primi giudici, a fronte delle doglianze espresse dal P.M. appellante in ordine alla ritenuta mitezza della pena, richiamando - in modo definito come "stereotipato" - i criteri di cui all'art. 133 cod.pen. e condividendo le considerazioni del Tribunale in ordine all'incidenza sulla pena dell'incensuratezza dell'imputato e del rispetto, da parte sua, delle prescrizioni cautelari.
In secondo luogo, le doglianze del P.G. si appuntano sulla modesta entità dell'aumento di pena per l'aggravante della colpa cosciente, che la Corte distrettuale ha giustificato con la proporzionalità con la pena base.
In terzo luogo, il P.G. contesta la motivazione della sentenza impugnata con riguardo all'entità della pena per il reato di omicidio colposo e lesioni colpose e all'aumento per la continuazione, deducendo che la Corte di merito si sarebbe riportata, sostanzialmente in modo acritico, alle valutazioni espresse nella sentenza di primo grado.
In quarto luogo, analoghe doglianze vengono formulate con riguardo ai reati di abbandono di persone incapaci e di abbandono di nave in pericolo da parte del comandante, le cui pene, giudicate troppo miti dal P.G. ricorrente, non risulterebbero adeguatamente giustificate nella motivazione della sentenza impugnata.
7.1. Il motivo di ricorso in esame, del quale lo stesso Procuratore generale d'udienza presso questa Corte ha chiesto il rigetto, é infondato.
Nella disamina del motivo de quo, dedotto sia per vizio di motivazione che per violazione di legge (in riferimento all'art. 133 cod.pen.), occorre premettere - a completamento di quanto osservato supra, sul piano generale, a proposito delle doglianze in punto di trattamento sanzionatorio - che il vizio denunciabile in ordine alla determinazione della pena, e all'esercizio del potere discrezionale affidato sul punto al giudice del merito, é essenzialmente quello di cui all'art. 606, comma 1, lettera e) cod. proc. pen. ; mentre, per quanto concerne le censure tese a denunciare violazione di legge in riferimento all'art. 133 cod.pen., ad esse può in astratto riconoscersi fondamento solo laddove sia ravvisabile una mancanza assoluta di motivazione della sentenza in ordine alla determinazione della pena, che trasmoda nel vizio di violazione di legge (in proposito, vds. Sez. 3, n. 6828 del 17/12/2014 - dep. 2015, Seck, Rv. 262527).
Nel caso che ne occupa non si versa certamente in questa ipotesi, avuto riguardo all'ampio percorso argomentativo svolto dalla Corte di merito al paragrafo 3.2.20.10. della sentenza impugnata (pp. 414 e ss.): un percorso argomentativo che non solo non può dirsi mancante, ma neppure é qualificabile come apparente, atteso che la Corte distrettuale offre specifica risposta a tutte le doglianze articolate sul punto, in particolare a quelle del Procuratore della Repubblica di Grosseto, avverso le statuizioni sanzionatorie della sentenza di primo grado, di cui il P.M. appellante lamentava l'eccessiva mitezza.
Quanto, invece, al dedotto vizio di motivazione, si richiamano qui tutte le considerazioni svolte nella premessa riguardante il trattamento sanzionatorio e gli arresti giurisprudenziali ivi menzionati: ciò sia con riguardo alla determinazione della pena in generale, sia con riguardo alla commisurazione degli aumenti e delle diminuzioni per le circostanze ritenute sussistenti, sia infine con riferimento all'entità dell'aumento per la continuazione.
7.2. Si ribadisce pertanto, in primo luogo, l'insindacabilità, in sede di legittimità, della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, avuto riguardo ai criteri generali di cui all'art. 133 cod.pen..
Non può affermarsi, ad avviso della Corte, che il richiamo contenuto nella sentenza impugnata alle ragioni sottese alla determinazione della pena da parte del Tribunale fosse qualificabile come motivazione meramente apparente: le statuizioni sanzionatorie adottate in primo grado sono state condivise, dalla Corte di merito, con sufficiente vaglio critico, con specifica indicazione delle ragioni che hanno portato alla relativa quantificazione e, in definitiva, con un percorso argomentativo che, sulla base dei richiamati principi, si sottrae al sindacato di legittimità.
A ciò si aggiunga che la Corte distrettuale ha soppesato, nella motivazione concernente il trattamento sanzionatorio, da un lato la gravità degli addebiti e la posizione di preminenza gerarchica dello F.S. quale comandante della nave (posizione che indubbiamente accentua il disvalore della sua condotta), dall'altro la sussistenza di condotte colpose concorrenti da parte di altri imputati che hanno separatamente definito la loro posizione.
Ora, sebbene - come detto nella citata premessa generale - il giudice del merito non sia specificamente gravato dell'onere di procedere alla valutazione comparativa delle singole posizioni e di motivare in ordine alla eventuale differenziazione delle pene inflitte, nella specie deve considerarsi che la cosiddetta graduazione delle colpe concorrenti é rilevante: 1) per la determinazione dell'apporto causale di ciascuna condotta colposa; 2) ai fini delle statuizioni sugli interessi civili; 3) per la determinazione della pena; 4) per la graduazione della pena in senso proprio, ovvero ai fini del giudizio in ordine alla rimproverabilità della condotta di ciascuno (Sez. 4, n. 22632 del 15/05/2008, Gilio, Rv. 239896).
7.3. Ciò posto, va osservato che la determinazione delle statuizioni in punto di pena, in riferimento ai reati colposi, ha quale parametro rilevante il grado della colpa, in base a quanto disposto dall'art. 133, comma 1, n. 3 cod.pen.: tale parametro, ai fini della personalizzazione del rimprovero che può essere mosso all'agente, e quindi della sua colpevolezza, va determinato considerando: 1) la gravità della violazione della regola cautelare; 2) la misura della prevedibilità ed evitabilità dell'evento; 3) la condizione personale dell'agente; 4) il possesso di qualità personali utili a fronteggiare la situazione pericolosa; 5) le motivazioni della condotta. Nel caso in cui coesistano fattori differenti e di segno contrario, il giudice dovrà valutarli comparativamente (vds. la citata Sez. 4, n. 22632 del 15/05/2008, Gilio, Rv. 239895).
E correttamente la Corte di merito ha determinato le proprie statuizioni tenendo conto del grado della colpa che, riguardo alla posizione dello F.S., condivisibilmente é stata qualificata come colpa cosciente in riferimento al delitto di naufragio, e non invece (diversamente da quanto perorato dal P.G. ricorrente) con riguardo ai delitti di omicidio colposo e lesioni personali colpose: sul punto si rinvia alle considerazioni svolte ut supra in ordine al primo motivo del ricorso del Procuratore generale presso la Corte d'appello di Firenze.

 


MOTIVI DI RICORSO CONGIUNTO A FIRMA DEGLI AVVOCATI LAINO E SENESE. NELL'INTERESSE DI F.S.

 


8. PRIMO MOTIVO

F.S. é stato giudicato dalla Corte d'Appello di Firenze, Prima Sezione penale.
Con il primo motivo - di carattere processuale - il ricorrente chiede l'annullamento della impugnata sentenza con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della medesima Corte d'Appello, composta secondo l'osservanza dei criteri tabellari e delle norme dell'ordinamento giudiziario, atteso che per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose (costituenti i reati più gravi tra quelli contestati) era tabellarmente competente la Terza Sezione penale.
A sostegno del motivo si deduce la violazione delle seguenti disposizioni di legge:
art. 24 Cost: "La difesa é diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo";
art. 25 Cost: "Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge";
art. 111 Cost: "Ogni processo si svolge...in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale...";
art. 6 CEDU: "Diritto a un equo processo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge...." e art.7 CEDU: "Nulla poena sine lege".
art. 33 cod. proc. pen. : "Le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi sono stabiliti dalle leggi dell'ordinamento giudiziario";
art. 110, comma 6, R.D. 30 gennaio 1941, n.12 (Ordinamento giudiziario): "Non può far parte di un collegio giudicante più di un magistrato applicato";
art. 178, primo comma lett.a) cod. proc. pen. "E' sempre prescritta a pena di nullità l'osservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessari per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario", in relazione all'art.179 cod. proc. pen. : "Sono insanabili e sono rilevate d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullità previste dall'art.178, comma 1 lett.a) ...";
paragrafo 21 della Circolare del CSM per la redazione delle tabelle relative all'organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2014-2016, che così testualmente recita: "Nell'organizzazione degli uffici va favorito, oltre alla naturale ripartizione tra il settore civile e quello penale, l'affinamento di competenze specialistiche per materie omogenee e predeterminate anche all'interno delle singole sezioni. Tali competenze specialistiche sono funzionali alla corretta applicazione della disciplina prevista dall'art. 19 del D.Lvo 160 del 2006 e dal relativo Regolamento del CSM 13 marzo 2008 in materia di permanenza massima nel medesimo incarico..."(21.1); "Per il perseguimento dei fini indicati al par. 21.1, la costituzione di sezioni specializzate risulta essere il modello organizzativo più adeguato per garantire più qualificate professionalità, tale da rendere più efficace e celere la risposta all'istanza di giurisdizione"{21.2); "I Tribunali organizzati in più sezioni civili e/o in più sezioni penali devono prevedere modelli di specializzazione che accorpino materie in base alle aree omogenee, secondo le indicazioni della presente circolare" (21.3); "per i tribunali nei quali il numero di sezioni presenti per ciascun settore non consente l'accorpamento in base ad aree omogenee deve essere comunque attuata la specializzazione per gruppi di materie"(21.4); "I criteri indicati nei precedenti par. 21.3 e 21.4 si applicano anche alle Corti di Appello".
Conclusivamente, il ricorrente lamenta che il processo a suo carico é stato celebrato da una Sezione della Corte d'Appello di Firenze, diversa da quella tabellarmente competente, e da un Collegio costituito ad hoc, in spregio dei richiamati principi e senza che vi fossero ragioni eccezionali tali da giustificare la deroga. L'arbitrio nella designazione del giudice - situazione dinanzi alla quale non poteva più affermarsi che la decisione era stata assunta da un giudice precostituito per legge - trovava conferma nel fatto che non erano stati rilasciati ai difensori dell'imputato, nonostante loro reiterate richieste, le copie dei provvedimenti interni della Prima Sezione penale con la composizione dei Collegi nel periodo da gennaio a maggio 2016.
8.1. Sulla nullità ex art.178 lett.a) cod. proc. pen. i difensori si soffermano ulteriormente nei motivi nuovi depositati il 4 aprile 2017, allegando il parere pro ventate del prof. G.M.F., ordinario di Diritto Penale nell'Università di Firenze.
Anche l'imputato, nella memoria a sua firma del 4 aprile 2017, insiste sull'eccezione.
Per avvalorare la fondatezza della doglianza in esame il ricorrente riporta alcuni arresti di questa Corte di legittimità, secondo cui "le irregolarità in tema di formazione dei collegi incidono sulla capacità del giudice, con conseguente nullità ex art. 178, lett.a) cod. proc. pen. , solo quando sono volte a eludere o violare il principio del giudice naturale precostituito per legge, attraverso assegnazioni "extra ordinem" perché del tutto al di fuori di ogni criterio tabellare" (Sez.6, n.39239 del 4/7/2013, Rv.257087; n.46244/2012, Rv.254284; n.38112/2006, Rv.255030; n.16214/2006, Rv.234216; n.13445/2005, Rv.254284).
Richiama ancora, in particolare, la sentenza della Sez.l, n.27055 del 7/5/2003, Rv.227213, di cui riporta testualmente alcuni passi: "In tema di nullità, l'adozione di atti e provvedimenti tabellari "extra ordinem" incidenti sulla capacità del giudice, che stravolgono le regole dell'ordinamento giudiziario, nonché quelle processuali in tema di giusto processo, integrano una violazione degli arti. 178 n.l lett.a) e 179 cod. proc. pen. , disposizioni queste che devono essere lette alla luce dei principi costituzionali, tra loro strettamente correlati, della imparzialità e della precostituzione del giudice naturale, da inquadrare a loro volta nel contesto delle garanzie costituzionali espressamente previste per assicurare al cittadino un giusto processo (art.111 Cost.) non é possibile sostenere l'applicazione del disposto dell'art.33 comma 2° cod. proc. pen. [non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici, ndr] nel caso di violazioni alle quali deve riconoscersi peculiarità, come nel caso della costituzione di un collegio ad hoc per decidere su di un determinato processo in tale ipotesi deve ritenersi verificata una vera e propria lesione delle condizioni di capacità del giudice, ravvisabile nella "imparzialità" degli organi giudiziari, a presidio della quale é posto non soltanto l'art.101 Cost., ma anche il principio sancito dall'art. 25, comma 1° della Costituzione le conclusioni cui si perverrebbe nell'attribuire valore assorbente, in ogni caso, alla previsione di cui all'art.33 comma 2° cod. proc. pen. , si appalesano, pertanto, in contrasto con gli stessi principi costituzionali sopra richiamati che, seppur nei limiti di osservanza delle regole dettate dal citato "bilanciamento degli interessi in gioco", restano sempre le linee direttrici fondamentali, alla luce delle quali tutte le altre norme vanno lette ed interpretate per dare compita attuazione ai principio del "giusto processo". in definitiva, operando la cosiddetta "prova di resistenza", si dovrebbe convenire che i principi enucleabili dalle norme costituzionali devono avere comunque la prevalenza ed in tale ottica, se del caso, gli arti. 178 n. l lett.a) e 179 comma 1 cod. proc. pen. vanno letti nel senso che, se é vero che le violazioni poste in essere in materia "tabellare" non possono essere ricondotte nell'alveo delle nullità assolute - giusta lo specifico dettato dell'art.33 comma 2° cod. proc. pen. - é altrettanto vero che esistono e possono esistere atti e/o provvedimenti che solo formalmente sono riconducibili allo schema ora citato, ma che invece, proprio perché realizzati al di fuori dello stesso, vanno qualificati come posti in essere "extra ordinem" e, in quanto tali, rientranti nel novero di quelle nullità previste dagli arti. 178 n.l lett.a) e 179 comma 1° cod. proc. pen. , siccome in irriducibile contrasto con i precetti costituzionali in argomento. In definitiva il Collegio ritiene di poter affermare che i principi della "precostituzione del giudice naturale" e della sua "terzietà ed imparzialità" sono tra di loro strettamente collegati e si integrano a vicenda nel quadro di quelle garanzie costituzionali espressamente previste per assicurare al cittadino un "giusto processo". Lì dove particolari situazioni e/o particolari provvedimenti vulnerano tali principi, stravolgendo le regole di ordinamento giudiziario e processuali (anch'esse preordinate a garantire l'accennata finalità) si verifica una insanabile violazione delle norme costituzionali, che non può non trovare una sua specifica sanzione di nullità assoluta, da inquadrarsi in un difetto di costituzione del \ giudice", [fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza adottata da un collegio, appositamente costituito da una Presidente di Sezione, in assenza di qualsiasi delega da parte del Presidente del Tribunale o della Corte d'Appello, per la specifica trattazione, nell'ambito di un'udienza straordinaria all'uopo fissata, di diciotto richieste di riesame avverso un'ordinanza impositiva di misure cautelari personali, nonostante che nello stesso periodo di tempo i collegi del riesame precostituiti presso il medesimo Tribunale funzionassero regolarmente e non si fosse resa necessaria l'adozione di provvedimenti di sostituzione, supplenza o applicazione di qualcuno dei giudici ad esso addetti].
8.2. Il motivo non é fondato.
Lo sviluppo argomentativo del ricorrente prende le mosse dai principi costituzionali, ed in particolare, dall'art.25, comma 1, che vieta di distogliere chiunque dal suo giudice naturale, precostituito per legge, e assicura un aspetto particolare, ma essenziale, del giusto processo, quello della "certezza" del giudice, integrando così il divieto di istituire giudici straordinari o giudici speciali, contenuto nell'art.102, comma 2, e facendo sì che il cittadino sappia, prima del giudizio, quale sia l'organo giurisdizionale al quale il suo caso sarà sottoposto ed al quale la cognizione di esso non potrà essere sottratta.
La ragione dell'affermazione del principio di precostituzione del giudice naturale risiede allora nella necessità di garantire effettività alla terzietà, all'imparzialità e all'indipendenza del giudice da qualunque condizionamento che possa incidere sul suo libero convincimento, perché solo attraverso un giudice costituito prima ed a prescindere dal realizzarsi del conflitto di interessi particolari, cui é chiamato istituzionalmente a dare giuridica composizione, può pervenirsi ad una decisione equilibrata, obiettiva e "neutrale".
La concreta applicazione del principio di precostituzione del giudice nell'ordinamento processuale ordinario (civile e penale) é demandata al metodo "tabellare" previsto dagli artt.7 bis e 7 ter dell'Ordinamento Giudiziario: si tratta di un meccanismo legale - con particolare riferimento alla formazione dei collegi giudicanti ed ai criteri per l'assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici - che rende attuale il rapporto di immedesimazione organica del magistrato persona fisica nell'ufficio giudiziario, prima ed a prescindere dal fatto che insorga una controversia, così da rendere effettiva la garanzia di precostituzione del giudice.
Ciò posto, deve in primo luogo osservarsi che la questione di nullità prospettata dal ricorrente non tiene conto del testo, attualmente vigente, dell'art.7 bis dell'Ordinamento Giudiziario, intitolato "Tabelle degli uffici giudicanti", che espressamente statuisce che "la violazione dei criteri per l'assegnazione degli affari, salvo il possibile rilievo disciplinare, non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati" (ultimo periodo dell'art.7-b/s, introdotto dal D.P.R.22.9.1988, aggiunto ex art.4, comma 19, legge 30.7.2007, n.111).
Del tutto univoca poi la giurisprudenza più recente di questa Corte nel senso di ritenere l'inosservanza delle disposizioni tabellari sulla formazione dei collegi giudicanti non idonea ad integrare la nullità assoluta riguardante la capacità del giudice prevista dall'art.178, comma 1, lett.a) cod. proc. pen. , costituendo essa una mera irregolarità amministrativa, a meno che la diversa composizione sia del tutto arbitraria e non sorretta da uno specifico provvedimento presidenziale (Sez.3, n.4841 del 18/7/2012, Rv.254406), principio che peraltro era stato affermato anche prima della richiamata novella legislativa che ha interessato l'art.7 bis citato, nel senso che l'assegnazione di un affare ad una sezione piuttosto che ad altra non attiene alla giurisdizione, ma piuttosto alla competenza interna, e, pertanto, non si considera afferente alla capacità del giudice, ai sensi dell'art.33 cod. proc. pen. , salva l'ipotesi di assegnazione effettuata al di fuori di ogni criterio tabellare e che possa essere definita extra ordinem (Sez.3, n.38112 del 3/10/2006, Rv.235030).
Si é già detto che l'art.25, comma 1, Cost., attribuisce al cittadino il diritto di sapere, prima dell'inizio del processo, quale sia l'organo giurisdizionale chiamato a decidere del suo caso, nel rispetto delle norme sulla competenza ed anche dei criteri fissati dalle tabelle di organizzazione degli uffici, fermo restando che l'assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici, in violazione delle tabelle di organizzazione dell'ufficio può incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacità del giudice, determinando la nullità di cui all'art.33, comma primo, cod. proc. pen. , non in caso di semplice inosservanza delle disposizioni amministrative, ma solo quando si determini uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell'ordinamento giudiziario, per la violazione di norme come quelle riguardanti la titolarità del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l'obbligo di motivazione dei provvedimenti (Sez.6, n.13833 del 12/3/2015, Rv.263079; Sez.F, n.35729 del 1/8/2013, Rv.256570; Sez.2, n.6505 del 14/1/2011, Rv.249450).
Le irregolarità in tema di formazione dei collegi incidono pertanto sulla capacità del giudice, con conseguente nullità ex art. 178, lett.a) cod. proc. pen. , solo quando siano rivolte ad eludere o violare il principio del giudice naturale precostituito per legge attraverso assegnazioni extra ordinem, perché effettuate del tutto al di fuori di ogni criterio tabellare (Sez.6, n.39239 del 4/7/2013, Rv.257087) proprio per costituire un giudice "ad hoc", situazioni dinanzi alle quali non può più affermarsi che la decisione della regiudicanda sia stata emessa da un giudice precostituito per legge.
Le evenienze procedimentali quali quelle sin qui esaminate non sono emerse dalle allegazioni difensive, né sono rilevabili dagli atti.
Non é in discussione la competenza di una delle tre Sezioni penali di cui si compone la Corte d'Appello di Firenze, e dunque sotto questo profilo non può dubitarsi del rispetto del principio del "giudice naturale" inteso come organo giurisdizionale precostituito per legge.
Neppure contestano i difensori del ricorrente - ed anzi lo affermano a paragrafo 21 della premessa del loro ricorso congiunto - che il processo a carico di F.S. venne celebrato davanti alla Prima Sezione Penale a seguito di un provvedimento del Primo Presidente della Corte d'Appello, organo deputato alle assegnazioni ed alle eventuali deroghe.
La composizione di un Collegio formato dai magistrati della Sezione che trattasse unicamente questo processo appare poi espressione di un'esigenza organizzativa del tutto ragionevole e legittima, oltre che particolarmente attenta ai diritti della difesa, essendo stata assicurata in questo modo la definizione del giudizio in un tempo "ragionevole", in ossequio ad altro e parimenti importante principio costituzionale, senza interferenze con l'ordinario svolgimento delle altre udienze della Sezione.
Nessuno stravolgimento quindi dei criteri tabellari, dovendosi a tal fine ulteriormente sottolineare due aspetti rilevanti e precisamente: che nelle tabelle della Corte d'Appello di Firenze per il triennio 2014-2016, al paragrafo "Collegi" della Prima Sezione Penale é detto espressamente che "Per garantire lo stesso collegio per procedimenti che presentano necessità di più udienze sarà prevista la reiterazione della stessa composizione dei collegi che alla Prima Sezione Penale compete la trattazione, tra gli altri, dei processi relativi ai delitti contro l'incolumità pubblica (art.422 - 452) e quindi anche del delitto di naufragio contestato all'imputato.
Non appare, infine, condivisibile la doglianza difensiva relativa al rigetto, da parte del Presidente della Corte d'Appello di Firenze, delle richieste volte ad ottenere i provvedimenti adottati sulla composizione dei collegi della prima Sezione Penale della Corte stessa nel periodo gennaio/maggio 2016 - richieste motivate dal fatto che l'assegnazione del processo alla prima Sezione Penale "potrebbe aver determinato la violazione della regola costituzionale del giudice naturale" (cosi l'istanza in data 22 settembre 2016, allegato 10 del ricorso) - poiché le istanze non riguardavano atti di natura processuale e non erano inerenti alle questioni dibattute nel processo ormai conclusosi.
Gli istanti infatti non avevano dedotto, e neppure lo deducono nel motivo di ricorso in esame, il concreto pregiudizio che sarebbe stato loro arrecato dalla variazione tabellare, atto interno dell'Ufficio di cui non é prevista una comunicazione esterna.
La natura di atto amministrativo interno si trae proprio dall'esame di alcune disposizioni della Circolare del CSM sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2014/2016, la quale, dopo aver previsto che "I dirigenti degli uffici giudiziari, in casi eccezionali ed in via di urgenza, possono adottare provvedimenti di modifica tabellare con riguardo all'assegnazione degli affari alle singole sezioni, ai singoli collegi e ai giudici, indicando specificamente le ragioni e le esigenze di servizio che li giustificano" (par.14.3)", aggiunge che "L'articolazione dei criteri di assegnazione spetta al dirigente dell'Ufficio" (par.52) e che "Sono ammissibili deroghe ai criteri di assegnazione degli affari in caso di comprovate esigenze di servizio. Tali deroghe devono essere adeguatamente e specificamente motivate e dovranno essere comunicate al magistrato che sarebbe stato competente sulla base dei criteri oggettivi e predeterminati. Trova applicazione la previsione di cui al par. 14.3".
In sintesi, l'assegnazione del processo alla Prima Sezione penale da parte del Presidente della Corte d'Appello di Firenze, la competenza tabellare di detta Sezione per i delitti contro l'incolumità pubblica, la necessità organizzativa di comporre un Collegio fisso per la trattazione (articolata attraverso più udienze) del processo di notevole importanza, senza nocumento o ritardo nella celebrazione delle udienze ordinarie, la natura di atto interno del provvedimento derogatorio, da comunicarsi unicamente al magistrato che sarebbe stato competente (per eventuali rilievi in ordine alla variazione tabellare che lo riguarda), escludono che si sia in presenza di un provvedimento extra ordinem e, conseguentemente, che sia configurabile la eccepita nullità.
Pertanto il motivo in esame deve considerarsi infondato.

 


9. SECONDO MOTIVO
Con il secondo motivo di ricorso - relativo al delitto di naufragio - l'imputato lamenta violazioni di norme processuali stabilite a pena di nullità e inutilizzabilità, con riferimento alla illegittima acquisizione di tre prove: l'interrogatorio di garanzia da egli stesso reso davanti al G.I.P., le dichiarazioni accusatorie del primo ufficiale C. A. e le dichiarazioni testimoniali dell'ufficiale cartografo S.C..
Relativamente alle dichiarazioni rese dallo F.S. al G.I.P. in sede di interrogatorio di garanzia, la difesa fa anche riferimento alla totale omessa indicazione da parte della Corte d'Appello di Firenze delle ragioni per le quali le stesse sono state valutate come prova contro l'imputato, e preferite a quanto da questi a lungo dichiarato nel corso del diffuso esame dibattimentale.
Vengono di seguito analizzate le tre eccezioni oggetto del motivo.
9.1 Nell'eccepire la inutilizzabilità delle iniziali dichiarazioni rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio di garanzia, la difesa ribadisce: che i presupposti per la loro acquisizione al fascicolo per il dibattimento sono il consenso esplicito dell'imputato e la concorde volontà delle parti, da esprimersi in modo espresso ed inequivoco; che l'interrogatorio di garanzia é un mero strumento, appunto, di garanzia e di difesa; che solamente l'esame dell'imputato disciplinato dagli artt.495 e 503 cod. proc. pen. ha natura e valore di prova; che il consenso può anche essere espresso tacitamente attraverso l'assenza di opposizione, ma solo e se il complessivo comportamento processuale della parte interessata é incompatibile con una volontà contraria; che, infine, per superare l'assenza del personale consenso dell'imputato non può soccorrere il principio generale di rappresentanza del difensore.
Nel caso di specie il consenso all'acquisizione dell'interrogatorio di garanzia era stato prestato solo dai difensori e non esplicitato personalmente anche dall'imputato e dunque l'acquisizione ne era risultata illegittima ed inutilizzabile.
La doglianza é infondata.
Nella sentenza di appello si parla di "interrogatorio ai G.I.P. acquisito agli atti con il consenso delle parti" (pag.177), conformemente a quanto affermato già nella sentenza del Tribunale di Grosseto, ove si legge di "interrogatorio acquisito agli atti alla udienza del 13 dicembre 2014 con il consenso di tutte le parti" (pag.137) e della sua utlilizzabilità "per l'espresso consenso della difesa" (pag.158).
Giova in proposito ricordare, secondo quanto statuito da questa Corte Suprema, che a norma dell'art.526 cod. proc. pen. sono utilizzabili ai fini della decisione tutte le prove acquisite nel dibattimento, comprese quelle non assunte in udienza ma comunque acquisite al fascicolo per il dibattimento, in quanto la loro legittima acquisizione ne comporta la utilizzabilità ai fini probatori (Sez.2, n.2471 del 10/10/2014, Rv.261823).
Inoltre, in tema di lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato durante le indagini, il limite di utilizzabilità in caso di contumacia o di rifiuto di rispondere riguarda soltanto gli altri soggetti (ai sensi dell'art.513, comma 1, cod. proc. pen. alle condizioni ivi previste), e non l'imputato medesimo, qualora questi, in sede di interrogatorio svoltosi con le garanzie previste dall'art.64, comma 3, cod. proc. pen. abbia reso dichiarazioni "contra sé" (Sez.2, n.7029 dell'8/11/2013).
In particolare poi, in tema di formazione del fascicolo del dibattimento, il consenso delle parti all'acquisizione di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, previsto dal terzo comma dell'art.493 cod. proc. pen. , ovvero della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva, può essere validamente prestato anche dal difensore dell'imputato, sia esso di fiducia o d'ufficio, nell'ambito delle sue funzioni di partecipazione alla definizione delle prove da acquisire, allo stesso conferite. (Sez.5, n.13525 del 25/1/2011, Rv.250225; Sez.5, n.7061 del 11/2/2010, Rv.246090). Tale acquisizione infatti - pur costituendo eccezione al principio dell'assunzione diretta dei mezzi di prova per il giudizio in dibattimento - innanzi tutto costituisce estrinsecazione del generale potere di indicazione dei fatti che si intendono provare e delle prove di cui si chiede l'ammissione (disciplinato dal primo comma dell'art.493 cod. proc. pen. e certamente appartenente anche al difensore dell'imputato, come espressamente previsto da tale comma); in secondo luogo, in assenza di una norma che riservi specificamente al solo imputato (o ad un procuratore speciale) l'esercizio di tale facoltà (come invece avviene per il rito abbreviato), é congrua anche rispetto al principio generale di rappresentanza dell'imputato assente o contumace, previsto dall'art.484, comma 2 bis, in relazione agli artt. 420 quater e 420 quinquies, comma 1 ultima parte e comma 2 cod. proc. pen.
Ancora, il consenso può formarsi tacitamente mediante una manifestazione di volontà espressa di chi propone e l'assenza di opposizione della controparte, qualora il complessivo comportamento processuale di quest'ultima sia incompatibile con una volontà contraria (Sez.5, n.15624 del 15/12/2014, Rv.263260; Sez.3, n.1727 dell'11/11/2014, Rv.261927).
I giudici di merito non sono allora incorsi in nessuna violazione di norme processuali, posto che il consenso é stato liberamente ed espressamente prestato senza riserva alcuna dal difensore di fiducia in udienza.
9.1.1. Posta la legittima acquisizione al fascicolo del dibattimento dell'interrogatorio di garanzia, la difesa lamenta vizio di motivazione per essere stata, a suo dire, "preferita" la versione dei fatti resa dallo F.S. in quel momento, rispetto alle diffuse dichiarazioni con cui tale versione era stata rettificata nel corso del dibattimento.
Aveva sostenuto la difesa (e anche l'imputato personalmente), in sede di appello, che il Tribunale era incorso in un vero e proprio equivoco, perché lo F.S. pacificamente aveva deciso di cambiare rotta per avvicinare la nave all'Isola del Giglio ed aveva perciò conferito incarico all'ufficiale cartografo S.C. di redigere una nota grafica della nuova rotta con lui concordata; tuttavia in sentenza era stato fatto riferimento ad una ulteriore "nuova rotta", che avrebbe condotto al naufragio, in realtà mai decisa dal Comandante.
Tra le emergenze processuali che il Tribunale aveva indicato a sostegno della tesi che l'imputato volesse condurre una navigazione oltre la rotta tracciata dal S.C., rimanendo non a mezzo miglio di distanza dalla costa ma andando talmente sotto da effettuare un passaggio radente davanti al porto del Giglio, vi erano appunto le dichiarazioni rese dallo F.S. al G.I.P., in sede di convalida del fermo, allorquando aveva affermato che inizialmente era programmata una distanza di navigazione dalla costa di 05 e che poi erano passati a 028. Tutto questo - si legge in sentenza - perché voleva fare un favore ad A.T., che l'indomani sarebbe sbarcato e nel frattempo aveva avvisato i familiari dell'evento organizzato in suo onore, ed al comandante  P., sotto la cui guida lo F.S. aveva mosso i primi passi da ufficiale, e che, da anni in pensione, abitava sull'Isola del Giglio.
Tuttavia - sempre secondo l'appellante - nel corso del successivo esame dibattimentale l'imputato aveva chiarito di essersi sbagliato circa la reale distanza dalla costa, in quanto indotto in errore da C. A., con il quale aveva conversato il giorno dopo il naufragio mentre attendevano entrambi di essere ascoltati dagli inquirenti all'interno della caserma dei Carabinieri di Orbetello. Durante tale colloquio, captato dalle intercettazioni ambientali, era emerso che l'imputato aveva chiesto al suo ufficiale della distanza e di che cosa avessero potuto toccare, donde la conclusione che la prima ricostruzione offerta dallo F.S. non corrispondeva a quanto realmente accaduto e la versione resa al G.I.P. era frutto di quanto rappresentatogli da A.
nell'immediatezza del fatto. Quanto dichiarato dall'imputato in sede dibattimentale era stato invece riscontrato dai dati estrapolati dal VDR, che non avevano offerto alcun elemento da cui ricavare che la nave si fosse mai trovata ad una distanza di 0,28 o 0,26 o ancora 0,18 miglia marine della costa del Giglio, quando il Comandante, avvedutosi della presenza di un basso fondale, aveva iniziato a porre in essere la manovra di emergenza per evitarlo.
Questa la doglianza dell'appellante, ribadita in questa sede come vizio attinente alla carenza di motivazione circa la valorizzazione, operata dai giudici distrettuali a fini probatori, delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia.
Esaminata limitatamente a tale aspetto - in quanto sulla colpevolezza dell'imputato in relazione al delitto di naufragio si tratterà più diffusamente in seguito - la censura, peraltro appena accennata, é infondata.
Sulla rotta tenuta dalla nave la sera del naufragio la sentenza impugnata si sofferma in maniera diffusa (par.3.2.2.1. da pag.169 e segg.), argomentando in ordine alla rotta ufficiale comunicata alle Autorità marittime al momento della partenza della nave dal porto di Civitavecchia, al passaggio a mezzo miglio dagli scogli de Le Scole tracciato dall'ufficiale cartografo S.C., non comunicato e divergente dall'originario piano di viaggio, ed infine alla nuova rotta pianificata per un ulteriore avvicinamento alle coste dell'isola.
Analizza in proposito la Corte di Firenze i seguenti elementi: le dichiarazioni di S.C., che aveva deposto come testimone alla udienza dell'8.10.2013 dopo l'archiviazione per oblazione del procedimento a suo carico; il contenuto di due conversazioni tra S.C. e F.S. aventi ad oggetto la rotta, registrate in modo intellegibile dal VDR e riscontrate anche quanto agli orari dalla perizia fonica trascrittiva; la telefonata delle ore 21:35:54 dello F.S. al comandante a riposo P. (nella quale lo F.S. si informava dell'altezza del fondale e della possibilità di passare a zero-tre, zero-quattro), telefonata della quale l'imputato riferisce anche al R.F. nella prima comunicazione successiva all'impatto con il basso fondale per addossare a P. la responsabilità dell'errata informazione fornitagli; la diversa dichiarazione testimoniale resa dal P. alla udienza del 29 ottobre 2013 circa l'ammonizione da questi rivolta al suo interlocutore di "girare al largo"; la registrazione di un colloquio con il A.T. delle 21:41:46 in cui lo F.S. chiedeva dove dovesse passare per effettuare uno spettacolare passaggio radente al porto; ancora, la telefonata intercorsa nella stessa notte con il Capitano di Vascello Leopoldo M., comandante della centrale Operativa di Roma, nel corso della quale l'imputato aveva ammesso di aver effettuato una "navigazione turistica" sotto costa, passando a 0,18 o 0,20.
In questo corposo contesto probatorio si inseriscono le dichiarazioni rese al G.I.P., davanti al quale lo F.S. aveva appunto fornito una versione precisa della rotta che intendeva seguire nel suo passaggio ravvicinato al Giglio, affermando e ribadendo - a precisa domanda - che la rotta era inizialmente pianificata a 05 e poi l'aveva portata a 028, senza affatto menzionare l'A. come sua fonte di conoscenza, come aveva poi tentato di fare in dibattimento, riferendo della conversazione presso la caserma di Orbetello di cui si é già detto.
L'indicazione quindi delle prove a carico é analitica, motivata e non frutto di una scelta preferenziale di quelle a contenuto confessorio.
9.2. Secondo il ricorrente sarebbero inutilizzabili anche le dichiarazioni accusatorie rese dal primo ufficiale C. A., imputato di reato connesso ex art.210 cod. proc. pen. , per inosservanza del principio di diritto che impone di trovare riscontri esterni, non solo riferibili al fatto ma anche all'individuo, di natura certa ed in diretto rapporto con la condotta del chiamato.
Questa Corte ha già statuito nel senso che le dichiarazioni del teste assistito necessitano, per essere utilizzate come prova, di riscontri esterni autonomi, che non possono, quindi, consistere in elementi di prova provenienti dallo stesso dichiarante (Sez.5, n.14991 del 12/1/2012, Rv.252325).
Inoltre, nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'art.192, comma terzo, cod. proc. pen. alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (S.U., n.20804 del 29/11/2012, Rv.255145).
L'imputato in un procedimento connesso o collegato ha poi piena capacità di testimoniare, qualora nei suoi confronti sia stata nel frattempo pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena, anche se in precedenza ha reso dichiarazioni senza aver prima ricevuto gli avvertimenti di cui all'art.64, comma secondo, lett.c) cod. proc. pen. in quanto l'esigenza di non ledere la sua posizione é recessiva una volta che il processo nei suoi confronti si sia già concluso irreversibilmente (Sez.4, n.10346 del 18/2/2009, Rv.242981).
Nel motivo prospettato dal ricorrente, ripreso anche nei motivi nuovi depositati il 4 aprile 2017, la questione attiene più che altro al tema della motivazione circa l'attendibilità delle dichiarazioni rese dal testimone assistito.
Va ricordato allora che l'art.192 cod. proc. pen. , rubricato come "valutazione della prova" ribadisce il principio del libero convincimento ed implica che il giudice ha ampia libertà di valutare tutti gli elementi di prova legittimamente acquisiti e di avallare, in relazione all'attendibilità degli stessi, alla credibilità delle fonti, alla idoneità di massime di esperienza o di leggi scientifiche, il discorso inferenziale sul quale si basano le ricostruzioni dell'accusa e della difesa.
Il significato delle prove acquisite sul tema dell'imputazione e la loro valenza in concreto possono così essere apprezzate solo dal giudice, costituendo l'essenza stessa della funzione giurisdizionale, ma sui dati probatori sussiste l'obbligo di motivazione.
Tale obbligo é stato adempiuto dalla Corte di Firenze. 
Nei motivi di appello la difesa aveva dedotto che A., malevolmente e forse inconsapevolmente, "per alleggerire il proprio senso di colpa", aveva sostenuto: che lo F.S., mentre parlava al telefono (il riferimento é alla telefonata con il P. iniziata alle 21:37:54), gli aveva fatto cenno con la mano di non procedere all'accostata; che il Tribunale aveva mostrato di credere a questa affermazione, sebbene nessun altro in plancia avesse riferito di aver visto quel gesto fatto con la mano; che però, ove mai il comandante avesse effettivamente mostrato ad A. la mano aperta, come per comunicargli di attendere, avrebbe inteso piuttosto comunicargli la sua momentanea indisponibilità a prendere il comando, essendo impegnato al telefono.
Ha osservato la Corte distrettuale a tale proposito che A., nel corso del suo esame come imputato di reato connesso ai sensi dell'art.210 cod. proc. pen. , aveva dichiarato che all'ordine 290° da lui ripetuto alle ore 21:36:58 con l'aggiunta stili o steady, lo F.S. gli aveva fatto cenno mostrandogli la mano con il palmo aperto, come a dire di aspettare.
Pur trattandosi di dichiarazione resa da un coimputato che aveva definito la sua posizione con sentenza irrevocabile ex art.444 cod. proc. pen. , essa si inseriva nel quadro di una serie di eventi coerentemente ricostruiti, atteso che F.S., solo pochi istanti prima, aveva chiesto ad A. di mettere un attimo "un CPA di zero, cinque" e di lì a breve, anziché assumere anche formalmente il comando della manovra pronunciando la frase di rito, aveva iniziato la conversazione telefonica con il P..
La circostanza riferita dall'A. era apparsa inoltre attendibile anche perché non aveva sminuito le responsabilità del dichiarante, peraltro già definite irrevocabilmente, e quindi aveva contribuito a far comprendere la situazione creatasi in plancia all'arrivo del comandante ed in seguito al suo comportamento.
Anche se per mera ipotesi A. avesse mentito e F.S. non avesse fatto alcun gesto, era certo che l'imputato era non solo giunto in ritardo in plancia ma aveva ulteriormente procrastinato anche l'assunzione del comando della manovra, mentre la nave si stava avvicinando sempre più all'Isola del Giglio.
Oltre a ciò, la Corte territoriale non ha mancato di rilevare che la sentenza di patteggiamento - nella quale, secondo la difesa, era rimasto provato che A., finché non era stato rilevato dalla guardia, stava seguendo una rotta diversa da quella pianificata dall'ufficiale cartografo S.C., omettendo sino a che aveva avuto la titolarità della guardia, e soprattutto dopo che era stato dato l'ordine di "timone a mano", anche di predisporre un appropriato servizio di vedetta - aveva evidenziato chiaramente il minor grado di colpa dell'A., considerato che "la scelta di navigare in estrema vicinanza alla linea di costa era individuata negli atti di indagine come conseguenza della decisione assunta da altro soggetto (oggetto di separato processo) che aveva in quel dato momento la titolarità formale ed effettiva del comando della nave”, ovvero da F.S..
Dunque, anche la citata sentenza, allegata agli atti processuali, e valutata ai sensi dell'art.238 bis cod. proc. pen. ai fini della prova del fatto in essa accertato, come richiesto proprio dalla difesa, forniva oggettivo e definitivo riscontro di quanto era avvenuto in plancia al momento dell'arrivo del comandante e subito dopo.
Di qui l'infondatezza anche di questa doglianza.
9.3. Come ulteriore profilo di censura agitato nel secondo motivo in esame, ancll'esso ripreso nei motivi nuovi depositati il 4 aprile 2017, il ricorrente insiste sulla inutilizzabilità delle dichiarazioni del S.C., in quanto prova asseritamente acquisita in violazione dei divieti stabiliti dalla legge: l'ufficiale cartografo non poteva essere definito propriamente "terzo" rispetto alla regiudicanda oggetto del presente processo perché chiamato a rispondere, in concorso, di aver fornito notizie non fedeli alle autorità portuali; inoltre sun'attendibilità intrinseca ed estrinseca delle sue dichiarazioni la Corte di Firenze aveva omesso ogni motivazione.
Anche sotto tale aspetto il motivo non é fondato.
Il S.C. aveva deposto alla udienza dell'8.10.2013 come testimone e non quale imputato di reato connesso, in quanto, in precedenza imputato di contravvenzione, era stato già destinatario di un provvedimento di archiviazione definitiva in conseguenza dell'estinzione del reato per intervenuta oblazione.
A riguardo, é orientamento consolidato di questa Corte che, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice di verificare in termini sostanziali, e prescindendo da indici formali, come l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni vengano rese, ed il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez.6, n.20098 del 19/4/2016, Rv.267129).
Non sussiste poi alcuna incompatibilità ad assumere l'ufficio di testimone per la persona già indagata in procedimento connesso ai sensi dell'art.12, comma primo, lett.c) cod. proc. pen. o per reato probatoriamente collegato, definito con provvedimento di archiviazione, in quanto la disciplina limitativa della capacità a testimoniare prevista dagli artt.197, comma primo, lett.a) e b), 197 bis e 210 cod. proc. pen. si applica solo all'imputato, al quale é equiparata la persona
indagata nonché il soggetto già imputato, salvo che sia stato irrevocabilmente prosciolto per non aver commesso il fatto, nel qual caso non trovano applicazione i commi terzo e sesto dell'art.197 bis cod. proc. pen. (S.U., n.12067 del 17/12/2009, Rv.246376; Sez.2, n.4123 del 9/1/2015, Rv.262367).
Inoltre, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la verifica della veste processuale del dichiarante, é onere della parte interessata ad opporsi all'assunzione della testimonianza di allegare, prima dell'assunzione delle dichiarazioni, le circostanze fattuali da cui risultano situazioni di incompatibilità a testimoniare (situazione nel caso in oggetto non verificatasi), sempre che la posizione del dichiarante non risulti già dagli atti nella disponibilità del giudice e non sussistano i presupposti perché questi si attivi d'ufficio, in conseguenza di una richiesta di prova formulata sul punto dalle parti, ex art.493 cod. proc. pen., ovvero in ragione dell'assoluta necessità di disporre l'escussione del dichiarante, ai sensi dell'art.507 stesso codice (Sez.6, n.12379 del 26/2/2016, Rv.266422: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto utilizzabili le dichiarazioni assunte nella forma della testimonianza in relazione alle quali nulla era stato eccepito dalle parti, al momento della formazione della prova, in ordine alla esistenza di un procedimento penale per reati connessi a carico del dichiarante).
La Corte di Firenze ha fatto buon governo di tali principi di diritto, soffermandosi in maniera puntuale sul rilievo mosso dall'appellante ed esponendo le ragioni per le quali non vi era motivo di dubitare della attendibilità e veridicità delle dichiarazioni del S.C..
Ha rilevato che il teste aveva riferito i fatti in modo preciso e coerente, conformemente a quanto registrato in maniera intellegibile dal VDR, ad eccezione delle parole incomprensibili.
Era risultato quindi provato che vi erano state due conversazioni tra S.C. e F.S. riguardanti la rotta, una svoltasi prima della partenza da Civitavecchia ed un'altra, dopo la partenza, alle ore 19:14, conversazioni di cui la perizia fonica trascrittiva aveva dato pieno riscontro per gli orari ed il contenuto delle interlocuzioni.
Il fatto che tale perizia non riportasse la frase "mò vado io", che il S.C. aveva ricordato nella sua deposizione in dibattimento, logicamente non é stato considerato dalla Corte territoriale elemento di valenza decisiva, poiché dal tenore complessivo delle conversazioni era evidente che F.S., dopo aver comunicato l'intenzione di effettuare "l'inchino" e di aver fatto tracciare una rotta modificata da S.C., era tornato sun'argomento dopo la partenza della nave.
Degli altri elementi che confermavano che F.S. volesse seguire una rotta diversa rispetto a quella tracciata dall'ufficiale cartografo si é già detto 
allorquando si é esaminato il primo profilo del motivo di ricorso in esame (telefonata a P., colloquio con il A.T., telefonate al R.F. e al M., dichiarazioni dello F.S. al G.I.P.): ai detti elementi vanno ancora aggiunti - sempre in tema di attendibilità delle dichiarazioni del S.C. - gli ordini dei gradi di rotta dati dall'imputato, che dimostravano che F.S., dopo l'assunzione formale del comando della manovra di accostata verso l'isola, non seguiva le indicazioni di rotta tracciate dal S.C. con cerchi rossi sulla carta nautica.
La Corte territoriale ha ancora tratteggiato la personalità del teste, rimarcando la professionalità ed il senso del dovere dimostrati per essere stato l'ultimo ufficiale a scendere dalla nave, essendo rimasto a bordo fino alle ore 05:45 del 14 gennaio, ovvero fino alle conclusioni delle operazioni di soccorso, ben oltre l'abbandono della nave da parte del comandante alle ore 00:17.
Dunque una testimonianza assunta senza violazione di regole procedurali e ritenuta attendibile con motivate argomentazioni.
Ne deriva l'infondatezza del motivo.

 


10. TERZO MOTIVO
Il motivo in esame é infondato, al limite della manifesta infondatezza, specie nella parte (pervero ampia) in cui esso contesta le valutazioni espresse nella sentenza impugnata sotto il profilo della persuasività e dell'interpretazione delle fonti di prova.
Ci si riferisce in particolare: alle doglianze concernenti i dedotti travisamenti sui profili di colpa specifica, relativi alla credibilità delle dichiarazioni del S.C.; all'errore di F.S. quando ordinò al timoniere di procedere con rotta 300, mentre la nave era fuori rotta (cioè non procedeva a 334°); all'asserzione che lo F.S. avesse chiesto all'A. a quale velocità si stesse procedendo, mentre ciò era desumibile dal radar.
Ci si riferisce, inoltre, alle lagnanze riguardanti: la posizione della nave prima del way point e la rotta effettiva, non comunicata al comandante; la pretesa sottovalutazione delle responsabilità degli altri ufficiali e del timoniere; l'asserita sottovalutazione degli ordini di F.S. che avrebbero impedito l'evento; il fatto che a F.S. fosse stata consegnata una nave già irrimediabilmente fuori rotta.
In relazione a tali censure - riferite nell'essenziale a questioni di mero fatto e tese a prospettare valutazioni alternative delle prove assunte a fronte dell'ampio e conducente percorso argomentativo seguito sia dal Tribunale di Grosseto, sia dalla Corte d'appello di Firenze - si é già fatto richiamo, in apposita premessa alle presenti considerazioni in diritto (v. supra), alla giurisprudenza di questa Corte che esclude dal novero delle doglianze proponibili in sede di legittimità quelle tese ad attaccare la persuasività delle argomentazioni rese dai giudici di merito, o a prospettare un'interpretazione alternativa del materiale probatorio.
Al riguardo, quindi, si fa rinvio alle suddette considerazioni dianzi formulate e, in aggiunta, ci si limita a svolgere le osservazioni che seguono.
10.1. In ordine alle dichiarazioni dell'ufficiale cartografo S.C., la Corte di merito indica i riscontri provenienti dalle conversazioni registrate in VDR alle pagine 174 e ss. della sentenza; al riguardo é possibile rinviare a quanto osservato nel trattare il secondo motivo del ricorso a firma dell'avv. Senese (v. supra). Del resto, a smentire la tesi sostenuta dal ricorrente stanno le stesse, circostanziate dichiarazioni rese dallo F.S. durante l'interrogatorio avanti il GIP, in cui l'imputato sostanzialmente ammette di avere consapevolmente azzardato l'avvicinamento alla costa fino a 0,28 miglia (vds., sul punto, quanto riportato alle pp. 179-180 della sentenza impugnata).
Quanto alla pretesa inconsapevolezza di F.S. del fatto che la nave fosse fuori rotta allorché impartì l'ordine di procedere con rotta 300°, la Corte di merito, alle pagine 176 e ss., ha congruamente motivato in ordine al significato degli ordini impartiti in successione da F.S. in quella fase, dai quali é agevole ricavare la certezza che egli fosse perfettamente consapevole che la rotta seguita dalla nave era ben diversa da quella -programmata- di 334°, che in quel momento la Costa Concordia avrebbe dovuto tenere; del resto, oltre alle già richiamate ammissioni dell'imputato in sede d'interrogatorio di garanzia, é la stessa conversazione telefonica con il Comandante P. (confermata, nel suo significato, da quest'ultimo) che dimostra come F.S. intendesse in realtà puntare verso l'isola ed avvicinarsi sottocosta per il "saluto" programmato. La circostanza che nessuno in plancia segnalò a F.S. che la rotta era in realtà ben diversa da quella di 334° é platealmente smentita dalle stesse disposizioni (veri e propri ordini, peraltro prontamente eseguiti, nonostante quanto asserito dalla difesa) che F.S. diede appena giunto in plancia, prima ancora di assumere formalmente il comando e di ordinare di procedere con rotta 300°: egli, subito dopo avere disposto al suo arrivo di procedere "timone alla mano", aveva ordinato al timoniere di procedere con rotta 278°; immediatamente A. aveva modificato l'ordine disponendo di procedere prima con rotta ( 285°, poi con rotta 290°; e il timoniere, alle ore 21:37:47, aveva informato dell'avvenuto raggiungimento della rotta 290° (il way point non era stato, in quel momento, ancora raggiunto); informazione poi ribadita dall'A. e ripresa dallo stesso F.S. un attimo prima di assumere il comando della manovra anche formalmente ("Alla via due, nove, zero").
Dunque, é stato correttamente ritenuto comprovato dai giudici di merito che lo F.S. fosse, da un lato, fin da subito perfettamente consapevole della rotta assunta dalla nave; e che, dall'altro, egli impartisse ordini e si ingerisse nella manovra ancor prima di assumere a tutti gli effetti il comando della manovra stessa.
A proposito della richiesta dello F.S. all'A. di quale fosse la velocità, pur potendo egli verificarla dal radar, l'obiezione difensiva non tiene conto che, quando ciò avveniva (alle 21:35:52), lo F.S. era appena arrivato in plancia; e il fatto che egli avesse rinnovato la richiesta all'A. dopo avere assunto il comando, pur potendo egli verificare la velocità sulla base della strumentazione di bordo, é unicamente prova del fatto che egli ritenne di chiedere tale informazione al primo ufficiale che fino ad allora aveva formalmente la titolarità della manovra, anziché consultare personalmente il radar.
Quanto alle questioni, prospettate dal ricorrente - in ordine alla posizione della nave prima del way point, al fatto che la rotta effettiva non fosse stata comunicata al comandante, alla sottovalutazione delle responsabilità degli altri ufficiali e del timoniere, alla sottovalutazione degli ordini di F.S. che avrebbero impedito l'evento e all'asserzione secondo la quale a F.S. fosse stata consegnata una nave già irrimediabilmente fuori rotta - oltre a quanto ampiamente osservato in ordine ai limiti della sindacabilità di dette questioni in sede di giudizio di legittimità, é sufficiente considerare che la sentenza impugnata (pp. 194 - 198) chiarisce perfettamente: che lo F.S. era tutt'altro che ignaro della rotta tenuta dalla nave; che il superamento del c.d. w.o.p. (ossia del punto ottimale per iniziare la progressiva manovra di accostata) era bensì avvenuto quando l'A. comandava formalmente la manovra, ma in una condizione in cui F.S. si ingeriva già ripetutamente nel comando della stessa; che comunque, nel momento in cui quest'ultimo assunse anche formalmente il comando, egli poteva ancora portarsi senza particolari problemi sulla rotta programmata di 334°, anche perché in quel momento il way point (ossia il punto di completamento dell'accostata e di assunzione della rotta) non era ancora stato raggiunto, pur essendo ormai prossimo. Dunque, la Corte di merito fornisce adeguata e convincente motivazione del fatto che - diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente - la nave non era affatto irrimediabilmente fuori rotta; che gli errori e le omissioni attribuiti ad altri ufficiali
(l'A., ma anche l'S.U. e la S.C.) non furono in alcun modo decisivi, né tanto meno tali da ingannare il comandante sullo stato della navigazione; che la condotta posta in essere dallo F.S. fu attuata in violazione di numerose e precise regole di corretta navigazione, analiticamente riportate nel capo di imputazione ed esaminate accuratamente nel percorso argomentativo della sentenza, di tal che «non si comprende come F.S., che era al vertice della catena di comando ed era il titolare della posizione di garanzia, possa fondatamente chiedere di andare esente da responsabilità per le sue numerose condotte colpose, commissive ed omissive, che portavano la nave al naufragio, solo perché profili di colpa (di minore gravità) potevano essere ravvisati anche nelle condotte dei suoi sottoposti presenti in plancia» (vds. paragrafo 3.2.7.4. sentenza impugnata, pp. 233 e ss.); che gli errori del timoniere R.B. furono in larga parte indotti dallo stesso F.S. e dalle sue concitate modalità di impartire gli ordini in rapida sequenza (la Corte di merito ricorda i "6 ordini dati a raffica dai comandante al timoniere nel giro dei soli 32 secondi precedenti il fatale impatto con il basso fondale"-, pag. 206 sentenza impugnata), a fronte di una scarsa conoscenza sia della lingua italiana che di quella inglese da parte del timoniere, circostanza della quale lo F.S. era (e non poteva non essere) necessariamente edotto, quanto meno sulla base delle evidenti incertezze mostrate dal timoniere fin dai primi ordini che il comandante gli aveva impartito; e che lo stesso F.S. (il quale in concreto, si ribadisce, aveva già assunto il controllo della conduzione della nave pochi istanti dopo il suo arrivo in plancia) ben poteva, anche dopo la formale assunzione del comando della manovra, correggere la rotta ed evitare di accostarsi in modo pericoloso alla costa del Giglio.
Tanto più che, tra un eventuale pregiudizio alla stabilità e al comfort dei passeggeri (correiabile a una manovra di repentina correzione di rotta) e un rischio di collisione con gli scogli, di naufragio e di rischi per le vite umane, la scelta doveva essere comunque obbligata per il comandante della nave, quale garante della vita e dell'incolumità delle persone a bordo (ed in specie "per i sinistri che colpiscono la persona del passeggero", come recita testualmente l'art. 409 cod.nav.; a proposito del contenuto della posizione di garanzia del comandante di nave, in riferimento all'incolumità delle persone presenti a bordo, vds. la recentissima Sez. 4, n. 6376 del 20/01/2017, Cabrerizo Morillas, Rv. 269063).
Lo F.S. invece decise coscientemente di avvicinarsi ulteriormente all'isola e di ritardare la modifica della rotta rispetto al punto in cui tale modifica era stata convenuta con il S.C., attivandosi poi troppo tardi per correggerla, con gli esiti fatali ben noti.
A tutto voler concedere, posto che nel momento della piena assunzione del comando della manovra lo F.S. era ancora nelle condizioni di rimettere la nave in rotta, deve considerarsi che egli da tale momento era pienamente succeduto, anche sotto il profilo formale, nella specifica posizione di garanzia riferita alla gestione della manovra della nave. In siffatta ipotesi, giammai potrebbe risultare scriminato il comportamento dello F.S., subentrato come garante anche sotto tale profilo, restando per lui esclusa la possibilità di far valere il principio di affidamento sul garante precedente (sulla questione, più diffusamente, v. infra), sulla base dei consolidati principi in tema di successione nelle posizioni di garanzia, atteso che, in siffatte ipotesi, il principio dell'equivalenza causale implica che la condotta del singolo soggetto che ha concorso a determinare l'evento ha efficienza causale pur quando difetti del coefficiente psicologico necessario all'attribuzione di responsabilità (Sez. 4, n. 4675 del 05/12/2008 - dep. 03/02/2009, Cacioppo e altri, Rv. 243648).
Ma, come si é visto, lo F.S., già prima di assumere formalmente il comando (e di fatto fin dal suo arrivo in plancia), impartiva ordini sulla manovra, ordinando di procedere con timone alla mano (ossia facendo disattivare il pilota automatico), disponendo che si proseguisse ancora con rotta 278° (subito corretto da A., che ordinò di portare la rotta fino a 290°: una correzione rivelatasi comunque insufficiente) e contribuendo così fin da quel momento all'esecuzione della manovra errata. Sul punto, si soggiunge che la Corte di merito ben argomenta circa la pretestuosità dell'assunto sostenuto dal ricorrente nel qualificare non già come "ordini", ma come meri suggerimenti quelli da lui esternati in tale fase: basterà osservare al riguardo che tali "suggerimenti" (provenienti dal comandante dell'unità) venivano prontamente raccolti sia dall'ufficiale di guardia A. che, a cascata, dal timoniere R.B..
10.2. Qualche considerazione a parte meritano le ulteriori doglianze, che concernono la dedotta assenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla causalità della colpa; l'omessa applicazione dei principi in tema di responsabilità omissiva; l'omessa considerazione del c.d. principio di affidamento (giusta considerazioni integrative contenute nei "motivi nuovi" a firma dell'imputato, depositati il 4.4.2017, paragr. 3.9, pp. da 27 a 39).
Tali doglianze - che, con riguardo al motivo in esame, vanno riportate alla fase che condusse al naufragio dell'unità - si appalesano tutte infondate.
In proposito, é opportuno premettere che, dalla lettura congiunta delle motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado (richiamati qui i principi secondo i quali dette motivazioni, trattandosi di "doppia conforme", si saldano in un unicum motivazionale), si evince che i giudici di merito hanno fornito ampia e conducente argomentazione sia con riguardo alla rilevanza causale dei dedotti profili di violazione di plurime regole cautelari, codificate e non codificate, sia con riguardo all'esame controfattuale delle condotte (non solo omissive, ma anche commissive) ascritte allo F.S., sia infine con riguardo alla non operatività, nel caso di specie, del principio di affidamento.
Appare opportuno un esame di ciascuna delle singole questioni di che trattasi alla luce degli indirizzi giurisprudenziali in materia.
10.3. La "causalità della colpa" - . In tema di causalità della colpa (intesa come introduzione, da parte del soggetto agente, del fattore di rischio poi concretizzatosi con l'evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio), quando la ricostruzione del comportamento alternativo lecito idoneo ad impedire l'evento deve essere compiuta nella prospettiva dell'interazione tra più soggetti, sui quali incombe l'obbligo di adempiere allo stesso "dovere” o a "doveri” tra loro collegati, la valutazione della condotta di colui che é tenuto ad attivare altri va effettuata assumendo che il soggetto che da esso sarebbe stato attivato avrebbe agito correttamente, in conformità al parametro dell'agente "modello" (Sez. 4, n. 31244 del 02/07/2015 - dep. 17/07/2015, Meschiari, Rv. 264358): con la doverosa precisazione che la valutazione in ordine alla prevedibilità dell'evento va compiuta avendo riguardo anche alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualità personali, in relazione alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento (Sez. 4, n. 49707 del 04/11/2014, Incorvaia e altro, Rv. 263283).
Nella specie la disamina, che ha formato oggetto di ampio e conducente sviluppo sia da parte del Tribunale di Grosseto, sia da parte della Corte d'appello di Firenze, verte su due aspetti, distinti ancorché fra loro interconnessi: ossia quello del verificarsi dell'evento quale conseguenza della violazione delle regole cautelari finalizzate ad evitarlo; e quello della pluralità di soggetti tenuti ad osservare tali regole, e che le avrebbero disattese.
Sotto il primo profilo, la sentenza impugnata, in molteplici passaggi (cfr. ad es. pp. 229 e ss.), dà conto sia della lunga serie di regole cautelari specifiche dallo F.S. disattese, sia dell'inosservanza, da parte dello stesso, del livello di diligenza, prudenza e perizia oggettivamente dovuto ed esigibile: ciò a partire dalla sommaria (e peraltro da lui disattesa) pianificazione della rotta assieme al S.C., proseguendo poi con l'utilizzo di una manovra spericolata, tenendo una rotta e una velocità del tutto inadeguate, per finalità essenzialmente legate al c.d. "saluto" ravvicinato al Giglio, che egli si proponeva di effettuare; vengono inoltre ampiamente illustrate dalla Corte distrettuale (come già dal Collegio di primo grado) le ragioni in base alle quali, da tali inosservanze ascrivibili in primo luogo al comandante, derivava la condizione di ingovernabilità della nave, tale che il tardivo tentativo di correggerne la rotta per evitare l'impatto con i fondali rocciosi non veniva condotto a buon fine.
In tal senso, può senz'altro affermarsi (in perfetta coerenza con la teoria generale della causalità della colpa) che l'evento-naufragio ha trovato specifico presupposto nella violazione di plurime regole cautelari che rendevano colposa la condotta causalmente rilevante, nel senso che esso si é verificato proprio a causa di quell'inosservanza.
In questo senso, ai fini dell'accertamento circa la rimproverabilità della condotta a titolo di colpa, la sentenza impugnata (come già quella di primo grado: vds. pagine da 185 a 198 della sentenza del Tribunale di Grosseto) ha fatto ampio riferimento al comportamento alternativo diligente che, se posto in essere, avrebbe evitato l'evento, proprio richiamandosi, nei singoli passaggi, alle regole cautelari (sia codificate, sia generiche) che, se osservate, avrebbero avuto efficacia impeditiva dell'evento-naufragio: regole richiamate dalla Corte gigliata alle pagine 76 e ss. della pronunzia oggetto di ricorso ed esaminate analiticamente nelle successive pagine dell'ampia motivazione, non solo in relazione alla loro violazione da parte dell'imputato, ma anche in relazione alla portata salvifica che dette regole avrebbero avuto qualora fossero state rispettate (si vedano, ad es., le diffuse argomentazioni illustrate alle pagine 169 e ss., 185 e ss., 221 e ss. della sentenza impugnata).
Il riferimento alla ricostruzione, operata dai giudici di merito, del comportamento alternativo diligente, che nell'occorso lo F.S. avrebbe dovuto tenere nella sua qualità, evoca direttamente la figura del c.d. agente modello, che la dottrina e la giurisprudenza tradizionalmente indicano come parametro di valutazione della condotta doverosa.
Va detto, in proposito, che la dottrina prima, la giurisprudenza poi, sono approdate a una più approfondita riflessione a proposito della figura del c.d. agente modello, precisando che esso non può e non deve costituire un modello ideale astratto, ma va caratterizzato in rapporto alle specificità del caso, ossia tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale.
Il che però, si badi, non implica lo smantellamento della nozione di "agente modello" o la rinuncia ad essa (a tanto non é arrivata neppure la dottrina germanica, la quale, nell'elaborare la teoria della c.d. doppia misura della colpa, muove pur sempre dall'individuazione di una figura astratta rapportabile a quella dell'agente modello).
La nozione in esame resta, invero, affatto valida, e continua a rappresentare un punto di riferimento deontologico, allorquando il soggetto che agisce in concreto sia nelle condizioni non solo di dovere, ma anche di poter osservare le regole dell'uomo eiusdem condicionis ac professionis: ossia quando sono realmente da lui conoscibili ed esigibili tali regole di cautela. Il che in generale avviene nei casi in cui egli opera effettivamente nelle condizioni dell'agente modello, con la conoscenza/conoscibilità completa delle regole di cautela e del rischio tipico che esse sono tese a prevenire, e con la qualificazione personale e/o professionale propria (appunto) dell'agente modello.
E' di tutta evidenza che ciò vale soprattutto allorquando, come nel caso di specie, le regole cautelari cui l'imputato, provvisto della qualificazione professionale del comandante di una grossa nave passeggeri, doveva attenersi, erano, per lo più, codificate ed enunciate in specifici disciplinari riguardanti la navigazione e la condotta in mare dei natanti, specie se adibiti al trasporto di persone.
10.3.1. Sotto l'ulteriore e diverso profilo della pluralità di soggetti tenuti al rispetto delle regole cautelari che nella specie furono violate, va detto innanzitutto che correttamente i giudici di merito hanno attribuito allo F.S. la decisione di imprimere alla nave una rotta e una velocità che si ponevano al di fuori di quelle regole, disattendendo oltretutto la rotta convenuta con l'ufficiale cartografo (che, se rispettata, non avrebbe cagionato alcun pericolo per la nave); ed hanno ampiamente chiarito come tale decisione abbia avuto un peso preponderante sul corso degli eventi che condussero al naufragio, rispetto a quello degli errori attribuiti agli altri ufficiali presenti in plancia e al timoniere (al riguardo, ci si riporta alle considerazioni già formulate poc'anzi).
In proposito, a tutto concedere, occorre tenere presente che, quando - come nella specie - fra i diversi garanti intercorre un rapporto gerarchico, il titolare della posizione di garanzia gerarchicamente sovraordinato non deve fare quanto é tenuto a fare il garante subordinato, ma deve scrupolosamente accertare se il subordinato é stato effettivamente garante, ossia se ha effettivamente posto in essere la condotta di protezione a lui richiesta in quel momento (Sez. 4, n. 38810 del 19/04/2005, Di Dio, Rv. 232415; Sez. 4, n. 45369 del 25/11/2010, Osella e altro, Rv. 249072).
Con più specifico riguardo alla posizione di sovraordinazione del comandante di nave rispetto agli altri soggetti (lato sensu indicabili come garanti) a lui subordinati, una recente sentenza di questa Sezione ha, in motivazione, precisato che « l'ordinamento della navigazione marittima delineato dai Codice della navigazione attribuisce icasticamente al comandante un ruolo di autorità egemone, oltre a varie funzioni di carattere giuridico ed amministrativo che in vario modo coinvolgono la vita delle persone nel corso della navigazione. Tale ruolo é espresso con forza, riassuntivamente, dall'art. 186 che attribuisce a tale figura autorità nei confronti di tutte le persone presenti a bordo. La norma va coordinata con il successivo art. 190 che obbliga tutti i componenti dell'equipaggio a cooperare alla salvezza della nave, delle persone e del carico, fino a quando il comandante non ordini l'abbandono dell'imbarcazione. É dunque chiaro che il comandante sovraintende a tutte le funzioni che attengano alla "salvezza" delle persone e delle cose. Naturalmente tale potere "alto" non può certo conculcare le sfere di competenza di figure, anche subordinate, che tuttavia abbiano competenze tecnico-scientifiche peculiari. Esso, però, potrà ben trovarsi ad interagire, in determinate contingenze, con le valutazioni e le iniziative di tali diverse figure professionali» (Sez. 4, Sentenza n. 9897 del 05/12/2014, dep. 2015, Pennisi).
Non può del resto dubitarsi, nella specie, non solo della posizione sovraordinata dello F.S. rispetto agli altri soggetti indicati come responsabili ai fini della manovra, ma anche dell'assommarsi, direttamente in capo al medesimo, di condotte colpose non solo omissive, ma anche commissive, tutte puntualmente indicate nell'editto imputativo ed altrettanto puntualmente illustrate nella sentenza impugnata, dalle quali dipese il verificarsi del naufragio.
10.4. La causalità omissiva - . Il tema della causalità omissiva é uno di quelli proposti dal ricorrente con il motivo in esame, e viene ripreso e ulteriormente argomentato nei "motivi nuovi" personalmente sottoscritti dall'imputato il 4 aprile 2017 (vds. paragrafo 3, pp. 14 e ss.).
Coll'é noto, secondo la giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite (ci si riferisce in particolare alla sentenza Thyssenkrupp), nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261103).
La sentenza appena citata recupera - sviluppandone poi la collocazione - la Unite, Franzese (n. 30328/2002). In quest'ultima pronunzia, come noto, si affermava che la probabilità scientifico-statistica (ossia il parametro attraverso il quale, fino ad allora, si risaliva al fattore causale) dev'essere assoggettata a una verifica, a una conferma basata sul ragionamento probatorio. Anzi, affermavano in allora le Sezioni Unite, é proprio la "probabilità logica" che - seguendo l'incedere induttivo del ragionamento probatorio per stabilire il grado di conferma dell'ipotesi formulata in ordine allo specifico fatto da provare - contiene la verifica aggiuntiva, sulla base dell'intera evidenza disponibile, dell'attendibilità dell'impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilità dell'accertamento giudiziale: si tratta dunque di un riscontro alle leggi scientifiche e statistiche, basato su un "procedimento logico, invero non dissimile dalla sequenza del ragionamento inferenziale dettato in tema di prova indiziaria dall'art. 192 comma 2 cod. proc. pen. ".
Sviluppando il tema, la sentenza Thyssenkrupp muove dalla considerazione che, accanto ai "ragionamenti esplicativi, che guardano il passato, tentano di spiegare le ragioni di un accadimento, di individuare i fattori che lo hanno generato", la ricostruzione del fatto e delle relative cause implica anche il ricorso a ragionamenti predittivi che riguardano la verificazione di eventi futuri, ma che il giudice impiega retrospettivamente "quando si trova a chiedersi cosa sarebbe accaduto se un'azione fosse stata omessa o se, al contrario, fosse stato tenuto il comportamento richiesto dall'ordinamento". Perciò, nel procedere all'indagine causale (specie laddove si ponga il problema della pluralità di cause possibili) "ciascuna ipotesi causale viene messa a confronto, in chiave critica, con le particolarità del caso concreto che potranno corroborarla o falsificarla".
Quindi, sebbene i contenuti ipotetici del giudizio controfattuale siano comunque diversificati a seconda che si proceda per reati omissivi ovvero commissivi (se non altro perché, nel primo caso, l'accertamento ipotetico verte sun'evitabilità dell'evento se l'agente si fosse attivato secondo le regole di cautela, e dunque individuando tale condotta e immaginandone gli effetti; mentre nel secondo caso esso verte sun'evitabilità dell'evento astenendosi dal tenere la condotta vietata da quelle norme), i criteri di accertamento della responsabilità colposa riposano, in termini concettuali, sullo scostamento fra il modello comportamentale adottato dall'agente concreto e quello (causalmente idoneo a evitare, ritardare o attenuare l'evento) che sarebbe stato doveroso -e che ci si sarebbe dovuti attendere- da parte dell'agente modello.
Ma ciò, secondo la sentenza Thyssenkrupp, non consente di pretermettere, dal ragionamento svolto a posteriori sulla base degli elementi disponibili in esito all'accertamento del fatto, la rilevanza della capacità dell'agente concreto di uniformarsi alla regola di condotta e di prevedere che gli sviluppi conseguenti alla sua azione/omissione difforme dal comportamento dovuto potessero determinare eventi appartenenti alla categoria di quello in concreto verificatosi. Di tanto si é fatto cenno, del resto, a proposito della disamina del comportamento alternativo diligente in rapporto alla figura dell'agente modello, di cui s'é detto in precedenza.
Venendo al caso di specie, e con riguardo all'esame della rilevanza causale delle condotte ascritte all'imputato, limitando l'esame per ora alle questioni riguardanti la fase che condusse al naufragio oggetto del motivo di doglianza in esame, sarebbe bastevole richiamare le ampie e puntuali considerazioni dedicate ai suddetti profili già nella sentenza di primo grado, in riferimento alle singole condotte colpose (che, pervero, risultano essere sia omissive che commissive) contestate nella fase che portò al naufragio e al relativo nesso causale (pp. 175- 205; v. in part. pp. 177 e ss. sentenza Tribunale di Grosseto). Considerazioni richiamate dalla Corte di merito ed ivi pienamente condivise, con ampio tessuto argomentativo, segnatamente alle pagine da 169 a 228.
In proposito, deve ribadirsi quanto si é già avuto modo di osservare supra a proposito dell'individuazione della c.d. causalità della colpa da parte dei giudici di merito, con precipuo riguardo al fatto che la sentenza impugnata ha adeguatamente illustrato sia le violazioni delle numerose regole cautelari, anche di natura specifica, che imponevano allo F.S. di porre in essere comportamenti attivi, e che l'imputato ha disatteso; sia la portata salvifica che l'osservanza di tali regole avrebbe avuto nell'occorso.
Tale disamina (che di seguito viene illustrata limitatamente ai principali profili di condotta omissiva contestati all'imputato nella fase antecedente il naufragio, ferme restando le ulteriori censure riferite a condotte attive) é stata fatta in piena armonia con i richiamati principi affermati dalla giurisprudenza apicale, ossia in sostanziale aderenza al criterio della c.d. alta probabilità logica (nei termini che si sono dianzi illustrati) e considerando, altresì, le peculiarità che caratterizzavano il caso concreto.
E' stato, ad esempio, ampiamente chiarito che il passaggio a mezzo miglio di distanza dal Giglio, che lo F.S. aveva inizialmente concordato con il S.C. a modifica della rotta programmata (accordo che lo F.S. omise poi di rispettare, con i noti esiti), sarebbe avvenuto in tutta sicurezza per la nave, essendovi in quel punto un fondale di circa 100 metri (pag. 170 sentenza impugnata). Del pari é stato chiarito che l'uso di una carta nautica adeguata, diversa da quella in concreto utilizzata (la n. 6 dell'Istituto Idrografico della Marina Militare), avrebbe consentito in condizioni diverse e più favorevoli un transito più ravvicinato (p. 172); ancora, si é messa in evidenza la rilevanza che avrebbero avuto le disposizioni scritte, chiamate ordini permanenti o standing orders, che lo F.S. avrebbe dovuto impartire agli ufficiali che dovevano assumere la guardia in plancia e che avrebbero dovuto prevedere, fra l'altro, le indicazioni sulla velocità di avvicinamento da tenere, nonché i tempi e le modalità secondo i quali effettuare i cambiamenti di rotta (pagg. 186-187). Ulteriormente rilevanti sono le considerazioni svolte dalla Corte territoriale in ordine alle conseguenze del ritardo con cui lo F.S. si presentava in plancia e assumeva il comando (pp. 187-190): al riguardo la Corte di merito evidenzia che, «se F.S. avesse rispettato i tempi previsti, raggiungendo la plancia quando A. lo aveva chiamato per avvisarlo che si trovavano a sole 6 miglia dall'Isola del Giglio, avrebbe assunto la conduzione della manovra molto prima, perché in quel quarto d'ora la nave percorreva altre 4 miglia e si portava a 2,54 miglia dalla costa» (p. 189).
A tale condotta, sempre seguendo l'argomentare della Corte fiorentina, si aggiungevano poi ulteriori comportamenti omissivi, a loro volta dotati di efficienza causale nel prodursi dell'evento-naufragio: é stato sottolineato ad esempio il mancato adeguamento dell’occhio alla visione notturna, causato anch’esso dal ritardo nell'arrivo in plancia e che ebbe come conseguenza il fatto che lo F.S. diede solo fugaci occhiate allo schermo radar, cosi pregiudicando la sua immediata conoscenza di dati rilevanti ai fini della navigazione (p. 191); subito dopo la Corte ha sottolineato che il ritardo dell'arrivo in plancia di F.S. avvenne in un momento in cui la nave poteva agevolmente rientrare sulla rotta tracciata da S.C.; e, se é vero che A. e S.C. non avevano fornito all'imputato eventuali informazioni utili, é però altresì vero che F.S. non le richiese, pur avendo il dovere, oltre che la possibilità, di acquisire la conoscenza di qualsiasi dato necessario, anche in considerazione del fatto che egli guardava lo schermo radar soltanto di "sfuggita" (pag. 191). Ulteriormente decisivo é il rilievo in base al quale, una volta assunto anche formalmente il comando, F.S. non considerò che il way point, pur essendo ormai vicino, non era ancora stato superato e che quindi, secondo gli apporti peritali condivisi dai giudici di merito, egli era «ampiamente in tempo per portarsi sulla rotta tracciata da S.C., ancorché con una accostata non proprio morbida ed inavvertibile ma un po' più decisa» (p. 198). Ancora, é stata adeguatamente evidenziata (p. 203) la negligenza dello F.S., il quale, pur rendendosi sicuramente conto della scarsa dimestichezza del timoniere R.B. con la lingua inglese (oltreché con quella italiana), si avventurava in una manovra rischiosa senza procedere alla sua sostituzione: la quale, per come si evince anche nel prosieguo del percorso argomentativo, avrebbe avuto un effetto sicuramente tutt'altro che pregiudizievole, specie se tempestivamente disposta. Proseguendo nel percorso motivazionale, la Corte di merito (pag. 206) osserva che a un certo punto F.S., «per controllare "de visu" la situazione, lasciava il radar e si posizionava di fronte alla vetrata (dove, si noti, non aveva sostituito l'uomo di vedetta, da lui trasferito al timone a mano), accorgendosi della presenza degli scogli a brevissima distanza», con ciò rendendo evidente che l'omessa sostituzione del R. nelle sue funzioni di vedetta ebbe a sua volta rilevanza nella situazione, puntualmente descritta nelle pagine successive, che determinò il prodursi dell'evento.
Appare quindi evidente che, pur senza un esplicito richiamo agli approdi giurisprudenziali sopra richiamati in materia di causalità omissiva, la Corte di merito ha effettuato una disamina del materiale probatorio e dei motivi d'appello perfettamente aderente ai principi ivi enunciati, esaminando accuratamente lo sviluppo causale dell'evento nella sua interezza e nelle sue concrete caratterizzazioni, e cosi pervenendo a un giudizio di sicura probabilità logica della dipendenza causale di detto evento (anche) dai comportamenti omissivi dell'imputato: un giudizio nel quale si é tenuto conto del diverso e più favorevole decorso causale che si sarebbe concretato ove fossero state rispettate le regole cautelari che imponevano allo F.S. di adottare i comportamenti attivi da lui in concreto omessi; si é considerata l'incidenza degli ulteriori e diversi fattori eziologicamente rilevanti (ivi compresi quelli umani, riferibili agli altri ufficiali in plancia e al timoniere); e si é tratto da tale disamina, con argomenti logicamente inoppugnabili e comunque non sindacabili in questa sede, il fondato convincimento che le condotte omissive (e quelle commissive) attribuibili allo F.S. ebbero rilevanza causale preponderante nel verificarsi del naufragio.
10.5. Il principio di affidamento. - Al problema del principio di affidamento dell'agente sun'altrui condotta diligente (strettamente collegato alla prevedibilità del comportamento colposo del terzo e all'astratta idoneità interruttiva che tale comportamento può rivestire nella serie causale che conduce all'evento), il ricorrente dedica, come si é detto, un ampio paragrafo dei motivi nuovi da lui personalmente sottoscritti il 4 aprile 2017 (paragr. 3.9, pp. 27 e ss.).
Per un inquadramento generale del problema, va premesso che esso si pone nelle attività che vengono compiute collettivamente, o da più persone indipendentemente tra loro (ma con la reciproca consapevolezza di ciò), allorché la condotta del singolo é influenzata dalla convinzione che gli altri individui coinvolti nella stessa attività agiranno in modo conforme a regole di cautela. In pratica l'agente fa "affidamento" sulla condotta degli altri, confidando cioè sul fatto che essa sia idonea a evitare (o a non introdurre) rischi in quanto aderente alle prescrizioni cautelari di settore.
La questione si pone unicamente con riguardo alle attività rischiose giuridicamente consentite; e si comprende, perché solo per queste attività si può parlare di un rischio lecito e non di un obbligo di astenersi tout court.
É chiaro che, qui come altrove, occorre muovere dal principio costituzionale di personalità della responsabilità penale, in base alla quale ciascuno dei consociati risponde, in linea generale, della propria condotta e dei pericoli e degli eventi di danno da essa creati; ma, nello specifico, il problema fondamentale si pone in relazione a determinate situazioni e a determinate attività, laddove sia possibile prevedere che altre persone non si attengano alle regole cautelari che disciplinano l'attività comune o convergente. In tal caso viene fatto carico al singolo agente di adottare le cautele necessarie a evitare i rischi introdotti dalla condotta altrui; ed é in queste circostanze che occorre stabilire fino a che limite il singolo agente possa invocare il principio di affidamento, ossia (appunto) il suo affidamento nella correttezza dell'attività di altri, e da quale momento in poi egli debba assumere su di sé l'onere di ovviare ai rischi della scorrettezza o della negligenza, imprudenza o imperizia altrui.
Al riguardo, é ius receptum che il principio in esame trova un temperamento nell'opposto principio secondo il quale il soggetto garante del rischio é responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità: si afferma cioè la necessità che il comportamento imprudente altrui debba essere valutato nella sua "ragionevole" prevedibilità in base alle circostanze del caso concreto (tra i molti precedenti, con particolare riferimento al tema della circolazione stradale, vds. Sez. 4, Sentenza n. 46741 del 08/10/2009, Minunno, Rv. 245663; e la recente Sez. 4, n. 5691 del 02/02/2016 - dep. 11/02/2016, Tettamanti, Rv. 265981).
La questione rileva anche nell'ambito della responsabilità colposa plurisoggettiva, in quanto l'evento dannoso cagionato dalla convergenza di più condotte pone il problema della riferibilità, a ciascuno dei soggetti coinvolti, della connessa responsabilità, e quello di stabilire le possibili interazioni fra le diverse condotte.
Nelle fattispecie plurisoggettive colpose, la questione può porsi sia nei casi in cui i diversi soggetti coinvolti agiscano in rapporto di collaborazione diacronica, sia nei casi in cui essi agiscano in rapporto di collaborazione sincronica. 
Si parla di collaborazione diacronica quando più soggetti intervengono nel tempo (ossia in successione) e pongono in essere condotte sulla cui correttezza e cautela gli altri devono, di regola, poter confidare.
Si parla invece di collaborazione sincronica nel caso di attività poste in essere nello stesso contesto spazio-temporale e per la medesima finalità, sia in assetto gerarchico, sia collettivamente (come accade ad esempio nel lavoro d'équipe).
In tutti i casi di collaborazione (sia essa diacronica o sincronica), secondo autorevole dottrina, al singolo agente deve farsi carico di prevedere la possibile condotta incauta degli altri operatori a condizione che siano ravvisabili: a) la concreta prevedibilità dell'altrui imprudenza, ossia la possibilità che, in relazione alla situazione concreta, il singolo agente possa ragionevolmente prevedere che altri agenti pongano in essere condotte imprudenti e potenzialmente dannose; b) /'evitabilità delle conseguenze dell'altrui comportamento imprudente, ossia la concreta possibilità di agire efficacemente per impedire gli effetti dell'altrui condotta colposa; c) gli eventuali obblighi di sorveglianza, coordinamento e controllo affidati al singolo operatore nei confronti degli altri.
Va detto che, in base alla giurisprudenza di legittimità formatasi in epoca successiva alla sentenza Thyssenkrupp (vds. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261103), la responsabilità del primo garante nel prodursi dell'evento può essere affermata sempreché non intervenga, nel decorso causale che conduce all'evento medesimo, una causa sopravvenuta (eventualmente indotta da altro soggetto subentrato nella veste di garante) che inneschi un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta (cfr. in tema di responsabilità medica Sez. 4, n. 3312 del 02/12/2016 - dep. 2017, Zarcone, Rv. 269001; Sez. 4, n. 15493 del 10/03/2016, Pietramala e altri, Rv. 266786).
Nel caso che ne occupa, la doglianza muove dal presupposto che lo F.S. avesse assunto il comando senza avere contezza, dagli altri ufficiali in plancia (e in primo luogo dall'A.), del cambio di rotta rispetto a quella concordata con l'ufficiale cartografo S.C.: evenienza, questa, che viene di fatto presentata come idonea a integrare un rischio nuovo, imprevedibile ed eccezionale, nonché insuscettibile di essere evitato, per essere ormai la nave già fuori rotta nel momento dell'assunzione del comando da parte dell'Imputato.
Ma sul punto deve ribadirsi, sulla scorta della motivazione offerta dalla Corte di merito, che tale presupposto é smentito dagli atti: in realtà, fin dal suo arrivo in plancia lo F.S. ben conosceva la rotta (avendola addirittura ripetuta ad alta voce) e la velocità della nave; e del resto, quand'anche ciò non si fosse verificato, egli possedeva tutti gli elementi non solo per conoscere la rotta, ma altresì per vedere esattamente in quale posizione di trovava la nave, dallo schermo radar (vds. pp. 234-235 sentenza impugnata).
Non si vede allora come si possa qualificare come "causa sopravvenuta imprevedibile ed eccezionale" (o, per attenerci alla più recente giurisprudenza, come "rischio nuovo e incommensurabile") il cambio di rotta intervenuto rispetto a quella concordata con il S.C., cambio di rotta che in realtà era lo stesso F.S. ad aver voluto e, per di più, ad aver portato avanti, tentando solo tardivamente di correggerlo.
Nel prosieguo delle doglianze articolate sulla questione, il ricorrente richiama, per cercare di adattarli al caso concreto, alcuni principi mutuati dalla giurisprudenza in tema di responsabilità medica in équipe, con particolare riguardo a quello concernente l'esigenza della verifica del ruolo svolto da ciascun componente dell'équipe, non essendo consentito derogare al principio di personalità della responsabilità penale.
Si tratta di assunto privo di pertinenza rispetto al caso di specie.
Deve in primo luogo evidenziarsi che la stessa, più recente giurisprudenza in tema di responsabilità del capo équipe, fornisce solidi argomenti a una soluzione opposta a quella prospettata dal ricorrente.
In particolare, si é recentemente affermato che il capo dell'équipe operatoria é titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente in ragione della quale é tenuto a dirigere e a coordinare l’attività svolta dagli altri medici, sia pure specialisti in altre discipline, controllandone la correttezza e ponendo rimedio, ove necessario, ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali o comunque rientranti nella sua sfera di conoscenza e, come tali, siano emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio (Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Sorrentino e altri, Rv. 264366).
Nel caso in esame, si versa in una fattispecie nella quale lo F.S. si collocava in una posizione gerarchicamente sovraordinata (in un assetto gerarchico, fra l'altro, particolarmente spiccato, come quello del comando di una nave) rispetto agli altri ufficiali e, più in generale, al personale di bordo. Al riguardo, tale posizione non può ritenersi indifferente o irrilevante, giacché altra é la posizione del responsabile della struttura gerarchica rispetto ai sottoposti, e altra é la posizione dei soggetti subordinati rispetto alla condotta colposa del superiore, avuto anche riguardo alle responsabilità attribuite al singolo operatore.
Deve soggiungersi che, oltre a ciò, lo F.S. rivestiva sia l'obbligo, sia il potere di impedire l'evento: l'obbligo, quale comandante di nave e (come si é detto) titolare della correlativa posizione di garanzia sulla vita e sun'incolumità delle persone a bordo; il potere, quale soggetto che, nel momento in cui sopraggiunse in plancia (peraltro in colpevole ritardo), e anche quando assunse formalmente il comando della manovra, egli era sicuramente nelle condizioni di imprimere alla nave una rotta salvifica, come a più riprese é stato affermato dalla Corte di merito nella sentenza impugnata. Egli in definitiva disponeva sia degli strumenti per prevedere eventuali negligenze o imprudenze altrui nel mantenere la rotta e la velocità della nave; sia degli strumenti per evitare che tali negligenze o imprudenze fossero produttive di effetti dannosi sul corso della navigazione e sun'incolumità dei passeggeri; sia, infine, di poteri (oltre che di obblighi) di sorveglianza, coordinamento e controllo nei confronti dei sottoposti: poteri che egli era sicuramente in condizione di esercitare durante l'intero arco della navigazione e, a maggior motivo, dal momento in cui egli raggiunse la plancia.
A fronte di ciò, quand'anche volesse accedersi (contro le già esaminate evidenze) alla tesi sostenuta dal ricorrente, in base alla quale egli non sarebbe stato messo a conoscenza della rotta della nave dagli altri ufficiali in plancia, lo F.S. omise comunque di controllare la correttezza dell'operato dei suoi subalterni e di cercare di porre rimedio agli errori altrui, come pure avrebbe potuto fare: ne discende che i principi giurisprudenziali in materia di lavoro di équipe, invocati dal ricorrente a sostegno della tesi da lui sostenuta, non fanno altro che ulteriormente destituirla di fondamento.

 


11. QUARTO MOTIVO
Il quarto motivo di ricorso degli avv.ti Senese e Laino é anch'esso infondato.
Sotto il profilo più squisitamente processuale va ribadita la pacifica e qui pienamente condivisa giurisprudenza di legittimità in base alla quale, in tema di giudizio d'appello, l'omessa pronuncia dell'ordinanza di rigetto dell'istanza di rinnovazione del dibattimento non comporta alcuna menomazione dei diritti della difesa e, comunque, non integra alcuna nullità di ordine generale (artt. 178 e 180 cod. proc. pen.) sotto il profilo della mancata assistenza o rappresentanza dell'imputato preordinata ad assicurare il giusto processo di cui all'art. Ili Cost., posto che le ragioni della difesa sono salvaguardate ex ante dalla facoltà di articolare e illustrare le richieste di prova, nonché ex post dalla possibilità di impugnare la sentenza (solo per menzionare alcune pronunzie, vds. Sez. 2, n. 47695 del 16/10/2014, Costanzo e altri, Rv. 260790; in senso conforme Sez. 4, Sentenza n. 46193 del 05/07/2013, Pellizzon, Rv. 258088; Sez. 5, Sentenza n. 12443 del 20/01/2005, Unis, Rv. 231682).
Del resto, a fronte del regime di tassatività delle nullità di cui all'art. 177 cod.proc.pen., che informa l'intero sistema processualpenalistico, alcuna sanzione processuale risulta espressamente collegata dal Codice di rito all'omessa pronunzia dell'ordinanza di cui al comma 5 dell'art. 603 cod.proc.pen..
11.1. Non é poi ravvisabile, nella fattispecie de qua, alcuna distonia rispetto ai principi di cui all'art. 6 della Convenzione E.D.U..
E' noto che, in tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, la Corte di Strasburgo ha a più riprese affermato che vi é violazione del primo comma del detto art. 6 quando il Giudice d'appello pervenga a ribaltare la sentenza assolutoria di primo grado senza avere sentito i testimoni e valutato la loro attendibilità in prima persona, salvi i casi d'impossibilità di ripetizione dell’atto o per altre gravi ragioni. Il principio, affermato da molteplici pronunzie (a partire dalla sentenza Dan c. Moldavia del 5 luglio 2011; principio ulteriormente ribadito, fra le altre, dalle sentenze Manolachi c. Romania del 5 marzo 2013, Hanu c. Romania del 4 giugno 2013, Mischie c. Romania del 16 settembre 2014), é stato recepito anche dalla giurisprudenza nazionale di legittimità, la quale ha in varie pronunzie affermato, anche a Sezioni Unite, che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (ci si limita qui a richiamare le recenti Sez. U, Sentenza n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487; Sez. U, Sentenza n. 18620 del 19/01/2017, Patalano; e, di questa Sezione, con specifico riferimento al riascolto di periti e consulenti, Sez. 4, Sentenza n. 6366 del 06/12/2016, dep. 2017, Maggi e altro, Rv. 269035).
Il predetto principio non può, invece, essere esteso fino a ricomprendere l'ipotesi in cui, come nel caso di specie, non vi sia reformatio in peius della sentenza di primo grado da parte del giudice dell'appello.
Va sul punto premesso che la stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, a proposito del principio generale dell'equo processo di cui all'art. 6 p. 1 della Convenzione, ha precisato che le modalità di applicazione
di detto principio da parte delle Corti d'appello nazionali devono pur sempre misurarsi con le caratteristiche specifiche della tipologia procedimentale del giudizio di impugnazione disegnato dai singoli Stati, nel senso che detto giudizio non deve necessariamente replicare le regole procedimentali del primo grado; di tal che la Corte d'appello nazionale deve «tener conto dell'insieme del procedimento nell'ordinamento giuridico interno e del ruolo svolto dalla Corte d'appello» (Cedu, Botten c/ Norvegia, 19 febbraio 1996).
Il fatto stesso che la Corte di Strasburgo sia intervenuta, con le sentenze Dan c. Moldavia e altre citate, per ravvisare la violazione dei principi di fair trial con riguardo alla specifica ipotesi del ribaltamento in appello di sentenza assolutoria di primo grado, induce a ritenere evidente che, al di fuori di siffatta ipotesi, il principio di necessaria rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (e di emissione dei conseguenti provvedimenti da parte della Corte di merito) non debba automaticamente operare. Al più, in caso di riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio (ipotesi, ancll'essa, del tutto differente da quella che qui interessa), il giudice d'appello é tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte, ma non é obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale (cfr. la recente Sez. 4, Sentenza n. 4222 del 20/12/2016, dep. 2017, Mangano, Rv. 268948).
Non vi é, comunque, alcuna lesione dei principi del giusto processo laddove la Corte d'appello non provveda in senso conforme alla richiesta difensiva di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale laddove la decisione dalla stessa adottata non si sostanzia in un ribaltamento, né in melius, né in peius, della pronunzia di primo grado. In tale ipotesi, valgono quindi i sopra richiamati e qui condivisi arresti della giurisprudenza di legittimità, che escludono qualsiasi laesio delle ragioni della difesa e del principio dell'equo processo nel caso in cui la Corte non emetta un'ordinanza con la quale motivi il rigetto dell'istanza di rinnovazione.
Del resto, le ragioni sottese a tale rigetto sono ampiamente illustrate ai paragrafi 3.2.8 e 3.2.9 della sentenza impugnata.
11.2. Per quanto invece attiene al contenuto della detta richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, va innanzitutto considerato che non può in alcun modo parlarsi, nel caso di specie, di una richiesta riferita a "prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado" (art. 603, comma 2, cod.proc.pen.), nozione che, coll'é noto, riguarda la prova che sopraggiunge autonomamente, senza alcuno svolgimento di attività d'indagine, o che viene reperita dopo l'espletamento di un'opera di ricerca, la quale dia i suoi risultati in un momento successivo alla decisione (Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016 - dep. 14/11/2016, F, Rv. 268656); in ogni caso sarebbe inammissibile la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale mediante assunzione di prove sopravvenute dopo il giudizio di primo grado qualora non vengano indicati o forniti elementi concreti per consentire al giudice di valutare l'effettiva sopravvenienza della prova (da ultimo vds. Sez. 3, n. 37233 del 15/06/2016 - dep. 08/09/2016, Barone e altri, Rv. 268053).
Si versa invece, come ricavabile sulla scorta della stessa prospettazione del ricorrente, nell'ordinaria ipotesi di rinnovazione di prove ex art. 603, comma 1, cod. proc. pen. (trattandosi, in parte, di prove già assunte in primo grado, dall'altro di prove c.d. "nuove", nel senso che rientrano nella nozione di prova nuova quelle prove che, pur provenendo dalla medesima fonte già assunta in primo grado, abbiano contenuto nuovo rispetto al precedente bagaglio valutativo: cfr. Sez. 1, n. 43473 del 14/10/2010 - dep. 09/12/2010, Arshad e altri, Rv. 248980).
Rispetto a tale fattispecie trova la sua massima espansione il principio, ribadito recentemente dalle Sezioni Unite, in base al quale la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, é un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 2016, Ricci, Rv. 266820; in tema di rinnovazione di prove peritali, vds. Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Bommarito, Rv. 257062).
Ciò posto, il predetto carattere eccezionale della rinnovazione del dibattimento comporta che, mentre la rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dare conto dell'uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non potere decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la relativa motivazione può essere anche implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 5, n. 15320 del 10/12/2009 - dep. 21/04/2010, Pacini, Rv. 246859; Sez. 4, Sentenza n. 47095 del 02/12/2009 Ud. -dep. 11/12/2009-, Sergio e altri, Rv. 245996)
Nella specie, sulla scorta degli atti e di quanto riversato nello stesso motivo di ricorso, alcuna violazione di legge o vizio di motivazione da parte della Corte distrettuale può dunque prospettarsi, a fronte di un quadro probatorio la cui ampia estensione copriva tutti gli aspetti della vicenda ed escludeva la necessità di sviluppare temi di prova ulteriori in carenza dei quali il giudice dell'appello non potesse decidere allo stato degli atti.
11.3. Le questioni prospettate dal ricorrente sul punto si appalesano, per il resto, riferite ad aspetti di ordine fattuale, sottratti come tali a sindacato di legittimità.
Tanto più che nella specie appare del tutto pertinente l'indirizzo ulteriormente espresso dalla Corte di legittimità (da ultimo in Sez. 3, Sentenza n. 42711 del 23/06/2016, Rv. 267974) in base al quale la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile (sicché non sussiste alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame) la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale che si risolva in una attività "esplorativa" di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente.
Sul piano contenutistico, oltretutto, le doglianze del ricorrente trovano adeguata risposta nelle considerazioni svolte dalla Corte di merito alle pagine da 238 a 243 della sentenza impugnata (ossia ai già menzionati punti 3.2.8. e 3.2.9). Nei richiamati passaggi della pronunzia d'appello sono state puntualmente illustrate le ragioni in base alle quali sono stati ritenuti superflui sia il nuovo esame dei periti e dei consulenti, sia il conferimento di nuovo incarico peritale. La Corte distrettuale ha illustrato siffatto convincimento sulla scorta dei motivi che avevano indotto il Tribunale di Grosseto a disattendere le argomentazioni dei consulenti tecnici dell'imputato e della parte civile Codacons, nonché sulla base delle considerazioni svolte dai periti d'ufficio e, soprattutto, delle complessive acquisizioni probatorie in ordine alle responsabilità soggettive dell'accaduto, osservando che, attraverso le richieste attività istruttorie integrative, la difesa intendeva in realtà rimettere in discussione gli esiti avversi delle acquisizioni probatorie, che non avevano però lasciato scoperto alcuno dei temi di prova oggetto della postulazione difensiva.
11.4. Deve poi darsi atto che, al punto 2 dei motivi nuovi rassegnati con l'atto depositato in Cancelleria il 4 aprile 2017 (da pag. 7 a pag. 14), il ricorrente F.S. propone «Integrazioni ed ulteriori considerazioni relative ai motivi terzo e quarto del ricorso redatto dall'avv. Saverio Senese, riguardanti denunce di violazioni di legge e vizio di motivazione con riferimento al delitto di naufragio colposo».
In realtà, nel passaggio in esame, il deducente prospetta una questione alquanto diversa da quelle (pur molteplici) inserite nei richiamati motivi di ricorso principale.
Infatti oggetto della nuova doglianza é, nell'essenziale, il fatto che la contestazione mossa allo F.S. sarebbe risultata troppo estesa, e perciò formulata in violazione dei principi di cui agli artt. 429 cod.proc.pen. e 6 CEDU, nel senso che essa sarebbe stata tale da vanificare di fatto ogni possibilità di efficace difesa.
La peculiarità della contestazione oggetto di doglianza é costituita dal fatto che essa si articola in ben 34 condotte omissive o commissive. In sostanza, lungi dall'essere carente in punto di descrizione puntuale delle circostanze di fatto oggetto di addebito, l'imputazione é risultata, in questo caso, particolarmente ampia nel suo perimetro così gravando l'imputato dell'onere di difendersi da un'accusa troppo vasta e, dunque, secondo la prospettazione del ricorrente, indeterminata nei suoi contorni.
Orbene, a prescindere dalla possibilità di dedurre in questa sede quella che potrebbe interpretarsi come un'eccezione di nullità riferita all'imputazione, della cui proposizione nelle precedenti fasi del giudizio il ricorrente non fa cenno (e che, trattandosi di nullità relativa, avrebbe dovuto essere eccepita, dovendo ritenersi altrimenti sanata, entro il termine previsto dall'art. 491, comma primo, cod. proc. pen.: cfr. ex multis Sez. 5, n. 20739 del 25/03/2010 - dep. 01/06/2010, Di Bella, Rv. 247590; Sez. 6, n. 50098 del 24/10/2013 - dep. 12/12/2013, C, Rv. 257910), deve osservarsi che, sul piano contenutistico, la doglianza é comunque manifestamente infondata.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che lo scopo processuale perseguito dall'art. 429, comma 1, lettera C del codice di rito é quello di impedire che vi sia alcuna incertezza sun'imputazione, in modo da assicurare il contraddittorio e il pieno esercizio del diritto di difesa.
In tal senso, questa Corte ha affermato che una indicazione assolutamente dettagliata dell'imputazione stessa non é necessaria: ma ciò non significa certo che essa sia per converso vietata perché "lesiva" delle prerogative defensionali tutelate dalla norma (cfr. sul punto Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014 - dep. 04/09/2015, B e altri, Rv. 264877).
Dei resto, il significato e la finalità della norma sono chiaramente evincibili dagli arresti giurisprudenziali e richiamano, di fatto, la conoscibilità dell'accusa da parte dell'imputato non solo attraverso l'editto imputativo, ma anche sulla base degli atti processuali: ad esempio, si afferma che la mancata enunciazione dell'ambito spaziale e temporale delle condotte e degli elementi specificatori dell'oggetto materiale del reato non costituisce vizio di "insufficiente motivazione" quando sia possibile collocare nel tempo e nello spazio l'episodio criminoso contestato, anche attraverso il ricorso ad ulteriori elementi e richiami contenuti nel decreto o, eventualmente, anche In altri atti del processo, così da consentire all'imputato di conoscere i profili fondamentali del "fatto" che gli viene addebitato (Sez. 3, n. 42537 del 21/05/2014 - dep. 13/10/2014, Caputo e altri, Rv. 261147).
Il fatto che allo F.S. sia stata contestata una serie di condotte attraverso le quali si sarebbe snodata, secondo l'accusa, la condotta incriminata, dev'essere interpretato alla luce dei suddetti principi.
Orbene, la descrizione delle condotte che, asseritamente, non sarebbero (secondo il ricorrente) collegate agli eventi addebitati all'imputato, dev'essere presa in considerazione nella sua complessività: é fin troppo evidente - e non può certo aver recato nocumento alcuno alla linea difensiva - che alcune di tali condotte costituiscono antecedenti logici di quelle successivamente poste in essere, piuttosto che addebiti autonomamente considerabili (ciò vale, a titolo di esempio, per la seconda delle condotte inserite nel capo A, circa la rotta inizialmente concordata con S.C. a modifica di quella programmata).
Anzi, l'imputazione che estende il proprio ambito oltre lo stretto perimetro delle accuse può costituire una garanzia aggiuntiva per la difesa: si pensi al caso della c.d. contestazione alternativa, ritenuta legittima e non viziata da nullità in quanto rispondente a un'esigenza della difesa, posto che l'imputato é messo in condizione di conoscere esattamente le linee direttrici sulle quali si svilupperà il dibattito processuale (Sez. 5, Sentenza n. 38245 del 18/03/2004 Ud. - dep. 28/09/2004 - Garramone e altri, Rv. 230373).
Ciò che conta - e che nella specie risulta evidentemente dagli atti - é che il percorso difensivo non sia stato ostacolato da un enunciato imputativo carente, vago, tale da non consentire all'imputato di conoscere da quale accusa egli dovesse difendersi: la pretesa sovrabbondanza delle condotte contestate al prevenuto gli consentiva nella specie, da un lato, di avere contezza complessiva di ciò che gli si poneva a carico; e, dall'altro, di individuare e selezionare (eventualmente) quelle la cui esclusione avrebbe potuto far cadere l'accusa nel suo complesso.

 


12. QUINTO MOTIVO
Le questioni affrontate dal ricorrente nel quinto motivo di ricorso sono in buona parte imperniate sun'addebito, in capo allo F.S., della circostanza aggravante della colpa con previsione (art. 61, n. 3, cod.pen.); sulla questione il ricorrente interviene anche con i motivi nuovi depositati il 4 aprile 2017 (pp. da 39 a 43), richiamando i principi enunciati al riguardo dalla sentenza a Sezioni Unite Thyssenkrupp ed evidenziando che i giudici di merito hanno ravvisato l'aggravante de qua esclusivamente sulla base di una errata lettura dell'atteggiamento psicologico dello F.S..
Ciò posto, tutte le doglianze di cui al motivo di ricorso in esame (e ai detti motivi nuovi) sono infondate.
12.1. Quanto alla dedotta mancanza di motivazione, da parte della Corte distrettuale, circa la memoria depositata dalla difesa in data 20 maggio 2016 ed allegata al ricorso (allegato 22), va evidenziato che gli argomenti esposti in una memoria presentata ai sensi delfart. 121 cod.proc.pen. possono essere disattesi anche per implicito dal giudice (Sez. 1, Sentenza n. 34531 del 06/07/2007, Gangemi e altro, Rv. 237618).
Ciò posto, é ben vero che, a fronte dell'ormai prevalente orientamento giurisprudenziale in base al quale l'omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive (da ultimo vds. Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015 - dep. 2016, Graziano, Rv. 267561), si afferma, in altre pronunzie di legittimità, che l'omessa valutazione di una memoria difensiva determina la nullità di ordine generale prevista dall'art. 178, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., in quanto impedisce all'imputato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice in ordine al fatto-reato, comportando la lesione dei diritti di intervento o assistenza difensiva dell'imputato stesso, oltre a configurare una violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie, in relazione ai necessario vaglio delibativo delle questioni devolute con l'atto di impugnazione (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, Amato e altri, Rv. 259488).
Tuttavia, anche seguendo quest'ultimo indirizzo, rimane pacifico che nel giudizio d'appello le memorie rassegnate dalle parti non possono afferire a questioni ulteriori rispetto a quelle dedotte con i motivi di impugnazione, non sono da considerare memorie né richieste ai sensi dell'art. 121 cod.proc.pen., ed in relazione ad esse si applica la disciplina dei motivi nuovi di cui all'art. 585 comma quarto cod.proc.pen., con la conseguenza che l'obbligo per il giudice di appello di procedere alla valutazione di una memoria difensiva sussiste solo se ed in quanto il contenuto della stessa sia in relazione con le questioni devolute con l'impugnazione (da ultimo vds. Sez. 1, n. 34461 del 10/03/2015, Pica, Rv. 264493).
Logica conseguenza di quanto precede é che i temi proposti con le memorie devono inerire alle questioni devolute al sindacato del giudice d'appello con i motivi di doglianza; e che ben può il giudice dell'appello offrire risposta a tali questioni senza fare espresso riferimento alle memorie di parte, purché affronti i temi in esse esaminati e già contenuti nell'atto d'appello.
12.2. Nella specie, sotto il profilo contenutistico, tutte le questioni prospettate nella memoria cui si riferisce il ricorrente risultano essere state compiutamente esaminate nella sentenza impugnata, anche ai fini della ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 3, cod.pen. nella condotta dello F.S. antecedente il naufragio.
Con riguardo al motivo di ricorso in esame (e alla questione della colpa cosciente nel delitto di naufragio), la prospettazione del ricorrente sottopone ad esame, in primo luogo, cinque circostanze di fatto precedenti l'urto (relative all'attendibilità dichiarativa del S.C., al gesto con la mano di F.S. riferito da A., ai contenuti della telefonata fra F.S. e il c.te P., all'intenzione dello F.S. di passare di fronte alla casa del maître A.T., all'ordine di rotta 350° dato da F.S. al timoniere alle 21:43:45), atteso che la questione della configurabilité della colpa cosciente in capo allo F.S., di cui quest'ultimo si duole, viene proposta con esclusivo riferimento alla fase che condusse al naufragio (in relazione alla quale é stata ravvisata, dai giudici del merito, l'aggravante di cui all'art. 61, n. 3, cod.pen.). Risultano peraltro rilevanti, a tal fine, anche le ulteriori considerazioni riversate nella memoria di che trattasi, che riguardano tre episodi successivi all'impatto fra la Costa Concordia e i fondali prospicienti l'isola del Giglio (la telefonata in cui F.S., parlando con R.F., dà la colpa dell'accaduto a P.; la telefonata tra F.S. e il C.V. M. di Maricogecap; l'ammissione dello F.S. di voler fare un'accostata più larga di quella programmata dal S.C.), ma che la Corte di merito ritiene parimenti significativi ai fini della ricostruzione dell'elemento soggettivo relativo alla fase antecedente il naufragio, con particolare riguardo all'aggravante della colpa con previsione.
12.3. In proposito, la lettura della motivazione della sentenza impugnata consente di constatare che la Corte di merito ha adeguatamente affrontato tali questioni, inerenti alla ricostruzione dei detti passaggi fattuali della vicenda, antecedenti (oltreché successivi) all'urto, e agli elementi posti a sostegno della configurabilité della colpa con previsione, che formavano oggetto di censure nella memoria depositata il 20 maggio 2016. Lo stesso motivo di ricorso in esame, del resto, riepiloga (in parte) le considerazioni svolte dalla Corte di merito sulla ricostruzione fattuale degli eventi richiamati nella memoria.
Con riguardo alla ricostruzione di tali passaggi fattuali, si rimanda in primo luogo a quanto osservato supra (a proposito del secondo e del terzo motivo di ricorso) in ordine alla questione dell'attendibilità dichiarativa del S.C., del presunto travisamento della prova con riguardo al gesto di F.S. con la mano rivolto al primo ufficiale A., e della telefonata intercorsa fra F.S. e il comandante P.: questioni riguardo alle quali valgono le considerazioni ivi svolte, nelle quali si é evidenziata la corretta ricostruzione fattuale nella sentenza impugnata e si é escluso il dedotto travisamento delle prove da parte della Corte fiorentina.
Ma anche in ordine alle ulteriori circostanze fattuali dedotte nella memoria difensiva di che trattasi, parimenti la Corte di merito (come si preciserà in prosieguo) offre una disamina puntuale e adeguata, anche ai fini del riconoscimento dell'elemento rappresentativo tipico della colpa cosciente.
12.4. Venendo, più in particolare, alla questione centrale della colpa con previsione in riferimento al naufragio, proposta con la memoria di cui trattasi, deve qui premettersi che la disamina delle condizioni in presenza delle quali é configurabile la ridetta aggravante ha formato oggetto di apposito paragrafo, nella premessa generale delle presenti considerazioni in diritto (v. supra): alle considerazioni ivi svolte in ordine ai criteri in base ai quali può essere riconosciuta la sussistenza della colpa cosciente, basate sugli arresti giurisprudenziali di legittimità anche a Sezioni Unite, non può che farsi, qui, rinvio.
Muovendo da tale premessa, ciò che rileva rispetto alle doglianze del ricorrente sul punto é, in particolare, il momento rappresentativo dell'evento- naufragio come possibile esito della sua condotta attiva e/o omissiva, dandosi per acquisita l'assenza della volizione di tale evento.
La questione della rappresentazione della possibilità dell'evento-naufragio (non voluto, né accettato) da parte dello F.S. é debitamente affrontata, in termini generali, alle pagg. da 228 a 232 della sentenza impugnata (paragr. 3.2.6.3. ).
Al riguardo, la Corte di merito evidenzia in primo luogo la sicura consapevolezza, da parte dello F.S., del rischio rappresentato dalla presenza degli scogli e dei bassi fondali delle Scole, rischio rammentatogli dal S.C. con apposita indicazione degli stessi con un dito sulla carta nautica nella fase di modifica della rotta programmata (p. 230 sentenza impugnata; e v. anche paragr. 3.2.2., pag. 179 ss.); in secondo luogo richiama, a pag. 231, il contenuto della telefonata tra lo F.S. e il comandante P., nella quale il primo chiede al secondo se il fondale fosse sufficientemente profondo per far passare la nave a una distanza più ravvicinata del previsto ("zero-tre, zero- quattro"), nonché la conversazione in cui, alle 21:41:46, egli chiede al maitre A.T. se occorresse passare davanti al porto, ottenendone risposta affermativa, e l'ordine di imprimere la rotta 350° per evitare di andare sugli scogli ("...otherwise we go ori thè rocks").
Le ulteriori conferme della ravvisabilità della colpa cosciente sono ricavate dalla Corte in base alla telefonata in cui F.S., dopo l'impatto, si giustifica con F. (FCC della Costa Crociere) scaricando la colpa dell'accaduto sulle rassicurazioni del comandante P. in ordine ai fondali prospicienti il Giglio e alla sicurezza del transito a distanza ravvicinata; e alle ammissioni dello F.S., nella telefonata con il Capitano di Vascello M. di Maricogecap, circa il suo passaggio ravvicinato, ammissioni che trovano poi riscontro nei contenuti dell'interrogatorio reso dallo F.S. il 17 gennaio 2012 (vds. pp. 231-232 sentenza impugnata): interrogatorio che, come si é visto, é pienamente utilizzabile.
In ordine a tali aspetti fattuali, che formano oggetto della più volte ricordata memoria difensiva (e che vengono riproposti nel motivo di ricorso in esame), non può in alcun modo sostenersi che la sentenza impugnata ometta di considerarli.
Ciò in quanto, da un lato, la Corte (non solo nei passaggi appena citati della sentenza, ma in varie altre parti della motivazione) pone in evidenza elementi dirimenti in ordine alla sicura rappresentazione e consapevolezza del rischio di impatto con i fondali del Giglio da parte dell'imputato, il quale evidentemente confidava nelle proprie capacità marinaresche e riteneva perciò che sarebbe stato in grado di evitare il concretizzarsi del detto rischio, pur non deflettendo fino all'ultimo dalla propria decisione di transitare a distanza assai ravvicinata dall'isola e seguendo, a tal fine, una rotta diversa da quella convenuta con l'ufficiale cartografo.
Dall'altro, il ricorrente non fa che fornire a contrario interpretazioni alternative del materiale probatorio, peraltro già prospettate (almeno parzialmente) in altri motivi di ricorso, in assenza di vizi logici nel percorso argomentativo seguito, con riguardo ai punti in esame, dalla Corte distrettuale. Sotto quest'ultimo profilo, non può che farsi rinvio alla premessa generale in ordine ai limiti del sindacato di legittimità (v. supra) che non possono essere travalicati fino al punto di sottoporre alla Corte una rivalutazione del materiale probatorio, rimessa in via esclusiva al giudizio di merito allorché - come nella specie - non si apprezzino elementi di macroscopica illogicità o contraddittorietà nel percorso argomentativo della sentenza impugnata. 
Non possono in ogni caso rivestire alcun rilievo, in senso contrario, le prospettazioni difensive contenute nella più volte citata memoria, né quelle di cui al motivo di ricorso in esame (e nemmeno nella parte dei motivi nuovi dedicata alla questione della colpa cosciente, che in realtà si risolve in alcuni richiami giurisprudenziali e per il resto é sinteticamente ripropositiva di alcune delle doglianze proposte nel quinto motivo del ricorso a firma dell'avv. Senese).
12.5. In ordine al fatto che lo F.S. avesse richiesto al S.C. di transitare a mezzo miglio non dal porto dell'isola, ma dagli scogli delle Scole, la prospettazione é irrilevante perché comunque, come si é desunto da ulteriori elementi di prova (puntualmente illustrati nella sentenza impugnata e oggetto di osservazioni anche nelle pagine che precedono), lo F.S. decideva successivamente e in modo autonomo di transitare a distanza ancor più ravvicinata.
In ordine al gesto con la mano che lo F.S. avrebbe indirizzato ad A., sulla questione (che si appalesa come meramente reinterpretativa di elementi probatori) la Corte di merito ha ben evidenziato la sostanziale irrilevanza probatoria di quel gesto: si legge infatti a pag. 190 della sentenza impugnata che "anche se per mera non ritenuta ipotesi A. avesse mentito e F.S. non avesse fatto alcun gesto, quel che è certo é che l'imputato non solo era giunto in ritardo in plancia, ma aveva ulteriormente procrastinato anche l'assunzione del comando della manovra, mentre la nave si avvicinava sempre più all'Isola del Giglio".
A proposito della conversazione con il comandante P., l'argomento difensivo fondato sui suggerimenti di quest'ultimo di non avvicinarsi (suggerimenti che la difesa assume come recepiti dallo F.S.), le emergenze fattuali successive alla conversazione, ampiamente illustrate dalla Corte territoriale, dimostrano che quei suggerimenti non furono poi seguiti, e che lo F.S., benché fosse edotto della possibilità di un impatto fra la nave e i bassi fondali, non corresse la rotta neppure dopo avere assunto il comando anche formalmente, quando (come si é visto) non era stato ancora raggiunto il way point; tentò di farlo solo in un momento successivo, ormai tardivamente, in un estremo tentativo di evitare l'impatto con una manovra disperata.
Quanto allo scambio di battute con il A.T., correttamente la Corte di merito rileva (pag. 177 sentenza impugnata) che la domanda "Dove dobbiamo passare? All'altezza del porto?", da lui rivolta in plancia e alla quale una voce maschile risponde "Beh, sì, ehi", conferma ulteriormente che F.S., lungi dal seguire la rotta tracciata da S.C., segue in realtà "una sua rotta improvvisata" (invero non avrebbe senso una simile domanda nel caso in cui la rotta da seguire fosse stata già programmata), e ciò é riprova che lo scopo perseguito dal comandante é proprio quello "di effettuare uno spettacolare passaggio radente al porto, all'altezza del quale si trovava la casa di A.T., il quale aveva già avvisato i familiari dell'evento organizzato in suo onore".
Quanto infine al significato della Battuta "three, five, zero...starboard!...Okay!...Otherwise we go on thè rocks", le deduzioni difensive si appalesano meramente interpretative dello stato d'animo dello F.S. e degli altri presenti in plancia (e risultano pertanto insuscettibili di disamina in sede di giudizio di legittimità), a fronte del fatto che, del tutto logicamente, la Corte distrettuale evidenzia come proprio tale battuta conclamasse la consapevolezza del rischio di impatto sugli scogli da parte dell'imputato.
Infine, con riguardo alle ulteriori tre circostanze di fatto successive all'impatto con i fondali, che secondo la Corte di merito riscontrerebbero la rappresentazione del rischio-naufragio da parte dello F.S. (la telefonata a R.F.; la conversazione con il C.V. M.; le dichiarazioni rese dallo F.S. in sede d'interrogatorio), esse a loro volta si fondano su una reinterpretazione affatto opinabile del materiale probatorio, che da un lato non é consentita in questa sede e sulla quale, dall'altro, la motivazione resa dalla Corte territoriale (si vedano ad esempio i paragrafi 3.2.2.1, pp. 169 e ss., e 3.4.4, pp. 431 e ss.) é del tutto logica ed esente da elementi di contraddittorietà.
Del resto, é appena il caso di osservare che, pur nel quadro di una ricostruzione nella quale il P. (secondo quanto evidenziato dalla difesa) cercò di dissuadere lo F.S. dal passare troppo a ridosso dell'isola, quest'ultimo, nella telefonata a R.F., cercava di giustificare quanto appena accaduto addossando la colpa a P. ed alle rassicurazioni da lui asseritamente ricevute circa la possibilità di passare con la nave rasentando l'isola: segno evidente che egli sapeva di aver affrontato un rischio a lui ben noto, nell'erronea convinzione di evitare danni, e che gli premeva a quel punto attribuire ad altri la responsabilità di averlo portato fuori rotta.
Conclusivamente, le considerazioni svolte dal ricorrente in ordine all'asserita omessa motivazione, da parte della Corte fiorentina, delle questioni prospettate con la memoria depositata il 20 maggio 2016, sono del tutto prive di fondamento e, oltre a non fornire elementi di efficace contrasto alla ricostruzione degli eventi operata nella sentenza impugnata, omettono di considerare che, su tali questioni, la Corte di merito si é in realtà ampiamente soffermata, con argomenti privi di contraddittorietà, scevri da travisamenti del materiale probatorio e logicamente esenti da censure rilevabili in questa sede. 
11.6. Quanto, infine, alla dedotta violazione dell'art. 533 cod. proc. pen. in relazione al principio dell'affermazione di penale responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio, in tale parte il motivo in esame é manifestamente infondato. Va infatti ricordato che é inammissibile il motivo con il quale si assume, a norma dell'art. 606, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., la violazione dell'art. 533 cod. proc. pen. con riferimento al principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, in assenza di censure specifiche rivolte alla motivazione dell'impugnata sentenza, in quanto i limiti dell'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all'art. 606, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza (Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, Zonfrilli e altri, Rv. 264174).
Nel resto, per le ragioni viste in precedenza, le doglianze attinenti al percorso motivazionale della Corte di merito sugli aspetti in discorso si appalesano, come detto, prive di fondamento.

 


13. SESTO MOTIVO
Con il sesto motivo di ricorso, relativo alla gestione dell'emergenza e agli omicidi colposi e lesioni colpose plurimi, si denunciano una serie di vizi nel percorso motivazionale della sentenza impugnata, che non avrebbe risposto a specifiche doglianze avanzate con i motivi di appello ed avrebbe attribuito all'imputato una sorta di automatica responsabilità oggettiva senza analizzare se l'evento avesse rappresentato la concretizzazione che le regole cautelari, asseritamente violate, miravano a prevenire.
Vengono quindi indicate una serie di condotte, commissive e prevalentemente omissive, del comandante, valorizzate ai fini dell'accertamento della responsabilità, che verranno qui analizzate singolarmente, nonostante si tratti per molti aspetti di questioni meramente in fatto, che non si confrontano in maniera adeguata con la puntuale ricostruzione della vicenda e le ampie emergenze istruttorie su cui si sofferma la Corte d'Appello di Firenze.
Va ancora preliminarmente rilevato, quanto alla contestazione del nesso causale tra i comportamenti dell'imputato e gli eventi mortali e lesivi, che il tema risulta ben approfondito già in primo grado, avendo i giudici di merito affrontato la questione della gestione dell'emergenza e risposto alle obiezioni della difesa concludendo, all'esito di un giudizio controfattuale operato con criteri logici e nel rispetto dei principi affermati da questa Corte di legittimità (S.U.n.38343 del 2474/2014, Espenhahn e altri; S.U., n.30328 del 10/7/2002, Franzese), che detti gravissimi eventi non si sarebbero verificati se nel momento successivo al naufragio fossero state tenute dal comandante le appropriate condotte, particolarmente per l'abbandono della nave, rispettose delle regole imposte per la salvaguardia dell'integrità fisica delle persone a bordo (secondo quanto indicato nel Regolamento di Sicurezza adottato con il D.P.R.n.435/1991, nelle Modalità Operative della procedura SMS P12.04-102 e nella Convenzione SOLAS, Safety of Life at Sea).
Di qui, lungi da ogni automatismo di responsabilità oggettiva, il primario fondamento della responsabilità a titolo di colpa attribuita allo F.S. é stato rinvenuto nella obiettiva contrarietà delle condotte alle norme di comportamento, di cui sono espressione le regole cautelari dirette a prevenire determinati eventi e l'inosservanza del livello di diligenza, prudenza e perizia, dovuto e da esigersi per la posizione di garanzia rivestita in funzione del suo ruolo apicale.
Per tale ragione é stata del tutto correttamente disattesa, siccome infondata, la prospettazione difensiva secondo la quale, in una situazione di grave emergenza, era irragionevole "pretendere l'ottusa applicazione di manuali e regolamenti", dovendosi lasciare "all'arbitrio di coloro che occupa(va)no una posizione di comando, notevoli ambiti di discrezionalità finalizzati ad affrontare le specifiche e concrete emergenze".
Aderendo alla prospettazione accusatoria, la spiegazione causale degli eventi é stata così individuata nella omessa valorizzazione della reale situazione di crisi e nella conseguenziale mancata adozione delle decisioni doverose in relazione ad essa, fino al colpevole ed ingiustificato ritardo con il quale era stato impartito l'ordine di emergenza generale.
13.1. Proprio con riferimento al rimprovero di aver omesso e poi ritardato eccessivamente di emettere il segnale di emergenza generale, il ricorrente lamenta un vizio di motivazione per travisamento della prova circa il tenore della telefonata intercorsa alle ore 21:52 con l'ufficiale di macchina P., il quale - secondo la tesi difensiva - avrebbe riferito a F.S. notizie confuse e tali da non consentire al comandante di comprendere la reale gravità della situazione, con particolare riferimento all'avvenuto allagamento di ben 3 compartimenti, circostanza che era stata compiutamente rappresentata al comandante solo in un momento successivo a quello nel quale egli avrebbe dovuto dichiarare l'emergenza generale.
La doglianza é infondata, avendo la Corte distrettuale - dopo aver riportato testualmente i passaggi più significativi della detta telefonata e di quella intercorsa qualche minuto prima - argomentato in maniera logica e puntuale sun'inequivoca acquisita consapevolezza da parte del comandante, fin da quel momento, della gravità della situazione.
Ed infatti alle ore 21:49 il comandante aveva avuto la certezza della presenza di una falla di cospicua consistenza, visto che P. gli aveva precisato che in quel momento l'acqua impediva di scendere in sala macchine.
Alle 21:52 F.S. parlava nuovamente con il direttore di macchina, che gli comunicava, senza possibilità di equivoci, che c'era l'acqua fino all'officina, che la nave non poteva partire, che il quadro elettrico era tutto allagato.
Il quadro elettrico in questione era ubicato al ponte A, nel compartimento stagno n.6, posizionato in alto su una sorta di soppalco, e nello stesso compartimento si trovavano (in basso) anche i DG (generatori diesel) 4, 5 e 6, evidentemente ancll'essi allagati.
Se dunque il comandante avesse conosciuto, come era suo preciso obbligo ex art.202 D.P.R.431/1995, la compartimentazione della nave e la precisa ubicazione dei principali elementi di propulsione della stessa, alla notizia di P. che l'acqua era arrivata al quadro elettrico ne avrebbe facilmente dedotto che anche i DG 4, 5 e 5 erano completamente allagati, visto che erano posizionati più in basso.
La fondamentale informazione fornitagli dal direttore di macchina, già sufficientemente precisa e specifica, o non era stata compresa perché il comandante, in violazione del suo preciso obbligo di conoscenza, ignorava la compartimentazione della nave e la dislocazione dei maggiori elementi di propulsione, ovvero non era stata adeguatamente valorizzata.
In ogni caso già in quel momento era di tutta evidenza che non poteva certo trattarsi di una via d'acqua non dirompente, apertasi sopra la linea di galleggiamento, perché un'entrata d'acqua di quella portata così massiva non era conciliabile con tale ipotesi, come poi confermato dalle notizie arrivate al comandante nei minuti successivi.
Ancora alle 22.10 F.S. infatti chiedeva a P. e poi alle 22:20 al K2 BO. se i DG 4, 5 e 6 fossero disponibili, ricevendo ennesime informazioni negative.
Dall'esame di questi dati obiettivi la conclusione della Corte d'Appello di Firenze - immune da ogni censura in fatto ed in diritto - che alle ore 21:52 il comandante sapesse, o comunque avrebbe dovuto sapere secondo il parametro della diligenza a lui applicabile, che : a) a seguito della collisione si era aperta una falla con cospicua entrata di acqua; b) la nave non aveva più propulsione, tanto che l'allarme avaria si era attivato alle 21.45.19; c)non aveva più il governo dei timoni, già disalimentati per il blackout e definitivamente bloccati a 35° a dritta (alle ore 21:46:37 come da perizia effettuata nell'incidente probatorio), il cui relativo allarme avaria si era attivato, come detto, alle 21:46:52; d) aveva il quadro elettrico principale e i diesel generatori 4, 5 e 6 allagati e dunque il compartimento n.6 completamente allagato fino al ponte A.
Si sofferma poi la Corte distrettuale sun'ulteriore rilievo difensivo secondo il quale alle ore 21:59 la situazione era di incerta evoluzione perché il comandante aveva alle ore 22:06:11 ricevuto notizie rassicuranti da I., presente in macchina, e cioè che l'acqua non stava salendo, che il compartimento n.6 non era allagato e che quindi i compartimenti allagati erano solo due, il n.5 e il n.7: soltanto alle 22:10:55 e non già alle 21:58 il comandante dunque si sarebbe potuto/dovuto rappresentare una situazione di allagamento di tre compartimenti, tale da compromettere la galleggiabilità, e quindi da suggerire la necessità di dichiarare l'emergenza generale.
Nel disattendere tali argomentazioni la Corte d'Appello di Firenze espone con chiarezza che alle ore 21:58, mentre F.S. si era spostato su un'aletta della plancia per telefonare al R.F., erano giunte notizie dallo I. dell'allagamento anche dei DG 1, 2 e 3 ubicati nel compartimento n.7 e dunque del sicuro allagamento di due compartimenti, e precisamente il n.6 in cui erano ubicati, oltre al quadro elettrico principale, i DG 4, 5 e 6, desumibile dalle informazioni fornite da P. pochi minuti prima, e il n.7, in cui si trovavano i DG 1, 2 e 3, come appunto evincibile dall'aggiornamento fatto da I.. Dalle registrazioni del VDR era poi emerso che qualche secondo prima del dato sun'allagamento dei DG 1, 2 e 3, era giunta l'informazione che le pompe di aspirazione non funzionavano e che in tale situazione, come osservato dai periti, il comandante, notiziato dal K2 BO., avrebbe dovuto chiamare l'emergenza generale e attivare il ruolo di appello, così da permettere l'adeguata assistenza dei passeggeri. Inoltre avrebbe dovuto incaricare un altro ufficiale per le comunicazioni all'FCC, onde evitare ogni distrazione, attivare l'unità di crisi per la circolazione delle informazioni e disporre l'attuazione del damage control plan.
La ragione per la quale la chiamata dell'emergenza generale avrebbe dovuto al più tardi essere effettuata alle 22:00:40 é ben spiegata nell'impugnata sentenza: in quel momento I. aveva riferito in plancia che anche il locale PEM del compartimento n.5 (dalla sigla propulsión electric motors, sede dei motori elettrici che garantivano la propulsione della nave, alimentati a loro volta dai sei generatori diesel DG 1, 2 e 3 situati nel compartimento n.7 di prora e i DG 4, 5 e 6 situati nel compartimento n.6 di poppa) erano allagati, oltre a tutti i DG e ai tre compartimenti stagni contigui n.5, n.6 e n.7. Questi generatori producevano, bruciando combustibile, l'energia elettrica necessaria non solo per la propulsione della nave ma anche per l'illuminazione e l'alimentazione di ogni apparecchio e dispositivo di bordo, con la conseguenza che la loro inutilizzabilità rendeva evidente la necessità di provvedere alla immediata chiamata di emergenza generale, poiché era stata superata la riserva di galleggiabilità garantita dalla documentazione di bordo.
Anche su questo punto il ricorrente lamenta un errore valutativo dell'impugnata sentenza, laddove non aveva tenuto conto che dalla istruttoria dibattimentale era emerso che la galleggiabilità della nave non era compromessa dall'allagamento di tre compartimenti stagni: fidando su questo il comandante aveva preferito non dare l'emergenza generale, nel momento in cui la nave si trovava ancora ad 800 metri dalla costa, con evidente maggiore pericolo per i passeggeri, ma aspettarne l' "appoggiamento" sul basso fondale, in modo da consentire una discesa più sicura delle persone.
La doglianza é infondata e, ancora una volta, non si confronta con le puntuali e corrette osservazioni della Corte d'Appello di Firenze, che ha confutato la tesi dello F.S. perché, come chiarito dalla perizia in sede di incidente probatorio, in contrasto con la stessa documentazione di bordo (dichiarazione RINA n.CDS/2006-0397/SBL datata 26/06/2006), che attestava che la nave era stata costruita in base alla regola 8.1.3. del capìtolo II-1 della SOLAS per galleggiare con due compartimenti stagni contigui completamente allagati, mentre l'allagamento di un terzo compartimento contiguo ne avrebbe fatto venir meno la galleggiabilità.
Dunque, a fronte delle risultanze della documentazione ufficiale di bordo, sono state ritenute del tutto irrilevanti le "elucubrazioni" difensive (come testualmente si legge nell'impugnata sentenza) secondo le quali l'imputato, in "base alle conoscenze tecniche nella sua disponibilità, poteva fondatamente confidare nel fatto che la Concordia fosse in grado di galleggiare con tre compartimenti allagati", così come non conferente il riferimento alle stampate del software NAPA on board circa simulazioni nel corso di esercitazioni svolte sulla "nave gemella" Costa Serena, invocate a supporto.
Tale software - ha ben spiegato la Corte di merito - che peraltro a bordo aveva avuto problemi di funzionamento nelle fasi dell'emergenza per mancanza di energia elettrica, non era in grado di rilevare entrate di acqua, né poteva simulare allagamenti della nave in funzione della dimensione della falla o del trascorrere del tempo e serviva a tutt'altro, in quanto il programma aveva lo scopo fondamentale di fornire i dati relativi alla stabilità della nave alla partenza.
Le non meglio precisate conoscenze tecniche del comandante non potevano quindi giustificare la omessa dichiarazione di emergenza generale alle 21:50 o, al più tardi, alle 22:00:40.
13.3. Si duole ancora il ricorrente, quanto al profilo di colpa riguardante la omessa nomina di uno ship crisis coordinator, delegato alle comunicazioni con la società armatrice, che nella sentenza impugnata non si era tenuto conto del fatto che la procedura presuntivamente violata concedeva al comandante la possibilità e non l'obbligo di delegare tale funzione, cosa che F.S. aveva preferito non fare per intrattenere personalmente ì rapporti telefonici con il FCC (fleet crisis coordinator) della società armatrice, R.F..
La tematica é stata affrontata in sentenza in modo approfondito e congruo.
Si é osservato che la mancata nomina di uno ship crisis coordinato si inseriva in un contesto di plurime gravi omissioni (omissione del segnale in codice "Delta X Ray" della procedura antifalla - omessa attivazione della centrale operativa - omessa costituzione a Lordo di una "crisis committee shipside") violative non già di mere formalità burocratiche, come sostenuto dalla difesa, ma di precise regole e procedure aziendali dettate per dare un ordine delle priorità da seguire nella fase emergenziale, per distribuire in maniera corretta e razionale i compiti, per evitare perdite di tempo preziose, per evitare dispersioni di forze e risorse, per consentire lo scambio razionale ed effettivo di informazioni importanti per la sopravvivenza dei passeggeri e dell'equipaggio e per dare modo al comandante, titolare della posizione apicale di garanzia, di acquisire tempestivamente le informazioni necessarie e concentrarsi sulle vitali decisioni da prendere, di sua esclusiva spettanza.
Totale era stata di contro la disorganizzazione e confusione che si era creata sulla Costa Concordia a causa dell'inosservanza da parte del comandante di tutta la normativa che regolamentava la gestione della sicurezza a bordo e le procedure da seguire, indicate dalla società armatrice in adempimento e nel rispetto della nota Convenzione SOLAS. In particolare la procedura P12, dopo la precisazione che il comandante era responsabile dell'applicazione della stessa, prevedeva al paragrafo 4 che in caso di emergenza il compito principale del personale dell'equipaggio era di salvaguardare l'integrità fisica delle persone a bordo e, soltanto subordinatamente, di evitare o di ridurre al minimo i danni alla nave, alla proprietà e all'ambiente (c.d. principio della "sicurezza prima di tutto"); prescriveva inoltre, per ogni comunicazione relativa a qualsiasi tipo di emergenza, di fare riferimento al crisis management preparednnss nlan della compagnia e ricordava che l'elemento più pericoloso da considerare nei casi di emergenza era rappresentato dal ritardo nelle comunicazioni e nelle azioni da intraprendere sul momento in base all'evoluzione della situazione emergenziale.
Lo F.S. invece, fin dall'inizio, aveva mancato di attenersi ad ogni procedura, omettendo di inviare il segnale anti-falla, di attivare quindi i compiti assegnati nel ruolo di appello, tra cui quello fondamentale cui era tenuto lo I., di prestare assistenza proprio al comandante e di occuparsi della verifica della stabilità della nave mediante la redazione del damage control pian, cioè di una pianta della nave su cui dovevano essere riscontrati e segnati tutti i dati relativi all'allagamento.
Quanto poi, in particolare, alla omessa nomina di uno ship crisis coordinator, delegato alle comunicazioni con la società armatrice, é vero che la procedura prevedeva una facoltà e non un obbligo per il comandante di delegare tale comunicazioni con l'FCC ad altro ufficiale, ma la scelta di F.S. di non attuare la delega si era rivelata sbagliata in quanto lo aveva distratto dalle attività di gestione dell'emergenza, che avrebbero meritato la priorità assoluta: durante i vari colloqui con il R.F. infatti il comandante non aveva ascoltato gli importantissimi aggiornamenti che si susseguivano circa le criticità a bordo e l'estensione dell'allagamento, soprattutto perché sulla plancia non vi era stata una ripartizione di compiti, gli ufficiali non si coordinavano tra loro, vigeva la totale inefficienza e confusione.
Di qui la corretta conclusione dei giudici di merito che l'imputato, non solo non aveva utilizzato le conversazioni con il R.F. per chiedere soccorso, ma anzi aveva propalato alla stessa autorità notizie false sulla situazione della nave, e quindi aveva deciso di comunicare personalmente con il responsabile dell'unità di crisi della Costa Crociere S.p.a., suo datore di lavoro, per alleggerire le sue responsabilità e dimostrare che stava cercando in tutti i modi di salvare la costosa imbarcazione, a discapito di una più accurata attenzione alle attività di gestione dell'emergenza, che avrebbero invece dovuto meritare l'assoluta priorità. A ulteriore riprova di ciò, il fatto che F.S., quando ormai da tempo il quadro della situazione era drammaticamente chiaro, aveva ripetuto di voler parlare con R.F. prima di impartire la chiamata di emergenza generale e l'ordine di abbandono nave, così assumendo un atteggiamento attendista risultato poi fatalmente incidente sul corso degli eventi.
13.4. Ulteriore ragione di censura agitata nel presente motivo di ricorso riguarda il ritardato ammaino delle scialuppe, manovra che, secondo la difesa, non sarebbe stato possibile effettuare se non a nave ferma, per il rischio, dovuto alla velocità e allo scarrocciamento dopo l'impatto, che le scialuppe potessero essere travolte proprio dalla nave.
Anche sul punto l'impugnata sentenza - nel disattendere l'analogo motivo di appello - é precisa e puntuale, svolgendo un ragionamento supportato da dati tecnici.
In primo luogo la Corte d'Appello di Firenze ha ricordato la traiettoria registrata dalla Concordia subito dopo l'impatto: a causa dell'avaria del sistema di governo verificatasi nei momenti successivi all'incidente (e cioè alle 21:46:37) la nave aveva proseguito con il proprio abbrivio con una progressiva diminuzione della velocità finché, per effetto del vento di nord-est, del timone bloccato a 35° a destra e del proprio moto residuo, non compiva un loop con la prua che girava a destra; quindi, passando nella rotta del vento, si era orientata a circa 90° dalla direzione del vento grecale, stabilizzandosi con questo orientamento e spostandosi parallelamente fino al punto di incaglio sui fondali della Gabbianara (23:03). Nell'arco temporale nel quale, secondo il giudizio controfattuale operato dal Tribunale, si sarebbero dovute svolgere le operazioni di abbandono, collocato idealmente tra le 22:28 e le 22:58, la velocità della nave era tale da consentire agevolmente l'ammaino delle scialuppe.
Non si tratta di una valutazione assertiva e - come tale - meramente apparente, come sostiene il ricorrente, ma di una certezza acquisita dalla tabella dati allegata alla perizia espletata in sede di incidente probatorio (annesso B), da cui si evince appunto che la velocità della nave dopo l'urto si riduceva molto rapidamente per la perdita di propulsione, passando da 14,2 nodi al momento dell'impatto già ad un solo nodo alle 22:02, prima del definitivo incaglio sulla scogliera della Gabbianara alle 23:03. In particolare, quanto all'Intervallo di tempo maggiormente rilevante ai fini in esame, la velocità era di soli 0,7 nodi alle ore 22:28, con una progressiva diminuzione nei minuti successivi, sino a risultare di 0,1 nodi alle 22:58: i periti avevano chiarito che l'ammaino delle scialuppe poteva essere eseguito con sicurezza sino alla velocità di 5 nodi, e dunque fin dalle ore 22:02, senza necessità di un previo ancoraggio. Neppure poteva temersi che lo scarrocciamento della nave avrebbe esposto le lance di salvataggio collocate sul lato di dritta al rischio di essere travolte dal movimento trasversale della nave, posto che la dinamica degli eventi aveva confutato proprio tale obiezione, visto che tutte le lance posizionate sul lato destro della Concordia erano riuscite a raggiungere l'acqua. I periti d'ufficio Dragone e Carpinteri (di cui in sentenza si riportano le dichiarazioni) erano stati concordi in tal senso, che, cioè, le imbarcazioni di salvataggio avevano caratteristiche di costruzione per essere messe a mare in perfetta sicurezza alla velocità inferiore a 5 nodi, mare calmo e rotta dritta, ma ulteriormente precisando che anche in caso di abbrivio minimo laterale - come nel caso della Concordia - con la nave messa in fiancata, al traverso rispetto al vento, la messa a mare delle motobarche era marinarescamente possibile e in concreto avveniva.
Infondato era poi, ad avviso della Corte di Firenze, l'argomento - riproposto come motivo di ricorso anche laddove si é chiesta la concessione dell'attenuante del ravvedimento operoso, di cui si tratterà in seguito - secondo il quale lo F.S., favorendo lo scarrocciamento della nave fino all'incaglio sugli scogli della Gabbianara, aveva evitato conseguenze ben più gravi di quelle provocate dal mancato ammaino delle tre scialuppe sul lato sinistro (le nn.6, 12 e 16).
Secondo i giudici di merito tale ammaino non era riuscito a causa dell'eccessiva inclinazione della nave e per la lancia n.6 anche per un errore del marinaio, riconducibile alla concitazione del momento e al ritardo con cui era stata autorizzata la calata delle scialuppe, per cui poteva ragionevolmente ritenersi che, se la chiamata d'emergenza generale fosse stata effettuata alle 21:58 e l'ordine di abbandono dato alle 22:28, anche le dette tre lance sarebbero riuscite a raggiungere l'acqua.
Quanto poi alla posizione finale assunta dalla Concordia, i periti hanno dimostrato che la nave, ormai ingovernabile, si era definitivamente arenata seguendo un movimento naturale e non in conseguenza di asserite abili manovre del comandante.
In conclusione, il ritardo nel segnalare l'emergenza generale e nell'ordinare l'ammaino delle scialuppe, ha assunto, secondo quanto ampiamente comprovato e dimostrato nei giudizi di merito, un evidente rilievo causale, atteso che, dopo l'impatto, l'inclinazione della nave fu progressiva e non immediata, la velocità si riduceva di minuto in minuto, le scialuppe potevano essere tempestivamente calate ad una velocità al di sotto dei 5 nodi, tenuto conto del tempo limite di 30 minuti stabilito per l'abbandono della nave: il tutto, se l'ordine in tal senso fosse stato dato nel momento in cui l'imputato, come é stato dimostrato, aveva avuto notizia certa della situazione di drammatico rischio a lui chiaramente ed immediatamente segnalata dagli ufficiali presenti in macchina, senza che costituisse ostacolo l'inclinazione su un fianco, in quel momento non ancora ostativa a tale fine.
13.5. Per il complesso di considerazioni che precedono, a parte quanto già detto circa la non sottoponibilità al sindacato di legittimità di questioni di mero fatto adeguatamente affrontate nel percorso argomentativo seguito dai giudici di merito, escluso ogni travisamento della prova per le puntuali considerazioni esposte a sostegno del giudizio di colpevolezza per i delitti di omicidio colposo e lesioni colpose plurimi, basate su riscontri oggettivi risultanti da documenti, indagini peritali, dichiarazioni testimoniali, registrazioni di conversazioni a bordo, affermazioni dello stesso imputato, é del tutto destituito di fondamento l'assunto secondo il quale a carico di F.S. sarebbe stato operato un mero automatismo tra la sua posizione di garanzia e gli eventi luttuosi e lesivi occorsi in seguito al naufragio: i ritardi e le manchevolezze dell'Imputato nella gestione dell'emergenza sono stati puntualmente collegati dai giudici di merito alla violazione di specifiche regole cautelari di comportamento, sottese alla prevenzione di eventi come quelli che si concretizzarono nella notte del naufragio, rispetto alle quali é stata ampiamente dimostrata la portata salvifica di un comportamento alternativo diligente, che il comandante della nave, per la posizione apicale di garanzia ricoperta, avrebbe dovuto tenere.
Anche il sesto motivo risulta quindi privo di fondamento.

 


13.6. - MEMORIA F.S. del 14 aprile

Attiene sempre al sesto motivo di ricorso la memoria difensiva depositata personalmente dallo F.S. il 14 aprile 2017, contenente non già "irrituali motivi nuovi ed aggiunti, bensì legittimi approfondimenti di quanto già dedotto nell'atto introduttivo del giudizio di legittimità" (così si legge testualmente).
Deduce l'imputato che sin dalla udienza preliminare la difesa aveva richiesto un approfondimento peritale circa la reale tenuta delle porte stagne, attesa l'enorme incidenza causale negli omicidi colposi, e comunque richiesto la riconvocazione dei periti d'ufficio, in contraddittorio con i consulenti di parte, su una serie di punti: avendo la Corte d'Appello ritenuto superfluo tale approfondimento istruttorio, si insiste per un annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza per tutti gli accertamenti indispensabili e necessari ai fini della verifica delle disfunzioni relative alla tenuta delle porte stagne che potrebbero aver da sole determinato gli eventi mortali.
In relazione a tale scritto si impongono alcune osservazioni.
Va in primo luogo richiamato il principio in base al quale, in tema di termini per l'impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi, riconosciuta dall'art.585, comma 4, cod.proc.pen., incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, dei quali i motivi ulteriori devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti; ne consegue che sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali, a fondamento del petitum dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l'ambito del predetto petitum, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione (Sez.2, n.1417 del 11/10/2012, Rv.254301).
Inoltre, va considerato che gli atti che pongono questioni ulteriori rispetto a quelle dedotte con i motivi di impugnazione, non sono da considerare memorie né richieste ai sensi dell'art.121 cod.proc.pen., ed in relazione ad essi di applica la disciplina dei motivi nuovi di cui all'art.585, comma 4, cod.proc.pen. (Sez.l, n.34461 del 10/3/2015, Rv.264493).
L'analisi del contenuto dell'atto in esame allora, differentemente da quanto sostenuto dall'Imputato, porta ad escludere, alla stregua dei principi dianzi enunciati, che esso sia qualificabile come semplice "memoria" ex art.121 cod.proc.pen., con la ulteriore conseguenza della sua inammissibilità per il mancato rispetto del termine decadenziale di 15 giorni dalla data fissata per l'udienza.
In ogni caso, anche volendo prescindersi dai sopra richiamati profili formali e ritenere la questione proposta (tenuta delle porte stagne) agganciata ad uno dei motivi di ricorso e di esso esplicativa, ne va rilevata la infondatezza.
Già il Tribunale si era occupato di una serie di denunciati "malfunzionamenti" della nave ed aveva disposto un supplemento peritale al riguardo.
La Corte d'Appello di Firenze, nel fare rinvio a quanto analiticamente riportato nella sentenza di primo grado, ha comunque rammentato che destinatario per legge dell'obbligo di accertare, prima della partenza, il funzionamento dei sistemi di bordo in tema di sicurezza, era proprio il comandante che, a norma degli artt.225-230 del D.P.R. 8.11.1991, n.435 ("Approvazione del regolamento per la sicurezza della navigazione e della vita umana in mare"), doveva verificare, tramite competente personale, la chiusura delle porte stagne e delle altre aperture che dovevano rimanere chiuse durante la navigazione, il buon funzionamento dei mezzi di governo (macchine, timoneria, generatori anche di emergenza e tutte le altre verifiche previste dall'art.229 del citato D.P.R.), dei mezzi di comunicazione interna ed esterna, dei mezzi di salvataggio, dei sistemi di allarme, delle luci e di ogni altro strumento nautico.
Il Tribunale ha rilevato - quanto alla tenuta delle porte stagne - che dall'istruttoria era effettivamente emerso che la Costa Crociere, per facilitare lo svolgimento di alcune attività estranee alle esigenze della conduzione della nave, aveva stabilito che il comandante potesse consentire, ravvisandone la necessità, che alcune porte stagne risultassero aperte durante la navigazione, anche se tale prassi non era assolutamente conforme alle procedure SOLAS. Tuttavia tale prassi irregolare non aveva avuto alcuna incidenza sulla verificazione dell'incidente, dato che dalle registrazioni del VDR si evinceva che al momento dell'impatto le porte stagne erano tutte chiuse, ad eccezione delle porte B13 e
B12, che erano state chiuse immediatamente dopo l'impatto e non riguardavano i compartimenti interessati all'allagamento (così il perito Cantelli Forti e il teste H.DP.). Quanto all'altra questione, che cioè la velocità di allagamento di alcuni compartimenti sarebbe stata agevolata anche dalla difettosa tenuta di alcune porte stagne, l'attenzione si é concentrata sulla porta n.10, che divideva i compartimenti n.3 e 4, da cui trafilava acqua sia dall'alto che dal basso subito dopo l'impatto (teste H.DP.): ancora una volta però il consulente del P.M. Ing. Scamardella aveva fatto notare come fosse altamente probabile che tale porta fosse stata danneggiata dalla violenza dell'impatto, tanto violento che nel compartimento 4 si era addirittura conficcato un pezzo di scoglio: di qui la ragionevole conclusione che la struttura stessa della paratia avesse riportato delle deformazioni, tali da incidere sulla sua tenuta, anche perché il consulente aveva messo in risalto come il battente d'acqua per cui la tenuta era garantita fosse stato sicuramente superato e dunque, anche per questa ragione, la porta stagna non poteva più assicurare la tenuta.
Gli elementi istruttori offerti dal dibattimento avevano quindi consentito di affermare che la porta stagna n.10 non trafilava per un vizio e/o difetto di costruzione, bensì sia per le deformazioni strutturali causate dalla violenza dell'impatto, sia per la imponente pressione cui era sottoposta, superiore a quella per cui la tenuta doveva essere garantita.
Del resto, a proposito del fatto che i giudici di merito avessero dato credito alle osservazioni del consulente tecnico del P.M., é noto che, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d'ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto, con motivazione accurata e approfondita, delle ragioni della scelta nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, é inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità (Sez.4, n.8527 del 1372/2015, Rv.263435).
Per il resto la doglianza attiene a questioni di mero fatto e sollecita, ancora una volta, una rivalutazione del materiale probatorio in termini improponibili in questa sede.

 


14. SETTIMO MOTIVO
Anche volendo prescindere dalla riproposizione, da parte del ricorrente, di questioni di fatto sottratte al sindacato di legittimità (in ordine alle quali si rimanda ai principi fissati nell'apposito paragrafo a premessa delle presenti considerazioni in diritto), in ogni caso anche il motivo di ricorso in esame é infondato.
14.1. E' opportuna una breve premessa di carattere giuridico sulle condotte di abbandono attribuite all'imputato ai sensi degli artt. 81 e 591 cod.pen. e 1097 cod.nav.: condotte consistite, secondo quanto al medesimo ascritto al capo c) della rubrica, nel non essere sceso per ultimo da bordo della nave Costa Concordia, della quale era comandante, durante l'abbandono della medesima (in condizioni di pericolo, essendo la nave in fase di naufragio), nonché nell'avere al contempo abbandonato centinaia di persone (passeggeri e membri dell'equipaggio), delle quali doveva avere cura nella sua qualità di comandante, incapaci di provvedere a sé stesse.
Il significato della condotta di abbandono imputabile al comandante di nave merita di essere esaminato in particolare sotto tre profili: quello della nozione di abbandono in termini generali; quello dell'abbandono della nave in pericolo rapportato ai doveri e alla posizione di garanzia del comandante; ed infine quello dei rapporti tra i reati contestati al capo c) (artt. 591 cod.pen. e 1097 cod.nav.).
14.2. Sotto il primo profilo, la nozione di abbandono é ricavabile dall'esegesi delle ipotesi di reato nelle quali tale nozione assuma rilievo. In difetto di utili arresti giurisprudenziali relativi al reato di cui all'art. 1097 cod.nav., si ha riguardo, in primo luogo, al reato di abbandono di cui all'art. 591 cod.pen., ancll'esso oggetto di addebito.
Vi sono poi ulteriori figure di reato che evocano la condotta di abbandono: fra queste, vanno ricordati gli altri reati di abbandono del Codice della navigazione (artt. 1098, 1115, 1118) e, per le indubbie analogie strutturali nella descrizione della condotta che caratterizza tali fattispecie, alcuni dei reati di abbandono previsti dai codici penali militari (in particolare gli artt. 112 e 253 cod.pen.mil. pace, e l'art. 128 cod.pen.mil. guerra).
La nozione di "abbandono" che qui interessa, in base agli arresti giurisprudenziali e ai contributi dottrinari sul punto, può consistere in qualsivoglia azione od omissione che comporti il distacco o l'allontanamento del soggetto attivo dal luogo, dalla persona o dalla cosa abbandonate e sottoposte alla sua cura e alle sue funzioni di garanzia, in modo tale da non esercitarvi il controllo, la cura, la custodia, o comunque da non svolgere le attività doverose nell'ambito del rapporto intercorrente fra il detto soggetto attivo e la cosa, la persona o il luogo abbandonati. Ricorre in sostanza, negli apporti dottrinari sul punto, il riferimento alla separazione fisica tra il soggetto che abbandona e la persona o la cosa abbandonata.
I reati di abbandono, secondo la giurisprudenza, hanno natura permanente; quest'ultima é, però, collegata non alla definitività dell'abbandono, ma al fatto che la condotta si protragga per il tempo dell'abbandono medesimo (cfr. Sez. 6, n. 12238 del 27/01/2004, Bruno ed altri, Rv. 228278) ed é altresì legata alla persistente coscienza e volontà di abbandonare, da parte del soggetto attivo, per il tempo in cui si protrae il suo allontanamento e distacco dalla cosa, dalla persona o dal luogo abbandonati. Può pertanto convenirsi con l'autorevole indirizzo dottrinario secondo il quale la nozione di abbandono é configurabile anche nel caso in cui l'abbandono non sia assoluto e definitivo, ma soltanto relativo e temporaneo, sempreché dalla condizione di abbandono consegua l'impossibilità per le vittime di fronteggiare la necessità di assistenza emergente dalla situazione concreta.
E' infine pacifica la natura dolosa dei reati in esame, per i quali é richiesto l'elemento soggettivo del dolo generico (con conseguente ipotizzabilità anche del c.d. dolo eventuale).
I reati di abbandono sono classificabili come reati di pericolo, quanto meno potenziale.
Va peraltro precisato fin d'ora, al riguardo, che nel reato di abbandono di persone minori o incapaci, di cui all'art. 591 cod. pen., lo stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo, é visto dalla giurisprudenza come derivante dalla condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente (Sez. 1, n. 35814 del 30/04/2015, Andreini e altri, Rv. 264566; Sez. 5, n. 12644 del 14/01/2016, F., Rv. 266874). Invece nel reato p. e p. dall'art. 1097 cod.nav. la situazione di pericolo per la nave, il galleggiante o l'aeromobile é già esistente (lo si ricava dallo stesso dato testuale della norma: "in caso di abbandono della nave, dei galleggiante o dell'aeromobile in pericolo") e la condotta del comandante che non abbandona per ultimo la nave (ossia che se ne allontana quando vi sono ancora persone a bordo) si innesta su tale situazione, aggravandola ulteriormente.
14.3. Quanto al secondo profilo, attinente alla correlazione fra la condotta di abbandono e i doveri (e la posizione di garanzia) del comandante, é sufficiente richiamare le disposizioni del codice della navigazione che stabiliscono quali siano le condotte doverose alle quali il comandante di nave deve attenersi.
La posizione di garanzia del comandante di nave é desumibile, innanzitutto, da quanto disposto dagli arti, da 292 a 315 del Codice della Navigazione; ed inoltre, da ulteriori disposizioni dello stesso Codice (in specie si vedano gli artt. 186 e ss., e l'art. 409, riguardante la responsabilità del vettore per i danni alle persone in caso di sinistri durante la navigazione). In base a tale posizione di garanzia il comandante della nave ha l'obbligo di sovraintendere a tutte le funzioni che attengono alla salvaguardia delle persone imbarcate (Sez. 4, n. 9897 del 05/12/2014 - dep. 2015, Pennisi, Rv. 262435).
L'art. 1097 del Codice della Navigazione, che prevede il reato di abbandono di nave da parte del comandante (reato che punisce il comandante che "non scende per ultimo da bordo" in caso di abbandono della nave, del galleggiante o dell'aeromobile in pericolo), va coordinato in primo luogo con l'art. 303, comma 2, dello stesso Codice, che stabilisce che "Il comandante deve abbandonare la nave per ultimo, provvedendo in quanto possibile a salvare le carte e i libri di bordo, e gli oggetti di valore affidati alla sua custodia".
A commento di tale disposizione, si é autorevolmente affermato in dottrina che la Relazione Ministeriale al Codice della Navigazione (n. 704) affronta il tema dell'abbandono della nave da parte di chi é al vertice della gerarchia di bordo, nell'assunto che il dovere del comandante di abbandonare la nave per ultimo non é solo il retaggio di un'antica tradizione marinaresca che rifugge ogni vigliaccheria, ma un vero e proprio dovere giuridico che trova il suo fondamento nell'esigenza di ridurre al minimo il danno alle persone e alle cose. Infatti, anche se ha dato l'ordine di abbandono, il comandante ha l'obbligo di "continuare la manovra, di dirigere le operazioni di salvataggio (...); se invece di attendere a questo suo essenziale dovere, il comandante pensa di mettersi in salvo prima dei passeggeri e dell'equipaggio, può cagionare la perdita della nave o dell'aeromobile".
Beninteso, il dovere di mantenere il comando nel pericolo non si può spingere fino al punto di esigere che il comandante affondi, sempre e comunque, con la sua nave, secondo un'immagine retorica da tempo desueta e priva di riscontro giuridico; ma lo obbliga tuttavia ad affrontare il pericolo incombente sulle persone a bordo, fino a quando l'esercizio del comando abbia una concreta utilità. Perciò, la norma in esame esige che il comandante della nave, quale primo garante della nave e delle persone e delle cose imbarcate, resti a bordo dell'unità in pericolo per coordinare tutte le procedure finalizzate al salvataggio dei passeggeri e dell'equipaggio: é l'effettività della posizione di garanzia da lui ricoperta a giustificare il dovere impostogli dalla disposizione in esame.
La nozione di "abbandono" ex art. 1097 Cod. Nav. deve quindi essere valutata alla luce della peculiare posizione di garanzia rivestita dal comandante di una nave in pericolo, quale sicuramente era la Costa Concordia (atteso che l'unità stava progressivamente affondando, inclinandosi su un lato, con conseguente rischio attuale di un danno all'integrità fisica delle persone); perché, se é vero che il paradigma dell'art. 1097 Cod. I\lav. punisce il comandante che "non scende per ultimo da bordo", é peraltro vero che tale condotta é da correlare all' "abbandono della nave, del galleggiante o dell'aeromobile in pericolo", nonché al già visto dovere del comandante di "abbandonare la nave per ultimo" (art. 303, comma 2, cod.nav.).
14.4. Quanto infine al terzo profilo, attinente ai rapporti fra il delitto di cui all'art. 591 cod.pen. e quello di cui all'art. 1097 cod.nav., deve ritenersi che le due fattispecie possano concorrere fra loro e che non sia configurabile alcun concorso apparente di norme, né alcun rapporto di specialità tra le due disposizioni incriminatrici.
In primo luogo, vi é differenza tra il bene giuridico tutelato dall'art. 591 cod.pen., costituito dal valore etico-sociale della sicurezza della singola persona fisica abbandonata contro determinate situazioni di pericolo (cfr. Sez. 5, n. 290 del 30/11/1993 - 1994, Balducci, Rv. 196779), e quello tutelato dall'art. 1097 cod.nav., che attiene alla tutela dell'incolumità collettiva delle persone a bordo e della salvezza della nave.
In secondo luogo, e soprattutto, sotto il profilo della struttura dei due reati, si é già visto che la condizione di pericolo si atteggia diversamente nelle due fattispecie.
In quella di cui all'art. 591 cod.pen., come si é detto, la situazione di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità del soggetto passivo, é diretta conseguenza della violazione di uno specifico dovere giuridico di cura o di custodia, che incombe su determinate persone o categorie di persone.
Invece, il reato p. e p. dall'art. 1097 cod.nav. punisce la condotta del comandante che non scenda per ultimo dalla nave, nel caso in cui la nave stessa sia (già) in pericolo: quindi, la condizione di pericolo (per l'incolumità delle persone a bordo e per la salvaguardia dell'unità navale) non é qui creata dal soggetto attivo, ma é preesistente, ed é semmai aggravata dalla sua condotta di allontanamento.
14.5. Fatta questa ampia, ma doverosa premessa di ordine giuridico, e venendo ai temi proposti dal ricorrente nel settimo motivo di ricorso, deve osservarsi che la Corte territoriale ha ampiamente e condivisibilmente illustrato (pp. 364 e ss. sentenza impugnata), al pari dei giudici di primo grado, le ragioni del proprio convincimento circa la prova:
- della consapevolezza dello F.S., una volta allontanatosi dalla nave, che a bordo vi erano ancora persone presenti: basterebbe richiamare le numerose comunicazioni in tal senso fornitegli, sia prima che dopo che egli (alle ore 23:20) si allontanasse dalla plancia (ad esempio dal Comandante in 2^ BO., il quale poco prima delle 23:20 gli aveva segnalato che circa 2000 persone si erano messe in salvo e che quindi a bordo vi erano ancora altre 2000 persone), oltre alle comunicazioni intercorse fra F.S. e il Sottocapo Tosi, della Capitaneria di Porto di Livorno: dopo che, alle 23:37, F.S. segnalava a Tosi la presenza a bordo di un certo numero di persone (stimate, riduttivamente, in circa 200-300: v. pp. 378-380 sentenza impugnata), il Tosi segnalava allo F.S. alle 00:28 (quando egli era già approdato sugli scogli della Gabbianara) che a bordo vi erano ancora almeno 50 persone (pag. 371 sentenza impugnata); inoltre, nell'interrogatorio di garanzia, F.S. aveva riferito che, quando scese al ponte 3 sul lato dritto della nave, era a conoscenza del fatto che sul lato opposto vi erano ancora 500 persone e che, sullo stesso lato della nave, le scialuppe erano bloccate (p. 383 sentenza impugnata). E' quindi corretta la valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni dello F.S. da parte della Corte di merito, che ha tratto, del tutto con seguentemente, la conclusione che egli era necessariamente a conoscenza della (quanto meno probabile) presenza di persone a bordo allorché saltò sul tetto della lancia per abbandonare la nave (p. 384): conoscenza avvalorata dal già richiamato colloquio con il sottocapo Tosi delle ore 00:28, nel quale fra l'altro F.S., mentendo, riferiva al suo interlocutore di trovarsi "sulla lancia" a recuperare i naufraghi, mentre si trovava già sugli scogli della Gabbianara. Per non dire del successivo colloquio con il comandante G.DF., ampiamente riportato e illustrato dalla Corte distrettuale alle pagine 386-387 della sentenza impugnata, a sua volta confermativo della consapevolezza di F.S. della (almeno probabile) presenza a bordo di altre persone, nonché del suo mendacio nel riferire di essere impegnato nelle operazioni di salvataggio;
- della "latitanza gestionale" palesata dallo F.S., il quale si allontanò dalla plancia senza neppure prendere con sé una radio con cui comunicare con il resto dell'equipaggio (tanto da affidarsi, a suo dire, a un non meglio precisato marinaio bulgaro per capire cosa stesse accadendo sul lato sinistro della nave: v. pp. 370-371 sentenza impugnata), e senza mai utilizzare nemmeno in seguito strumenti di comunicazione a distanza con il personale a bordo della nave (v. pag. 372 sentenza impugnata), così dando prova della sua rinuncia a esercitare i suoi doveri di coordinamento delle operazioni di salvataggio dei passeggeri e di evacuazione della nave che si stava progressivamente inclinando su un lato;
- della sua intenzione di abbandonare definitivamente la nave e di non fare rientro a bordo-, dopo avere esaminato la posizione della nave affacciandosi dal ponte 11, per vedere in quale punto la nave si fosse appoggiata (anziché
provvedere a coordinare le operazioni di salvataggio), F.S. scendeva nella sua cabina a prelevare un giubbotto anonimo e i documenti di bordo (come impostogli dall'art. 303, comma 2, cod.nav, prima di abbandonare la nave), quindi si recava sul lato dritto della Costa Concordia - quello da cui era ancora possibile imbarcarsi sulle scialuppe e mettersi in salvo -, a suo dire perché su quel lato vi sarebbe stata maggiore necessità del suo intervento, mentre sul lato sinistro (che F.S. ha definito "il più sicuro" della nave) intervenivano i Vigili del Fuoco a salvare le circa 700 persone rimaste bloccate su quel lato (pp. 376- 377 sentenza impugnata); indi, alle ore 00:17, si imbarcava su una scialuppa e, nonostante le sollecitazioni a tornare a bordo per coordinare i soccorsi, rimaneva sugli scogli della Gabbianara per alcune ore. Peraltro, neppure rileverebbe l'asserita (e peraltro disattesa dai fatti) non definitività dell'intenzione di abbandonare la nave, atteso che, da un lato, F.S. sicuramente non fu l'ultimo a scendere da bordo (ed era perfettamente consapevole di ciò, quanto meno in termini di rilevante probabilità) e che, dall'altro, la condotta di abbandono, come si é già avuto modo di osservare, non richiederebbe neppure la definitività dell'abbandono stesso;
- della non riferibilità del suo comportamento alla necessità di salvare altre persone, desumibile dal fatto che lo F.S. ometteva sistematicamente di assumere il coordinamento dei soccorsi, mentendo poi a più riprese in ordine alla sua partecipazione ai soccorsi stessi; quanto alla tesi del soccorso di necessità, che secondo il ricorrente avrebbe valore esimente con riguardo al comportamento dell'imputato, la Corte di merito ha escluso la rilevanza dello stato di necessità con riguardo ai reati di abbandono (artt. 591 cod.pen. e 1097 cod.nav.), atteso che ambedue le fattispecie di reato hanno quale presupposto l'esistenza di una situazione di pericolo (v. pag. 390 sentenza impugnata). Al riguardo può qui precisarsi che, per quanto detto, ciò é vero soprattutto per quanto riguarda il reato di cui all'art. 1097 cod.nav., nel quale come si é visto la situazione di pericolo per la nave (e per l'incolumità delle persone a bordo) é necessariamente preesistente; ma va altresì ricordato, anche con riguardo al delitto di cui all'art. 591 cod.pen., che la condizione di pericolo dev'essere inevitabile altrimenti (e, nella specie, essa era stata comunque cagionata dalla condotta dell'imputato); e che perciò, secondo l'indirizzo dottrinario e giurisprudenziale prevalente e qui condiviso, la scriminante dello stato di necessità -anche nel caso del c.d. soccorso di necessità - non é invocabile nelle ipotesi di reato in cui il soggetto attivo abbia non solo volontariamente, ma anche colposamente determinato la situazione pericolosa (Sez. 5, n. 16012 del 23/03/2005, Carone, Rv. 232143), qualora - come nella specie - la sua condotta sia stata condizione diretta e immediata del pericolo.
- e, conseguentemente, dei momento non solo rappresentativo, ma altresì volitivo, dell'abbandono della nave (e delle persone a bordo) da parte sua, quanto meno in termini di dolo eventuale-, sul punto si rimanda alle pertinenti osservazioni della Corte territoriale alle pagine 388-389 della sentenza impugnata. Va ulteriormente richiamata al riguardo la più recente giurisprudenza a Sezioni Unite, in base alla quale il dolo eventuale ricorre quando l'agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell'evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l'eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l'evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261104); é conducente, nel caso di specie, anche la lettura degli indicatori del dolo eventuale offerta dalla stessa giurisprudenza apicale (SS.UU. Espenhahn, n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261105: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell'agente; c) la durata e la ripetizione dell'azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell'evento; g) le conseguenze negative anche per l'autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si é svolta l'azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento - cosiddetta "prima formula di Frank" - atteso che nella specie l'analisi di tali indicatori risulta confermativa della natura dolosa del comportamento dell'Imputato, in quanto caratterizzata: a) da una condotta largamente difforme da quella doverosa, non solo nella fase che condusse al naufragio, ma altresì nella fase successiva, e ancor più in quella conseguente all'abbandono della nave da parte sua; b) dal fatto che l'elevata qualificazione professionale richiesta al comandante di una nave passeggeri con a bordo oltre 4.000 persone rende ancor più evidente lo scostamento fra la condotta doverosa e quella tenuta nell'occorso dallo F.S.; c) dal fatto che il complessivo comportamento dell'imputato si é protratto per un significativo arco temporale, conseguente peraltro a pregresse condotte gravemente colpose; d) dallo stridente contrasto fra le finalità del suo comportamento antecedente, concomitante e successivo ai fatti e le gravissime conseguenze di esso, in termini di perdite di vite umane, di lesioni all'incolumità di centinaia di persone, di macroscopici effetti lesivi delle condotte dell'Imputato
sotto molteplici profili (ambientale, economico, d'immagine ecc.); e) dal fatto che lo F.S., con la sua condotta, cercò essenzialmente di salvare se stesso, incurante della sorte di persone affidate alla sua posizione e qualificazione professionale; f) dal fatto che egli poneva in essere le condotte di abbandono consapevole dell'elevata probabilità, al limite della certezza, che vi fossero a bordo altre persone da salvare, in un contesto di complessiva, grave illiceità della sua condotta complessiva.
In definitiva, nella sopra descritta condotta dello F.S. risultano presenti tutti gli elementi costitutivi dei reati a lui ascritti al capo c), sia sotto il profilo della materialità delle condotte di abbandono, sia sotto il profilo dell'elemento soggettivo del dolo, quanto meno eventuale, che le sorreggeva.
A chiusura della disamina riguardante il settimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Senese, corre l'obbligo di evidenziare che, a pag. 14 dei motivi nuovi depositati in data 4 aprile 2017 a firma degli avv.ti Senese e Laino, vi é una sollecitazione integrativa valevole anche per il motivo di ricorso in esame, costituita dal deposito di un CD contenente, secondo la prospettazione dei suddetti difensori, "la prova documentale e filmica (...) dei denunciati travisamenti per omessa motivazione" concernenti materiale probatorio riferito anche ai reati di abbandono nave.
In merito a tale richiesta di integrazione documentale, il Collegio si é espresso in senso negativo per le ragioni di cui all'ordinanza letta all'udienza del 12 maggio, il cui testo é stato integralmente riportato nelle pagine che precedono ed alla cui motivazione si fa qui rinvio.

 


15. OTTAVO MOTIVO
Il motivo attiene a due aggravanti.
15.1. La prima é quella della violazione della normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ritenuta sussistente dalla Corte d'Appello in relazione ai delitti colposi di omicidio e lesioni personali (art.589, comma 2, cod.pen.), sul presupposto che le condotte commissive ed omissive tenute dall'imputato nel corso della gestione dell'emergenza, fossero state realizzate anche in spregio delle norme di tutela antinfortunistica.
Argomentano i giudici distrettuali che il decreto legislativo 27 luglio 1999 n.271, applicabile ai lavoratori marittimi imbarcati a bordo di tutte le navi o unità mercantili, nuove ed esistenti, adibite a navigazione marittima (art.2), prevede, in aggiunta a quanto stabilito dalle disposizioni del codice della navigazione e del relativo regolamento di attuazione, nonché delle norme vigenti in materia di sicurezza della navigazione, l'obbligo per il comandante della nave di informare l'armatore ed il responsabile alla sicurezza, di cui all'art.16, nel caso in cui si verifichino a bordo eventi non prevedibili o incidenti che possano comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, e di adottare idonee misure atte a identificare e rimuovere la causa dell'evento ed a limitare al minimo i rischi per i lavoratori (art.7, lett.e).
In particolare, tale ultima disposizione, oltre a prevedere un obbligo di informazione nei confronti dell'armatore e del responsabile alla sicurezza nell'ambiente di lavoro eletto dai lavoratori marittimi, stabilisce a carico del comandante un preciso obbligo, nel caso di incidente idoneo a esporre a rischio la salute e la sicurezza dei lavoratori, di adottare idonee misure volte sia a risolvere la causa dell'evento negativo, sia a limitare al minimo i rischi per i lavoratori.
Secondo i giudici di merito lo F.S. ha violato ripetutamente l'obbligo stabilito dall'art.7, lett.e) citato, omettendo di inviare il segnale per la falla a bordo, così tenendo all'oscuro il resto dell'equipaggio sulla causa della situazione di crisi e, quindi, ritardando la chiamata dell'emergenza generale, prima, e l'autorizzazione all'abbandono della nave, poi, esponendo in tal modo tutti i membri dell'equipaggio, oltre che naturalmente i passeggeri, a gravi rischi per la propria sicurezza personale. A ciò va aggiunto il mancato rispetto, nella gestione dell'emergenza, di quanto previsto nella SOLAS, Safety of life at sea (Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare), nelle procedure aziendali e nello stesso ruolo di appello, così come analiticamente contestato nel capo di imputazione, condotte che rappresentano altrettante violazioni dell'obbligo del comandante di adottare ogni misura atta a limitare al minimo i rischi per i lavoratori. Le procedure in questione, infatti, sono finalizzate a garantire prima di tutto la sicurezza sia dei passeggeri sia dei membri dell'equipaggio alle dipendenze della società armatrice.
Questa Corte (sia pure in relazione a vicenda in parte diversa) ha recentemente ribadito quanto già in precedenza affermato circa le peculiarità dei poteri-doveri propri del comandante della nave, in tema di salute dei passeggeri, in base all'art.186 cod.nav. e all'art.7 del Igs.n.1999/271, nel senso che il comandante ha l'obbligo di sovraintendere a tutte le funzioni che attengono alla salvaguardia delle persone imbarcate (Sez.4, n.6376 del 20/1/2017); e che, rispetto a problematiche di salute riguardanti le persone a bordo, il comandante ben può trovarsi ad interagire, in determinate contingenze, con le valutazioni e le iniziative di diverse figure professionali, assumendo una posizione di garanzia qualificata di natura concorrente (Sez.4, n.9897 del 5/12/2014, Rv.252435).
Correttamente la Corte d'Appello, senza incorrere nel denunciato vizio motivazionale né in alcuna violazione di legge, non ha poi condiviso l'assunto difensivo secondo cui l'aggravante in questione, essendo riferibile alla violazione delle norme inserite nelle leggi antinfortunistiche ed in quelle direttamente o indirettamente perseguenti il fine, nel corso delle attività lavorative svolte sulla nave, di evitare incidenti sul lavoro o malattie professionali, non sarebbe applicabile in una situazione di emergenza eccezionale quale quella verificatasi nel caso in esame.
Si tratta infatti di una tesi non supportata da alcuna argomentazione, non formulata neppure in questa sede di legittimità, ma di un'affermazione meramente assertiva che cozza contro principi di logica prima ancora che di diritto, laddove si intende sostenere che la normativa a tutela della sicurezza dei lavoratori a bordo della nave non va rispettata proprio nelle situazioni emergenziali in cui tale sicurezza viene messa a repentaglio.
Di qui l'infondatezza della doglianza.
15.2. Sotto altro profilo, il ricorrente insiste per l'esclusione dell'aggravante perché la Costa Crociere S.p.a. aveva nominato un responsabile per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nella persona del K2, così "esonerando l'imputato da ogni profilo di responsabilità".
Anche tale rilievo, riproposto in questa sede senza addurre elementi di valutazione ulteriori rispetto a quelli già prospettati nell'atto di appello, é stato in maniera corretta disatteso in sede di merito, sul rilievo che la nomina del responsabile del servizio di protezione e prevenzione non esonera il comandante della nave dalla responsabilità di adottare, in caso di incidente, ogni misura atta a rimuovere l'evento negativo e, comunque, a ridurre al minimo i rischi per i lavoratori, trattandosi di un ruolo non delegabile ad altri.
Non vi é del resto ragione di discostarsi, con riguardo ai compiti e alle responsabilità del comandante di nave in tema di sicurezza, dai principi generali pacificamente affermati a più riprese dalla Corte regolatrice, in base ai quali, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di vigilanza e di controllo gravanti sul datore di lavoro non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di formazione e informazione dei dipendenti (ex multis, Sez.4, n.50605 del 5/472013, Rv.258125).
Anche in questo caso dunque basta richiamare la pacifica giurisprudenza di legittimità con riguardo sia alla natura concorrente delle responsabilità datoriali e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Sez.4, n.32195 del 15/7/2010, Rv.248555), sia, più in generale, al fatto che nella materia prevenzionistica e della sicurezza sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno é per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge, fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica é addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (Sez.4, n.18826 del 9/2/2012, Rv.253850).
E' evidente poi - come ben ritenuto nell'impugnata sentenza - che nel caso di specie lo F.S. non é chiamato a rispondere di violazioni concernenti l'individuazione dei rischi connessi alle varie attività lavorative di bordo e la formazione in ordine ai medesimi, ma di violazioni di obblighi specifici inerenti la posizione di comandante della nave e dunque di sua esclusiva competenza e prerogativa e non certo delegabili al responsabile della sicurezza, quali appunto l'invio del segnale per la falla a bordo, la chiamata di emergenza generale e l'ordine di abbandonare la nave.
Non ha mancato infine la Corte di Firenze di rilevare, per motivare la sussistenza dell'aggravante, che fra le vittime ed i soggetti lesi vi sono anche membri dell'equipaggio e che, in ogni caso, con riguardo ai reati colposi di omicidio e lesioni personali, l'aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche ricorre anche quando le vittime sono persone estranee all'impresa, in quanto la posizione di garanzia in ordine alla sicurezza degli impianti opera non solo nei confronti dei lavoratori subordinati o dei soggetti a questi equiparati, ma altresì nei riguardi di tutti coloro che possono comunque venire a contatto o trovarsi nella relativa area di operatività.
In questo senso la univoca giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale "ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, ex art.43 cod.pen. e, quindi, di circostanza aggravante ex artt.598, comma 2, e 590, comma 3, cod.pen. su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l'accertata violazione" (Sez.4, sent.n.2343 del 27/11/2013, Rv.258436).
L'odierno ricorso non si confronta con tali argomentazioni e dunque, anche per questo aspetto, il motivo é infondato.
15.3. Nell'ambito di questo stesso motivo il ricorrente censura il riconoscimento da parte delia Corte di Firenze dell'aggravante dell'art.112, comma 1 n.3, cod.pen. in relazione alle contravvenzioni contestate in continuazione al capo b) della rubrica.
La doglianza, che non riguarda la pronuncia di penale responsabilità per le contravvenzioni in parola, é superata dall'avvenuto decorso del termine necessario a prescrivere, tenendo conto della data del fatto e dei soli giorni di sospensione indicati nella sentenza di primo grado.
Per tale ragione l'impugnata sentenza va annullata senza rinvio limitatamente ai reati contravvenzionali in parola perché estinti per intervenuta prescrizione, non potendosi pronunciare sentenza ex art.129 cpv. cod. proc. pen. per le puntuali argomentazioni svolte dai giudici di merito.
Ne consegue la eliminazione della pena di un mese di arresto irrogata in relazione agli stessi.

 


16. NONO MOTIVO
Il nono ed ultimo motivo di ricorso attiene al trattamento sanzionatorio e, segnatamente, alla mancata concessione dell'attenuante di cui all'art.62 n.6 cod.pen. (ravvedimento operoso) e delle attenuanti generiche.
Il motivo viene ripreso dall'imputato nella memoria a sua firma del 4 aprile 2017 (pag.43 e 45).
Alla pronuncia di diniego di tali attenuanti la Corte di Firenze é pervenuta all'esito di un corretto percorso argomentativo, immune dalle denunciate censure.
16.1. L'attenuante dell'art.62 n.6 cod. pen.
La difesa aveva sollecitato la richiesta di concessione dell'attenuante dell'art.62 n.6 cod.pen. sul rilievo che l'intervento risolutore dello F.S. nello sbloccare la scialuppa di salvataggio, prima che il peso della nave la schiacciasse, aveva consentito di salvare le vite delle persone che erano riuscite ad imbarcarsi e che la decisione di non ancorare la nave a largo per procedere immediatamente alle operazioni di evacuazione, ma di attendere che la Concordia si arenasse sul basso fondale assecondando lo scarrocciamento verso la costa, aveva senz'altro impedito alla tragedia di assumere connotati ben più catastrofici: tali condotte tenute dall'imputato denotavano lo spontaneo ed efficace adoperarsi dello stesso per attenuare le conseguenze dannose dei reati, e dunque dovevano essere positivamente valutate ai fini del riconoscimento dell'attenuante in parola.
Hanno osservato i giudici di appello che l'attenuante ex art.62 n.6 cod.pen. é prevista nel caso in cui, a reato consumato e, quindi, ad evento già verificatosi, intervenga il ravvedimento dell'agente che spontaneamente ed efficacemente si adoperi per attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Con motivazione adeguata e pienamente aderente alle risultanze processuali hanno escluso l'applicabilità dell'attenuante al caso di specie, con specifico riferimento alle condotte indicate nei motivi di appello ed assunte come meritevoli di considerazione a tal fine, ritenendo insussistenti gli asseriti "meriti" del comandante.
Hanno ribadito in primo luogo che l'intenzione di aspettare che la nave si avvicinasse alla costa era errata per la duplice ragione che la eccessiva vicinanza agli scogli avrebbe impedito l'ammaino delle scialuppe sul lato di dritta, e perché l'impatto con il basso fondale scoglioso avrebbe comportato effetti significativi (come poi é realmente avvenuto) sullo sbandamento della nave stessa. Le considerazioni ottimistiche formulate a un certo punto dall'imputato circa il fatto che la nave si sarebbe "adagiata piano piano sulla montagna" non avevano alcun reale fondamento, essendo logico che l'impatto, anche a bassissima velocità, tra la scogliera ed una nave di quella stazza, già inclinata di molti gradi, non poteva che causare ulteriori rotazioni e spostamenti, tali da incidere in modo repentino sulla stabilità della stessa, con gravissimo rischio per la incolumità delle persone a bordo. I periti nominati in sede di incidente probatorio avevano del resto chiaramente evidenziato che le fasi conclusive della manovra e la posizione finale assunta dalla nave erano state fortuite e di certo non dipendenti dalla condotta di F.S., poiché dal momento in cui i timoni si erano bloccati la nave era di fatto ingovernabile. Se quello di far incagliare la nave poteva essere un auspicio del comandante, tuttavia le fasi conclusive della navigazione (dalle 21:46:37 alle 23:03) e la posizione finale assunta dalla Concordia furono casuali, non apparendo ragionevole né verosimile ritenere che il lungo giro della nave alla deriva e il suo finale incaglio sui fondali della Gabbianara fossero riconducibili alla volontaria conduzione della nave da parte dell'Imputato. Sin dalle ore 21:46:37 la Concordia era infatti priva di motori funzionanti ed aveva i timoni bloccati e l'ultimo ordine di manovra dato da F.S., di mettere la barra a dritta, risaliva alle ore 21:46:10 ("hard to starboard"), pochi secondi dopo l'impatto con le Scole (circa un'ora e diciassette minuti prima dell'incaglio sulla scogliera della Gabbianara), quando i timoni della nave erano ancora funzionanti, prima di restare bloccati (a 35°) allorché l'ordine stesso risultava eseguito solo parzialmente, data la sopravvenuta mancanza di alimentazione dei timoni per l'avaria.
Non vi era stata dunque nessuna pretesa attenuazione delle conseguenze dannose o pericolose dei reati da parte del comandante. 
Il ragionamento della Corte di Firenze, saldamente basato sulle risultanze acquisite al processo e frutto anche di approfondita analisi peritale, non appare in alcun modo criticabile, atteso che tutto quello che accadde dopo l'ultimo ordine dato da F.S. e l'avaria dei timoni - ovvero le fasi conclusive della manovra e la posizione finale della Concordia - fu del tutto fortuito e non dipese da utili condotte dell'imputato.
Quanto alla seconda condotta, di aver sbloccato la scialuppa di salvataggio che aveva consentito di portare al sicuro a terra altre persone, la Corte ha poi correttamente rilevato, in base allo svolgimento dei fatti, che in realtà lo F.S. era salito su tale scialuppa prima di altri e mentre si trovava sulla stessa aveva dato indicazioni al pilota, confuso ed intimorito, su come allontanarsi dalla nave: tale comportamento, già infondatamente invocato come scriminante per i reati di abbandono di persone incapaci e di nave in pericolo, e che anzi aveva assunto rilevanza proprio ai fini della configurabilità di tali reati, non poteva certo essere utilizzato per conseguire l'attenuante del ravvedimento operoso.
Osserva ancora questa Corte che di fatto l'imputato - come già precedentemente evidenziato - aveva lasciato la nave, saltando sulla scialuppa, alle ore 00:17 (mentre l'ultimo ufficiale, S.C., era sceso alle 5:45) nella consapevolezza che vi erano ancora a bordo numerose persone in difficoltà, violando così l'obbligo di restare sulla Concordia fino all'ultimo e di coordinare le operazioni di abbandono. Dopo l'allontanamento non si é servito della radio per comunicare con gli altri ufficiali e dare loro istruzioni per attenuare il disastro e salvare vite umane, si é disinteressato del destino delle centinaia persone ancora da sbarcare, violando quanto la legge imponeva al suo ruolo di comandante: in questo contesto, la circostanza che abbia sbloccato una scialuppa, non poteva certo essere letta come un'operosità per mettere in salvo altri passeggeri quanto piuttosto come un tentativo di salvare se stesso.
Oltre a quanto esposto nella impugnata sentenza, il motivo di ricorso - che peraltro non aggiunge nuovi aspetti di valutazione rispetto a quelli già esaustivamente esaminati in sede di merito, limitandosi i difensori a formulare soggettive critiche degli argomenti richiamati - va poi disatteso per l'inconferenza dell'invocata attenuante sia rispetto al delitto di naufragio, sia rispetto agli omicidi, alle lesioni e agli altri reati commessi: il naufragio si era già irreversibilmente verificato; la condotta asseritamente riparatoria non poteva ontologìcamete configurarsi rispetto al delitto di omicidio colposo, consistente nella distruzione del bene della vita giuridicamente protetto (Sez.l, n.45542 del 15/9/2015, Rv.255372); non é stata profilata alcuna condotta con efficacia impeditiva o di attenuazione delle conseguenze delle lesioni colpose e dell'abbandono di nave, condotta quest'ultima che invece si é posta come incidente in negativo sul corso degli eventi, avendo egli omesso di attivarsi, come era suo preciso dovere, per coordinare i soccorsi rimanendo a bordo.
Questa Corte ha del reato già ripetutamente affermato che la circostanza attenuante comune di cui all'art.62 n.6, seconda ipotesi, cod. pen., solo in via eccezionale opera dopo la commissione del reato e trova fondamento nella minore capacità a delinquere del colpevole il quale, per ravvedimento, si adopera per eliderne le conseguenze che, pur strettamente inerenti alla lesione o alla messa in pericolo del bene tutelato dalla norma incriminatrice, sono estranee all'esecuzione e alla consumazione del reato stesso. Ne consegue l'inapplicabilità di tale attenuante ai reati in cui il danno penale sia per sua natura irreversibile e non eliminabile neppure in parte dall'opera del colpevole e, in particolare, al delitto di omicidio, il cui danno penale (consistente nella distruzione del bene giuridico protetto, e cioè del bene della vita) non é suscettibile di eliminazione o di attenuazione successiva da parte del colpevole (Sez.l, n.45542 del 15/972015, Rv.265372; Sez.l, n.46232 del 27/11/2008, Rv.242054; Sez.l, n.34342 del 11/5/2005, Rv.232495; Sez.l, n.26298 del 11/12/2003, Rv.228123).
Lo stesso principio va esteso al delitto di cui all'art.590 cod. pen., dovendosi anche in tale caso l'attenuante del ravvedimento attivo correlarsi al danno criminale, ossia alle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente risarcibile, che intimamente ineriscono alla lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata, nella specie l'integrità fisica della persona (Sez.3, n. 31841 del 2/4/2014, Rv.260290).
16.2. Le attenuanti di cui all'art.62 bis cod.pen.
Anche con riferimento alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche, i difensori del ricorrente ripropongono gli elementi positivi di valutazione che avevano già formato oggetto di specifico motivo di appello.
In quella sede infatti avevano chiesto di tenere conto, in primo luogo, della condotta pienamente collaborativa con gli inquirenti - tenuta sin dalle prime fasi delle indagini preliminari, per essersi l'imputato sottoposto all'Interrogatorio dinanzi al G.I.P. ed aver fornito risposte solo per aspetti limitati riviste nel corso dell'esame dibattimentale -, del consenso prestato all'acquisizione integrale del citato interrogatorio di garanzia e di aver accettato un estenuante esame dibattimentale.
La scelta di negare le attenuanti generiche sarebbe stata poi ingiusta considerato che gli autori delle condotte concausali rispetto a quelle imputate allo F.S. erano stati condannati in separato giudizio a pene di gran lunga inferiori a quella comminata all'imputato, nonostante l'analoga gravità delle rispettive inadempienze. In definitiva, la difesa aveva chiesto alla Corte fiorentina di valutare, ai fini della concessione delle attenuanti generiche, i seguenti elementi: l'incensuratezza; l'ineccepibile condotta di vita tenuta prima dei fatti di causa, che gli aveva consentito, per l'encomiabile carriera marinara, di approdare al comando della Costa Concordia; il già menzionato atteggiamento collaborativo dimostrato durante le indagini e in dibattimento per la ricostruzione dei fatti; l'assoluta eccezionalità della cornice di eventi in cui si iscrivevano le condotte, comunque colpose, ascrittegli, anche alla luce della totale solitudine, connessa alla scarsa ed inefficiente collaborazione ricevuta dagli altri membri dell'equipaggio, in cui si era trovato a fronteggiare la gigantesca emergenza; le difficili decisioni che aveva dovuto prendere in pochi e drammatici minuti, che avevano consentito di salvare la vita non solo alle decine di persone presenti sulla lancia, bloccata sotto il peso dei paranchi e liberata solo grazie all'intervento risolutore di F.S., ma anche a quelle centinaia di passeggeri che avrebbero perso la vita se le operazioni di evacuazione non fossero avvenute a poche decine di metri dalla costa, in virtù della scelta del comandante di assecondare lo scarrocciamento della nave nelle fasi successive all'incidente.
Orbene, tralasciati questi ultimi due aspetti già considerati esaminando la richiesta di concessione dell'attenuante del ravvedimento operoso, la Corte di merito ha osservato quanto segue: lo stato di incensuratezza non giustificava di per sé la concessione delle circostanze attenuanti generiche, a seguito della modifica normativa apportata all'art.62 bis, comma 3, cod.pen. dalla legge n.125/2008 (sul punto Sez.3, n.44071 del 25/9/2014, Rv.260610); la encomiabile carriera marinara non aveva attinenza né poteva giustificare una riduzione della pena in rapporto con quanto accaduto con la vicenda in questione; il complessivo comportamento dell'imputato non era stato improntato al fondamentale principio di lealtà processuale poiché, fermo restando il pieno esercizio del diritto di difesa che lo facoltizzava al silenzio e perfino alla menzogna, egli aveva tentato di sminuire la portata di quanto inizialmente dichiarato davanti al G.I.P., contestando diverse circostanze anche contro ogni dato oggettivo, tutti elementi negativi di cui non poteva non tenersi conto all'atto della valutazione della meritevolezza o meno delle circostanze attenuanti generiche; il comportamento processuale aveva d'altro canto fatto seguito a una serie di reati gravi e taluni anche dolosi, come i reati di abbandono e le omesse, reticenti e false dichiarazioni alle autorità marittime; il grado della colpa che aveva connotato il naufragio era stato elevato (e solo in minima parte ridotto in ragione delle concorrenti responsabilità di terzi) per le modalità della condotta, la molteplicità delle norme cautelari infrante e i motivi vacui per i quali la nave, con a bordo oltre 4000 persone, tra passeggeri in crociera e membri dell'equipaggio, era stata, per esclusiva decisione dell'imputato, condotta in quelle condizioni di estremo pericolo, fino a giungere a conseguenze disastrose; parimenti molteplici e gravi violazioni erano state consumate nella fase della gestione dell'emergenza, causando un elevato numero di vittime e di persone lese.
La Corte, nell'elencare le ragioni ostative alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, sottolineava ancora la plurioffensività delle condotte illecite, incidenti su molteplici beni di rilevanza costituzionale, che hanno colpito la vita e l'incolumità delle persone, con 32 morti e 193 persone lese, molte delle quali costrette a vivere esperienze assolutamente drammatiche, sconvolgenti, inenarrabili; i gravissimi danni causati all'ambiente, in un tratto di mare di eccezionale pregio, tutelato dalla normativa nazionale e comunitaria, in considerazione anche della presenza di popolamenti a elevata biodiversità (coralligeno e altre specie protette), con deturpamento sia per diretto danneggiamento del fondale de Le Scole e della scogliera della Gabbianara, sia per la presenza sul posto del relitto, protrattasi per circa due anni e mezzo, con evidenti proiezioni anche nel tempo futuro; ingentissimi danni patrimoniali erano stati cagionati nel loro complesso alle persone offese.
Le motivazioni della Corte di Firenze sono corrette ed esaustive, avendo considerato tutti gli elementi che la difesa aveva prospettato come deponenti per il riconoscimento delle invocate attenuanti generiche.
E' comunque pacifico in giurisprudenza che non é necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma é sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o comunque superati da tale valutazione (Sez.3, n.28535 del 19/3/2014, Rv.259899; Sez.l, n.33506 del 7/7/2010, Rv.247959).
Correttamente é stata esclusa ogni rilevanza non solo all'incensuratezza dello F.S., ma altresì al suo comportamento processuale, atteso che, dopo l'iniziale atteggiamento ammissivo in sede di interrogatorio davanti al G.I.P., egli aveva assunto in dibattimento tutt'altro comportamento, che, sebbene insindacabile sul piano dell'esercizio del diritto di difesa, ben poteva essere (come in effetti é stato) valutato ai fini del diniego delle attenuanti generiche.
Sul punto la Corte distrettuale ha fatto perciò puntuale e pertinente richiamo al principio affermato da questa Corte Suprema secondo cui, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il pieno esercizio del diritto di difesa, se faculta l'imputato al silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, per ciò solo, a tenere comportamenti processualmente obliqui e fuorvianti, in violazione del fondamentale principio di lealtà processuale che deve comunque improntare la condotta di tutti i soggetti del procedimento, compreso l'imputato, e la cui violazione é indubbiamente valutabile da parte del giudice di merito (S.U., n.36258 del 4/5/2012, Rv.253152).
Anche le doglianze proposte a chiusura dei motivi nuovi depositati il 4 aprile 2017 dall'imputato personalmente, sempre con riguardo al trattamento sanzionatorio, ed in particolare all'adozione dei criteri di cui all'art.133 cod. pen., sono del tutto prive di fondamento, a fronte dell'ampio ed ineccepibile percorso argomentativo seguito dai giudici di merito, i quali, sia in primo che in secondo grado, hanno fatto buon governo delle regole dettate in tema di commisurazione della pena, con ampi riferimenti (come già si é detto) alla eccezionale gravità del fatto, alla incommensurabile entità dei danni alle persone, agli enti locali, alle cose e all'ambiente, all'elevato grado della colpa, non attenuato dal concorrente comportamento colposo di altri membri dell'equipaggio, che agivano peraltro agli ordine dello F.S. che rivestiva la posizione apicale di massima autorità a bordo, alla condotta dell'imputato sia contemporanea che susseguente ai reati, e complessivamente alle modalità dell'azione.
In particolare, per quanto attiene al "grado della colpa", che rileva ai fini della personalizzazione del rimprovero che può essere mosso all'agente, e quindi della sua colpevolezza, va determinato considerando: 1) la gravità della violazione della regola cautelare; 2) la misura della prevedibilità ed evitabilità dell'evento; 3) la condizione personale dell'agente; 4) il possesso di qualità personali utili a fronteggiare la situazione pericolosa; 5) le motivazioni della condotta (Sez.4, n.22632 del 15/5/2008, n.239895).
Nella impugnata sentenza - in cui era necessario integrare la valutazione della condotta dello F.S. con quella di altre diverse posizioni soggettive - la Corte di Firenze ha proceduto ad un'analisi approfondita di tutti i predetti fattori, ponendo in luce la concreta previsione dell'evento naufragio, l'elevata ri m proverà bilità della condotta tenuta dal comandante nella gestione dell'emergenza, la competenza professionale inerente al suo ruolo apicale ed i doveri propri del medesimo, la mancanza di ogni motivo del cambio di rotta ed il disinteresse dimostrato nel momento di abbandono della nave verso chi si trovava ancora in difficoltà.
Donde, l'infondatezza anche di questo motivo.

 

 
17. MOTIVI DI RICORSO A FIRMA DELL'AVV. LAINO. NELL'INTERESSE DI F.S.
I motivi di ricorso proposti dall'avv. Laino, siccome vertenti su aspetti per molti versi sovrapponibili (riferiti in sostanza all'omessa valutazione dell'atto di appello presentato il 14 ottobre 2015 e alla ritenuta inammissibilità dei motivi nuovi successivamente proposti il 12 aprile 2016 quale derivazione dei soli motivi depositati il 24 settembre 2015), possono essere trattati congiuntamente.
Si tratta in entrambi i casi di doglianze manifestamente infondate.
17.1. Innanzitutto va evidenziato che l'atto di impugnazione del 14 ottobre
2015 (depositato a firma congiunta sia dell'avv. Laino, sia dell'avv. Senese, sia dello stesso imputato) ha formato oggetto di valutazione; ed invero a pag. 160 della sentenza impugnata la Corte territoriale così si esprime: "Va in questa sede anche anticipato che le doglianze espresse nell'appello proposto personalmente dall'Imputato riguardano alcune delle stesse questioni già poste dal difensore avvocato Senese e, quindi, onde evitare superflue ripetizioni, vanno esaminate congiuntamente, unitamente anche ai motivi aggiunti proposti con unico atto dallo stesso avvocato Senese, dall'avvocato Laino e dall'imputato personalmente".
E' evidente che quest'ultimo riferimento é volto a richiamare proprio gli ulteriori motivi di ricorso (congruamente ed ampiamente esaminati nel seguito della motivazione, unitamente ai restanti motivi presentati nell'interesse dell'imputato) di cui l'esponente lamenta oggi l'omessa valutazione, senza peraltro nemmeno specificare quali doglianze in particolare sarebbero state pretermesse.
17.2. Quanto alla declaratoria di inammissibilità "derivata" dei motivi nuovi proposti dall'avv. Laino il 12 aprile 2016, la Corte di merito ha riferito detta inammissibilità all'appello originariamente proposto dallo stesso difensore, nell'assunto che i motivi nuovi proposti a sostegno dell'impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata investiti dall'atto di impugnazione originario (cfr. da ultimo Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Braidic, Rv. 268980; ed anche Sez. 2, n. 34216 del 29/04/2014, Cennamo e altri, Rv. 260851).
17.3. Ma, a parte ciò, é dirimente la circostanza che la Corte distrettuale, «per mero tuziorismo», ha in ogni caso disatteso anche nel contenuto i suddetti motivi nuovi, argomentando puntualmente (al paragrafo 3.5.4. della sentenza, pag. 440) circa la superfluità della nuova audizione dell'ufficiale cartografo S.C., del terzo ufficiale C. e del timoniere R., nonché dell'esame del dott. A.G. (direttore unità operativa ASL Toscana sud).
Quanto al nuovo esame del S.C., la Corte di merito ha ribadito che costui era già stato sentito e che pertanto le doglianze del ricorrente, riferite alla sua presunta inattendibilità ed articolate con espresso richiamo agli "ulteriori motivi d'appello", non intaccavano la già dedotta superfluità della nuova audizione del teste anche sotto i profili indicati nel motivo di ricorso di che trattasi. Quanto al nuovo esame della C. e di R.B., la Corte distrettuale ha correttamente osservato che non vi era motivo di procedervi, atteso che la prima si era avvalsa della facoltà di non rispondere e che le dichiarazioni rese dal R. nell'immediatezza dei fatti davanti ai Carabinieri erano già state acquisite agli atti con il consenso delle parti. Quanto, infine, all'esame del teste A.G., relativo all'aggravante contestata ex artt. 7, lettera e), e 8, lettera g), D.Lgs. n. 271/1999 (con riferimento ai delitti di omicidio colposo e lesioni colpose), la Corte territoriale ha richiamato le proprie considerazioni precedentemente svolte al riguardo (si veda in particolare paragrafo 3.20.6, pag. 405 sentenza impugnata) nelle quali la superfluità dell'audizione del teste A.G. viene argomentata sulla base della qualificabilità della condotta dell'imputato secondo la detta aggravante, nonché della considerazione che la valutazione circa il riconoscimento di tale circostanza non può essere demandata a un teste.
 

 

18. STATUIZIONI FINALI
Da quanto sin qui considerato in ordine ai ricorsi derivano le seguenti pronunce.
Vanno dichiarati inammissibili, per rinuncia ritualmente formalizzata, i ricorsi delle parti civili G. Ingrid e G. Horst, e condannate le stesse al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost.n.186/2000), somma che si reputa conforme a giustizia determinare in € 500,00 ciascuno.
Va rigettato il ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Firenze.
La sentenza impugnata va annullata senza rinvio in ordine alle contravvenzioni contestate in continuazione al capo b) della rubrica perché estinte per prescrizione, con conseguente eliminazione della pena di un mese di arresto comminata relativamente ad esse e rideterminazione della pena principale in anni sedici di reclusione.
Il ricorso dello F.S. va rigettato nel resto. 
Alla pronuncia di rigetto segue la condanna dell'imputato, in solido con il responsabile civile Costa Crociere S.p.a. al rimborso delle spese sostenute dalle parti civili che hanno rassegnato le conclusioni ritualmente e tempestivamente in questo giudizio di legittimità, secondo la elencazione del dispositivo, come corretto nei confronti di P.C. E C.I. con ordinanza in data 28 giugno 2017.
Si dà atto che nella liquidazione di tali spese questo Collegio é partito da un compenso base di € 2.500,00 per ciascuna parte civile, in considerazione dell'attività professionale svolta in sede di legittimità ed ha fatto quindi applicazione del parametro generale per la determinazione dei compensi stabilito dall'art.12, comma 2, del Decreto 10 marzo 2014, n.55 che dispone che "quanto l'avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 5 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di venti".
Vanno poi rimborsate, alle singole parti civili che ne hanno fatto richiesta, le spese vive documentate, nei limiti di quelle ritenute congrue per la partecipazione alle due udienze in cui é stato celebrato il giudizio di legittimità e che hanno impegnato i difensori con la loro presenza.
Le spese tra F.S. e le parti civili Omissis vanno invece compensate in quanto solo all'udienza del 12 maggio 2017, e dunque tardivamente poiché aveva già discusso l'Avv. Laino in difesa dell'imputato ed aveva preso la parola l'Avv. Senese per avanzare la richiesta di visionare il CD cui si é detto, il difensore ha rassegnato le proprie conclusioni e depositato la nota delle spese.
Nei confronti delle parti civili che hanno in questa sede revocato la costituzione, come indicate in dispositivo, vanno revocate le statuizioni civili rese in loro favore nei giudizi di merito.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibili, per rinuncia, i ricorsi delle parti civili G. Ingrid e G. Horst che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro 500,00 in favore della cassa delle ammende.
Rigetta il ricorso del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Firenze.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alle contravvenzioni contestate a F.S. e già unificati con il vincolo  della continuazione, di cui al capo b) della rubrica, perché estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena di un mese di arresto, così determinando la pena principale in anni sedici di reclusione.
Rigetta nel resto il ricorso dello F.S. e condanna lo stesso, in solido con il responsabile civile Costa Crociere S.p.A., a rimborsare alle parti civili di seguito indicate, che hanno ritualmente e tempestivamente rassegnato le loro conclusioni, le spese dalle stesse sostenute per questo giudizio che, ai sensi del decreto n. 55 del 2014, liquida nelle somme appresso specificate, oltre accessori come per legge: Omissis.
Compensa le spese tra F.S. e le parti civili Omissis.
Dichiara revocate le statuizioni civili in favore di Omissis.
Così deciso in Roma, 12 maggio 2017