Cassazione Penale, Sez. 4, 02 agosto 2017, n. 38529 - Morte per folgorazione. Appalto e normativa applicabile


Presidente: D'ISA CLAUDIO Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA Data Udienza: 27/10/2016

 

 

 

Fatto

 


1. Con l'impugnata sentenza la Corte d'Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Modena in data 13 dicembre 2010, appellata tra gli altri dall'odierno ricorrente, rideterminava la pena inflitta al LM. in sei mesi di reclusione. Questi era stato tratto a giudizio per rispondere del reato previsto e punito dagli artt. 110, 590 comma 2 c.p. perché in concorso con S.P. e DM.G. (nei cui confronti veniva dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione), l'odierno ricorrente- rinunciante alla prescrizione- in particolare nella qualità di amministratore e legale rappresentante della ditta POS.FER s.n.c., per impudenza ed imperizia consistite nel non esaminare attentamente il luogo ove operava M.L., con la mansione di ferraiolo, che avrebbe consentito di accertare l'esistenza di una fessura di 15 mm. posta alla base della trave immediatamente vicina a quella dove stava lavorando, nonché in violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro concernenti le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei mobili, non facevano apporre idoneo riparo su detta fessura, cagionando con tale condotta la morte di M.L., il quale, mentre effettuava lavori di posa in opera di tondini di ferro su galleria artificiale in cemento armato, alta metri 12, lunga metri 100 e larga metri 20, che sovrasta la ferrovia Bologna- Milano, rimaneva fulminato da corrente elettrica, causa la caduta dalle mani di due-tre tondini di ferro di diametro di mm 12 che, penetrando nella fessura sopra descritta, venivano in contatto con la linea elettrica ad alta tensione di 3660 volt sottostante la predetta galleria che alimenta i treni sulla citata tratta ferroviaria.
2. Avverso tale decisione ricorre in cassazione il LM. deducendo con un primo motivo l'erronea applicazione degli artt. 43, 589 cod. pen. e 4 e 7, D.lgs.vo. n. 626 del 1994 quanto alla individuazione dell'ambiente di lavoro.
Sostiene in particolare il ricorrente che il fatale contatto tra il tondino e la linea aerea si era verificato non già nel tratto di soletta consegnato agli operai della POS.FER. (ditta di cui il LM. era legale rappresentante), ma in un tratto ad esso contiguo, per cui l'evento non era ascrivibile al LM., atteso che il rischio di folgorazione non sussisteva in relazione al luogo specifico in cui gli operai della POS.FER dovevano operare.
 

 

Diritto

 


3. L'evento per cui è causa, la cui ricostruzione è contenuta nel surriportato capo di imputazione e non è in contestazione, si è verificato nel cantiere TAV - Treno ad Alta Velocità n. 35, sito a Cavazzona di Castelfranco Emilia. La POS.FER in associazione temporanea di impresa co la Ferroberica S.r.l. era appaltatrice per la realizzazione della armatura di ferro consistente nella posa di tondini di diverse sezioni da posizionarsi longitudinalmente rispetto alle travi e da fissarsi con filo di ferro a delle apposite staffe. La tesi difensiva del LM. già avanzata nei giudizi di merito e qui reiterata che la valutazione del rischio di folgorazione era estranea alla cognizione della POS.FER i cui operai erano stati idoneamente istruiti in ordine ai rischi propri della fase di lavorazione di loro spettanza.
Il ricorso è infondato: in modo molto puntuale la sentenza della Corte territoriale richiama i punti salienti della cronistoria dei lavori sino alla data dei fatti in contestazione, le modalità (incontestate) del verificarsi dell'infortunio, le previsioni dei vari P.O.S. delle diverse imprese coinvolte.
Va in proposito ricordato che in caso di infortunio sul lavoro, è sempre stato ammesso -come peraltro ricordato dalla sentenza impugnata- che possano aversi "intrecci di responsabilità" coinvolgenti i vari soggetti interessati all'appalto (v. sul punto, Sezione 4, 17 gennaio 2008, n. 13917, Cigalotti ed i riferimenti in essa contenuti, Rv. 239590, 239591), alla luce di una normativa molto rigorosa, che dimostra con chiarezza l'intendimento di assicurare al massimo livello un ambiente di lavoro sicuro, con conseguente "estensione" dei soggetti onerati della relativa "posizione di garanzia" nella materia prevenzionale allorquando l'omessa adozione delle misure antinfortunistiche prescritte risulti la conseguenza del rilevato omesso coordinamento. I giudici di merito hanno applicato correttamente i suddetti principi e, in particolare, la sentenza impugnata, resta pertanto esente dalle sollevate censure.
Quanto in particolare alla posizione dell'odierno ricorrente, amministratore e legale rappresentante della ditta POS.FER e, come tale datore di lavoro del M.L., i giudici di merito hanno concordemente ritenuto : che il P.O.S. della POS.FER, oltre che del tutto risalente trattandosi di testo revisionato da ultimo nel maggio del 2001, risultasse del tutto generico, atteso che oltre a non contenere alcunché rispetto al rischio elettrico, non descriveva neppure le procedure per la esecuzione in sicurezza dei singoli lavori; che, di contro, per la elevata pericolosità dell'attività svolta dall'infortunato, in prossimità di linea elettrica, la stessa doveva essere oggetto di specifica formazione sia all'interno del Piano di Sicurezza e Coordinamento che dei singoli P.O.S. delle ditte interessate ai lavori, onde allertare tutte le maestranze dei pericoli derivanti dalla specificità dell'ambiente di lavoro, pianificare modalità di intervento tali da escludere ogni possibile interferenza nelle lavorazioni delle singole imprese e società interessate, produttiva di possibili aggravamenti del rischio già in essere; che il LM. era tenuto ad ispezionare l'ambiente che i propri operai avrebbero impegnato per svolgere l'attività lavorativa e prendere atto dell'esistenza di una linea aerea elettrica attingibile dagli strumenti che i propri operai utilizzavano. 
Ciò posto, osserva la Corte come il rilievo con cui si contesta il giudizio reso dalla Corte distrettuale, di insussistenza di una valutazione del rischio per essere quella redatta incompleta rispetto al paradigma normativo, si sostanzi in una censura in fatto, come tale inammissibile in questa sede.
Va poi in primo luogo rilevato che risalendo il tempo di commissione del reato al 10.05.2004, non al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17 deve eventualmente guardarsi ma al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4. Infatti, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 306, comma 2 la previsione dell'art. 17, comma 1, lett. a) citato (così come quelle dell'art. 28 e le altre disposizioni in tema di valutazione dei rischi che ad esse rinviano) trova applicazione a far tempo dal 1.1.2009 e sino a tale data continuano a trovare applicazione le disposizioni previgenti, ancorché abrogate dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 304. Tanto sul piano dei referenti normativi; sul piano sostanziale nel caso in esame ciò non determina alcun significativo effetto, stante la corrispondenza contenutistica delle disposizioni succedutesi cfr. Sez. 4, n. 42018 del 12/10/2011, Marsiletti, Rv. 251932 per la quale sussiste continuità normativa tra il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 (concernente gli obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto) - ancorché formalmente abrogato dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 304 (Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) - e la vigente normativa antinfortunistica, considerato che il contenuto delle predette disposizioni risulta recepito dal D.Lgs. n. 81 del 2008, artt 28 e 29 in relazione ai rischi aziendali ed alle modalità di effettuazione della relativa valutazione, disposizioni che tutelano penalmente le predette cautele antinfortunistiche.
Nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili (alla cui disciplina era appunto dedicato il menzionato provvedimento legislativo, esso pure abrogato dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 304), la gestione della sicurezza del lavoro è suscettibile di concretizzarsi in più documenti programmatici. Una pronuncia di questa Corte ha puntualizzato che sotto la vigenza del D.Lgs. n. 626 del 1994, in caso di contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione l'obbligo di elaborare il documento di valutazione dei rischi - denominato come piano di sicurezza e coordinamento - era posto in capo a tutti i datori di lavoro; quindi sia al datore di lavoro committente che ai datori di lavoro delle imprese appaltatrici e quindi al caso di specie all'odierno ricorrente.
4. Il ricorso va pertanto rigettato; ne consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso nella camera di consiglio del 27 ottobre 2016